Quel “verminaio” a Barcellona Pozzo di Gotto
Un gran pezzo di Luciano Mirone:
Da circa mezzo secolo Antonio Franco Cassata è considerato un potente magistrato amico dei mafiosi che prima di tre anni fa non era mai stato sfiorato da un provvedimento giudiziario. Un intoccabile.
Nel 2011 la Procura di Reggio Calabria lo ha messo sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa, ma a tutt’oggi la notizia è coperta da una coltre di silenzio, cioè non sappiamo se il fascicolo contro di lui è ancora aperto o se è stato chiuso, ed eventualmente perché.
Quel che è sicuro è che l’inchiesta è scattata: se è stata chiusa ce ne rallegriamo, se è ancora in corso auguriamo all’ interessato di dimostrare la sua innocenza.
Intanto lo scorso anno Cassata ha riportato una condanna in primo grado per diffamazione (800 Euro di multa, più il risarcimento alla famiglia) per essere stato ritenuto l’autore di un dossier anonimo pieno di veleni contro Adolfo Parmaliana, il professore universitario che denunciava il verminaio di Barcellona Pozzo di Gotto e di Terme Vigliatore, suicidatosi per le vessazioni subite soprattutto “dal potere giudiziario barcellonese e messinese che vorrebbero mettermi alla gogna”, come lo stesso Parmaliana lasciò scritto.
La pensione anticipata
Malgrado questo, l’ex Procuratore generale della Corte d’Appello di Messina gode della rispettabilità che dalle nostre parti viene riservata solo ai potenti, sia nel capoluogo peloritano, dove ha svolto per tanti anni la sua carriera, sia a Barcellona Pozzo di Gotto (pochi chilometri da Messina), dove risiede da sempre e da sempre esercita la sua influenza.In realtà Cassata un potente lo è ancor oggi, malgrado la pensione anticipata alla quale – secondo le malelingue – sarebbe ricorso per evitare lo scandalo di un’inchiesta per mafia nell’esercizio delle sue funzioni, con un possibile coinvolgimento di un Consiglio superiore della magistratura che – malgrado le interrogazioni parlamentari e le denunce giornalistiche – nel 2008 lo ha promosso addirittura alla carica più alta della Procura messinese.
Il libro scomodo di Parmaliana
Ma perché Cassata è così potente? Da dove deriva questa potenza? Qual è il suo ruolo in una città come Barcellona Pozzo di Gotto, dove l’alleanza tra mafia, massoneria e servizi segreti deviati è fortissimo?Per capire il potere di cui dispone questo ex magistrato, basta recarsi alla “Corda fratres” – il circolo più in della città, esclusivo e “paramassonico” (secondo una definizione della Guardia di Finanza) che ha sistemato una caterva di rampolli dell’alta società barcellonese – di cui Cassata è da sempre animatore e leader, e parlare di lui con i numerosi soci.
O magari aspettare l’uscita del prossimo libro di Melo Freni – giornalista barcellonese dalla sfolgorante carriera in Rai, il quale, alla vigilia dell’uscita del volume di Alfio Caruso sulla morte di Adolfo Parmaliana, chiese all’autore di bloccare addirittura la pubblicazione – per vedere “il giudice Cassata” al tavolo dei relatori assieme all’avvocato Franco Bertolone, suo intimo amico e noto legale dei boss più pericolosi di Barcellona.
Il viaggio con Bertolone e Chiofalo
Certo, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia da quando (1974) il magistrato fece uno strano viaggio in Mercedes dalla Sicilia a Milano assieme allo stesso Bertolone e al giovanissimo boss Pino Chiofalo, che tempo dopo (all’inizio degli anni Novanta) avrebbe scatenato una cruenta guerra di mafia contro il clan Gullotti, mentre nel ’99, ormai pentitosi, sarebbe stato contattato – secondo la Procura di Palermo – da Marcello Dell’Utri per convincerlo a screditare i tre collaboratori di giustizia Francesco Di Carlo, Giuseppe Guglielmini e Francesco Onorato, che accusavano il fondatore di Forza Italia di essere vicino a Cosa nostra.Certo, all’epoca di quel singolare viaggio a Milano, Chiofalo muoveva i primi passi nell’ambito di Cosa nostra, ma è singolare che un magistrato preposto al perseguimento dei mafiosi, faccia un tragitto così lungo con un mafioso e col suo avvocato.
Che un episodio del genere non sia frutto della superficialità del personaggio sarà dimostrato ampiamente negli anni successivi.
Il paradigma Barcellona
Ma per capire meglio la figura di Antonio Franco Cassata, bisogna delineare il contesto di Barcellona Pozzo di Gotto. Che non è un posto come tanti. C’è il traffico di droga sì, ci sono gli omicidi (quarantacinque fra il ‘90 e il ‘92) e le estorsioni, e c’è la mega discarica di Mazzarà Sant’Andrea, sulla quale stanno lucrando in tanti, ma ciò non basta a spiegare il paradigma Barcellona a livello nazionale.Barcellona è il luogo dove è stato costruito il telecomando della strage di Capaci, recapitato da Gullotti a Giovanni Brusca in quel di San Giuseppe Jato per far saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
E’ la città dove hanno trascorso parte della loro latitanza due boss come Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano, protetti per decenni da quello Stato attualmente sotto accusa a Palermo nel processo Trattativa.
È la città che, assieme a Catania, Palermo e Corleone, è stata l’avamposto avanzato dell’eversione stragista fra la fine della Prima Repubblica e l’inizio della Seconda.
Ed è proprio sul “contesto” che Antonio Franco Cassata – ottimo conoscitore di uomini e cose di quel territorio – potrebbe chiarire molte cose. Cosa?
Il boss Gullotti
Primo. Giuseppe Gullotti è il boss indiscusso che secondo la sentenza della Cassazione è il mandante di tanti delitti, compreso quello del giornalista Beppe Alfano, ucciso perché “reo” di avere scoperto il nascondiglio segreto di Barcellona dove Santapaola si nascondeva all’inizio degli anni Novanta (circostanza confermata dalla recente testimonianza del pentito Carmelo D’Amico). Perché Gullotti è rimasto iscritto alla “Corda fratres” fino all’anno dell’omicidio Alfano (1993)? Cassata dice che fino a quel momento il boss era un insospettabile incensurato che veniva pure preso in giro all’interno del sodalizio.Ma è vero che negli uffici giudiziari circolava da tempo un’informativa in cui si diceva che “l’avvocaticchio” (come veniva soprannominato) era diventato il referente di Santapaola a Barcellona? Perché tempo dopo – mentre Gullotti è latitante – Cassata sente l’esigenza di mettersi a confabulare in piazza con la moglie del boss (figlia del vecchio capomafia Ciccio Rugolo e sorella del nuovo reggente Salvatore Rugolo), che è seguita dai Carabinieri, i quali stilano un rapporto sull’episodio? Perché Cassata al Csm dichiara di essersi fermato per accarezzare il bambino nella carrozzella, quando i Carabinieri, in quel rapporto, scrivono che non c’è alcun bambino né tantomeno una carrozzella? Perché Cassata fa pressione per evitare che quel rapporto vada avanti? Ci sta che il Procuratore generale della Corte d’Appello si apparti con la moglie del boss, figlia del boss e sorella del boss?I contratti ai mafiosi
Secondo. Da una interrogazione del senatore Pd Beppe Lumia risulta come il figlio dell’ex procuratore generale, l’avvocato Nello Cassata, negli anni in cui è stato presidente dell’Ipab (Istituto di pubblica assistenza e beneficienza) di Terme Vigliatore-Barcellona (1999-2001) abbia prorogato dei contratti di locazione a importanti mafiosi e a persone che con Santapaola e Gullotti ci hanno avuto a che fare. Per esempio Aurelio Salvo, “al tempo pregiudicato – scrive Lumia nell’interrogazione – per favoreggiamento aggravato nei confronti di Giuseppe Gullotti e di Nitto Santapaola”.La “latitanza” di Santapaola
Costui infatti è il proprietario sia dell’appartamento dove ha trovato rifugio Gullotti quando si è dato alla macchia per l’omicidio Alfano, sia della villa di Terme Vigliatore dove ha trascorso un pezzo della sua latitanza proprio SantapaolaA un certo punto il Ros dei Carabinieri – grazie alle intercettazioni ambientali – scopre che don Nitto trascorre la sua latitanza nel piccolo centro tirrenico, e individua la villa di Aurelio Salvo come luogo “sensibile” per la cattura di uno dei boss più pericolosi del mondo. Basta organizzare un blitz per prendere Santapaola. Niente di tutto questo.
Mentre il capomafia se ne sta tranquillamente a casa, il capitano “Ultimo” – forse depistato da qualcuno – inizia un rocambolesco inseguimento con un fuoristrada a bordo del quale non c’è Santapaola. Il boss catanese viene messo sull’avviso e lascia il covo. Ma invece di fuggire lontano, torna tranquillamente a Barcellona (c’era stato poco prima) dove trascorrerà un altro pezzo della sua latitanza senza essere disturbato.
L’ex procuratore Cassata sapeva dei rapporti fra Aurelio Salvo, Gullotti e Santapaola? Sapeva dei rapporti fra suo figlio e Aurelio Salvo?
Lui afferma che Nello ha ereditato questa situazione dalla precedente gestione Ipab. Ma cosa ha fatto Nello Cassata per porre fine a questi rapporti? Ha mai preso le distanze da determinati personaggi? E lui, Antonio Franco Cassata, che posizione ha assunto nei confronti del figlio? Non avrebbe dovuto chiedere l’immediato trasferimento per incompatibilità ambientale? Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Nei due anni di gestione dell’Ipab, Cassata junior ha continuato ad affittare gli immobili dell’Istituto al fior fiore della criminalità barcellonese e ad imprenditori incensurati molto vicini a Cosa nostra.
L’elenco è lungo. Un nome fra tutti: Domenico Tramontana, boss di primissimo piano (secondo i Carabinieri), crivellato di colpi sulla sua auto sulla quale i Carabinieri hanno trovato una cinquantina di volantini elettorali dell’ex sindaco di Terme Vigliatore, Bartolo Cipriano, personaggio transitato con disinvoltura dal centrodestra al centrosinistra, “molto vicino – secondo Biagio Parmaliana, fratello di Adolfo – allo stesso Nello Cassata, diventato consulente legale del Comune di Terme Vigliatore”.
Una truffa da 35 milioni
Terzo. Risulta al dott. Antonio Franco Cassata che, mentre occupava la poltrona più prestigiosa della Procura generale, il figlio sia stato uno degli organizzatori di una maxi truffa alle assicurazioni (ingenti i capitali ricavati: solo nel 2009, 35 milioni di Euro, al punto da spingere le compagnie a “scappare” da Barcellona) in cui, oltre ad essere coinvolti diversi professionisti (soprattutto medici e avvocati), c’è implicata la criminalità organizzata?Niente ricorso contro i boss
Quarto. È vero che l’ex procuratore generale – come dice l’avvocato Fabio Repici – non ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza d’Appello del processo “Mare nostrum droga”, in cui tutti gli imputati barcellonesi, dopo pesanti condanne in primo grado, sono stati assolti in secondo?È vero che non lo ha fatto – per citare sempre Repici – “per una gretta interpretazione giuridica delle fonti di prova”?
Fra gli assolti c’era Ugo Manca
Quinto. Fra gli imputati assolti al processo “Mare nostrum droga” figura tale Ugo Manca, personaggio molto vicino alla mafia di Barcellona e condannato in primo grado a quasi dieci anni per traffico di droga. Ugo Manca è stato coinvolto (la sua posizione è stata archiviata lo scorso anno) nella morte del cugino Attilio Manca, urologo allora in servizio all’ospedale di Viterbo.Secondo diversi indizi – fra cui le recenti dichiarazioni del pentito di camorra Giuseppe Setola – Attilio Manca sarebbe stato ucciso perché avrebbe scoperto la vera identità del boss latitante Bernardo Provenzano (allora nascosto sotto il falso nome di Gaspare Troia), mentre lo avrebbe curato dal tumore alla prostata da cui era affetto.
È vero che esiste una intima amicizia fra l’ex procuratore e Ugo Manca? Fino a che punto?
Cattafi e la “Corda frates”
Sesto. A proposito di amicizie. È vero che il magistrato è intimo anche del boss Rosario Pio Cattafi (oggi al 416 bis per associazione mafiosa), definito “socialmente pericoloso” dal prefetto di Messina, al punto che è stato costretto all’obbligo di dimora per cinque anni a Barcellona?Vicino ai servizi segreti deviati, ex ordinovista assieme al boss di Mistretta Pietro Rampulla (artificiere della strage di Capaci), residente a Milano per molti anni, l’avvocato Rosario Pio Cattafi è ritenuto il riciclatore del denaro sporco del clan Santapaola e – secondo recenti inchieste – uno dei mandanti dell’assassinio del giudice torinese Bruno Caccia, che negli anni Settanta indagava sui proventi sporchi provenienti dal casinò di St. Vincent.
Il boss restò nella “Corda frates”
Tornato a Barcellona dopo il coinvolgimento nell’affaire dell’autoparco milanese di via Salomone (in cui era implicato il Psi di Bettino Craxi), Cattafi fu ritenuto – assieme a Silvio Berlusconi e a Marcello Dell’Utri – uno dei mandanti esterni della strage di Capaci.La sua posizione, assieme a quella dell’ex presidente del Consiglio e del fondatore di Forza Italia, venne successivamente archiviata.
È vero che malgrado un curriculum di queste dimensioni, il boss ha continuato a far parte della “Corda fratres”, senza che il dott. Cassata abbia sentito il dovere di chiederne l’espulsione?
L’“informativa Tsunami”
Settimo. È vero che l’ex procuratore Cassata, all’inizio del Duemila, cercò di bloccare un rapporto esplosivo dei Carabinieri (“l’Informativa Tsunami”) che si soffermava, tra l’altro, sull’amicizia fra l’ex Pm di Barcellona Olindo Canali (trasferito dal Csm al Tribunale di Milano per “incompatibilità ambientale”) e Salvatore Rugolo, all’epoca ritenuto il nuovo reggente della cosca barcellonese?Nel rapporto si parla di almeno due talpe “molto vicine a Canali” che dalla Procura barcellonese avrebbe passato le informazioni al boss. In quelle duecento pagine si parla anche di un intervento del Procuratore Cassata presso il sostituto procuratore Andrea De Feis, titolare dell’indagine su Terme Vigliatore, per bloccare il rapporto dell’Arma.
“Il grande protettore di Canali”
Ottavo. È vero – come dicono Sonia Alfano e l’avvocato Fabio Repici – che “Antonio Franco Cassata è stato il grande protettore di Olindo Canali”? Se è vero, sarebbe interessante sapere se l’ex procuratore generale ha saputo – magari dallo stesso collega – che il giornalista Beppe Alfano – poco prima di essere ucciso – si sarebbe recato da Canali per confidargli il segreto della latitanza di Santapaola.Il magistrato monzese gli avrebbe risposto: “Non me ne posso occupare” e alla fine, secondo Sonia Alfano, gli avrebbe detto: “Scrivi tutto quello che sai, chiudi la lettera in una busta gialla e spedisci il plico alla Dia di Catania. Avviserò un super poliziotto di prenderlo personalmente”.
“Scrivi tutto quello che sai”
“Mio padre – prosegue l’ex europarlamentare, che dice di essere stata presente al colloquio – eseguì alle lettera le istruzioni di Canali, e poco tempo dopo Beppe Alfano fu ucciso”.
(Tratto da: isiciliani.it)