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Due tre cose, personali, su Simone Uggetti e su Lodi.

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Lo scrivo qui dopo avere passato le ultime 24 ore a seguire, per lavoro, la vicenda dell’arresto di Simone Uggetti, sindaco di Lodi e a scriverne raccontandone tutti gli sconcertanti dettagli (qui e qui). Quindi ho espresso (più volte) la mia posizione. Però qui, sul mio blog, in questo spazio più mio e protetto voglio scriverne ancora. E lo scrivo perché penso sia giusto. Ecco. Sono cresciuto per un periodo della mia vita fianco a fianco con Simone. Anzi, Mone. Lui e Andrea (che a Lodi è assessore) mi sono stati vicini, anche in momenti difficili. Simone è uno di quelli che mi sono stati vicini. Poi le nostre strade hanno preso direzioni diverse e abbiamo avuto anche degli scontri duri. Politica. Lodi per me è una ferita aperta.

Detto questo leggere Salvini che sentenzia su Simone è una roba da matti: Uggetti dalle carte risulta palesemente colpevole ma non si è arricchito di un centesimo e anche il “ritorno elettorale” mi sembra piuttosto fumoso. Anche Mone, come molti altri, ha pensato che un un obiettivo condivisibile (che le associazioni lodigiane gestissero le piscine lodigiane) giustificasse forzature non legittime. Ma stiamo parlando di questo. Non c’è corruzione. Simone è uno di quelli che si è speso in politica, senza mai puntare al ritorno economico.

Ha sbagliato. Certo. Ed è giusto che paghi. Ma Simone ammanettato e portato a San Vittore, ecco, e lo scrivo con tutti i mille scazzi che abbiamo avuto, è un fragore che mi lascia perplesso. E mi ferisce umanamente. Perché c’è il politico (inopportuno, illegale ma non ladro) e poi c’è Mone (e Andrea e Matteo e tutti gli altri) che non posso non permettermi di ringraziare. Lasciamo le vendette agli altri. Meglio.

Chi è Simone Uggetti, il sindaco di Lodi delfino del delfino di Renzi

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Di lui Renzi aveva detto “è un sindaco ancora meglio di Lorenzo Guerini” e infatti Simone Uggetti era, per Lodi, il sindaco della continuità dopo che il braccio destro di Matteo Renzi aveva deciso di spostarsi su Roma. L’inchiesta che l’ha portato in carcere nasce da un esposto in Procura e già da qualche mese la Guardia di Finanza aveva fatto visita agli uffici comunali e presso il gestore di alcune piscine pubbliche. Lui, il sindaco, si diceva tranquillo. Fino all’arresto di oggi.

L’articolo è qui.

Italia 90 e mafia lodigiana: ecco le condanne.

Ne avevamo parlato molto tempo fa (ad esempio qui) e oggi arrivano le condanne:

img_9973--676x433Dieci condanne per un totale di oltre 17 anni di reclusione sono state inflitte stamane dal Tribunale di Lodi per la vicenda Italia 90, l’azienda di Palermo che nel 2009 subentrò nell’appalto quinquennale da cinque milioni di euro per la raccolta della spazzatura, secondo la Procura e i carabinieri del Noe facendo pressioni sia sull’ ufficio tecnico sia sull’ altra azienda, anche essa di Palermo, che aveva vinto la gara con un ribasso più alto. Per gli inquirenti qualcuno usò metodi «paramafiosi» ed emersero dalle indagini anche irregolarità attribuibili all’azienda in occasione di appalti a Mulazzano, Zelo Buon Persico e Maleo. Alcuni capi d’accusa sono però già caduti in prescrizione. La pena più alta, 8 anni di carcere, è stata inflitta all’allora socio unico di Italia 90 Claudio Demma, assieme all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Oltre due anni per turbativa d’appalto anche a due ex componenti dell’ufficio tecnico del Comune di Sant’Angelo Lodigiano. Il municipio si è costituito parte civile e si è visto riconoscere una provvisionale immediatamente esecutiva di 173mila euro. (fonte)

Le minacce che partono dall’anticamera di un Presidente di Corte d’Appello, la strana scorta e lo strano lodigiano

foto8C’è un’inchiesta della Procura di Milano che lambisce l’anticamera del presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio. Tutto è cominciato il 10 gennaio 2013, quando una giornalista del Corriere della sera, Elisabetta Andreis, riceve una telefonata di minaccia: “Lei, signora Andreis, dove si trova in questo momento? È qui in tribunale? Non si preoccupi, anche noi potremmo farle delle domande… E lei con la sua famiglia dove si trova? E al lavoro dove va? Lei ci risponda, o rispondiamo noi”.

Poi il misterioso interlocutore interrompe la comunicazione. Andreis va alla polizia e denuncia l’accaduto. Sta conducendo per il Corriere un’inchiesta sulle aste giudiziarie e su una gara indetta dalla Camera di commercio di Milano per la gestione della pubblicità e la pubblicazione sul web degli avvisi d’asta e per la preparazione del processo civile telematico. La gara, avviata nel 2012 con fondi Expo per il Tribunale di Milano, era stata vinta dalla società Edicom Finance con un ribasso da brivido (72,5 per cento) e in condizioni che avevano insospettito l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone.

Per capire meglio i termini della questione, la giornalista aveva contattato via e-mail anche Canzio, che le aveva però fatto rispondere di non essere disponibile. Poi era partita la telefonata minacciosa. Ed erano scattate le indagini, affidate al pm Paolo Filippini. Arriva subito la prima, imbarazzante sorpresa: il pm scopre che la chiamata è partita da un telefono fisso dell’anticamera di Canzio, quello a disposizione del capo scorta del presidente della Corte d’appello, il brigadiere dei carabinieri Roberto Scapoli, il quale, secondo i tabulati telefonici, risulta in contatto con titolari di società attive nelle vendite giudiziarie. La seconda sorpresa è ancor più sconcertante: in quell’anticamera staziona spesso un amico di Scapoli, Giuseppe Frustaci, che si qualifica come agente della Questura e lo sostituisce quando è assente. Scapoli a Palazzo lo presenta come “collega”. Ma dalle indagini emerge che Frustaci non è affatto un poliziotto: è stato, al massimo, guardia giurata volontaria per la vigilanza ittica e venatoria a Lodi. In compenso, un rapporto dei carabinieri lo dipinge come un personaggio che stringe rapporti con appartenenti alle forze di polizia e al personale amministrativo del Palazzo di giustizia di Milano, dai quali riceve notizie, anche riservate, che poi rivenderebbe ad agenzie investigative private.

Oggi Frustaci è titolare di un’impresa edile, la Gf Costruzioni. Ma mentre non risultano sue attività nell’edilizia, sembra darsi molto da fare nel mondo dell’intelligence. Nel 2007 è stato condannato dal Tribunale di Lodi al pagamento di 2.400 euro di ammenda per aver fatto l’investigatore privato senza le autorizzazioni. Aveva addirittura condotto una strana bonifica presso gli uffici della polizia provinciale di Lodi, per verificare la presenza di “cimici”.

Secondo una relazione della Digos, si fa passare per informatore dei servizi segreti. Altre volte, si presenta come primo dirigente o come maresciallo dei carabinieri della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Milano. Oppure si spaccia per uomo dei servizi, proponendo scambi d’informazioni a poliziotti e carabinieri veri. Nel 2013, la Corte d’appello di Brescia lo condanna a 1 anno e 4 mesi per aver rubato da un’armeria, la “Galleria del tiro” di Lograto, Brescia, diverse armi comuni da sparo. Malgrado questo curriculum, è spesso accanto a Scapoli, nell’anticamera di Canzio, il magistrato più alto in grado del Palazzo di giustizia di Milano.

Il pm Filippini nel settembre 2014 iscrive Scapoli nel registro degli indagati. Due mesi dopo aggiunge anche Frustaci. Reati ipotizzati: minacce (nei confronti della giornalista del Corriere), concorso in turbativa d’asta e rivelazione di segreti d’ufficio (per l’anomala vittoria della Edicom Finance). Il magistrato chiede al gip di poter intercettare i due indagati, ma il giudice per le indagini preliminari Anna Maria Zamagni nel novembre 2014 ipotizza che in questo procedimento Canzio, pur non essendo parte offesa, possa essere danneggiato dal reato: dichiara dunque la propria incompetenza e una parte degli atti va così alla procura di Brescia, competente per le vicende che riguardano i magistrati milanesi. Resta a Milano l’indagine sulle minacce alla giornalista del Corriere. E l’imbarazzo per una brutta storia che si è consumata, a sua insaputa, nell’anticamera del presidente Canzio e che ancora non è arrivata alla parola fine.

(clic)

La mafia a Lodi non esiste (ennesima puntata, eh)

Balzo in avanti per la Lombardia nella classifica nazionale del ciclo illegale dei rifiuti. Secondo il rapporto 2014 di Legambiente sull’ecomafia, presentato ieri mattina a Milano, nel 2013 nella nostra regione sono stati accertati in generale 1.268 reati contro l’ambiente, con 1.085 persone denunciate, 339 sequestri e 24 arresti, numero quest’ultimo più basso solo di quello registrato in Campania e Puglia, mentre nello specifico del ciclo illegale dei rifiuti, la Lombardia è passata dal sesto al quarto posto nella classifica nazionale, dietro Campania, Puglia e Calabria, con 448 infrazioni (il 7,8per cento del totale nazionale), 376 persone denunciate e 114 sequestri effettuati. Grandi numeri affatto lusinghieri anche sul fronte del ciclo illegale del cemento, dove la Lombardia risulta al primo posto tra le regioni del Nord con 341 persone denunciate e 265 infrazioni accertate.

I dati di Lodi, all’apparenza, sono minimali: nessuna infrazione contestata nel “ciclo del cemento”; due nel ciclo dei rifiuti, con tre indagati e un sequestro (a fronte di 21 infrazioni a Pavia, 63 a Cremona, 72 a Milano e 128 a Bergamo).

È vero che su questo fronte in passato la procura della Repubblica di Lodi è stata molto attiva, e va anche detto che da qualche tempo le ipotesi associative di traffico di rifiuti sono passate alla competenza della Dda di Milano. Ma va evidenziato che, comunque, nel 2014 la procura di Lodi risultava impegnata in inchieste per traffico illecito di ambito regionale e interregionale, stando ai dati raccolti da Legambiente.

Tra i casi citati, il sequestro di un’area collinare fra Sant’Angelo e Graffignana, per una discarica di rifiuti pericolosi, fra cui anche eternit. Ma anche l’operazione della Forestale a San Giuliano Milanese, con tre arresti e sei denunce, per un traffico illegale di cuccioli provenienti dall’Est Europa e svezzati precocemente con il rischio di malattie e disturbi comportamentali. Legambiente ricorda anche l’inchiesta sui costi della bonifica all’ex Sisas, che ha coinvolto un tecnico lodigiano.

Ma soprattutto richiama l’attenzione su un’indagine chiusa nel 2013 dei carabinieri del Noe di Milano, che sotto il coordinamento della Dda denunciarono traffici di terreni scavati da Milano e scaricati a camionate in cave di Romentino (Novara) e di San Rocco al Porto. Secondo l’accusa, il materiale non veniva analizzato come sarebbe stato obbligatorio, ma semplicemente riclassificato come “terre e rocce da scavo” con giri fittizi di bolle. Il 14 novembre del 2007, un Barbaro, cognome legato anche alla’ndrangheta, fu intercettato mentre telefonava a un imprenditore, che lo informava: «Per Casalpusterlengo,caricano in fiera, per Casalpusterlengo, tutti e due».

(fonte)

Io me lo ricordo bene. Una mia storia.

Me lo ricordo talmente bene che potrei mettermi con una matita a disegnare tutti i dettagli se solo sapessi disegnare. Dico il giorno che avevo avuto la sensazione di avere il dovere di farcela. Ero giovanissimo egocentrico ma con il dosaggio contenibile dei ragazzi e mi ero detto che sarebbe stato bellissimo raccontare storie di professione, scritte e orali come all’esame di maturità, sul palco o sul foglio immaginando già che sarei finito a rovesciare fogli sul palco e palchi sul mio foglio. Il luogo davvero non era un granché originale visto che stavamo in fondo al corso dove tutti i ragazzini della città si strisciavano sperando di impigliarsi in qualche femmina: Corso Roma, come tutti i corsi Roma di tutte le città che mi è capitato di girare in Italia, tutti i corsi Roma come se tutte le città fossero finite ad essere qualcos’altro tentando di essere Roma. Io mi ricordo bene il sapore di quella speranza lì, che era una sfida certo ma aveva anche il corrimano delle possibilità, che insomma nessuno mi diceva che non fosse fattibile ma piuttosto che non fosse fattibile da lì,  in quel posto, da uno come me. Quindi impossibile non per me ma per quelli come me che erano tutti i lodigiani che al sabato di tardo pomeriggio sfilano per impigliarsi in Corso Roma e poi dopo la domenica è già lunedì e si frequenta il liceo dei figli della città bene, quelli che di lavoro faranno i figli dei propri genitori, almeno che non siano proprio scemi o diventino tossici.
Mi ero seduto al tavolino del bar di capolinea al corso, verso la periferia nella direzione che si allontana dalla piazza e c’era quel caldo alcolico che diventa sudore il primo secondo dopo il primo sorso di spritz. Eravamo io e Marco, anzi, io e Marco e chi ci aveva presentati perché pensava che ci dovessimo parlare io e Marco perché Marco veniva da Venezia (che fa sempre molto teatro per tutti i lodigiani del mondo), aveva studiato teatro (a Venezia, eh, per di più) e voleva mettere in piedi una compagnia teatrale proprio lì, proprio a Lodi, proprio in fondo alla coda sul culo di Corso Roma. Non ci eravamo nemmeno salutati con un garbo particolare, niente di più del rispetto per la presentatrice condivisa che stava seduta come se dovesse accadere la Creazione universale un’altra volta. Lo spritz era talmente mediocre, caldo e guarnito con una fragola troppo matura e sdraiata tutta molliccia, che mentre mi sorbivo l’introduzione che introduce tutte le presentazioni conto terzi mi ero ritrovato a pensare che sarebbe fallito in qualsiasi altro quartiere della città quel bar con quegli spritz caldi e il cadavere di fragola. Parlammo di tutto ciò che potesse essere potabile come prologo, di tutte quelle cose lì che ci prepariamo tutti come breve biografia pronta all’uso, solo con l’aggiunta di qualche momento di enfasi che ci era concesso a noi che volevamo fare gli attori, del resto.
Poi ricordo perfettamente, alcuni mesi dopo, quando io e Marco ci eravamo vestiti meno sbracati del solito ma con il solito tocco di enfasi, fermi nell’anticamera dell’ufficio dell’assessore alla cultura che era anche il vicesindaco di Lodi, era una donna, una donna in gamba che a ripensarci oggi è stata con noi più mamma che vicesindaco, Paola Tramezzani si chiamava, e quell’antisala ci sembrava una stanza ducale, o forse almeno a me perché Marco da Venezia era già più avvezzo agli stucchi, lui. Mi ricordo l’espressione che teneva, il vicesindaco, mentre noi le comunicavamo di essere già una compagnia teatrale bell’e finita, mancava solo che se ne accorgessero gli altri, lei per prima.
Ecco, io ho ancora nelle narici e sotto i polpastrelli quella nostra ambizione lì, così visionaria ma riconosciuta come un diritto da esercitare, quella voglia di prenderci il nostro posto nel mondo, mica il mondo, così ingenui e autentici ma con la sensazione che fosse possibile.
Oggi, non so se lo penso solo io, oggi manca questo senso di possibilità, che è diverso dalla speranza nuda e cruda e che innesca la meglio gioventù: quella che riforma, evolve e coglie la bellezza dell’affermazione. E ci rende un paese abitabile, denso.

A Lodi la mafia non esiste (ennesima puntata)

Giornata della legalità, il procuratore di Lodi Vincenzo Russo non ha avuto esitazioni nel confermare la presenza della mafia e della ‘ndrangheta nel Lodigiano: «Anche nel nostro territorio, ad un imprenditore, è stata recapitata una testa di maiale tagliata con in bocca un proiettile, dunque una minaccia chiara della cosca». «Quello che può fare ciascuno di noi per combattere la ‘ndrangheta è rispettare le regole che è chiamato a rispettare» ha esortato il sostituto procuratore di Reggio Calabria Alessandra Cerreti.

Ma questa volta ne parlano i procuratori. Ed è una buona notizia.