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l’innocenza di giulio

(Da LINKIESTA) Il divo Giulio: a Napoli, NTS, raccontato da Cavalli

(da www.linkiesta.it)

giulio_cavalli_2012_foto_emiliano_boga_alta_ris-10Giocava il Napoli ieri sera. E in città – potete credermi se ve lo dico – non volava una mosca. Piglio il pullman, scendo le scale, seguo la strada e m’avvio al NST: il teatro diretto dal capace Mario Gelardi, che da una chiesa ha cavato fuori una perla. Giulio Cavalli è di là, oltre il portone massiccio del foyer, che prova e riprova, perché – mi ha raccontato poi una degli addetti ai lavori – «è arrivato tardi». Sono le 8 e alle 9 si comincia.

Potrei raccontarvelo in tutte le salse. Dirvi, molto banalmente, che m’è piaciuto. Che Cavalli mi ha conquistato. Che chi lo critica, a torto o a ragione, non vede il quadro completo, non ha gli occhi aperti; pensa di sapere e in realtà ignora. Mafia, vittime, politica, democrazia cristiana e Andreotti. Andreotti su tutto, come un ragù insipido e annacquato: Andreotti che parla, che si confessa, Andreotti al processo; Andreotti che prende vita nella voce dell’altro Giulio.

Come se non bastasse Cavalli, ci si mettono anche la musica, i video, le testimonianze. Uno spettacolo interattivo e interagente. Uno spettacolo breve – rispetto alla media – ed essenziale in tutte le sue parti. Un docu-film senza pellicola che inizia e finisce allo stesso modo: raccontando dell’innocenza, presunta, urlata e inesistente, di un uomo. Prima di Andreotti, poi – scherzo del destino – di Berlusconi. Filo conduttore: Cosa Nostra. Dai cugini Salvo a Salvo Lima, da Riina a Mangano, alla «brava persona» Cinà; al boss Belfiore, assassino di Bruno Caccia.

Il bis non-bis, le risate (amare), i racconti, i pensieri. Questo è teatro impegnato prima ancora che civile. Per denunciare certe cose su un palco, in diretta, con gli spettatori che ti fissano dritto in faccia, aspettando solo di poterti riprendere per il tuo più piccolo errore, non ci vuole coraggio, ci vuole qualcosa di più. Ci vuole onestà, che trovarla, di questi giorni, è proprio un’impresa.

di Gianmaria Tammaro

Twitter: @jan_novantuno

Cavalli: «Mafia, i lodigiani si sveglino»

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Cavalli: «Mafia, i lodigiani si sveglino»
(29 settembre 2013 da ILCITTADINO)

Ha voluto togliersi qualche sassolino dalla scarpa Giulio Cavalli, l’attore, regista, scrittore e politico impegnato contro la criminalità organizzata, in occasione dell’incontro al Circolo Arci 1°Maggio di Lodi Vecchio, venerdì sera per la presentazione del libro «L’innocenza di Giulio» (edito da Chiarelettere) in cui Cavalli tira le fila del processo Andreotti. Sulla scia del blitz contro la mafia che ha portato ad arresti e denunce anche nel Lodigiano, lo scrittore ha fatto tra l’altro nomi e cognomi di indagati del territorio, ha raccontato numerosi episodi che sono indiscutibilmente sintomo di come il Lodigiano sia un territorio inquinato dalla criminalità organizzata (basti pensare alle vicende legate a “Italia 90”). «Qualcuno mi dovrà delle scuse, dicevano che a Lodi non esisteva la mafia, che io ero un visionario. Oggi sono qui mentre due collaboratori di giustizia, di cui uno è Luigi Bonaventura (ospitato il 5 maggio scorso all’Arci di Lodi Vecchio per raccontare le sua storia, n.d.r.) stanno raccontando al magistrato il piano che avrebbe dovuto uccidermi. Il problema è di avere intorno una città che si accorge di quello che succede e prova a chiedere spiegazioni, occorre fare un patto sociale: chi non vede la mafia non è in grado di gestire il nostro territorio, oppure è un colluso». Cavalli cita molti esempi: «Ricordo con molto fastidio Lodi che accoglie un imprenditore che si compra numerosi bar del centro, e non si capisce come abbia costruito una ricchezza così velocemente. Arricchirsi non è reato, ma un po’ di attenzione e sensibilità degli atteggiamenti istituzionali nei confronti di figure che non appaiono limpide è obbligatorio». Cavalli ha poi lanciato un appello a istituzioni e cittadini: «L’impegno è prendere una posizione chiara contro le infiltrazioni mafiose. Occorre non essere indifferenti, sapendo che decidere di scendere in battaglia non significa riconoscere di essere un territorio inquinato, ma dichiarare da che parte stare». Cavalli ha anche chiesto che gli amministratori pubblici rispettino il confine «tra mediazione e compromesso».

Sonia Battaglia

Negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli

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Nel 1982 a Palermo arriva un uomo senza mezze misure. Questa storia, il processo a Giulio, è uno via vai tra persone insopportabilmente opposte. E qualcuno rimane sempre per terra. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa arriva a Palermo nel mese di maggio quando sbocciano i fiori. Prefetto contro Cosa Nostra, lo dicono tutti. “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì” dice lui. Il Generale sa bene che per toccare il cuore di Cosa Nostra c’è da andare ad infilare il dito tra la piega melmosa dove mafia e politica si baciano con la lingua. Sul suo diario scrive del suo colloquio con Giulio del 5 aprile 1982. “Gli ho detto quello che so dei suoi in Sicilia”, annota, “sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori”. Se questa storia fosse solo un film Dalla Chiesa sarebbe il coraggioso che alla fine vince. Eppure, dice il generale, “ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”. Se questa storia fosse un film il generale dovrebbe vincere, con un bel bacio sul finale. Da vivo. Ma questa storia è un’ombra. Un’ombra come un peccato originale. Un’ombra che lascia gente per terra in un campo dove gli opposti non possono convivere, e vivere nemmeno. Alle 21.15 del 3 settembre 1982 la A112 bianca dove viaggiava il Prefetto Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti in via Carini viene affiancata da una BMW che sputa un Kalashnikov AK-47. Muoiono i coniugi Dalla Chiesa e l’agente di scorta Domenico Russo che seguiva pochi metri più indietro. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” urla un cartello affisso il giorno dopo. Vengono condannati come mandanti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. ll 5 settembre al quotidiano La Sicilia arrivò un’altra telefonata anonima, che annunciò : “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.

(dallo spettacolo teatrale L’INNOCENZA DI GIULIO Andreotti non è stato assolto)

La inocencia de Andreotti

“El proceso a Giulio Andreotti fue un gran farol porque nos ha enseñado que si se repite una mentira infinitamente se acaba transformando en verdad histórica algo que en realidad nunca pasó”. El escritor Giulio Cavalli, autor de La inocencia de Giuliono podía encontrar mejor manera de resumir la vida del siete veces primer ministro de Italia fallecido este lunes a los 94 años de edad. Andreotti fue hallado en 2004 culpable de asociación mafiosa con Cosa Nostra “hasta la primavera de 1980” y, por tanto, no fue absuelto como muchos de sus seguidores quisieron que quedara grabado en la memoria histórica italiana.

Anche in Spagna qualcuno osa ricordare Andreotti per quello che la Storia ci ha raccontato. L’articolo è qui.

E’ morto un amico dei mafiosi ma piangono uno statista

Eccolo, alla fine è morto. E il cristianesimo e la pietà umana che gli abbiamo concesso di sventolare mentre bestemmiava Dio nel suo agire politico oggi si alza ancora per celebrarlo.

Noi siamo un popolo così: non riconosciamo la gratitudine dal ricatto perché abbiamo avuto gentilissimi maestri di inumanità come il grigio Giulio. Ci hanno convinto che essere cinici sia una virtù e che essere buoni è da coglioni, ci hanno insegnato a dividere il fine dai mezzi e giudicare solo il risultato, ci hanno detto per decenni che la mafia è un febbriciattola leggera in cui inevitabilmente si incappa nel fare politica “alta” ma che passa con un po’ di riposo e che certe cose bisogna lasciarle a Dio e intanto Dio lo prostituivano per il prossimo appalto. Il maestro di questa perversione diventata buona educazione è il Divo Giulio Andreotti che chissà come sarà felice di leggere oggi nei suoi coccodrilli unti e servili che il suo ingranaggio è ben oliato e funziona ancora.

E’ morto un amico dei mafiosi fino alla primavera del 1980 come accertato nelle carte giudiziarie. Poi dicono che è guarito. Come un raffreddore. E alcuni ci hanno creduto, altri hanno pregato per lui e qualcuno ha messo a disposizione il proprio studio televisivo per farne il suo bidet. E’ morto uno di quegli amici dei mafiosi che si meriterebbe un funerale dove i partecipanti siano filmati e schedati e invece ci saranno tutte le alte cariche di questo Governo che nasce con quel grigio di mezzo fetido e cinico come piaceva a lui.

E’ morto un bugiardo. Spergiuro davanti alla Costituzione, alla Legge e al suo Dio. Che ha detto al Paese di farlo per il suo bene.

E’ morto un uomo che ha svenduto gli ideali politici per le trattative da bottega e ha inventato il compromesso ad ogni costo come pregio da mediatore piuttosto che codardìa intellettuale come sarebbe stato in un Paese normale.

E’ morto un mediocre che ha avuto bisogno di scavalcare le regole perché non riusciva ad amministrare rispettandole.

E’ morto un uomo grigio, come lo scriveva Aldo Moro nelle sue ultime lettere dalla prigionia:

Tornando poi a Lei, on. Andreotti, per nostra disgrazia e per disgrazia del Paese (che non tarderà ad accorgersene) a capo del governo, non è mia intenzione rievocare la grigia carriera. Non è questa una colpa. Si può essere grigi, ma onesti; grigi, ma buoni; grigi, ma pieni di fervore. Ebbene, on. Andreotti, è proprio questo che Le manca. Lei ha potuto disinvoltamente navigare tra Zaccagnini e Fanfani, imitando un De Gasperi inimitabile che è a milioni di anni luce lontano da Lei. Ma Le manca proprio il fervore umano. Le manca quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno, senza riserve, i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è di questi. Durerà un pò più, un pò meno, ma passerà senza lasciare traccia.

E’ morto Giulio Andreotti ma non ha lasciato orfani, perché tutto intorno i suoi allievi sono diventati grandi e camminano con le loro gambe e hanno imparato bene a non mostrare chi tengono per mano.

Gli elogi funebri che leggerete oggi sono l’effetto dell’etica erosa negli anni dalla mafia e dal brigantaggio politico. Chissà almeno che lo schiaffeggi Dio. Perché qui ci siamo prescritti tutti per interessi o vigliaccheria.

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