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Chi dice cosa

Ieri è stata la Festa degli Italiani, è il simbolo del ritrovamento della libertà e della democrazia da parte del nostro popolo. È un appuntamento che rinsalda da parte dei cittadini la loro adesione leale e il loro sostegno all’ordinamento repubblicano, nella sua articolazione, allo stesso tempo unitaria e rispettosa delle autonomie, sociali e territoriali.

Abbiamo appena celebrato in ventotto Paesi d’Europa un grande esercizio di democrazia: la elezione dei deputati al Parlamento Europeo, a conferma delle radici solide di una esperienza che stiamo, gradualmente, costruendo da ormai sessantadue anni. In realtà sessantotto dal momento dell’avvio del primo organismo comunitario, la Comunità del carbone e dell’acciaio.

L’Italia è stata guidata, in questo percorso, dalle indicazioni della sua Costituzione; dalla consapevolezza di una sempre più accentuata interdipendenza tra i popoli; dalla amara lezione dei sanguinosi conflitti del ventesimo secolo. Soltanto la via della collaborazione e del dialogo permette di superare i contrasti e di promuovere il mutuo interesse nella comunità internazionale.

La Repubblica italiana, con l’assunzione di responsabilità nel contesto globale, ha contribuito, per la sua parte, alla definizione di modelli multilaterali e di equilibri diretti a garantire universalmente pace, sviluppo, promozione dei diritti umani.

La Repubblica italiana, con l’assunzione di responsabilità nel contesto globale, ha contribuito, per la sua parte, alla definizione di modelli multilaterali e di equilibri diretti a garantire universalmente pace, sviluppo, promozione dei diritti umani.

Anche per questo non possiamo sottovalutare le tensioni che si sono manifestate, e si manifestano, provocando conflitti e mettendo pesantemente a rischio la pace in tanti luoghi del mondo.

Va ricordato che – in ogni ambito – libertà e democrazia non sono compatibili con chi alimenta i conflitti, con chi punta a creare opposizioni dissennate fra le identità, con chi fomenta scontri, con la continua ricerca di un nemico da individuare, con chi limita il pluralismo.

I valori delle civiltà e delle culture di ogni popolo contrastano in modo radicale con quella deriva e fanno, invece, appello a salde fondamenta di umanità, per confidare nel progresso. Per quanto ci riguarda, in questo anno, cinquecentesimo dalla morte di Leonardo da Vinci, avvertiamo in modo ancor più esigente questa prospettiva.

Abbiamo bisogno di praticare attenzione e rispetto reciproco, nella libertà e nella legalità internazionale, per avanzare sulla strada del progresso, con il dinamismo che contrassegna il mondo contemporaneo in cui viviamo.

Bel buongiorno, eh? Sono pezzi del discorso del Presidente della Repubblica. Mica un giornalista di parte. Il Presidente della Repubblica.

Buon lunedì.

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Ndrangheta, i tre boss uccisi e il clan di Cirò

Il solito bravissimo Cesare Giuzzi sul Corriere

Il tradimento arriva da chi decide di rompere la più importante regola della ‘ndrangheta: il rispetto per la famiglia. Il pentito si chiama Francesco Farao, 38 anni, figlio del boss ergastolano Giuseppe, capo della cosca. Il pentito racconta ai magistrati la regola che da trent’anni sancisce gli equilibri del clan: «Per togliere la gestione della cassa occorre uccidere il cassiere».

La foto del summit di mafia a Cardano al Campo (Varese) nel 2008 con Marincola Cataldo (a sinistra) e Silvio Farao (a destra) all’epoca ricercati

Ed è una legge che i Farao-Marincola fanno rispettare con il piombo. Prima uccidendo Nicodemo Aloe (1987) poi con l’agguato a Natale Bruno (2004) e infine con l’omicidio di Vincenzo Pirill0, freddato la sera del 5 agosto 2007 nel ristorante «Ekò» di Cirò Marina (Crotone) in una strage nella quale resteranno ferite altre sei persone, compresa una bambina di 11 anni. Aloe, Bruno e Pirillo avevano tutti ereditato la guida del clan dai Farao-Marincola in quel momento ristretti in carcere. E tutti avevano tradito un’altra delle sacre regole della ‘ndrangheta: non rubare. Un comandamento che si traduce nella assoluta necessità per il «reggente» di provvedere al sostentamento dei familiari dei capoclan in carcere. E soprattutto di non dimenticare che il posto sul trono è «pro tempore» e le ricchezze restano dei capibastone. 

Natale Bruno, ad esempio, ha pagato con la vita l’aver riservato al sostentamento di moglie e figli dei Farao-Marincola solo una miseria, l’essersi «fregato i soldi», l’aver «spaparanzato i soldi della ‘ndrangheta»: «Sette-ottocentomila euro che gli venivano periodicamente consegnati dagli affiliati», come scrivono i pm di Catanzaro guidati dal procuratore Nicola Gratteri. Lo stesso errore che commetterà tre anni più tardi Pirillo: «Cenzo è sulla strada che sta sbagliando pure…». I vertici del clan che è un tutt’uno tra Cirò e il Legnanese, rimproverano alla vittima d’aver destinato solo 1.500 euro in più alle spese dei familiari dei detenuti e di aver sperperato un milione e mezzo di euro per un palazzo incentro con i soldi della cosca, oltre all’aver acquistato macchine e camion per la sua azienda. Così i Marincola decidono di «togliergli il maneggio degli affari» perché mentre loro erano in carcere «aveva voluto strafare». A questo occorre poi aggiungere che si diceva che Pirillo volesse fare fuori uno dei fedelissimi dei capoclan, quello Spagnolo Giuseppe, detto ‘u Banditu, che sarà invece uno degli esecutori materiali del suo delitto.

Il pentito Francesco Oliverio, ex capo di Belvedere di Spinello e a lungo imprenditore a Rho, racconterà agli investigatori di Ros e Dia, che a causa delle «inosservanze» di Cenzo Pirillo «la moglie del boss Marincola era stata costretta a lavorare pur di vivere dignitosamente». Un’onta in una famiglia di ’ndrangheta tra le più ricche del Crotonese. Quando l’omicidio sta per maturare, e il piano prende corpo, iniziano a circolare voci «di disprezzo» sul conto di Pirillo, come per costruire una sorta di consenso «popolare» tra gli affiliati: il boss di Legnano Nicodemo Filippelli, ad esempio, racconta che il reggente si sarebbe lamentato di lui perché «non avrebbe mai portato soldi dalla Lombardia». Perillo muore, e un anno dopo cade sotto al piombo anche il nipote Cataldo Aloisio, freddato a Legnano per paura che organizzasse una ritorsione. Ma il clan per rispetto della regola continuerà a «sostenere i familiari dei cassieri assassinati». Da quel momento la faida si ferma. I magistrati lo ricostruiscono grazie a un colloquio in carcere di Peppe Farao: «Il boss spiega la necessità che i propri figli e nipoti si trovassero un lavoro, astenendosi dal commettere azioni violente che in passato gli stessi padri, ora detenuti, avevano commesso per aver rispetto del territorio perché ormai non ne avevano più bisogno».

La gentilezza in valigia

Sono passato da Roma. Mi si è avvicinato un uomo. Uno di quelli che spicca per la coordinazione dei colori. Era un uomo giallo. Giallo il papillon, gialla la banda sul cappello, gialla la valigia, giallo il fazzoletto che sbucava dalla giacca. Gli uomini coordinati profumano di cure, hanno sempre il sapore di quelli che al mattino trovano la forza per costruirsi mentre noi strisciamo.

Si chiama Piero Ciamberlano ed è uno scrittore. Meglio. È un libraio. Meglio. È uno scrittore e un libraio. Pubblica poesie, le fa tradurre in inglese, e con la sua valigia piena di libri si avvicina cortesemente ai turisti romani per proporti la sua opera. Sei un collega, mi ha detto. E ha estratto la sua ultima opera, La favola più bella.

Io ci sono rimasto secco a vedere uno scrittore che si fa commesso viaggiatore del suo libro e gli ho chiesto chi fosse, da dove venisse, perché faceva tutto questo, che gente trovava, che reazioni alla sua proposta. Lui si è appoggiato alla staccionata del ristorante e mi ha risposto come se fosse un dovere professionale darmi tutte le spiegazioni possibili. Ma mettendoci così tanto cuore che ci ha annacquato il tavolo. Mi ha raccontato di suo figlio e di sua moglie che lo prendevano per pazzo. Di suo figlio che aveva scavato una buca per seppellire i libri che no, non li avrebbe mai venduti. E invece, mi dice, e invece in giro per Roma ora incontra gente che lo abbraccia, lo ringrazia e questo libro, fuori dalle logiche commerciali, è in giro per il mondo come un virus strabico che sta percorrendo sentieri inusitati.

E mi ha spaccato il cuore un uomo della sua età che decide di metterci la faccia e di sfidare la diffidenza. Sono profumatissime le persone che credono in quello che fanno. Hanno una luce che solo loro riescono ad accendere e hanno un sorriso che gli fa tutto il giro della faccia. E per un secondo Roma, Italia, mi è sembrata bellissima. L’umanità mi è sembrata bellissima.

Buon venerdì.

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“Carnaio”, la recensione di bonculture.it

(fonte)

La parola carnaio deriva dal termine latino carnarium, deposito di carni macellate. In italiano, poi, ha preso l’accezione di cumulo di cadaveri. Così con questo titolo si presenta al pubblico il nuovo libro di Giulio Cavalli, Carnaio (Fandango, pp. 218, 17 €), che è quasi uno schiaffo, il primo di una lunga serie, che il lettore riceve nel corso della narrazione. Da sempre impegnato nella lotta alle mafie, l’autore vive sotto scorta dal 2007, e ha scritto numerosi libri d’inchiesta.

La storia che racconta Giulio Cavalli è ambientata nel nostro meridione, una città di mare dal nome inventato, DF: la vita scorre tranquilla, la provincia a volte è una gabbia, altre volte è una protezione. Così, con questo schema, vivono gli abitanti di DF, con le loro piccolezze, e le loro mancanze. Dal sindaco Ruffini al medico Quinto, dal sacerdote don Mariangelo alla svampita Lilly, tutti ricoprono un ruolo, felici di averlo, soddisfatti delle loro vite. DF, insomma, è una città “misurata e borghese, che borghese è sinonimo di misura giusta”. A questa regolarità, però, ad un certo punto, gli abitanti di DF ci devono rinunciare. Una mattina, il pescatore Giovanni Ventimiglia trova incagliato tra gli scogli un cadavere: è un uomo di colore, col corpo in evidente stato di decomposizione. Denunciato il ritrovamento, il commissario Magnani è preso alla sprovvista perché le morti, a DF, arrivano già risolte. Tutti ne parlano, quando la notizia si diffonde ma, com’è normale in una piccola città di provincia, dopo un po’ la novità inizia a ‘puzzare’, e viene dimenticata. Invece, pochi giorni dopo un altro cadavere viene ritrovato sulla spiaggia dalla signorina Lilly. E poi un altro, e un altro ancora. Fino all’onda, a distanza di poche settimane dal rinvenimento della prima salma: il mare riversa una quantità spropositata di corpi su tutta la zona costiera della città di DF, tutti uguali, tutti uomini, tutti di colore. In questo evento, imprevisto e straordinario, perdono la vita quattordici persone, travolti dall’ondata umana. Così è troppo: nonostante il governo, da Roma, opti per una soluzione umanitaria e invii l’esercito per liberare le strade e ristabilire la normalità, il sindaco Ruffini e i suoi concittadini sono decisi ad agire, per il bene di DF.

Compiendo i primi passi con la ritrosia di chi riconosce gli scricchiolii dei suoi stessi tessuti che si strappano o il cigolio di un osso fine che si sbecca sotto un tacco, non abbassando lo sguardo per il timore di riconoscere la propria orma tra un naso rotto e un bulbo fuoriuscito e poi via via, camminando camminando, facendoci l’abitudine perché ci si abitua a tutto”. 

A DF decidono di calpestarli quei cadaveri, di pulire la città da ‘quelli’ perché le vere vittime sono loro, e quindi solo loro hanno il diritto di decidere cosa fare con quei corpi che hanno invaso il loro spazio vitale. Gli sviluppi legati alla vicenda assumono contorni ordinari, nonostante l’arrivo di una seconda ondata di corpi. Anche se i cumuli di cadaveri, disseminati in varie zone della città, che scuotono il dottor Quinto con conati di vomito, ricordano scene analoghe vissute dai soldati russi quando, al termine della Seconda Guerra Mondiale, liberarono i campi di concentramento nazisti. Cavalli richiama quelle immagini nella mente del lettore, come a dire: quell’orrore potrebbe tornare. 

DF decide di distaccarsi dalla nazione, si autodetermina dando vita ad uno stato a sé, con un proprio ordinamento e delle leggi. Si chiude al mondo esterno, proteggendosi dietro una cortina di provvedimenti che tutta la comunità internazionale condanna. Nella città, però, l’assoluzione arriva da Don Mariangelo, colui che dovrebbe incarnare l’istituzione che ha fatto dell’amore universale il suo principio costitutivo:

Quando la bontà diventa un idolo si cade nell’isteria. Purtroppo. Gesù ci chiede di amarci, ama te stesso, dice il sacro comandamento, quella è la nostra natura. Per il cristiano l’amore per sé è naturale, costitutivo, primario, mentre l’amore per gli altri è un imperativo, un dovere che richiede sacrificio. Noi spesso ci concentriamo troppo sull’obbligo verso gli altri e non siamo abbastanza lucidi per occuparci di noi.”

Carnaio potrebbe essere definito un romanzo distopico, ma è anche altro: è il racconto corale di una città che va incontro ad un processo sistematico di disumanizzazione. Nelle intenzioni dell’autore c’è la volontà di scuotere, di far aprire gli occhi al lettore, capitolo dopo capitolo, mettendo in scena situazioni paradossali, soluzioni brutali che poi, forse, dalla realtà odierna non si discostano molto. I ‘quelli’ del romanzo di Cavalli sono gli stessi che il lettore può incontrare nella vita di tutti i giorni, vivi. Quei corpi, nel romanzo, sono trattati come oggetti, cose inanimate, non si spreca empatia o umanità con loro perché sono la causa di un problema a DF, e non l’effetto di un qualche squilibrio del mondo globalizzato, sempre più alla deriva. Gli abitanti di DF non sono interessati a conoscere le ragioni di quel cataclisma che si è abbattuto sulla loro città, non hanno importanza le storie di quei poveri cristi, anche perché “non si può far del male ad un cadavere”.

Lì ora c’era il carnaio portato dall’onda, ordinato e disinfettato come un bambino a mezz’ora dalla sua prima comunione e, mentre da Roma i ministri gridavano allo scempio, gli abitanti di DF, che di Roma e del governo e delle discussioni particolari si disinteressavano quasi con fastidio, invece plaudevano il sindaco e i suoi assessori e i suoi tecnici per l’incredibile lavoro di pulizia che stava restaurando DF com’era prima di quella merda portata dal mare e lo incitavano a resistere, a mandarli in culo a quelli là che a DF non ci hanno mai messo piede e vorrebbero decidere per noi.

Il libro è un memento romanzato, animato anche da un umorismo grottesco che genera risate amare, e ha uno stile immediato e dinamico: Cavalli rovescia su chi legge una valanga costituita da sostantivi, aggettivi, verbi, perché anche stilisticamente l’autore prova a lasciare senza fiato, a travolgere e a scioccare con la velocità della narrazione. Giulio Cavalli, in Carnaio, scrive “il consenso è il termometro delle nostre azioni”, quindi è inevitabile il confronto con il momento che stiamo vivendo, globalmente. Anche se il romanzo è volutamente esasperato nella drammatizzazione della vicenda, porta a riflettere sull’umanità, su quanta ne abbiamo al giorno d’oggi ma, soprattutto, quanta ne potremmo perdere.

Lo Sbuffo recensisce Carnaio

(fonte)

DF è il centro del modo che scivola verso l’orrore.

Una mattina apparentemente come tante altre, un pescatore – Giovanni Ventimiglia – di ritorno dalla pesca mattutina trova un cadavere tra gli scogli. Dopo alcuni giorni ne viene ritrovato un altro, sulla spiaggia. E poi ancora, sempre di più, corpi morti che arrivano dal mare e riempiono la spiaggia, le vie, la piazza della cittadina di DF, che la rendono un vero e proprio carnaio.

Gli abitanti sono sconvolti, così come il commissario di polizia, il sindaco, tutta l’amministrazione comunale. Le autorità locali non sanno cosa fare di fronte a queste ondate di morte, di questi corpi ammassati di giovani, tutti simili tra loro,

cadaveri tutti di sesso maschile, eccezionalmente tutti di età apparente tra i 20 e i 25 anni, tutti eccezionalmente di altezza tra cm 177 e cm 180, tutti eccezionalmente di peso corporeo tra 78 kg e 81, di identica corporatura, tutti di nutrizione buona.

Le cause della morte restano sconosciute, non si sa nemmeno da dove arrivino; il mare ne getta a migliaia sulla spiaggia ogni paio di giorni e a DF la vita inizia a farsi difficile. La protezione civile e i vigili del fuoco lavorano incessantemente per sgombrare i corpi e i cittadini vivono in un incubo che non accenna a terminare. Si trova una soluzione: un muro, una barriera in plexiglass che tenga i cadaveri lontano dalla città e li convogli, attraverso un sistema di tubature e paratoie, direttamente nei capannoni, «i cimiteri di quelli».

E così a DF inizia una vera e propria guerra: da un lato i cittadini, i bravi cittadini lavoratori e dall’altro quellii diversi, gli altri – di cui nessuno si pone nemmeno il problema di come siano morti e da dove vengano, se abbiano qualcuno a casa che li aspetti. Persino il medico della cittadina, il dottor Quinto, che si era occupato in un primo momento delle autopsie (senza risolvere il mistero della loro morte), di fronte alla paura del diverso, alla paura di un’invasione perde tutta la sua umanità:

Quando i morti sono così non sono morti: sono materia che occupa spazio. […] Noi non ci occupiamo di quell’ammasso di carne, pelle, tendini, ossa, peli, nervi e liquidi che hanno anche forma di persona.

Carnaio, di Giulio Cavalli, edito da Fandango Libri nel 2018 è un romanzo che apre gli occhi. La trama appare grottesca, addirittura al limite dell’inverosimile: ma man mano che si prosegue con la lettura e ci si addentra nelle dinamiche di DF, con la sua politica gretta e corrotta, il perenne conflitto noi-loro, la perdita di umanità quando assale la paura del diverso, allora qualcosa scatta e ci si rende conto che tutto questo non è poi così lontano dalla realtà. Quella di DF è una vicenda che fa da monito, di certo portata all’estremo ma che suona terribilmente familiare.

Politici che gridano all’invasione, che innalzano muri per tenere fuori gli immigrati – i grandi altri della storia dei nostri giorni – i giornalisti che si battono per i diritti umani ridotti al silenzio, la disperazione e soprattutto il dramma della morte in mare, che passa inosservato: «non sono i nostri morti

Carnaio è un libro duro, che punta il dito e accusa d’indifferenza e disumanità, ma lo fa in modo intelligente, quasi sottile. I protagonisti di questo scempio, di questo carnaio appunto, si raccontano, tentano di far valere il loro punto di vista, di dar voce al loro “buonsenso”:

Io sono una cittadina che esprime le proprie opinioni, una di quelli che ha studiato all’università della vita e non ho la pretesa di sapere il giusto o lo sbagliato su tutto, però so bene cosa è giusto o sbagliato per me.

E questo è proprio il punto cruciale, il vero dramma che si consuma a DF: quando ciò che è giusto o sbagliato per il singolo diventa il metro di giudizio universale, quando l’egoismo spoglia l’individuo della sua umanità e lo rende incapace di rendersi conto che quei corpi, quei cadaveri portati dal mare non erano persone. Lo sono ancora.

Il Salò del Libro

“L’antifascismo è il vero male del Paese”. L’ha detto all’Ansa Francesco Polacchi, capo di Altaforte, la casa editrice che tanto caos sta combinando sul Salone del libro di Torino. L’ha dichiarato così, come virgolettato. E subito mi viene da chiedere che tipo di interlocuzione pensano di avere coloro che continuano a dirmi «bisogna andare e confrontarsi». Con chi? Su cosa? Ma non è tutto.

Polacchi ha anche detto: «Io sono fascista». Così. In scioltezza.

Questo è il livello.

Il problema è che andrebbe tutto risolto alla base. Quella casa editrice non ha motivo di essere in un Paese che ha le leggi che abbiamo. Punto. E dovrebbe intervenire, d’ufficio, la magistratura.

E siccome la magistratura non interviene dovrebbe farlo, d’ufficio, l’istituzione, qualsiasi essa sia: Comune, Regione e, perché no, la direzione del Salone del libro. Hanno cercato la provocazione. L’hanno trovata. Si sono fatti pubblicità. Ma il limite di ciò che è potabile è stato sorpassato da un pezzo. Una casa editrice che porta avanti l’apologia al fascismo dovrebbe andare in qualche periferia a bruciare libri piuttosto che insozzare quelli degli altri.

Uno che all’Ansa si dice fieramente fascista va indagato e condannato piuttosto che darci lezioni di storia e letteratura.

Questa vicenda sta assumendo contorni sempre più imbarazzanti per le persone coinvolte. Se qualcuno sperava che questi stessero al loro posto a fare semplicemente i poveri standisti è un illuso che non ha capito la loro solita strategia. Ogni giorno che passa aumenterà il vittimismo, ogni giorno che passa aumenterà lo scontro sociale.

Contenti voi.

Buon mercoledì.

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Calvino e il 25 aprile

Se c’è uno scrittore che più di tutti è spaventosamente contemporaneo nella narrazione della Resistenza (contemporaneo perché risponde anche ai fascisti di oggi, lo so, sembra incredibile) è Italo Calvino. Per questo i fascisti temono i libri come l’aglio. Perchè basta leggerli per ritrovarci dentro già tutto.

Ad esempio i nuovi sovranisti dicono che i partigiani avessero uno sguardo bieco e corto? Ecco la risposta di Calvino:

“I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra. Solo quando lo stomaco è pieno, il fuoco è acceso, e non s’è camminato troppo durante il giorno, ci si può permettere di sognare una donna nuda e ci si sveglia al mattino sgombri e spumanti, con una letizia come d’ancore salpate”.

Sui silenzi sui partigiani? Ecco qui:

“Certe cose sulla vita partigiana nessuno le ha mai dette, nessuno ha mai scritto un racconto che sia anche la storia del sangue nelle vene, delle sostanze nell’organismo”.

Sul fatto che non si dovrebbe fare di tutti i fascisti un fascio? Ecco qui:

“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono”.

Sul fatto che ci fossero pessimi partigiani? Ecco qui:

“D’accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po’ storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un’elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!”.

Sarebbe bastato leggere Calvino.

Buon giovedì.

 

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@labocchio_libri su Carnaio: «crudo, maleducato e terribilmente attuale»

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#grazie a @labocchio_libri ・・・ ⭐️⭐️⭐️⭐️ Cazzo! (Perché anche io volevo scrivere una parolaccia). Crudo, maleducato e terribilmente attuale, questo libro, lontano dalle mie solite letture, ci obbliga a guardare cosa succede, chi abbiamo intorno e cosa stiamo facendo. È una storia inventata, in un paesino inventato, con personaggi inventanti, ma non così tanto. Spaventatevi pure quando vi renderete conto, che molti di quelli che avete sempre additato come luoghi comuni per sminuire i problemi, sono l’attuale realtà e non una scappatoia dell’autore. Finché la barca va, non lasciarla andare. —————-•sinossi•————— Giovanni Ventimiglia è un pescatore. Il pesce lo vende al mercato di DF, un paesino aggrappato alla costa come tanti, con un parroco che fa la predica ma va a puttane, un sindaco padre di sindaco, un emittente locale che scalda i cuori delle casalinghe con il suo conduttore brizzolato. Ma un giorno di Marzo, Giovanni, attraccando al pontile trova un cadavere, un ragazzo non di quelle parti. E dopo di lui altri cadaveri si susseguono. Da Roma, però, prendono tempo, impongono accertamenti, tanto che i cittadini devono trovare un sistema per non essere sommersi e dal quale trarre profitto. #carnaio #giuliocavalli #fandangolibri #book #bookstagram #bookworm #bookshelf #reading #chilling #bookreview #libri #libridaleggere #consiglidilettura #recensionidilibri #recensionivelocidilibri #sundaymood #haveaniceday

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@Chiara_sui_libri recensisce Carnaio

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#Grazie @chiara_sui_libri ・・・ COSA NE PENSO: Intenso, forte e duro. Che ti entra dentro e ti strapazza le budella. La scrittura non è quella che fa per me di solito ma in questo caso è stato l’opposto. Forse non avrei sentito le stesse cose se fosse stato scritto in modo canonico. È crudo ma anche un po’ commedia rendendo il tema vero ancora più vivido. Non è stata per nulla una lettura faticosa. Mi è rimasto impresso come tutti i corpi siano definiti sempre come uguali. Identici. Come a sottolineare che noi parliamo di migranti come gruppo e ci dimentichiamo che sono persone, un nome proprio. Mi ha fatto male che nessuno sia andato a vedere da dove venivano queste persone, come è assurdo che oggi nessuno si preoccupi delle cause, di essere noi causa di quei mali. Che lo Stato da cui DF si separa li lasci fare mandando solo delle delle dichiarazioni di sdegno. Mai seguite da nulla di pratico. Vi suona familiare? La parte dell’onda è come l’apocalisse e la cosa incredibile è che Giulio Cavalli parlando di cose concrete parla in realtà della nostra coscienza che è forse il più terribile dei cimiteri. È terribile come QUELLI siano usati come risorsa da morti. Sono materia, neanche merce, solo materia prima. Fa malissimo. Mentre invece dovrebbero esserlo ora, da vivi. L’ho letto come simbolo al contrario di quello che ha fatto il sindaco di Riace. È proprio una parte che mi ha fatto chiudere il libro e pensare. Ci ho anche trovato una critica al nostro consumare senza ritegno e senza spirito critico. Soprattutto nella parte dell’elefantino. Da dove vengono gli oggetti che compriamo? Come sono fabbricati? La lettera di Angelica è un manifesto. Lei è quella che capisce anche se è invischiata in quella melma. Questo libro risponde alla domanda: come è stato possibile che accadesse il genocidio degli ebrei in Europa? Solo che la risposta è tremenda perché è il nostro stesso torpore. Sono grata a @giuliocavalli per aver scritto questo libro e a @fandangolibri per averlo pubblicato e a @staffettaumanitaria per avermelo fatto conoscerescere! . . . . #carnaio #ticonsigliounlibro #migranti #selfieconunlibro #leggere #instalibri #libridaleggere #rec

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