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lodi

Happy Italy

Il libro di Ilaria Rossetti è bello da leggere, da scrivere e da comprare. Per quello che dice e per quello che rappresenta. Perché Ilaria è lodigiana e da lodigiana parla di quella fanghiglia locale (da cui nel lodigiano fatichiamo a liberarci) e perché, come dice lei stessa «Non importa se hanno infranto la legge, se hanno fatto male ad altri – spiega ancora Ilaria – , spesso questi personaggi, come Fiorani nel 2010, quando è stato scritto il romanzo, finiscono per diventare quasi dei modelli, degli eroi perché impuniti. E non è solo un problema giudiziario, ma di atteggiamento: diventano il prototipo di chi ce l’ha fatta».

Londra nel caffè di Ilaria

Perché le parole sono importanti. E perché leggerle dalla penna di una concittadina (di questa provincia già morta e moritura ancora) è come sentire il profumo di caffè. Aspettando il prossimo libro di Ilaria che, mica per niente, di titolo fa Happy Italy.

D’armi, di Prefetti e di Pavia

Non mi piace la polemica che si è innescata contro Peg Strano Materia dopo il suo trasferimento da Prefetto di Lodi a Prefetto di Pavia. Non mi piace nemmeno che l’accusa che le si muove sia quella di “avere tolto la scorta a Giulio Cavalli” come se fosse un assoluto che disegni tutto il resto. La questione delle tutele non ha da muoversi sui giornali o nelle chiaccheratelle da osterie, è un delicato meccanismo di diverse istituzioni che dovrebbero (ognuna) fare il proprio dovere. Mentirei se dicessi che con il Prefetto tutto sia sempre andato liscio e tutto sia sempre stato chiaro ma mi sembra (e lo dico con tutta la sincerità del momento) troppo facile e troppo comodo per tutti gli altri vendere lei come unica responsabile. Anche perché salveremmo troppa gente che non merita proprio per niente di essere salvata. E soprattutto (ad onor del vero) l’ex Prefetto di Lodi è sempre stata l’unica che mi ha parlato in faccia e con cui ho avuto confronti trasparenti. Pezzano è stato rimosso, la mia tutela è stata assicurata all’unanimità dalla Regione Lombardia (con alzata di mano di alcuni che veramente sono da discutere e non tralasciare) e convenientemente Strano Materia ha una nuova collocazione. Sarebbe meglio augurarle un buon lavoro (sempre osservata e pungolata come si deve a tutte le istituzioni) e non tralasciare altri insediati tranquilli nel lodigiano che hanno più di qualcosa da spiegare. E che non mancheranno di ritrovarsi a doverlo fare.

Pietro Foroni

Sono in viaggio e mi segnalano che il Presidente della Provincia di Lodi, Pietro Foroni (LEGA), mi attacca sul quotidiano Il Cittadino. Il trucchetto di cercare la sponda più alta per rimbombare meglio è un giochetto da partitella all’oratorio (lo sanno tutti i piccoli e verdi Foroni del mondo). Spiace che gli sia sfuggito come sponda il suo compagno di partito Renzo Bossi che potrebbe fargli guadagnare qualche riga in più, ma fa niente. Del resto un giorno mi piacerebbe parlare con lui dell’inopportunità (indagata e altro) dei fedelissimi componenti della sua Commissione Antimafia (alti componenti). Ma avremo tempo. Il tempo è galantuomo, diceva Totò. Per il resto non sapevo che l’incancrenimento del più becero federalismo mi costringesse ad occuparmi solo del mio collegio elettorale e non di tutta la Lombardia. Si vede che Lodi è cosa loro.

Il prefetto Lombardi: mafie a Lodi?

Analizzando la provincia di Lodi il prefetto Lombardi, a pagina 63 della sua relazione sulla criminalità organizzata in Lombardia, si sofferma sulla ditta Edilstrade fratelli Buttò srl di San Angelo Lodigiano, amministrata dai fratelli Maurizio e Giovanni Buttò. “La citata ditta – si legge – ha partecipato ai lavori di riqualificazione della ex SS 235 (nel tratto compreso tra Lodi e la barriera dell’A1). Lungo detta tratta è ubicata la cascina Ladinadove la società in questione ha tutt’ora una porzione di area adibita a deposito dimezzi stradali e materiali dove è risultato essere domiciliato il pluripregiudicato Marcello Coletta, noto personaggio di spicco della mafia siciliana”. Buona serata. (grazie per lo spunto al prezioso amico Roberto)

In piazza a Lodi lo sapevano tutti

Adesso dopo i sigilli ai tre eleganti (dell’eleganza kitchs che ricorda la casa di Sandokan Schiavone) bar in piazza a Lodi vi diranno che lo sapevano tutti. Il problema è che forse non tutti si ricordano chi ha inaugurato quei bar (per la precisione il Presidente del Consiglio Comunale e altre autorità che vi invito a scovare negli archivi dei quotidiani lodigiani) proprio mentre già si annusavano le ombre. Dicevano che la mia fosse una maldicenza, e può essere. Ma la cautela è un obbligo istituzionale, almeno quella. Che non ha niente a che vedere con la pavidità.

Per i referendum, nel lodigiano

Noi, Sindaci e amministratori pubblici del Lodigiano, invitiamo i cittadini a partecipare al voto in occasione del referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno, votando SI ai due quesiti che riguardano la gestione dell’acqua. Con questo voto il territorio ha la possibilità di confermare il percorso e le scelte che negli scorsi anni hanno portato tutti i Comuni della Provincia di Lodi, all’unanimità e senza distinzioni tra forze politiche, a decidere di mantenere completamente pubblica la gestione del servizio idrico integrato. A questo scopo è stata costituita la SAL – Società Acqua Lodigiana, una nuova società partecipata da tutti i Comuni, che oggi è l’unico gestore del servizio idrico nel nostro territorio e che ha la capacità, le competenze tecniche e le risorse per garantire un servizio di qualità a tutti i cittadini, programmando gli investimenti necessari per la manutenzione e il miglioramento della rete idrica e mantenendo la tariffa a livelli tra i più bassi in Italia. Con due SI possiamo dare forza e continuità a questa scelta, garantendo ai nostri Comuni di poter continuare a gestire direttamente una risorsa importante e strategica come l’acqua. I nostri cittadini avranno così la possibilità di esercitare un controllo diretto sull’operato di SAL e dei suoi amministratori, anche attraverso nuove forme di gestione partecipata. Lodi, 5 giugno 2011

Lodigiano: la terra dei fuochi

Confesso che ho sempre avuto un rapporto difficile con Lodi e il lodigiano. Per una catena di “convergenze” (come le chiamerebbe Nando Dalla Chiesa) che mi si sono infilate a forma di lama. Dal 2006 a oggi. Eppure non riesco a non amare Lodi e i lodigiani con l’amore (anche rancoroso, nelle sue curve peggiori) che si ha per la città in cui camminano i propri figli.

Ho seguito da lontano questi ultimi mesi di fuochi, riunioni, esperti dell’ultim’ora e balletti istituzionali: corse da una stanza all’altra come un adolescente che deve sistemare casa prima del rientro dei genitori. A nascondere le tracce e, come sempre, tutti poi a minimizzarle al bar. Ma non è delle contromosse difensive che voglio scrivere (pur apprezzando lo spirito e l’impegno di Prefettura e di alcuni consiglieri provinciali sul tema con, intorno,  l’assordante silenzio dei soliti noti): il giudizio sulla “battaglia” ho deciso da un pezzo di lasciarlo ai nostri figli.

Mi tocca piuttosto questa terra ferita e bruciata come una donna lasciata sul marciapiede tra i cartoni, mi tocca la coltre intorno ai tanti giovani che continuano a scriverne e riunirsi e parlarne e alla fine rimbalzano, mi tocca la penna dei giornalisti e direttori che ne scrivono ma rimangono solo opinioni, mi tocca l’impegno di (troppo pochi) politici che vengono additati come esibizionisti e mi tocca la solitudine delle forze dell’ordine.

Mi tocca, più di tutto, una terra incapace di trasformare un allarme in un comune sentire.

L’anno scorso venni invitato, a Napoli, a parlare della “terra di fuochi”: un’isola tra Qualiano, Villaricca e Giugliano che brucia rifiuti come un fumento quotidiano di pneumatici, rottami e veleni. Una signora anziana mi disse che dalle città normali dovrebbero alzarsi i palloncini mica i fumi. Me lo disse con un dolore che non si riesce a scrivere.

Da qualche anno il Lodigiano ha smesso di liberare palloncini e ha cominciato ad annusare roghi. Numeri disarmanti, falò come un rito tribale per parlarsi con il fumo, «una strategia per alzare la tensione nel settore e per riprendersi fette di mercato, da parte di qualcuno, che sono state perse: una sorta di concorrenza scorretta ricorrendo a condotte di carattere criminale» dice il sostituto procuratore Paolo Filippini. Quindici incendi in impianti per lo stoccaggio o il trattamento dei rifiuti a partire dal 2003. Ben otto a partire dall’ottobre scorso. A gennaio si mette ad indagare anche l’antimafia. Impianti diversi dove si rincorrono gli stessi cognomi, come in un film dell’orrore con una trama annunciata. L’ultimo incendio, invece, è un incendio che lascia macerie a forma di macerie. Di quelle che ti rimangono nel naso per anni. Ne scrive Fabio Abati in questo articolo, ne avevo parlato qui (meritandomi una telefonata in cui mi si diceva che era “roba da cui stare attento”, come nei film western). Una storia con troppe ombre in cui galleggia una cooperativa all’interno di una cartiera con una donna alla presidenza. Una donna che qualche mese fa sparisce, viene messa sotto protezione, come nelle storie che stentiamo a credere: è la moglie di Giovanni Costa, nativo di Gela, poi camionista a Caserta, poi residente a Lodivecchio prima di sposarsi con la presidente della cooperativa e trasferirsi a Sant’Angelo Lodigiano. Giovanni Costa viene arrestato nel maggio 2010 nell’ambito di un’inchiesta dellaDda di Napoli sul “cartello” del crimine organizzato per il mercato ortofrutticolo nel centro-sud. Lui si professa innocente per bocca del suo avvocato ma qualche “vecchio amico” si convince che stia parlando troppo. Così scatta il programma di protezione.

Nicola Piacente, il procuratore antimafia che sta seguendo le indagini, lascia un frase sul marmo: “se le indagini stanno procedendo con queste tempistiche – si lascia sfuggire Piacente – e ancora nessuna risposta possiamo dare alla gente che si preoccupa di quello che gli accade sotto casa, è perché forse ci aspettavamo maggiore collaborazione da parte di chi quegli incendi li ha subiti”. Come nella terra dei fuochi.

La paura mangia l’integrità dell’uomo, diceva Karekin I, e la sonnolenza lo stordisce. C’è un pezzo di terra da difendere con i denti. Diceva Giuseppe Gatì: questa è la mia terra e io la difendo, e tu?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/26/lodigiano-la-terra-dei-fuochi/107151/

 

Il Belpaese: l’ultimo sulla mia tutela

A seguito delle notizie circolate in questi ultimi giorni, preciso che da Roma hanno confermato la tutela e l’attenzione.

Chiedo per questioni di opportunità, di rispetto verso la mia famiglia, di attenzione verso le forze adibite alla mia tutela e per la mia sicurezza che si eviti di alzare i toni e si eviti ogni speculazione.

Giulio Cavalli

Una condanna per mafia a Lodi? Eccola

Ne avevamo parlato proprio qui in tempi non sospetti. Voci di corridoio di alcune testate locali dicevano che no, non poteva essere, che non se ne sapeva nulla e quindi era una notizia falsa. Poi è stata ripresa (mesi dopo) in grancassa ma è passata come una folata leggera. Si sa che in terra di garantismo defatigante e tranquillizzante finchè non arriva una condanna sono solo dicerie. E la condanna è arrivata:

11 gennaio 2011
Milano. Con intimidazioni e minacce avevano estorto circa 400 milioni di lire a un siciliano, residente a Lodi, che nel 1998 aveva vinto quasi 7 miliardi di vecchie lire al Superenalotto. Per i due, appartenenti a ‘famiglie’ mafiose di Cosa Nostra, sono arrivate le condanne a pene fino a 12 anni di reclusione, emesse dalla terza sezione penale del Tribunale di Milano. In particolare, Alessandro Emmanuello, fratello del boss Daniele, è stato condannato a 12 anni di carcere dal collegio presieduto dal giudice Piero Gamacchio. L’altro imputato, Francesco Verderame, invece è stato condannato a 10 anni. Per la stessa vicenda, lo scorso 8 giugno, era stato condannato con rito abbreviato a 10 anni di reclusione Carmelo Massimo Billizzi, mentre 1 anno e 2 mesi di carcere erano stati inflitti a Rosario Trubia e a Crocifisso Smorta, due pentiti che hanno collaborato alle indagini. Tutti e tre sono ritenuti vicini ai clan di Cosa Nostra e Stidda. La ‘vittima’ dell’estorsione, Salvatore Spampinato, nel ’98 aveva vinto al Superenalotto 7 miliardi di lire e subito dopo, stando alle indagini del pm della Dda di Milano Marcello Musso, aveva subito minacce mafiose da parte di alcuni ‘stiddari’, che avevano avuto la ‘soffiata’ sulla vincita da un suo stesso parente. La sua abitazione era stata incendiata e aveva ricevuto anche numerose telefonate anonime, nelle quali gli veniva chiesto di pagare il pizzo sulla vincita. Era poi intervenuta anche Cosa Nostra che, stando al racconto del pentito Trubia, era riuscita a farsi dare parte della vincita, 400 milioni di lire, spartita poi tra le due organizzazioni mafiose. Spampinato, che si è costituito parte civile, ha ottenuto un risarcimento a titolo di provvisionale.