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l’innocenza di giulio

Un giullare nel Paese degli indifferenti (da Estense.com)

L’articolo uscito su estense.com:

Schermata 2014-08-01 alle 09.54.35di Silvia Franzoni

Giulio Cavalli arriva sotto scorta alla terza serata di ‘Autori a Corte’, prende posto a fianco del direttore di estense.com Marco Zavagli, moderatore dell’incontro, e tira fuori una pipa. “Dal 2006 hai il triste primato di essere l’unico attore europeo a vivere sotto scorta”, comincia Zavagli presentando l’ospite al pubblico, ma prima che qualunque domanda fosse formulata, Giulio Cavalli sorride, arrendendosi al dover raccontare “le origini del mio vivere sotto scorta, che poi nulla c’è di poetico nell’essere scortati, non in un Paese che si innamora degli eroi ed è incapace di esercitarne la memoria”.

Inizia così un flashback scanzonato che dal 2005-06, dall’amicizia dell’autore e attore di teatro con l’allora sindaco di Gela Rosario Crocetta, giunge a raccontare la realizzazione di ‘Do ut des’, lo spettacolo teatrale che ha portato in scena una mafia ridicolizzata, “seppellendola con una risata”. Così il ‘giullare’ Cavalli (“io sono un arlechino, un giullare”, sono le uniche etichette che si concede), presa la realtà, l’ha portata “in scena stropicciandola, per permettere di vederla da uno spigolo inaspettato e mostrarne la meraviglia”: non è forse meraviglioso scoprire di non aver ragione di temere Riina, “uno sfigato che nel silenzio del suo covo tra le montagne ascolta la colonna sonora dei Puffi?”. Tra un applauso e l’altro, è chiaro, Giulio Cavalli “così come Brecht nella sua Resistibile ascesa di Arturo Ui e come Peppino Impastato con Radio Aut ha normalizzato il terrore – precisa il direttore di estense.com – con la satira ha ridicolizzato il potere”: così iniziano le minacce, le lettere anonime, “le bare spedite per corriere”. Ma il guaio è un altro, sottolinea l’attore, è il “Paese che delinea il giusto e lo sbagliato in base alla presenza o meno del reato, senza occuparsi di etica e di morale, io sono sotto scorta perché voi siete troppo poco cittadini”. Il pubblico cade nel silenzio proprio dell’esame di coscienza: “bisogna avere il coraggio – lo esorta allora Cavalli – e dire, denunciare quando i comandanti delle stazioni dei Carabinieri, spesso parafascisti sottopagati, non hanno alcuna professionalità; quando i Prefetti narcotizzano la Provincia e i capi degli Uffici Tecnici sono corrotti; quando i segretari comunali sono notai senza responsabilità; del tacerlo, di questo dovete avere paura, non della criminalità organizzata”.

“E tu, Giulio, non hai mai avuto paura?” L’attore si sistema i capelli, un tiro di pipa, e “sì – comincia a raccontare – nel 2011, quando fu chiaro che chi decideva della mia scorta fosse vicino ai calabresi: fa più paura lo Stato convergente con l’anti-stato che l’essere faccia a faccia con un mafioso”. La continua volontà di sviscerare il vero ha portato Giulio Cavalli a scrivere del “virus dell’andreottismo”, a raccontare (ne L’innocenza di Giulio, Chiarelettere, 2012) “la pietà ignorante che ha deciso l’innocenza di un uomo mafioso fino alla primavera del 1980”: se riportare infinite volte una bugia la rende verità, allora forse i “veri colpevoli del processo Andreotti sono i suoi elettori”. E allora, oggi, qual è l’eredità (a)politica del “banale malfattore, chi sono – chiede Zavagli – i nuovi Andreotti?”. “Le mafie non corrompono più i parlamentari – risponde Cavalli –, ora creano parlamentari, e gli Andreotti d’oggi sono tutti coloro che a danno della comunità perseguono benefici personali, facendo attività di lobby mentre gli onesti continuano a parlare incomprensibilmente”.

La più alta tra le arti, la politica, si inabissa davanti all’indifferenza, la stessa che ha “permesso di avere inetti ai vertici delle nostre istituzioni, una classe dirigente che spesso stringe la mano alla mafia, mentre noi restiamo nel silenzio acritico”, e i nomi a farne da esempio sono molti, a partire da Dell’Utri. A quest’ultimo è dedicato il nuovo spettacolo teatrale dell’autore, ‘L’amico degli eroi’, un progetto autofinanziato (attraverso un’operazione di crowdfunding) sviluppato mentre è in corso la stesura di un “romanzo d’amore, perché serve anche questo per mettere la mafia al muro”.

L’intervista-racconto di Giulio Cavalli finisce come era cominciato, tra risate (amare) e sonori applausi, poi le domande del pubblico permettono un’ultima riflessione: “tagli ai costi della politica, meno politici, tutto giusto, ma la prima necessità è un elettorato più consapevole che recuperi il dovere della parola”.

«Le parole servono a responsabilizzare chi ne fa uso»: una mia intervista

La mia intervista per Matteo Bianchi de La Nuova Ferrara:

Schermata 2014-07-31 alle 17.38.30di Matteo Bianchi

L’autore forestiero che questa sera, alle 21.30, incontrerà il pubblico di una favoleggiata corte estense dentro il Giardino delle Duchesse, è di punta fine. Il milanese Giulio Cavalli, infatti, parlerà dei libri . L’innocenza di Giulio(Chiarelettere) e Fronte del palco (Editori Riuniti). E si sa, quando la penna è raffinata, ciò che ne risulta è altrettanto, o quantomeno si difende. Cavalli si difende senza abbassare la guardia dal mondo. E pur essendo costretto a vivere sotto scorta e a recitare “sotto tiro”, non ha rinunciato alla cultura, certo a quella personale, ma di più a quella potabile da tutti.

Cosa significa vivere sotto scorta?

«In Italia abbiamo tantissime persone sotto tutela: gli ultimi dati ufficiali ne indicano circa 800. E questo “grande fratello” degli scortati non fa bene, né all’antimafia, né alla cultura. Perciò, piuttosto che parlare della mia situazione, mi sento di chiedere maggiore attenzione sui testimoni di giustizia, su tutti coloro che hanno assai più difficoltà a raccontare la loro storia. Il fatto che la parola faccia paura, indipendentemente da chi ne sia il portatore, credo sia una responsabilizzazione nei confronti di chi ne fa uso».

“Fronte del palco” è un’intervista che inquadra l’attenzione della mafia per l’eco del palcoscenico. Perché?

«Negli ultimi anni si è scoperto che la criminalità può avere paura anche di altre forme che non siano militari o giudiziarie. Non teme più solo carabinieri e magistrati, ma teme anche la società civile quando si organizza. E questo è un buon segno. Il titolo è stato scelto dall’autore per mettere a fuoco la “parte” di chi sta fuori dal palco. La mia è una situazione che dipende sì da ciò che scrivo, ma soprattutto da chi viene a vedermi. Il mio pubblico non è immune da responsabilità».

In che modo è cresciuto in lei il legame tra politica e teatro?

«Il problema nostro sono le dinamiche partitiche, più che politiche. E faccio un lavoro profondamente politico, al di là che io fossi dentro a un’istituzione. Quando interpreto a teatro un fatto di cronaca, o un male contemporaneo, prendo posizione. Non faccio spettacoli per informare sulla criminalità organizzata, li faccio contro».

Ma il rapporto col partito?

«Mi impegnerei molto poco nel congresso di un partito; l’affiancamento della recitazione all’attività politica, nel caso della Regione Lombardia, è stata una prosecuzione naturale. Vedo uno spesso filo rosso tra le due attitudini nel momento in cui si ha la possibilità di invocare a gran voce una legge e di lavorarci nelle stanze idonee».

Sebbene lei abbia lo stesso nome, “L’innocenza di Giulio” è un titolo assolutamente sarcastico, vero?

«Cosa vuoi farci… scavando, ognugno di noi troverebbe degli omonimi di cui non andare fiero. Certamente, la grande colpa del nostro paese e della generazione dei nostri padri, è stata di avere permesso non solo ad Andreotti di fare ciò che ha fatto e di non parlarne, ma di accettare la costruzione dell’enorme bugia del “Giulio perseguitato”.

E si è instaurato un meccanismo diabolico…

«È un meccanismo a cui fare attenzione, perché passa Andreotti, poi l’ “andreottismo” come metodo d’intendere la politica , e l’innocenza quale bugia ripetuta mille volte fino a diventare verità. E mi preoccupa specialmente per la generazione dei miei figli, essendo un modello molto attuale, soltanto perpetrato con un po’ più di eleganza».

Salutiamoci con la lettera del grande Fortini che ho letto sul suo blog. Anche se Fortini ringhia che mai avrebbe stretto la mano a uno come Sgarbi. Condivide? 

«Fortini era un poeta “di” Sinistra e oggi siamo abituati a intellettuali “della” Sinistra. A libro paga. E sono estremamente d’accordo, perché l’intellettuale dovrebbe essere chi ha gli occhi più acuti e allenati per distinguere una mediazione da un compromesso».

Prima di volare a Milazzo dove la cultura non è un pranzo di gala

tumblr_inline_n7lybiSOT21sgwji6Domani sarà il primo dei miei tre giorni a Milazzo. L’iniziativa è organizzata dall’associazione The Red Whale e passa dalla messa in scena dello spettacolo Nomi Cognomi e Infami, un laboratorio di scrittura di due giorni e la presentazione del libro L’innocenza di Giulio e del nuovo progetto L’amico degli eroi.

Insomma credo che avremo molte cose da dirci nella cornice di una città bellissima.

Questo il comunicato degli organizzatori:

DAL 27 AL 29 Giulio Cavalli a Milazzo. Il teatro e il racconto, la testimonianza e l’ironia come forme di lotta alle mafie.

Venerdì 27 Giugno alle ore 21,00 va in scena, nell’Atrio del Carmine a Milazzo (ingresso sia da piazza Caio Duilio che dalla Marina Garibaldi), “Nome Cognomi e Infami”, uno spettacolo feroce e ironico che apre tre giorni di iniziative che ha come protagonista l’attore e scrittore Giulio Cavalli.

La tre giorni di Cavalli a Milazzo proseguirà il 28 e 29 Giugno con:

Laboratorio “La scrittura civile” all’interno della Villa Amalia Cumbo in Via Panoramica 47 nelle giornate del 28 e 29 ;

28 Giugno dalle ore 20:30: Aperitivo, narrazioni, immagini e musica (Villa Amalia Cumbo in Via Panoramica 47 );

29 Giugno dalle ore 20:30: presentazione del Libro “Innocenza di Giulio” (Pescheria). Nel corso di questa iniziativa di chiusura verrà anche presentato il lavoro di costruzione di uno spettacolo “prodotto dal basso” che Cavalli sta realizzando con centinaia di “azionisti” attraverso la Rete: “L’amico degli eroi” ispirato a Marcello dell’Utri

Per Informazioni www.theredwhale-blog.tumblr.com

theredwhale@yahoo.it

 

(da CAFFENEWS) “L’innocenza di Giulio”: con Cavalli va in scena lo spettacolo della verità

caffenews_header-e1324575753811E’ una storia di ombre calpestate, quella portata in scena da Giulio Cavalli al Teatro Civico di Caserta lo scorso lunedì 4 novembre. La storia fatta di verità soffocate, che i libri, ligi a una visione parziale e rassicurante, mettono educatamente a tacere. E’ la messa in scena “maleducata e rissosa” di un viaggio che percorre un ventesimo secolo tutto italiano, quella “favola strana” che narra un’eterna storia d’amore tra Stato e Mafia in una conseguente e paradossale inversione di ruoli, con “i cattivi che bussano al citofono di Andreotti e i buoni che muoiono ammazzati per terra”.

E il protagonista è proprio il Divo, Giulio Belzebù, il Papa Nero. Ma soprattutto Lo Zio, lo Zù Giulio del processo palermitano. Un “punciutu”, secondo il pentito Leonardo Messina, ossia un uomo d’onore sotto giuramento, un protetto, un “amico degli amici”.

Andreotti è stato indubbiamente una delle figure più influenti e, allo stesso tempo, più controverse dell’immaginario politico italiano degli ultimi sessant’anni. Sono innegabili i suoi rapporti “amichevoli” con elementi di spicco di Cosa Nostra, o con personaggi indirettamente legati all’ambiente, come nel caso dell’Onorevole Salvatore “Salvo” Lima o dei due imprenditori Ignazio e Antonino Salvo, opportunamente messi in condizione di non nuocere al momento giusto.

Cavalli analizza con cura meticolosa, quasi maniacale, la cronologia di delitti che la criminalità organizzata ha collezionato con il tacito consenso dello Stato, in un’ineluttabile relazione che affonda le sue radici in una realtà italiana ben precedente a quella che ha visto l’ascesa di Andreotti nel nostro panorama politico.

La prima vittima “eccellente” della mafia è il banchiere Emanuele Notabartolo, assassinato nel 1893 sul treno che percorre la tratta tra Termini Imerese e Trabia.

A lui seguiranno innumerevoli personaggi i cui omicidi hanno tinto di rosso le cronache dell’ultimo secolo. Il giornalista Mino Pecorelli, l’Onorevole Pio La Torre, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, fino ai più tristemente famosi casi del Giudice Giovanni Falcone e del magistrato Paolo Borsellino.

Con rara sensibilità istrionica, Giulio Cavalli pone come intermezzo tra tratti prettamente cronachistici e video documentari accompagnati dalla piacevole musica di Stefano Bellotti, sentite e patetiche  interpretazioni di un Andreotti intento a proclamarsi innocente nonostante i fatti affermino nettamente il contrario, senza negare al pubblico quella malcelata e amara ironia che contraddistingue i suoi spettacoli. E ancora, in un impeccabile siciliano, si cala nei panni di un Tommaso Buscetta collaboratore di giustizia, intento a chiarire la natura dei rapporti tra il Divo e Salvo Lima, di Baldassare “Balduccio” di Maggio che descrive gli incontri avvenuti tra Andreotti e il Capo dei Capi Totò Riina.

La musica narra, descrive e accompagna lo spettatore, supportando la figura solitaria dell’attore sul palco. Il monologo incalzante, litigioso, caratterizzato da un tono che non ammette repliche, esprime la rabbia di chi è costretto a vivere sotto scorta per amore della verità, dinanzi a uno Stato che dovrebbe per definizione garantire protezione e sicurezza, in quanto sinonimo di collettività, e che invece “se ne lava le mani”.

Ed è proprio quando lo spettacolo si avvia alla chiusura, quando quella malinconia fatta di consapevolezza comincia a serpeggiare tra le file del pubblico, che Cavalli chiude, ancora una volta, con un testo di sua composizione, intitolato “Il sorriso di Bruno Caccia”. E’ un monologo che tiene vivo un esile filo di speranza. La memoria, il ricordo di chi è stato costretto a rinunciare alla propria vita, sopravvive, e senza censure.

Un ultimo saluto al pubblico, poi le luci si spengono, la sala si svuota, gli spettatori abbandonano i loro posti con la consapevolezza che l’innocenza senza sottintesi di chi ha combattuto per la verità non si cancella, ed è quella più autentica. Anche se, purtroppo, non è sempre quella che conta.

Da caffèNews

Teatrionline su “L’innocenza di Giulio”

Successo per l’intenso monologo di Giulio Cavalli

L’innocenza di Giulio, Andreotti non è stato assolto”. Secco il titolo per quello che è uno spettacolo intenso, senza mezze misure, “maleducato e rissoso” come sottolinea lo stesso Giulio Cavalli, che da anni paga con la vita sotto scorta il suo teatro di impegno civile. Il Nuovo Teatro Sanità ha ospitato per due giorni l’attore milanese, tanti gli applausi e l’emozione della sala. Cavalli giunge a Napoli dopo un ottobre burrascoso, avrebbe dovuto allestire lo spettacolo il mese scorso, ma è slittato a causa di nuove minacce all’artista. A introdurre il monologo è un video di Giancarlo Caselli, il giudice che ha istruito il processo Andreotti, che ribadisce come l’informazione sia stata manipolata e quanto la “memoria” sia stata rimossa fino a volere Andreotti “assolto”. Ma il rapporto stato-mafia va oltre la figura del “divo Giulio”, affonda le radici nella storia d’Italia, parte da 100 anni fa. Nel 1893 veniva ucciso Notarbartolo, il primo delitto politico, il primo nome in una lunga lista di innocenti. Quei nomi e quei volti, i tanti morti ammazzati compaiono nei video che alternano i monologhi di Cavalli, accompagnati dalle bellissime musiche di Stefano “Cisco” Bellotti. L’attore in un’altalena di emozioni si fa testimone e accusato. Diventa Tommaso Buscetta, che nella sua deposizione ricostruisce i rapporti di Andreotti con Salvo Lima e con “gli amici degli amici”, o Balduccio di Maggio che interrogato durante il processo riporta l’incontro tra Belzebù e il boss dei boss Totò Riina, o ancora con quel tono irriverente ed ironico che lo contraddistingueva assume le sembianze oscure dello stesso “divo” intento a negare ogni rapporto con la mafia. Pochi oggetti lo aiutano nella messa in scena, due sedie di legno con leggìo, ognuna ai lati del palco, sul fondo un inginocchiatoio su cui è poggiato un impermeabile, l’angolo della non confessione. Uno spettacolo costruito come un mosaico, tanti pezzi che portano ad un’unica conclusione. Una vicenda quella del processo Andreotti in cui i “cattivi” sono sempre ritratti in foto con il divo e i “buoni” sono morti ammazzati, come Ambrosoli o il generale Dalla Chiesa. Le parole di Cavalli tracciano una lungo balletto tra stato e mafia fino ai giorni nostri, pesano come dei macigni e colpiscono la sensibilità dello spettatore che non può far altro che costatare la verità del finale: la storia del nostro paese dimostra che ci sarà sempre “un’innocenza di Giulio”.

Francesca Bianco per teatrionline.com

(da Campania su web) «In ogni era ci sarà un’Innocenza di Giulio». Cavalli al NTS

Da campaniasuweb.it

Avrei potuto aspettare come tutti gli altri. Avrei potuto mettermi in fila, stringere i denti, tirare le labbra in un sorriso e aspettare. Uguale e preciso a tutti gli altri. E invece non l’ho fatto. Me ne sono andato subito, praticamente due minuti dopo la fine dello spettacolo. E non perché non mi fossero piaciuti Giulio Cavalli e la sua “Innocenza di Giulio”. Anzi, al contrario: mi sono piaciuti talmente tanto che mi sono detto che conoscere l’interprete, la voce sciorinante e sciorinata, la mano dietro i gesti, il sorriso dietro le imitazioni di Andreotti mi avrebbe spezzato. Nel fisico come nell’animo. E allora via: dalla Sanità, dal NTS, a casa: viaggio diretto senza fermate. In testa solo una cosa: la voce di Giulio Cavalli. Una voce che ti coinvolge e che – assurdamente – ti parla. Che si fa ascoltare.

MAFIA: UN STORIA LUNGA 100 ANNI – Chiudo gli occhi e lo vedo. Lui, Giulio, seduto su una sedia di legno, di quelle vecchie che a Napoli si trovano ancora, schienale dritto, spalliera ricurva e niente braccioli, laccata e lucida. Lì, seduto, che parla. Racconta una storia, quella della Mafia. Una storia vecchia di 100 anni, ammuffita ed appesantita dai ricordi. Una storia, però, attuale. I volti, le immagini, le musiche: un mix incredibile, un viaggio onirico a occhi aperti. A me, francamente, è piaciuto. Ho visto un uomo, Giulio, affrontare un mostro, una leggenda, una macchia senza nome e senza età: l’altro Giulio. E ho capito – ho pensato di aver capito – tante, tantissime cose. Le apparenze sono solo apparenze, non sono quello che sembrano: «Non è tutto oro quello che luccica». La Mafia c’è, esiste ed è sempre presente. Ovunque, anche dove meno te l’aspetti. Questo ho sentito nelle parole di Cavalli: la presenza costante, l’ombra senza forma e senza peso della Mafia. Un’ombra marcia, fetente, terribile. Da vomito. «In ogni era c’era e in ogni era ci sarà un’Innocenza di Giulio». «Siamo un paese di opportunità». Secco, lapidare, profetico.

UN OCEANO DI STORIE – Ne “L’Innocenza di Giulio” non c’è solo l’Andreotti politico; c’è pure un po’ di quell’Andreotti furbo e furbacchione, di quella mano che tocca e che palpa; di quella storia, sentita e risentita, che si chiama “omertà all’italiana”. Morti ammazzati: ce ne sono ovunque nel monologo di Cavalli. Coincidenze, fatti, incontri e scontri. Una catena infinita. Una catena che inizia e che non finisce. Andreotti che non sa, Andreotti che non conosce: né i cugini Salvo né i boss di Cosa Nostra. C’è una sentenza – una sentenza che non dichiara l’innocenza, ma che ne convalida, al contrario, l’inesistenza. E c’è un uomo: camicia, bretelle calate, pantaloni, mani che non stanno ferme un attimo, che racconta. Vomita parole, si ripete, si rinnova. Spiega. Un fiume, un fiume in piena; un oceano di storie. Mafia contro mafia, politica contro politica. Mafia e politica a braccetto.

DA ANDREOTTI A BERLUSCONI – Lo spettacolo di Cavalli è frenetico, febbricitante, vissuto sulla pelle e raccontato con voce roca, a tratti modulata (all’Andreotti) e a tratti irriconoscibile. Un’ora e mezza passata a sentire, a capire, a ricordare. Un bis che bis non è e che riprende la storia di un Andreotti 2, meno furbo ma ugualmente promettente: Silvio Berlusconi. Poi c’è Dell’Ultri, di cui bisogna parlare leggendo – «perché m’ha denunciato, e contrariamente a Giulio ha ancora qualche decennio». E c’è Mangnao e c’è Cinà, «la brava persona». C’è la Mafia al nord negli anni ’80 con la storia di Bruno Caccia e c’è la gente per bene con i cento passi cantati in sottofondo.

UNO SPETTACOLO DE VEDERE – A noi – come ha detto Cavalli – piace raccontare le storie dalla fine. E l’ho fatto anche io, con la mia premessa. Me ne sono andato prima da teatro, pur potendo parlare con il protagonista. Avevo questa sensazione dentro, come se conoscessi Giulio Cavalli da anni, lui che non è mio coetaneo, lui che è attore e scrittore civile. A me il suo racconto è piaciuto. E vi consiglio di andare a vederlo. Perché una storia raccontata così è una storia che vale la pena di essere ascoltata. È una storia bella, ma di quella bellezza terribile, non da film contemporaneo o da fiaba, ma da monologo. Bella come solo l’onestà, certe volte, sa essere.

(Intervista, da LA REPUBBLICA) Teatro sotto scorta per Giulio Cavalli Impegno civile al rione Sanità

da La Repubblica

Schermata 2013-11-03 alle 11.08.40“Smettiamola con questi voyeurismi paratelevisivi sui personaggi minacciati: interroghiamoci invece su che razza di paese è quello che costringere sotto scorta i suoi cittadini”. Giulio Cavalli, sotto scorta dal 2009 per il suo impegno antimafia a teatro, si esibirà all’Nts -Nuovo Teatro Sanità stasera alle 21 e domani alle 18 con “L’innocenza di Giulio  –  Andreotti non è stato assolto” (ingresso 10 euro). Lo spettacolo, che doveva andare in scena il 5 ottobre, è slittato a causa delle nuove minacce ricevute da Cavalli: l’attore ha ritrovato nel giardino della sua casa romana una pistola carica.

Dopo l’allarme e il trasferimento in una nuova località protetta con la sua compagna Miriana Trevisan, Cavalli è riuscito a fare una breve tappa a Napoli il 15 ottobre per guidare la Mehari di Giancarlo Siani. L’attore ha scelto di portare il monologo sul “Divo Giulio” solo al rione Sanità: “Altrove  –  spiega  –  nei teatri da avanspettacolo, non sareiandato”. E proprio una storia di camorra è al centro del suo romanzo in uscita a gennaio per Rizzoli: è la vicenda di Michele Landa, il metronotte ucciso a Mondragone. Si intitola “Mio padre in una scatola di scarpe”, ispirato alla vittima innocente che sorvegliava i ripetitori telefonici rubati dalla camorra.

Cavalli, come si vive sotto scorta?
“Non vivo peggio di chi non ha i soldi per arrivare a fine mese o di chi vive in territorio sotto ricatto delle mafie. Non voglio diventare, però, l’oggetto scenico dei miei spettacoli, quindi smetterei di parlare della scorta, e parlerei invece di che razza di Paese è quello che costringe sotto scorta i suoi cittadini”.

È stato consigliere regionale in Lombardia nelle fila dell’Idv, il suo teatro civile si occupa di mafia: cosa pensa della desecretazione tardiva dei verbali del 1997 nel quale il pentito Schiavone ammetteva che in vent’anni la popolazione della Terra dei fuochi sarebbe morta di cancro?
“Credo sia una magra consolazione per il movimento della Terra dei fuochi: la vera vittoria ci sarà quando avremo una classe dirigente capace di portare in Parlamento le tematiche centrali per il bene dei cittadini, e non solo dopo una manifestazione o la dichiarazione di un pentito”.

In questi giorni i residenti del rione Sanità denunciano la recrudescenza criminale, anche se ilquartiere riesce ancora ad essere meta dei turisti. Perché ha scelto di andare in scena nel neonato teatro Nts, e non in uno più blasonato?
“Nei templi dell’avanspettacolo non avrei messo piede. È meritevole il lavoro portato avanti del direttore artistico Mario Gelardi in un quartiere complesso, e va sostenuto. Ma, intendiamoci, questo paese non ha bisogno di altri eroi, anche perché l’Italia, dove devi essere morto per essere credibile, non si cambia certo solo con ilteatro e la cultura…”

A proposito, sul Forum delle culture, che è sempre sul punto di saltare, quali consigli dà al suo amico Luigi de Magistris?
“Luigi ha tante grane da sbrigare, mi sembra di capire. La questione però è che a Napoli e nel resto del Paese la cultura è derubricata a faccenda minoritaria, quando sento il ministro Bray elencare i suoi propositi mi ricorda la solitudine de “Il deserto dei tartari”.

Lo spettacolo su Andreotti nasce dalla collaborazione con il procuratore di Torino Giancarlo Caselli e lo scrittore Carlo Lucarelli, musiche di Cisco dei Modena City Ramblers. Quando ha capito che aveva trovato un taglio originale per una storia arcinota?

“Semplice: quando Andreotti si è arrabbiato. La sua storia è stata sempre raccontata in maniera edulcorata, il mio spettacolo invece è rissoso, maleducato: conoscere il processo Andreotti significa riconoscere la politica che tenta di legittimare l’illegalità. Il pentito di ‘ndrangheta che ha rivelato il piano per farmi fuori diceva che ero uno “scassaminchia”: beh, forse è vero…”