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Io non voglio morire d’intenti

Schermata 2013-01-01 alle 16.53.17Non ho mai ben capito se gli intenti vadano scritti la sera dell’ultima sera dell’ultimo giorno dell’anno o la mattina del primo dell’anno successivo. Confesso che non sono mai stato bravo con i bilanci e i consuntivi: mi immalinconiscono come le anziane nel letto d’ospedale che non ricevono mai visite e fingono di farsi compagnia con i parenti degli altri, promettendosi che gli basti così. Peggio ancora con gli esami di coscienza: ho un incalcolabile difficoltà con i sensi di colpa che mi rende clinicamente ossessivo e compulsivo verso le mie mancanze.

Potrei anche sognare intanto un anno che mi liberi le spalle da blindature e scorte. Non ci avevo mai pensato in questi ultimi anni, era un desiderio nella cesta dei desideri indesiderabili e invece mi si è acceso giusto giusto ieri notte mentre i botti diventavano un soffio rauco di polvere da sparo incollacciata sul marciapiede. E’ stato un desiderio che mi ha sorpreso: un ardimento spericolato dove ho pensato a me stesso con la cura che non pensavo di riuscire più ad usare. Perché se c’è un alone che mi ha unto in questi ultimi anni è proprio questa sensazione di eterna solitudine sorvegliata a vista che mi fa sentire di troppo in un mare di troppo poco e che non sono mai riuscito a spiegare. Rileggo il pezzo di Marco di due anni fa e mi sembra che ci sia la stessa musica di sottofondo. Non so se mi spiego: anni come un recinto che disegna i cerchi del mio tronco con le cicatrici al posto delle linee della crescita. Una cosa così. Pensavo che la mia vita fosse in una parentesi di controffensiva difensiva e invece è l’imboccatura di una strada di cui non se ne vede l’orizzonte. Niente panico o letteratissimi tormenti, per carità, ma una noia usurante che ha l’abitudine come unica lenizione possibile.

C’è il lavoro: il mio lavoro con la parola e la scena. In un anno di ricerca di nettare e nido tornare in scena con Duomo d’onore è stato un dito che ha toccato corde che temevamo non suonassero più. Ho bisogno di stare sul palcoscenico per parlare con me. Semplicemente. E non dovere rendere conto a nient’altro che i fatti e la bellezza: due compagni che litigano spesso. Ho ritrovato la mia quotidianità nel freddo e il disordine dei camerini, nei “due minuti” dati prima di cominciare bussando piano alla porta, nei vestiti di scena stropicciati come le donne bellissime con le loro rughe, negli amici che ti danno il cenno che è andata bene e nelle cene mangiate troppo tardi con la fame che corre contro il sonno. Se dovessi augurare un lavoro ai miei figli gli augurerei la fortuna di lavorare con la soddisfazione che va a dormire dopo di te, come capita a me. C’è la scrittura: questo 2012 è stato un anno di scrittura a singhiozzo tra la quotidianità delle cose quotidiane che lasciano sabbia nei reni e negli ingranaggi della penna. Mi ero promesso un romanzo per provare a volare e mi hanno lasciato a terra le informative, le sentenze e le scelte: questo mio nuovo anno ha quel romanzo da recuperare tra i bagagli smarriti.

C’è la politica: che è cambiata come un figlio che si fa grande nel tempo del tuo ultimo viaggio e lo ritrovi con la sensazione di avere perso proprio quel minuto in cui ti chiedeva di essere un padre presente. Ho amici sparsi in questa confusa tela di colori diffusi eppure distanti mentre l’occasione ci chiede di essere preparati alla raccolta. Qualcuno mi chiede perché non abbia partecipato alle primarie per il parlamento, qualcuno ancora insiste nel rinfacciarmi un “ritiro” per la presidenza lombarda, qualcuno mi chiede di Luigi De Magistris e gli arancioni (dimenticando Leoluca Orlando e quel pezzo di IDV che ci sta dentro e ci ha sempre voluto fuori), qualcuno mi dice che dovrei seguire Pippo Civati e gli altri (come se fosse un trenino dopo pranzo quando si è tutti un po’ brilli intorno ai tavoli con la cravatta slacciata) e qualcuno dice che Cavalli ha un assessorato promesso da Ambrosoli: continuiamo il nostro lavoro in Lombardia, semplicemente, con la serietà dei progetti iniziati e degli impegni presi con un Formigoni in meno. Non sembra difficile capire che la politica diffusa non è confusione nello spazio ma allargamento di persone e di idee. Fare rete piuttosto che preoccuparsi di stare in un buon posto nella rete.

Poi c’è la vita: e quest’anno la vita mi ha aperto stanze meravigliose e fresche, mi ha sbattuto in faccia porte che mi hanno fatto male e insegnato l’impegno e l’etica degli affetti. Vorrei imparare ad essere coraggioso senza bisogno di baldanza, vorrei fare pace con i dolori che non ho mai voluto guardare negli occhi, vorrei essere capace di sorridere di avere un fratello trentaquattro anni dopo che lo siamo stati prima di non saperlo fino ad oggi, vorrei togliermi l’alibi della solitudine per nascondere la cura che non mi voglio prendere, vorrei trovare le parole per spiegare ai miei figli che le scelte sono i mattoni necessari per i muri portanti della dignità, vorrei ascoltare chi ho deluso, ascoltarli per ore senza avere la debolezza di interromperli per giustificarmi, vorrei convincere più gente possibile che restare umani paga, e vorrei convincermene anch’io, vorrei avere l’intelligenza di perdonare con durezza e difendermi senza la macchia della vendetta, vorrei riconoscermi e farmi riconoscere in quello che faccio, quello che dico e quello che scrivo senza lasciare spifferi per dietrologie e isterismi.

Vorrei anche avere usato il “voglio” e non il condizionale ma non voglio tornare indietro a correggere le ultime righe. Le tengo così, come un impegno più che non un intento. Per non morire d’intenti. Con intenzioni serie.

Che sia un buon 2013.

 

 

Milano connection

In scena, da Repubblica
Giulio Cavalli debutta alla Cooperativa con “Duomo d’onore”, monologo con la regia di Renato Sarti
Milano connection
“La mafia è sotto casa al bar e al supermarket”
SIMONA SPAVENTA
«NON bisogna aver paura di ciò che non si conosce, ma di quello che si crede vero ma non lo è». Cita Mark Twain Giulio Cavalli che, dopo aver raccontato la mafia a Milano tre anni fa in A cento passi dal Duomo, quando ancora le indagini non avevano smascherato le infiltrazioni della ‘ndrangheta in città, oggi porta a teatro un nuovo capitolo di quella inchiesta, svelando la criminalità invisibile che si cela nel nostro quotidiano. Lo fa con Duomo d’onore, da stasera al teatro della Cooperativa. Un monologo scritto con l’aiuto un gruppo di giornalisti — daGianni Barbacetto a Mario Portanova — per la regia di Renato Sarti.
Lei è stato profetico: nel luglio 2010 l’operazione Crimine Infinito ha portato a 300 arresti di mafiosi in Lombardia.
«Parto proprio da lì. Prima si negava l’esistenza della ‘ndrangheta a Milano, da Crimine Infinito si sono scatenati sdegno e preoccupazione. Ora, però, ci vuole “occupazione”: bisogna occuparsene. Il lavoro nasce per questo. Qui non c’è più la bulimia di dare informazioni, né l’obbligo al teatro-giornale. Torno a fare il narratore puro».
Che cosa racconta?
«Racconto delle storie, dei pezzi di quotidianità. Tutti abbiamo mangiato dagli “unti”, ma non tutti sanno che dietro a quegli hot dog c’è la ‘ndrangheta, il racket dei paninari. Entro nei bar, dove ci sono i videopoker controllati dai Casalesi, parlo dei compro oro, del riciclaggio, dei bar e dei ristoranti comprati e rivenduti, degli ipermercati così vicini da non aver clienti, assediati dal racket del facchinaggio».
La mafia è sotto casa, insomma.
«Il nostro è sano terrorismo psicologico. Vorrei che le signore tornassero a casa e leggessero i nomi dei vicini sui citofoni, sarebbe un bene in una regione narcotizzata come la nostra. Perché la mafia è tra di noi. E non bisogna essere profeti né eroi per mantenere allenato il muscolo della curiosità».
Lei, però, continua a vivere sotto scorta.
«Le minacce sono una cosa continua, ma per fortuna i miei tre bambini non lo sanno, vivono con serenità. Chi me lo fa fare? La volontà di essere intellettualmente onesto. E, gramscianamente, la gioia di non essere indifferente».
I casi di collusione con la politica sono stati eclatanti. Li tocca?
«Impossibile non parlare di Zambetti, uno che piange minacciato dai boss da cui aveva comprato voti, peraltro facendosi fregare sul prezzo. Una di quelle storie che se accade in Calabria o in Sicilia, noi sorridiamo superiori e distaccati. Invece è accaduto qui. Lo tratto come fosse un argomento da bar, perché le quote comiche non mancano nello spettacolo. E ogni risata su un boss fa bene, ne sgretola l’onore».
Lei è consigliere regionale per Sel. Non c’è il rischio comizio?
«Dopo un ventennio di conflitti d’interessi anti-etici rivolti a lobby ristrette e poco legali, trovo bellissimo e coltivo volentieri un conflitto d’interesse tra palcoscenico e bellezza, dove la lobby è quella degli spettatori. Sulle primarie della sinistra preferisco non far commenti, ma le dico una cosa: continuerò a far politica. Sarò uno “scassa minchia”, per dirla con Impastato».

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Bonifica Caffaro a un’impresa indagata per i fondi neri a Nicoli Cristiani

Un’impresa coinvolta nell’inchiesta sui fondi neri a Nicoli Cristiani si occuperà della bonifica di un’area Caffaro. Per la bonifica dei giardini di via Nullo, contaminati da diossine e Pcb, lo scorso 29 novembre il Comune di Brescia ha incaricato la ditta “Vezzola” di Lonato, il cui consigliere delegato, Stefano Vezzola, è indagato dai magistrati di Brescia per aver versato illecitamente 20mila euro all’ex vicepresidente del Consiglio Regionale del Pdl Franco Nicoli Cristiani. La “Vezzola” è una delle imprese impegnate nella costruzione dell’autostrada “Brebemi”, per cui starebbe effettuando lavori per un appalto superiore ai 50 milioni di euro. Ora si dovrà occupare di asportare terreno contaminato da Pcb fino a 140 volte oltre i limiti su un’area di 7mila mq accanto all’industria chimica “Caffaro”. La bonifica dei giardini di via Nullo era già stata fermata dalla magistratura nel 2009, perché la ditta “Moviter”, incaricata dal Comune, falsificava le bolle di trasporto per smaltire illegalmente il terreno in una cava nella bassa bresciana. L’amministratore della “Moviter” è stato poi condannato per smaltimento illecito di rifiuti, e del caso si è occupata nel maggio scorso anche la Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole Gaetano Pecorella. Dopo il caso “Moviter” era stato chiesto al Comune di non affidare i lavori a chi offre il massimo ribasso sull’importo dell’asta pubblica: ma il nuovo appalto è stato vinto dalla “Vezzola” grazie a un’offerta al ribasso del 28%, addirittura superiore al 25% offerto a suo tempo dalla “Moviter”.

Andrea Tornago

Radio Popolare, Notizie da Milano e dalla Lombardia, 10-12-12

Si sono incagliati gli sms solidali

Gli sms solidali per il terremoto dell’Emilia, Veneto e Lombardia si sono incagliati in una burocrazia che ha perso il cuore da decenni ma non manca occasione di perdere anche la faccia. Come racconta Vita.it i Presidenti di Lombardia, Veneto e Emilia non si sono ancora accordati sulla ripartizione e la Protezione Civile sta aspettando che quei soldi diventino ricostruzione.

Chissà perché appena passata l’ora delle interviste, delle inaugurazioni e dei moti di solidarietà che poi le cose si facciano per davvero non sembra interessare a nessuno. Chissà perché non fa notizia L’Aquila e tutta quell’Italia ricostruita per le fotografie di rito e poi lasciata con le carriole di fianco ai muri sbriciolati. Di un paese tutto a metà dove “iniziare” basta da solo a concimare il consenso.

Serve il coraggio, in Lombardia

Ci vuole coraggio. Scegliere di provare a scostarsi dal luogo di osservazione dove per comodità si sono ammassati tutti come comari e provare a guardare la Regione Lombardia con occhi nuovi: dalle strade, dalle piazze e in mezzo ai presìdi, tra la gente, per dire. E forse sarebbe anche ora di provare a rivendicare il primato di questa politica così bistrattata, millantata e stropicciata da interessi minuscoli di botteghe coagulate da venti anni di mani sottobanco e sempre anticipata dall’intervento di una magistratura che fotografa le macerie di un sistema politico che è diventato schiavo delle sue maschere.

La crisi del formigonismo non è una crisi giudiziaria, su questo dobbiamo metterci d’accordo per non cadere nella tentazione di accettare un modello politico che nasce antisolidale al di là degli eventuali illeciti dei propri interpreti: oggi in Lombardia (e non solo) la crisi è profondamente politica, è il fallimento del potere che vuole diventare sistema e finisce per alimentare oligarchie, diseguaglianze e disgregazione sociale.

Nella sanità le vicende del San Raffaele, prima ancora della clinica Santa Rita e per ultime quelle che riguardano la Fondazione Maugeri raccontano di una discrezionalità del Governatore (esercitata con “le carte a posto”) che ha finanziato lautamente servizi ai cittadini che oggi rischiano di risultare compromessi per mala gestione privata: una spaventosa ricaduta pubblica causata dalla dissennatezza privata mostra il fianco di un’architettura organizzativa che scarica i costi e le colpe sulla comunità. Nel caso del San Raffaele qualche giorno fa l’Assessore Bresciani ha avuto modo di dirci in Commissione Sanità che “la faccenda occupazionale non riguarda la Regione essendo una struttura sostanzialmente privata” e la difesa patetica svela perfettamente l’inceppamento che ha incagliato il motore della Lombardia: il denaro dei cittadini lombardi viene affidato a strutture private e le responsabilità politiche possono finire tranquillamente in un cassetto. Senza risposte. Senza assunzioni di responsabilità. Senza spiegazioni.

E credo non sia un caso che proprio in Lombardia stiano spuntando torbide figure professionali con evidente “peso politico” che sono proprie di tempi che si speravano passati. Nel processo Andreotti c’è un’interessante deposizione di Tommaso Buscetta che racconta una Sicilia dove politica, imprenditoria e Cosa Nostra si incontrano, ognuno con la propria spericolatezza, nella penombra degli interessi convergenti che soddisfano tutti. Dice Buscetta che i protagonisti di questo sistema che vive più tra le pieghe che nei luoghi ufficiali sono “gli amici degli amici”, quelli che “in ogni momento possono fare capire di essere vicino alla gente che conta”. Quando saltano i meccanismi di trasparenza e democrazia (ovvero quando la politica decide di essere socia d’impresa) i “faccendieri” sono gli anelli di congiunzione dei poteri che hanno bisogno di mettersi d’accordo. Per questo la vicenda Daccò è una storia intollerabile per il malcostume che rappresenta, al di là delle ricevute e delle barche di lusso.

Sotto la gonna della sussidiarietà sventolata da Formigoni e la sua banda c’è la solidarietà svenduta per poche lire ai soliti noti. Succede nella sanità, nella scuola, nei grandi appalti delle inutili infrastrutture, nella gestione del territorio nel consenso ammansito dalle periodiche regalie.

E allora ci vuole coraggio. Ci vuole anche il coraggio di porre le domande giuste. Una volta per tutte.

I soldi dati in questi anni alla sanità e alla scuola privata avrebbero costruito eccellenze pubbliche di cui essere fieri tutti e non qualche cerchia? Una seria legge sul consumo di suolo avrebbe impedito i PGT costruiti su misura per insoliti noti come la vicenda Ponzoni insegna? Un chiaro piano industriale regionale potrebbe evitare i soliti disperati e inefficaci interventi tampone? È possibile uscire dal linguaggio delle cose e tornare alle persone? Smettere di parlare di lavoro senza tenere conto dei lavoratori? Spogliare il PIL regionale su cui tutti si immolano dal doping del riciclaggio? Svincolare la cura dal profitto e tornare ad investire sulla prevenzione? Ricostruire una sanità ormai ospedalocentrica partendo dai presidi di medicina di base nei territori? Pensare ad una mobilità dolce che non abbia bisogno di più cemento ma di trasporto pubblico? Chiedere cultura, pretendere cultura, rivendicare il valore d’impresa e occupazione che sta dietro alla cultura? Occuparsi dell’accesso alla rete in zone con mastodontiche tangenziali e senza banda larga? Dirsi che i diritti civili sono di solito i diritti degli altri?

Ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di riconoscere che il centrosinistra ha fallito perché troppo spesso ha inseguito i formigonismo di maniera volendo solo sostituire gli interpreti (ne è un esempio chiaro il penatismo che si è saputo pensare solo sistematico e sistemistico allo stesso modo con la sola differenza di essere fallimentare anche dal punto di vista elettorale). Ci vuole il coraggio di non sopportare più chi propone lo stesso modello promettendo una gestione più etica. Ci vuole il coraggio di dichiarare (alzando la voce, se serve) che un’alternativa si costruisce solo percorrendo le diversità, con compagni di viaggio che vogliano arrivare là dov’è il posto che ci prendiamo la briga di raccontare e volere raggiungere. E ci vuole il coraggio di rinunciare all’autopreservazione a mezzo di alchimie algebriche, alleanze matematiche più che di intenti e riciclaggio di facce che hanno già avuto l’occasione e l’hanno persa, ci vuole il coraggio di uscire da un centrosinistra con cinquanta sfumature di grigio che corteggia pornograficamente le segreterie prima dei cittadini.

Noi siamo in viaggio. Questo è il nostro viaggio. Il viaggio nel coraggio di sinistra che ancora è diffusa in tutte le città della Lombardia.

Scritto per MilanoX

‘Ndrangheta in Lombardia: operazione “Ulisse”. Facciamo il punto.

L’omertà

Il dato sconfortante che emerge dallo sviluppo delle inchieste Infinito e Crimine, e che ha portato oggi all’esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare volte a smantellare le cosche di ‘ndrangheta radicate tra Milano e Monza, è sempre lo stesso: l’omertà degli imprenditori vittime di estorsione e usura. Piuttosto a dare un contributo fondamentale alle indagini, da quanto trapela da ambienti investigativi, è arrivato da un nuovo pentito. Si tratta di Michael Panaija, 37enne arrestato l’11 aprile 2011 perché ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Carmelo Novella, il capo della “Provincia” lombarda (l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta in Lombardia) ucciso il 14 luglio 2008 a San Vittore Olona perché voleva la scissione dalle cosche calabresi. A farne il nome come uno dei presunti esecutori era stato il collaboratore di giustizia Antonino Belnome. Era stato lui a snocciolare il suo e i nomi di altre 18 persone arrestate nel 2011 perché avrebbero avuto un ruolo – come mandanti, come esecutori, come fiancheggiatori, o come basisti – nell’omicidio Novella e in altri tre omicidi commessi nell’ambito delle guerre interne alla ‘ndrangheta per il predominio sul territorio e come ritorsione per i fatti di sangue. Si tratta dell’omicidio di Rocco Cristello, avvenuto il 27 marzo 2008 a Verano Brianza; di quello di Antonio Tedesco, ucciso il 27 aprile 2009 a Bregano, il cui corpo è stato trovato mummificato sotto due metri di calce e terra in un maneggio (è stato riconosciuto da una catena d’oro) ; e di quello di Rocco Stagno, fratello del più potente Antonio Stagno, avvenuto il 29 marzo 2010 in un cascinale a Bernate Ticino, il cui cadavere invece non è ancora stato trovato. Ora Panaija risulta aver svelato dettagli sulla reazione delle cosche lombarde dopo il maxi blitz che a Milano, nel luglio 2010, aveva portato all’arresto di oltre 170 persone, 110 delle quali già condannate con rito abbreviato. Le cosche di Giussano e Seregno avrebbero proseguito sia i traffici di droga, sia le estorsioni e lo strozzinaggio di piccoli imprenditori locali, soprattutto di origine calabrese. Oggi in manette sono finiti Ulisse Panetta, il presunto boss proprio della locale di Giussano, e alcuni appartenenti alle famiglie Cristello e Corigliano. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena. Le ordinanze sono firmate dal gip Andrea Ghinetti.

Le estorsioni e i nomi

Le accuse per i 37 indagati arrestati stamani dai carabinieri del Ros a Milano e provincia sono di associazione mafiosa, porto e detenzione illegale di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), usura ed estorsione, aggravati dalle finalita’ mafiose. I provvedimenti di custodia cautelare scaturiscono da diversi filoni investigativi avviati dal Ros a seguito dell’indagine ‘Crimine’ che ha portato nell’aprile 2011 all’arresto di 11 affiliati alle ‘ndrine di Seregno e Giussano. Tra questi c’erano anche gli autori dell’omicidio di Rocco Cristello, Carmelo Novella, Antonio Tedesco e Rocco Stagno, tutti commessi in Lombardia tra il 2008 e il 2010 nell’ambito delle faide tra le cosche Gallace e Novella di Guardavalle (Catanzaro). Le indagini hanno svelato le attivita’ delle cosche al Nord: traffico di droga, usura ed estorsioni. Numerosi gli episodi di questo tipo raccolti dai militari. A partire dal 2007, quando le vittime dell’estorsione furono i titolari della concessionaria di auto ‘Selagip 2000′ di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l’esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E’ del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalita’ intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffre’, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.

Il ruolo di Ulisse Panetta a Giussano

Dall’agosto 2010, in seguito al maxi blitz delle operazioni Infinito e Crimine che il mese prima avevano portato all’arresto di circa 300 persone in Lombardia e in Calabria, è Ulisse Panetta ad assumere il comando dell’associazione mafiosa facente capo alla locale di Giussano in qualità di vice di Michael Panaija, arrestato l’11 aprile 2011. Lo scrive il gip Andrea Ghinetti nell’ordinanza di arresto che oggi ha colpito lo stesso Panetta e altre 36 persone. Dall’agosto 2010, si riassume nel capo di imputazione, Panetta fa carriera. Già “in possesso della dote del vangelo, dapprima ‘contabile’ e ‘mastro di giornata’, quindi, dopo l’arresto di Belnome, ‘capo società’, diventa il “capo e organizzatore” della locale di Giussano. Di conseguenza, “sovrintende alla gestione dell’armamento in dotazione della locale, comprensivo di armi corte, lunghe, esplosivo e munizionamento, parte del quale è stato a lui sequestrato nel febbraio 2012, alla scelta del luogo di occultamento ed alla individuazione delle persone deputate di volta in volta a servirsene. Mantiene i contatti con gli esponenti delle famiglie di riferimento in Calabria, mandando e ricevendo ‘ambasciate’. Provvede a mantenere i contatti con le famiglie degli arrestati della locale sia a seguito degli arresti del luglio 2010, sia di quelli dell’aprile 2011. Partecipa ai summit sopra indicati nel corso dei quali vengono conferiti a lui stesso e ad altri doti e cariche. Partecipa alla pianificazione delle attività criminali della locale percependone anche parte dei proventi”. Antonino Belnome è il pentito che per primo ha fatto luce sull’omicidio di Carmelo Novella, ex capo della “Lombardia”, l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta nella regione.

Il bunker

Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata. Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell’ordine, identico a quelli di ‘ndranghetisti latitanti dell’Aspromonte. La novita’ e’ che il nascondiglio si trovava nel profondo Nord, a Giussano, piccolo comune della Brianza. Per la precisione in via Boito 23, dove il boss Antonio Stagno, di 44 anni, originario di Giussano e attualmente detenuto nel carcere di Opera per altri motivi, aveva la sua residenza. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando – ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci – come quelli che siamo soliti trovare in realta’ come San Luca o Plati’. Per gli investigatori e’ un dato molto importante perche’ dimostra l’ulteriore passo in avanti della ‘ndrangheta al Nord, ormai cosi’ a proprio agio da esportare tecniche ritenute esclusiva delle zone d’origine. Il procuratore aggiunto del Tribunale di Milano, Ilda Boccassini, ha aggiunto che questo e’ momento di cambiamento per le ‘ndrine, con i giovani che stanno prendendo il posto degli ”anziani”. Nonostante cio’, pero’, resistono le tradizioni come quella dei bunker, di cui i calabresi sono considerati esperti costruttori.

Le minacce: i coltelli al ristorante

Rocco mi punto’ contro anche un coltello, il coltello da tavola del ristorante”. Cosi’ una delle ‘vittime’ delle estorsioni messe in atto dalle cosche della ‘ndrangheta di Giussano e Seregno, in Brianza, smantellate oggi con l’operazione ‘Ulisse’ condotta dai carabinieri del Ros, ha raccontato agli inquirenti della Dda di Milano l’ ‘umiliazione’ che subi’ quando nella sala di un locale venne preso anche a ”pugni e schiaffi al volto da parte di quasi tutti i commensali”, tra cui il presunto boss del clan di Seregno, Rocco Cristello, uno dei 37 arrestati. Nelle oltre 230 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, viene riportato anche il ‘capitolo’ della ”estorsione nei confronti di Gioffre’ Roberto”, ovvero le ”modalita’ estorsive attraverso le quali i due maggiori esponenti della locale di Seregno, ovvero Cristello Rocco e Formica Claudio (rispettivamente capo locale e capo societa’) si ‘appropriarono’ del locale chiamato ‘Casino’ Royale’ di Paina di Giussano, piu’ volte emerso nell’indagine ‘Infinito’ come luogo abituale di appuntamento degli affiliati”. La ‘vittima’ dell’estorsione, l’imprenditore Roberto Gioffre’, ha spiegato nella sua denuncia e nelle sommarie informazioni ai pm di aver dovuto incontrare nel 2009 in un ristorante di Seregno i presunti boss per cercare di ‘resistere’ alle vessazioni. ”Gioffre’ – scrive il gip Andrea Ghinetti – si reco’ all’appuntamento accompagnato dal fratello Francesco, consigliere comunale a Seregno”.

Appena entrati nel locale, Gioffre’ venne aggredito da Rocco Cristello che gli grido’: ”tu sei un pezzo di m…”. L’imprenditore disse agli uomini del clan che non avrebbe consegnato i ”50 mila euro” richiesti e per tutta risposta venne preso a ”pugni e schiaffi” al tavolo del ristorante. Poi il coltello puntato contro che fece reagire il fratello di Gioffre’, consigliere comunale. Cristello Rocco a quel punto, ha raccontato Gioffre’, ”lancio’ un’occhiata eloquente a mio fratello dicendogli ‘Franco, fatti i cazzi tuoi’, frase che fece desistere mio fratello”. L’importo totale ”di denaro” estorto a Gioffre’, sintetizza il gip, ”ammonta a 70 mila euro”. E’ questo l’unico dei 4 episodi di usura ed estorsione riportati nell’ordinanza nel quale la ‘vittima’ ha denunciato le vessazioni subite dai clan della ‘ndrangheta. Negli altri casi, invece, come si legge nell’ordinanza, gli imprenditori si limitavano al massimo a pronunciare al telefono, intercettati, frasi come ”mi hanno condannato a morte mi hanno detto (…) sono un morto che cammina”. Uno dei pentiti ‘chiave’ delle indagini di ‘ndrangheta degli ultimi mesi in Lombardia, Antonino Belnome, ha spiegato a verbale ai pm della Dda di Milano che ”la scelta delle persone da sottoporre ad estorsione nel territorio lombardo ricadeva quasi sempre (…) su imprenditori di origine calabrese in quanto maggiormente inclini per mentalita’ a sottostare alle richieste estorsive senza coinvolgere le forze dell’ordine”. Non solo, spiega ancora il gip riportando le parole di Belnome, ”le vittime, di solito e per risalente consuetudine, si rivolgono ad esponenti della criminalita’ organizzata del paese d’origine perche’ svolgano un ruolo di mediazione (e non gratis, ovviamente)”.

Il politico che nega

Francesco Gioffre’, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento ”vicino alla connivenza”, tento’ ”di minimizzare” con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della ‘ndrangheta dei Cristello. Lo scrive il gip di Milano, Andrea Ghinetti, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 37 persone, eseguita oggi da carabinieri del Ros e del comando provinciale. ”Un discorso a parte – scrive il gip – meritano le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, opaco fratello della vittima ed unica ‘voce fuori dal coro’ il quale, sentito a s. i.t. (sommarie informazioni testimoniali, ndr) il 26 aprile 2011, pur ammettendo di conoscere i fratelli Rocco e Francesco Cristello (che sostiene di avere aiutato per una pratica presso il comune nel quale egli stesso e’ consigliere comunale), ha tentato in ogni modo di minimizzare la portata dei fatti giungendo quasi a prendere le difese dei Cristello, sino al punto di dirsi estremamente stupito nell’apprendere la notizia del loro arresto del luglio del 2010”, nell’ambito del maxi-blitz ‘Infinito’. ”E’ di tutta evidenza – si legge ancora nell’ordinanza – alla luce delle risultanze investigative sopra esposte, che le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, nella parte in cui contrastano con quelle del fratello Roberto, non possono ritenersi credibili ma debbono al contrario essere inquadrate nel medesimo clima di intimidazione del quale e’ stato vittima anche Roberto Gioffre’, che ha evidentemente portato i due fratelli a reagire in modo diametralmente opposto”. Mentre uno dei due fratelli Roberto ”ha scelto di denunciare i fatti con rischio personale che lo ha portato a temere talmente tanto per se’ e per i suoi familiari da decidere di lasciare il Paese per trasferirsi all’estero, il politico locale Gioffre’ Francesco ha fatto una scelta diversa, vicino alla connivenza, piu’ in linea con quella gia’ riscontrata in altri casi oggetto della presente misura cautelare”

 

Operazione ‘Ulisse’: la Lombardia si sveglia con 37 arresti per ‘ndrangheta

I carabinieri del comando provinciale di Milano stanno eseguendo 37 ordinanze di custodia cautelare nell’ambito di un’operazione, denominata ‘Ulisse’ contro clan della ‘Ndrangheta in Lombardia. I provvedimenti, emessi dalla procura distrettuale antimafia di Milano, riguardano i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di armi, usura ed estorsione, tutti reati aggravati dalle finalita’ mafiose. Le indagini sono originate dagli approfondimenti di un’altra operazione contro l’associazione mafiosa denominata ‘Crimine’ e, secondo gli investigatori, hanno consentito di documentare le dinamiche criminali delle proiezioni extraregionali della ‘ndrangheta in Lombardia, il loro solido legame con le cosche di origine ed il controllo delle aree di influenza attraverso il ricorso alla violenza e alla intimidazione. I particolari delle indagini saranno forniti dagli investigatori in una conferenza stampa che si terra’ questa mattina alle 11 nel Comando provinciale dei carabinieri di Milano.

“La mafia è nei nostri consigli comunali”

Articolo de l’inform@zione. Mensile dell’alto milanese, di Silvia Bellezza:

FAGNANO: GIULIO CAVALLI ALLA FESTA DI SEL

FAGNANO OLONA – Festa provinciale di Sel (Sinistra Ecologia Libertà) a Fagnano Olona. Ospite della tre giorni all’area di via De Amicis, il Consigliere regionale Giulio Cavalli che ha parlato di legalità, mafia e n’drangheta in Lombardia, insieme a Massimo Brugnone, coordinatore regionale di Ammazzateci Tutti.
“Non accetto che si dica che in Lombardia la mafia è nata negli ultimi anni – ha esordito Cavalli – il vero problema è che la criminalità organizzata attecchisce qui da noi perché siamo poco abituati ad allenare il muscolo della curiosità: abbiamo perso soprattutto la capacità di essere popolari, di accendere l’appetito in tutte quelle persone ancora convinte che la mafia sia un fenomeno esotico, da ricercare al di fuori della nostra regione.
Questo è il frutto che un ventennio di federalismo ha instillato nel nostro territorio. Siamo in un paese in cui la mafia è riuscita ad infiltrarsi nei nostri consigli comunali e ad alfabetizzarsi molto più di noi all’interno delle nostre aule. Se la criminalità organizzata diventa più forte della politica, va sconfitta con l’ultrapolitica”.
E ha concluso: “Dobbiamo pretendere che quando la politica fa affari con l’iniziativa privata ci debba delle spiegazioni. Vinceremo solo se saremo in grado di costruire chiavi collettive”.
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La #cosaseria in Sicilia: cosa succede intorno a Fava

Dunque, tra le osservazioni che sono arrivate al nostro appello Facciamo la Cosa Seria ci sono immancabilmente quelle degli analisti politici. Loro li riconosci subito dalla quella faccia che dice “la politica è un’altra cosa e non è cosa per il popolo bue” e dal fatto che non arrivano mai con le proprie osservazioni alla fonte ma attraverso tortuosissimi sentieri di pretoriani che fanno da sponda.

La Cosa Seria, secondo loro, non funziona perché servono i numeri. E’ la stessa frase che mi disse un alto dirigente PD in Lombardia quando mi confermò che loro dialogano con l’UDC perché a differenza mia volevano vincere (che poi, dico l’UDC piacerebbe sapere a tutti quanto pesi elettoralmente in questo momento perché credo che un alieno che legge le cronache degli ultimi mesi sia portato a pensare che sia un monolite da 50/60% di consensi) e per vincere bisogna, mi ammonì severo, stare tutti insieme: affermazione inquietante in politica, dove ognuno ha il compito di rappresentare le differenze per potere tutelare tutti. Insomma gli analisti politici (dalemiani nell’oratoria e nella postura, di solito) dicono che la Cosa Seria pone un veto e non funziona e se gli si risponde che in realtà vorrebbe togliere il veto al blocco più di sinistra di questo Paese controbattono che la coalizione si fa con i partiti di Governo e non con le meteore populiste o veterocomuniste (che tutti insieme tra l’altro pesano ben più dell’UDC, ma la matematica degli analisti non ha le regole della matematica degli ingenui come noi, si vede).

Intanto succede che in Sicilia Claudio Fava dica a chiare lettere che discontinuità significa evitare ammucchiate e rompere davvero con il passato. Una posizione politica chiara: no al Cuffarismo, nessun credito alla conversione dell’UDC siciliana e a malincuore no al PD che cerca sponde con loro. Assomiglia tanto alla Cosa Seria, verrebbe da dire.

E un sondaggio di Pagnoncelli dice che Fava sarebbe in testa in una corsa in cui la corazzata PD-UDC amata dagli analisti risulta addirittura terza.

Non so se Claudio Fava ce la farà (e ci torneremo, e faremo di tutto perché accada) ma a volte succede che i numeri assomiglino davvero ad un comune sentire così lontano dagli strateghi forse un po’ logori e sordi. Ed è una piacevole e confortante evoluzione. In attesa delle cose lombarde. Anche.