Un giullare nel Paese degli indifferenti (da Estense.com)
L’articolo uscito su estense.com:
Giulio Cavalli arriva sotto scorta alla terza serata di ‘Autori a Corte’, prende posto a fianco del direttore di estense.com Marco Zavagli, moderatore dell’incontro, e tira fuori una pipa. “Dal 2006 hai il triste primato di essere l’unico attore europeo a vivere sotto scorta”, comincia Zavagli presentando l’ospite al pubblico, ma prima che qualunque domanda fosse formulata, Giulio Cavalli sorride, arrendendosi al dover raccontare “le origini del mio vivere sotto scorta, che poi nulla c’è di poetico nell’essere scortati, non in un Paese che si innamora degli eroi ed è incapace di esercitarne la memoria”.
Inizia così un flashback scanzonato che dal 2005-06, dall’amicizia dell’autore e attore di teatro con l’allora sindaco di Gela Rosario Crocetta, giunge a raccontare la realizzazione di ‘Do ut des’, lo spettacolo teatrale che ha portato in scena una mafia ridicolizzata, “seppellendola con una risata”. Così il ‘giullare’ Cavalli (“io sono un arlechino, un giullare”, sono le uniche etichette che si concede), presa la realtà, l’ha portata “in scena stropicciandola, per permettere di vederla da uno spigolo inaspettato e mostrarne la meraviglia”: non è forse meraviglioso scoprire di non aver ragione di temere Riina, “uno sfigato che nel silenzio del suo covo tra le montagne ascolta la colonna sonora dei Puffi?”. Tra un applauso e l’altro, è chiaro, Giulio Cavalli “così come Brecht nella sua Resistibile ascesa di Arturo Ui e come Peppino Impastato con Radio Aut ha normalizzato il terrore – precisa il direttore di estense.com – con la satira ha ridicolizzato il potere”: così iniziano le minacce, le lettere anonime, “le bare spedite per corriere”. Ma il guaio è un altro, sottolinea l’attore, è il “Paese che delinea il giusto e lo sbagliato in base alla presenza o meno del reato, senza occuparsi di etica e di morale, io sono sotto scorta perché voi siete troppo poco cittadini”. Il pubblico cade nel silenzio proprio dell’esame di coscienza: “bisogna avere il coraggio – lo esorta allora Cavalli – e dire, denunciare quando i comandanti delle stazioni dei Carabinieri, spesso parafascisti sottopagati, non hanno alcuna professionalità; quando i Prefetti narcotizzano la Provincia e i capi degli Uffici Tecnici sono corrotti; quando i segretari comunali sono notai senza responsabilità; del tacerlo, di questo dovete avere paura, non della criminalità organizzata”.
“E tu, Giulio, non hai mai avuto paura?” L’attore si sistema i capelli, un tiro di pipa, e “sì – comincia a raccontare – nel 2011, quando fu chiaro che chi decideva della mia scorta fosse vicino ai calabresi: fa più paura lo Stato convergente con l’anti-stato che l’essere faccia a faccia con un mafioso”. La continua volontà di sviscerare il vero ha portato Giulio Cavalli a scrivere del “virus dell’andreottismo”, a raccontare (ne L’innocenza di Giulio, Chiarelettere, 2012) “la pietà ignorante che ha deciso l’innocenza di un uomo mafioso fino alla primavera del 1980”: se riportare infinite volte una bugia la rende verità, allora forse i “veri colpevoli del processo Andreotti sono i suoi elettori”. E allora, oggi, qual è l’eredità (a)politica del “banale malfattore, chi sono – chiede Zavagli – i nuovi Andreotti?”. “Le mafie non corrompono più i parlamentari – risponde Cavalli –, ora creano parlamentari, e gli Andreotti d’oggi sono tutti coloro che a danno della comunità perseguono benefici personali, facendo attività di lobby mentre gli onesti continuano a parlare incomprensibilmente”.
La più alta tra le arti, la politica, si inabissa davanti all’indifferenza, la stessa che ha “permesso di avere inetti ai vertici delle nostre istituzioni, una classe dirigente che spesso stringe la mano alla mafia, mentre noi restiamo nel silenzio acritico”, e i nomi a farne da esempio sono molti, a partire da Dell’Utri. A quest’ultimo è dedicato il nuovo spettacolo teatrale dell’autore, ‘L’amico degli eroi’, un progetto autofinanziato (attraverso un’operazione di crowdfunding) sviluppato mentre è in corso la stesura di un “romanzo d’amore, perché serve anche questo per mettere la mafia al muro”.
L’intervista-racconto di Giulio Cavalli finisce come era cominciato, tra risate (amare) e sonori applausi, poi le domande del pubblico permettono un’ultima riflessione: “tagli ai costi della politica, meno politici, tutto giusto, ma la prima necessità è un elettorato più consapevole che recuperi il dovere della parola”.