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«La perdita di umanità in Carnaio come in 1984»: InchiostrOnline recensisce Carnaio

Di Titti Pentangelo, fonte

«In Carnaio c’è la stessa perdita di umanità di 1984». Così Giulio Cavalli, attore teatrale, giornalista e scrittore, evidenzia il filo comune che unisce i due testi letterari. Da un lato il distopico per eccellenza, 1984 di George Orwell che proprio quest’anno compie 70 anni dalla pubblicazione, e dall’altro il suo ultimo libro edito Fandango, Carnaio.

Entrambi testi in cui il futuro viene descritto a tinte fosche. 

Complice un’umanità che preferisce barattare la propria libertà di pensiero con l’illusione della sicurezza. A fare da sfondo l’odio verso il diverso o lo straniero, percepito come il nemico da combattere. Ed è proprio la guerra verso il mondo esterno che garantisce l’equilibrio e assicura quell’isolamento necessario a far sì che i cittadini non si pongano domande né cerchino alternative. 

Dopo le suggestioni del Grande Fratello e del Bispensiero, in Carnaio la finzione letteraria si lega al dramma dell’immigrazione e dei morti nel Mediterraneo. Una critica neanche troppo velata, al modus operandi del nostro attuale governo, che Cavalli ha definito più volte “in ostaggio di un Trump rivisto in salsa padana”. E che nel testo ritorna più volte, evocato dalle sue espressioni tipiche come “sovranismo”, “reddito di cittadinanza”, “invasione” e “ruspe”.

La storia di Carnaio è ambientata a DF, una cittadina costiera italiana in cui iniziano a verificarsi degli strani ritrovamenti di cadaveri. Sono tutti maschi di colore con la stessa altezza, lo stesso peso e identica corporatura. Uguali fra loro, ma diversi dagli abitanti della città. «Non uno dei nostri», ripetono in coro i cittadini. 

Tranne qualche giornalista, nessuno si preoccupa di indagare le cause del fenomeno – che raggiunge cifre esorbitanti come 24.712 morti con una sola ondata – ma sono tutti presi dalla gestione di cumuli di cadaveri. Da Roma non arriva nessun aiuto, troppe pratiche burocratiche da seguire, troppi accertamenti da fare. Così i cittadini di DF decidono di cavarsela da soli. Con un referendum si costituiscono Stato a sé e affrontano l’emergenza ammassando i corpi in un capannone della zona industriale. Il mondo parla di disumanità e ferocia, ma gli abitanti del nuovo stato liquidano i commenti negativi etichettandoli come “inutili moralismi” e “facili buonismi. È solo il primo passo di una lunga discesa agli inferi che li porterà ad approfittare della situazione in ogni modo. Useranno i cadaveri per nutrirsi e vestirsi. Ne ricaveranno persino energia da vendere all’estero. E, tranne due sovversivi, nessuno avrà niente da ribattere. Nel regno del consenso non serve a nulla chiedersi cosa sia giusto e cosa no. E la cultura è solo un inutile fardello, di cui si può facilmente fare a meno. 

Durante la lettura si fa fatica ad andare avanti. Troppo crudo, a tratti disturbante. Eppure, anche il testo di Orwell 70 anni fa sembrava eccessivamente inquietante. Ora, invece, molto di quanto aveva profetizzato fa parte della nostra realtà quotidiana. Che avvenga lo stesso con Carnaio?

«Intenso, forte e duro. Che ti entra dentro e ti strapazza le budella.»: chiara_su_libri recensisce #Carnaio

Un’altra bellissima recensione. Grazie. Davvero.

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#Repost @chiara_sui_libri (grazie!) ・・・ COSA NE PENSO: Intenso, forte e duro. Che ti entra dentro e ti strapazza le budella. La scrittura non è quella che fa per me di solito ma in questo caso è stato l’opposto. Forse non avrei sentito le stesse cose se fosse stato scritto in modo canonico. È crudo ma anche un po’ commedia rendendo il tema vero ancora più vivido. Non è stata per nulla una lettura faticosa. Mi è rimasto impresso come tutti i corpi siano definiti sempre come uguali. Identici. Come a sottolineare che noi parliamo di migranti come gruppo e ci dimentichiamo che sono persone, un nome proprio. Mi ha fatto male che nessuno sia andato a vedere da dove venivano queste persone, come è assurdo che oggi nessuno si preoccupi delle cause, di essere noi causa di quei mali. Che lo Stato da cui DF si separa li lasci fare mandando solo delle delle dichiarazioni di sdegno. Mai seguite da nulla di pratico. Vi suona familiare? La parte dell’onda è come l’apocalisse e la cosa incredibile è che Giulio Cavalli parlando di cose concrete parla in realtà della nostra coscienza che è forse il più terribile dei cimiteri. È terribile come QUELLI siano usati come risorsa da morti. Sono materia, neanche merce, solo materia prima. Fa malissimo. Mentre invece dovrebbero esserlo ora, da vivi. L’ho letto come simbolo al contrario di quello che ha fatto il sindaco di Riace. È proprio una parte che mi ha fatto chiudere il libro e pensare. Ci ho anche trovato una critica al nostro consumare senza ritegno e senza spirito critico. Soprattutto nella parte dell’elefantino. Da dove vengono gli oggetti che compriamo? Come sono fabbricati? La lettera di Angelica è un manifesto. Lei è quella che capisce anche se è invischiata in quella melma. Questo libro risponde alla domanda: come è stato possibile che accadesse il genocidio degli ebrei in Europa? Solo che la risposta è tremenda perché è il nostro stesso torpore. Sono grata a @giuliocavalli per aver scritto questo libro e a @fandangolibri per averlo pubblicato e a @staffettaumanitaria per avermelo fatto conoscerescere! . . . . #carnaio #ticonsigliounlibro #migranti #selfieconunlibro #leggere #instalibri #libridaleggere #rec

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«La loro spersonalizzazione, la ricerca del guadagno, la chiusura immediata e la divisione tra noi e loro, è talmente forte da essere spiazzante.» #Carnaio recensito da RaccontAmi

Giorni fa, la notizia del ragazzo migrante trovato annegato con la pagella di ottimi voti cucita addosso, mi ha lasciata basita. Nemmeno a farlo apposta, ho incontrato su altri profili social, che ringrazio infinitamente, l’iniziativa #staffettaumanitaria, creata da @francyna_ e @lellettrici_books . Uno dei libri da loro proposti, per questi approfondimenti, è Carnaio di Giulio Cavalli, che io avevo già a casa. Non mi è rimasto che iniziarlo.

Provo a non fare spoiler dandovi qualche tratto della storia, per poi concentrarmi sulle riflessioni che mi ha suscitato. Un paesino italiano, DF (appositamente senza nome, bandiera o estrazione) viene colto all’improvviso dall’arrivo, sulle proprie coste, di cadaveri. I cadaveri, prima uno, poi quattro, poi trecento, e poi ancora e ancora, sono fin da subito definiti come “non di qui, non dei nostri“. Il paese viene stravolto, scioccato, ma inizia a fare di necessità virtù, in una spirale di lucro e disumanità che travolge il lettore, fino alla sua conclusione inevitabile.

Il primo “trauma” che fa scattare questo romanzo, è quando si fa il salto mentale dai morti ai vivi. All’inizio della narrazione i cadaveri che arrivano sulle coste, nella testa del lettore, sono solo cadaveri. C’è quasi il mistero del capire perché tutti a DF, tutti insieme e tutti uguali. Man mano che le reazioni dei cittadini degenerano, guidati da un sindaco (che non sarebbe manco il sindaco) che definirlo populista è fargli un complimento, scatta quello scarto mentale che ti mostra quelli (così li chiamano gli abitanti di DFnon più come morti ma come vivi. La loro spersonalizzazione, la ricerca del guadagno, la chiusura immediata e la divisione tra noi e loro, è talmente forte da essere spiazzante. La cosa che lascia interdetti è che a sentire i cittadini quasi gli si da ragione. Qui secondo me si annida la grandezza di questo romanzo: quando il gruppo si fa mandria, e si resta senza una coscienza personale che ci faccia distinguere ciò che è giusto da ciò che è fottutamente sbagliato, l’umanità, che dovrebbe essere un tratto distintivo della nostra specie, si perde inesorabilmente a discapito dei più deboli.

Un libro che lascia con l’amaro in bocca, quel brutto presentimento di non fare abbastanza, di non essere informati il giusto. Intanto inizio da qui, sperando di accendere la stessa scintilla in voi: continuare a leggere, a parlarne, a discutere. Io la mia coscienza non me la faccio portare via, e nemmeno il mio pensiero.

Morire surgelati

Spegnete Netflix, se vi serve una trasmissione distopica tendente all’orrore, una di quelle che vi fa addormentare tranquilli pensando che no, non possa essere vero. Ci sono i morti surgelati in giro per l’Italia che funzionano benissimo per raccontarvi un Paese che sembra uscito da qualche mente spinta di qualche sceneggiatore che ha osato troppo: l’ultimo si chiamava Cornel, aveva 62 anni e da tre anni viveva a Roma da tre anni dopo essere scappato dalla Romania dove aveva perso un figlio colpito da un fulmine. Dite la verità, non vi sareste mai riusciti a immaginare una sceneggiatura che sanguinasse così meravigliosamente, vero? A piazza Irnerio Cornel si era preparato un giaciglio di cartoni dietro a un’edicola. L’hanno ritrovato lì. “Morte per cause naturali” dice il verbale dei medici. Cosa ci sia di naturale nel morire di freddo non non ci è dato di saperlo.

Nicolae invece è morto nel suo giaciglio al Parco della Resistenza. La prima vittima di questo inverno risale al 29 ottobre, per uno scherzo del destino proprio a San Pietro. Poi il 22 novembre un uomo l’hanno ritrovato surgelato in una cabina balneare a Ostia. Sei giorni dopo un cinquantenne vicino alla saracinesca di un negozio in zona San Lorenzo. Il 7 dicembre una donna in piazza della Rovere. Poi un tunisino rinchiuso in una topaia sul lungo Tevere. Poi Davide, 53 anni, belga, appassionato di libri di Kerouac. E così via.

Dieci morti solo a Roma durante questo inverno. Solo a Roma. Morire di freddo in Italia è un accidente che può capitare se sei troppo povero, cencioso, senza un tetto. Rifiutato, si potrebbe dire. Ai margini: una volta si diceva così ma oggi è la questione che è diventata terribilmente marginale, ancora più delle perone. Le associazioni provano a parlarne. Figurati, i buonisti. Eppure la civiltà di un Paese forse si misura nella capacità di accoglienza dei fragili e viene da chiedersi, se proprio odiate i neri che arrivano dal mare, cosa invece impedisce di salvare gli italiani troppo poveri? Il razzismo verso la povertà. Solo quello. La paura di riconoscere i fallimenti di una società che non ha bisogno degli arrivi dal Mediterraneo per scoprirsi incapace di salvare. E di salvarsi.

Così, anche nel 2019, morire di freddo in un continente che parla di finanza, di alta industrializzazione e di tutto il resto, è qualcosa che succede.

Ecco tutto.

Buon giovedì.

 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/01/17/morire-surgelati/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

«Cavalli contro il vuoto e la meschinità da cui siamo circondati»: LuciaLibri recensisce #Carnaio

di Giovanni Leti

(fonte)

Più che grottesco è realista “Carnaio”, ultimo romanzo di Giulio Cavalli. In una citttadina che raccoglie a riva migliaia di cadaveri, prevalgono ferocia e indifferenza, dai corpi si prova a trarre profitto e sono poche le tracce di umanità

Un autore stilisticamente impersonale, ma che sa quello che vuole, facendo emergere le voci e i punti di vista dei diversi personaggi. Una cittadina di pescatori, una specie di Aci Trezza catapultata nel presente, una ferocia che si nutre di combustibili in voga come il terrore del diverso, il cinismo, l’egoismo. Teatro, politica, narrativa, giornalismo: Giuio Cavalli – da una decina di anni sotto scorta per le minacce della ‘ndrangheta – ha più di un modo per portare avanti messaggi non molto in voga nell’Italia di oggi. Il suo ultimo romanzo, Carnaio (218 pagine, 17 euro), pubblicato da Fandango Libri, è solo l’ultimo foglio che mette in bottiglia e affida a chi vorrà leggere, a chi vorrà stare ad ascoltarlo, con quel po’ di coscienza che resta,

Cadaveri cloni sulla riva, e come monetizzare

A DF, cittadina sul Mediterraneo ma anche piuttosto universale, proscenio del romanzo di Cavalli, le onde del mare consegnano cadaveri sulla riva, prima pochi, poi innumerevoli, tutti uguali, quasi dei cloni. Attirando velocemente l’attenzione mediatica, le telecamere di mille tv. Si fa in fretta a smarrire l’umanità a DF, si chiede aiuto al governo centrale, che nicchia, non sa e non dice come affrontare l’emergenza. E allora il sindaco, assecondato e sostenuto, più che alla giustizia pensa a quella che lui considera sicurezza, fa di testa sua, cerca addirittura di sfruttare i corpi, di ricavarne profitto. Sgradevole, ma non irrealistico, perché l’attualità ci racconta un’indifferenza, un’ipocrisia, una meschinità e una violenza che sono solo a un passo da certe conseguenze immaginate in queste pagine, cioè quella di monetizzare, in qualche modo, l’ondata dei cadaveri, in un meccanismo perverso. Pochi, pochissimi gli appigli di umanità, messi in scena da alcuni personaggi di questo romanzo corale, che si nutre dello sguardo e delle parole di singoli in un felice e convincente intrecciarsi di voci.

Un’umanità smarrita e colpevole

Carnaio è un romanzo sul vuoto da cui siamo circondati, su un’umanità smarrita e colpevole, non semplicemente confusa, ma che ha deragliato coscientemente da qualsiasi forma di civiltà, rispetto e solidarietà. E che si scaglia contro i “diversi”, a cominciare da chi non adegua il proprio pensiero alle opinioni che sembrano essere più in voga. C’è chi si adegua, per quieto vivere, e sposa il silenzio o addirittura posizioni aberranti. In pochi resistono e non allineano il proprio sguardo e le proprie parole. Più di una metafora di quello che accade oggi intorno a noi. C’è molto realismo, a dispetto del grottesco che dovrebbe percorrere il libro di Cavalli.

«Dove sta l’umanità?»: SulRomanzo recensisce Carnaio

di Irma Loredana Galgano

(fonte articolo)

Cadaveri ripescati in mare. Ecco qual è l’immagine che Giulio Cavalli sceglie come overture del suo nuovo romanzo Carnaio, edito da Fandango Libri. Il fotogramma più cruento e drammatico di questa enorme e globale emergenza che sono diventate le migrazioni di popoli.

Perché alla fine, se passassimo al setaccio l’intero “problema”, non resterebbero che la morte e il dolore. Oppure entrambi.

Morte e dolore che finiscono, inevitabilmente, per alimentare dibattiti infiniti generati, si racconta, dal bisogno di solidarietà e umanità. Motivati, in realtà, per la gran parte, da ipocrisia o, peggio, opportunismo.

E non dimentica certo di parlare di tutto questo Giulio Cavalli in Carnaio. Racconta nel dettaglio la grande ipocrisia che si può accumulare anche in un piccolo paese arroccato su delle aspre scogliere, abitato soprattutto da pescatori o figli di pescatori, da sindaci figli di sindaci, da preti che non perdono occasione per fare la morale anche quando tutti sanno che con troppa facilità si lasciano tentare dal gentil sesso, anche senza il gentile.

Carnaio sembra essere un romanzo corale, grazie soprattutto all’espediente narrativo adottato dall’autore di dare voce a più protagonisti. In questo modo lo stesso accadimento viene osservato e commentato da diversi punti di vista e il lettore può “ascoltare”, ovvero leggere, le differenti opinioni in merito, esattamente come accadrebbe e come accade per un fatto reale.

Il narrato di Cavalli è originato dalla sua fantasia di scrittore certo ma è allo stesso tempo molto realistico, cruento e “crudele”. Nel senso che descrive, immaginando una storia, quello che accade da anni, decenni e che ha trasformato, purtroppo, il Mare nostrum in un’immensa pozza di morte, ingiustizie, dolore, indifferenza e opportunismo.

Cavalli è politicamente attivo e molto prolifico sul piano giornalistico. La sua opinione, categorica, in merito a quanto sta accadendo non è certo un mistero, eppure egli riesce, con la dote che è propria di chi è scrittore e non solo perché tale si dichiara, che siano il racconto e la narrazione a parlare, non i pregiudizi e i preconcetti che possono scaturire da posizioni troppo rigide.

Dove sta l'umanità? “Carnaio” di Giulio Cavalli

Ovvio che il libro è scritto dall’autore, e sempre lui ha scelto cosa far dire ai protagonisti e cosa no, ma l’impostazione del narrato, pur nella sua causticità, lascia libero il lettore di formarsi una propria opinione. In questo caso in base alla propria coscienza. E alla propria umanità.

Nel testo si ritrovano tutti gli aspetti e gli sviluppi del fenomeno migratorio che campeggia nei titoli di giornali e telegiornali quasi sempre per notizie o eventi drammatici, disastrosi. Una crisi umanitaria derivata dalla degenerazione dell’umanità che ha scelto di votarsi e immolarsi verso la crescita economica a ogni costo. Inarrestabile. Anche laddove è palese ormai che a rimetterci sono la stessa umanità e il pianeta che la ospita.

Giulio Cavalli è un ottimo narratore, sa bene cosa raccontare e come farlo. La domanda da porsi è: quale sarà il messaggio che il lettore vorrà raccogliere?

Si sceglierà di aver letto un semplice romanzo oppure si ammetterà di aver letto la versione romanzata di una triste realtà? Si preferirà archiviare il libro come semplice narrativa oppure si ammetterà di avere tra le mani la versione letteraria del resoconto “storico” di una struggente attualità?

L’autore ha lasciato libero il lettore di fare le proprie scelte. Non poteva fare altrimenti del resto.

In Carnaio Giulio Cavalli mantiene intatta la sua grande capacità di scrittura. Uno stile coinvolgente che cattura il lettore fin dalle prime battute. Quasi un rapimento sensoriale per l’intera durata della lettura di quella che acquisisce a tutti gli effetti i connotati di un’accuratissima pièce teatrale. Una scena costruita intorno a un fenomeno troppo carico di dolore e sofferenza per poter lasciare umanamente indifferente chi legge. Al pari di quando si apprendono simili eventi nei resoconti di cronaca. Peggio se nera. Sprazzi di solidarietà ed empatia che vanno o andrebbero poi tradotti in mutazioni radicali di comportamenti singoli e globali, altrimenti si rischia la banale retorica. Ma questo è un altro discorso. Chi scrive concorda con l’autore nel lasciare piena libertà al lettore o allo spettatore, in base alla coscienza che ognuno ha o ritiene di avere.

IlLibraio su Carnaio

(fonte articolo)

Giulio Cavalli torna in libreria con Carnaio (Fandango), un romanzo di grande attualità. Il protagonista, Giovanni Ventimiglia, è un pescatore, e da tutta la vita raccoglie nelle sue reti acciughe e granchi, anche se negli ultimi anni il mare è diventato avaro e sulla sua piccola nave non ha più un equipaggio. Il pesce lo vende nel mercato di DF, un paesino come tanti, con un parroco che fa la predica ma va a puttane, un sindaco che è figlio di sindaco, un emittente locale che scalda i cuori delle casalinghe con il suo conduttore brizzolato. Ma un giorno di marzo Giovanni nella sua rete si ritrova un cadavere, un uomo che in ammollo dev’essere stato per giorni, un ragazzo non di quelle parti, forse dell’Est o del Sud, uno di colore comunque. E dopo di lui, i ritrovamenti di cadaveri sbiaditi dall’acqua, tutti giovani, tutti alti uguali e con lo stesso peso, tutti neri si susseguono, senza che le autorità locali riescano a trovare un filo, cumuli di cadaveri da seppellire, identificare, gestire. E da DF chiedono aiuto, ma la politica nazionale li ignora, tanto che, dopo una serie di onde anomale che hanno lasciato a DF migliaia di corpi, i cittadini troveranno una soluzione per mettere a profitto la situazione…

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Carnaio è un incubo di carne e soldi, il racconto di un mondo prossimo, in cui i cadaveri diventano merce di scambio e fonte di profitto. Cavalli affronta un tema attualissimo (le stragi in mare, il razzismo e l’egoismo dell’Occidente) ma lo fa con il suo stile personale.

Cavalli, classe ’77, scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scortaper il suo impegno nella lotta contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010); L’innocenza di Giulio (2012) e Mio padre in una scatola di scarpe (2015). Inoltre, è stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia.

Iniziare bene la giornata

A Macerata, per ‘Macerata racconta’, le scuole stanno leggendo “Mio padre in una scatola da scarpe” in attesa di vederci al prossimo marzo.
Come non può iniziare bene la giornata, con foto così. ☺️ #miopadreinunascatoladascarpe #libri #reading #books #book #leggere #reading via Instagram https://ift.tt/2QA6lW7

«Distopia o presente?»: Pietro Bertino recensisce Carnaio

(fonte articolo originale)

Faccio fatica a inserire questo splendido romanzo di Giulio Cavalli, duro come sono dure le verità nascoste, sgradevole come la paura, necessario come un cielo azzurro, nel genere distopico. Troppo greve è la realtà di questi giorni, troppo gravida di orrori antichi e nuovi, troppo satura di violenza che aspetta solo di essere innescata per non considerarlo un libro sul nostro presente.

A DF, un paese mediterraneo, cominciano ad arrivare cadaveri stranieri, tutti uguali, come se fossero clonati. Li porta il mare, dapprima pochi alla volta, poi a ondate, a decine di migliaia. Con pagine acute, colorate dall’acre sarcasmo di cui è capace solo chi quotidianamente si batte per gli ultimi e si sente sempre più solo, l’autore descrive lo squallore, il vuoto di valori, le meschinità degli abitanti del paese e, talora, anche squarci di umanità, come raggi di sole nel cielo autunnale.

Quei cadaveri tutti uguali, stranieri, non nostri, perché a contare sono solo i quattordici corpi dei cittadini di DF, gli altri rappresentano solo un fastidioso problema da risolvere in fretta, mi hanno riportato alla memoria la frase di Gunther Anders a proposito dell’Olocausto, in cui afferma che possono morire a milioni lasciandoci indifferenti, saranno le storie di due o tre ad aprirci gli occhi. Forse oggi, non bastano più neanche quelle.

DF si difende dalla funebre marea e arriva anche, aderendo alla logica globalista e di mercato in cui siamo immersi, logica che reifica anche gli esseri umani, a monetizzare  i cadaveri, di cui non si getta via nulla. Fino all’epilogo che non rivelo per non rovinarvi la lettura.

Il libro mi ha riportato alla memoria suggestioni diverse: Occhi bianchi sul pianeta terra, film di Boris Sagal che nell’agghiacciante finale ricorda molto la situazone descritta da Cavalli e, soprattutto, Cecità di Josè Saramago, amaro apologo di un’umanità che ha perso sé stessa.

La scrittura è vivace, i personaggi tratteggiati con maestri in un racconto corale di piccoli e grandi mostri, dietro il sarcasmo che permea molte pagine si possono intravvedere gli astratti furori, sempre più concreti in questi giorni, e la pietas dell’autore.

Se riuscite a superare il malessere fisico delle prime pagine, se riuscirete ad arrivare alla fine, probabilmente concorderete con me che si tratta di un libro importante, una riflessione disincatata, chirurgica nella sua spietatezza, sulla nostra società, sulla politica, sull’informazione ridotta a sciacallaggio, sul vuoto umano di tanta brava gente.

Carnaio è l’altra faccia di Exit west di Hamid, libro che lasciava ancora un certo spazio alla speranza, che preferiva la dimensione favolistica per raccontare il dramma di un popolo in viaggio. Cavalli sceglie la dimensione di una rabbia trattenuta e scrive un libro violento e spietato che si traduce in un J’accuseimplacabile verso i colpevoli di ieri e di oggi.

L’incubo descritto da Cavalli è la paura del diverso che arriva a trasformare in diverso, in straniero, chi non si omologa all’opinione comune. Concorderete con me che, alla luce di quanto accade in questi giorni, non siamo dentro una distopia ma immersi in una realtà fin troppo vicina.

L’unico limite del libro, che probabilmente leggerò ai miei ragazzi a scuola, è quello che non arriverà a chi dovrebbe arrivare, perché, è noto, che i nuovi potenti e i loro adepti non frequentano i libri, anzi, il binomio libro-migranti probabilmente per loro equivale a una maledizione. Peccato, perché forse qualcuno di loro, leggendolo, guardandosi allo specchio, si vedrebbe per quello che è, provando, si spera, vergogna.

Un libro terribile, che ci mette davanti all’oscurità per esorcizzarla.  Non lo dimenticherete.

«Ho scritto un libro feroce ma sono ottimista: i razzisti di natura sono pochissimi»

(fonte articolo)

Carnaio di Giulio Cavalli, appena uscito per Fandango, è un libro duro, durissimo che accompagna il lettore passo dopo passo vero un inferno da cui non sembra esserci via d’uscita. Nella cittadina di DF cominciano ad arrivare cadaveri dal mare. Prima uno, poi due, poi qualche decina e infine ondate sempre più frequenti. Di questi cadaveri non sappiamo nulla, se non che sono tutti maschi, tutti molto simili. Quello che scopriamo invece è la reazione degli abitanti di DF che muta e cambia fino ad arrivare non solo ad abituarsi a quella situazione, ma a sfruttarla, in un perverso meccanismo di autodifesa. Il tutto è raccontato scegliendo i vari punti di vista di alcuni cittadini, in una serie di racconti che sembrano perfetti come monologhi con quella lingua che appare così spontanea, così vera, così orale. Del resto Cavalli è forse più noto per la sua attività di attore e autore di monologhi, uno dei quali, Mafie, maschere e cornuti, sarà in scena il 6 dicembre all’Almagià per Libera (ingresso gratuito alle 21). Ma Cavalli sarà anche a Ravenna proprio per parlare di questo romanzo, al Dock 61 in via Magazzini Posteriori, il 7 dicembre alle 20.45.

Gli spunti che offre il libro rispetto alla realtà che viviamo in questi giorni sono tantissimi, alcuni abbiamo provato ad affrontarli qui.

Innanzitutto, come dobbiamo considerare questo libro che usa la cifra del grottesco e dell’iperbole, una sorta di distopia?
«Ci siamo interrogati molto, anche con l’editore, chiedendoci se l’aggettivo distopico fosse calzante. In realtà, posso dire che quando l’ho scritto volevo soprattutto mostrare come quando si superano certi muri, certi limiti etici e sociali, il resto diventa una discesa verso l’abisso. Sono convinto che chi è pronto a superare il primo argine sarà capacissimo di spostarne altri, senza fine».

L’ha scritto sull’onda di ciò che sta accadendo di recente?
«In realtà l’ho scritto prima, prima delle elezioni e di questo governo. Il fatto che la realtà tenda ad assomigliare sempre più al libro è preoccupante».

Che posto è DF, la cittadina dove tutto accade? All’inizio siamo portati a pensare a una città del sud d’Italia, affacciata sul Mediterraneo…
«Diciamo che potrebbe collocarsi vicino a Pozzallo, ma è in realtà una citazione da Bolano che ho scelto per immaginare una città che possa essere ovunque. Del resto c’è molto anche una mentalità settentrionale degli abitanti».

Come a dire che può succedere a tutti e ovunque? C’è un personaggio in particolare, un pescatore, il primo che entra in scena, a cui è impossibile non affezionarsi, che poi però anche lui, per quieto vivere, per vedere finalmente felice la moglie accetta una situazione che fino a poco tempo prima avrebbe rifiutato. Siamo tutti a rischio?
«Ci sono anche persone che pur avendo una loro moralità, per ragioni di tranquillità o di paura, può cambiare punto di vista. Ho tante persone che conosco che oggi sento pronunciare parole indicibili, Giovanni Ventimiglia rappresenta loro. Ma va anche detto che è un diritto avere paura soprattutto per chi vive in certe zone».

In effetti, rispetto a più di un personaggio, quasi ci si trova a capirli nel loro lento sprofondare nella ferocia, che diventa abitudine. Perché DF viene lasciata effettivamente sola a gestire un’emergenza.
«È così, perché dentro tanta xenofobia c’è una paura che va non derisa ma compresa. Ma c’è un pezzo di politica che non vuole vederla e ascoltarla e non riesce a immaginare un futuro in sicurezza per tutti. DF è una città a cui è stato concesso di restare così, di cui nessuno si è occupato. La caduta verso gli inferi è una lenta erosione, non è la frase fulminante magari di un politico aggressivo che porta al burrone. È un processo molto più complesso che avviene molto lentamente».

E a che punto del piano inclinato siamo, dopo il Decreto sicurezza, in particolare? E che ruolo ha il mondo culturale?
«Ho scritto un libro feroce, ma sono ottimista. Penso che un pezzo di società civile sia come la moglie dell’ispettore (uno dei pochi personaggi che non si adegua all’orrore, ndr). Credo che proprio su questi temi si stiano compattando gruppi eterogenei che hanno rimescolato le priorità sia dal punto di vista politico che culturale».

Forse più culturale…
«Sì, forse più culturale, è vero. Chi contestava ad altri certe interpretazioni dell’essere di sinistra mi pare che ora, di fronte a questa situazione, stia reagendo in modo diverso dal passato. Vedo in particolare alcuni intellettuali di solito molto silenti dire la propria».

Eppure Salvini continua a dire che sta facendo ciò che gli chiedono gli Italiani e i sondaggi sembrano dargli ragione.
«Credo che dentro al popolo che inneggia a Salvini ci sia un folto gruppo di persone che sperano di uscire dalla disperazione facendo forza sugli ultimi. Ma è un giochetto che non può durare. Sono convinto che i razzisti di natura o i neofascisti siano una minoranza».

E però Salvini assicura sicurezza. Anche nella sinistra c’è chi parla di sicurezza, lei stesso prima diceva che la paura delle persone va capita. Ma dov’è l’equilibrio possibile tra sicurezza e libertà? L’analisi che molti fanno è che i due valori siano in qualche modo connessi e che in certi frangenti le persone possano essere più disposte a rinunciare all’uno che all’altro…
«La risposta sta nella cultura. Studiando ci si accorgerebbe che non ha mai funzionato chiedere di poter erodere i diritti di tutti in cambio di una gratificazione che non è reale e non è necessaria. Gli stessi che propongono questa situazione sono peraltro gli stessi che rifocillano un’emergenza».

Da tempo si occupa di malavita anche in teatro. Uno degli argomenti usati da Salvini per ridurre i contributi per l’accoglienza è stato anche quello di togliere linfa a chi si arricchisce con l’accoglienza.
«È un trucchetto retorico, come se dicesse che per risolvere il problema degli scippi alle vecchiette, eliminiamo le vecchiette. La verità è che la malavita e la criminalità si insinuano in qualsiasi settore dove mancano attenzioni e controlli. Suggererei piuttosto un altro passaggio: la malavita ha bisogno di entrature amministrative, politiche e dirigenziali, alle radici mi piacerebbe sapere se c’è e qual è la responsabilità delle Prefettura. Ma sappiamo bene che Salvini attacca sempre il più debole…».