“Il governo dà i soldi a Barbareschi e dimentica gli altri teatri”: la lettera del Teatro di Roma
Questa è la lettera che hanno scritto il presidente Emanuele Bevilacqua e il direttore Antonio Calbi del Teatro di Roma sulla vicenda degli 8 milioni al Teatro Eliseo
Illustre Presidente Gentiloni,
Illustri Presidenti Boldrini e Grasso,
come sapete, lunedì 29 maggio scorso, alla Camera dei Deputati, è stato approvato un emendamento inserito nella “manovra correttiva” della Legge Finanziaria che regala ben 8 milioni di euro in 2 anni al Teatro Eliseo di Roma, un contributo pubblico concesso fuori da ogni regola e contro il parere del Ministro del Bilancio Padoan e del Ministro della Cultura Franceschini. Ciò che è accaduto è un vero e proprio atto di “sfascismo”, permetteteci il neologismo, uno sfregio nei confronti della nostra già fragile Democrazia. Garantendo una cifra così cospicua di danaro pubblico, in modo del tutto discrezionale, a un teatro privato e che oggi, dopo un cruento cambio di gestione, continua nella sua forma giuridica a essere un’impresa privata (e che a sua volta gestisce un teatro di proprietà privata), gli Onorevoli Deputati hanno: 1. inferto un colpo ferale alla regola dell’equità di trattamento delle diverse istituzioni culturali del Paese; 2. messo in luce la mancanza di visione complessiva del sistema teatrale della Nazione; 3. vilipeso il Decreto Franceschini, che dal luglio 2014 regola il settore dello spettacolo dal vivo. Disorienta il fatto che gli Onorevoli Deputati si siano lasciati irretire, con colpevole superficialità, da due loro colleghi, uno del Pd e uno di Forza Italia, firmatari di un provvedimento ad personam, destinato prima che a un’istituzione di interesse culturale, a un impresario privato, che non deve rispondere se non a se stesso, a differenza delle istituzione culturali pubbliche.
Il sostegno e il soccorso alla cultura è doveroso e necessario ma deve rispettare leggi e regolamenti. Nel caso specifico l’iter adottato viola palesemente tutto questo e risulta del tutto forzato: inserirlo nella manovra correttiva, che in Senato sarà verosimilmente approvata con la fiducia, ne garantisce il buon esito. Il quantum, poi, è vergognosamente fuori scala per un teatro la cui nuova gestione è partita soltanto a fine 2015 ed è già in affanno. La tragica commedia che si è consumata alla Camera ha hypocrites di professione e comparse ingenue: la garanzia della copertura in bilancio assicurata dal viceministro all’Economia è verosimilmente stata interpretata dagli Onorevoli Deputati come un via libera all’avallo del contributo straordinario rivendicato dal nuovo patron del Teatro Eliseo. Il risultato è un puro utilizzo privato del potere pubblico. Vi domandiamo se gli Onorevoli Parlamentari abbiano contezza delle numerose istituzioni e imprese culturali in stato di sofferenza del Paese, chiuse o sull’orlo del fallimento? Sanno gli Onorevoli, che un Teatro Pubblico come lo Stabile di Catania è praticamente fallito? Che il Teatro Valle, il più antico teatro della Capitale (1727), di proprietà pubblica, a oggi può contare su un quarto del fabbisogno economico necessario al suo restauro? Sanno che Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, non ha un teatro agibile e le altre infrastrutture necessarie a non sfigurare a livello internazionale, a un anno e mezzo dall’evento? Sanno che il Teatro di via Nazionale a Roma, rivendica un contributo pubblico annuo per la sua gestione, oltre agli 8 milioni straordinari per ripianare i debiti, assai superiore a quello che ricevono molti teatri pubblici, i quali continuano a perseguire le proprie missioni, rispettando, con ardito sforzo, i parametri fissati per loro dalla legge?
Ogni museo, auditorium, cinema, teatro, biblioteca che chiude è un colpo inferto alla nostra civiltà, che della cultura ha fatto un valore e un bene imprescindibile. Nell’aiuto di Stato a un singolo teatro, a vocazione privata, non c’è alcun eroismo perché con esso vengono lese equità, trasparenza, equilibri, dando un nuovo esempio di cattiva politica, di subalternità al richiedente di turno travestito da guascone. Non si creda, dunque, di aver onorato l’Articolo 9 della nostra Costituzione: al contrario, con lo strabico voto alla Camera esso è stato reso vacuo, perché, oggi, ognuno è legittimato a rivendicare qualsiasi cosa, ad agire in ordine sparso, ricorrendo a scorciatoie e stratagemmi, ad appoggi e conoscenze dirette, pur di ottenere l’ingiusto a fini squisitamente personali. Magari per acquistare un teatro privato da privato cittadino, senza dover dar conto a chicchessia. Ma con fondi pubblici.
Quante altre imprese culturali private sono in difficoltà e non beneficiano di aiuti di Stato elargiti “fuori sacco”? Perché un intervento ad hoc per il Teatro Eliseo e per gli altri no? Perché cedere alle lusinghe furiose di un ex parlamentare – trasformatosi ora anche in direttore di teatro, accanto alle attività di produttore per la tv e il cinema, e che bene conosce non solo i corridoi e le stanze dei poteri ma anche le pieghe di un bilancio di Stato -, e non avere orecchi per altri? In Europa si tratterebbe di concorrenza sleale, di posizione di vantaggio, mentre da noi è pratica spudoratamente resa lecita. A furia di procedere a colpi di emendamenti, di Milleproroghe (un nome, un programma!), di manovre correttive, si delegittima la linearità della politica: sono strumenti col tempo distorti e abusati al limite della costituzionalità e dove possono esservi nascosti, in modo opaco o occultati fra infiniti altri emendamenti, interventi che scompaginano un intero sistema, incentivano al non rispetto delle leggi, invitano a usare il ricatto e l’urlo. L’emendamento pro Eliseo ha tutta l’aura dell’abuso di potere, di ruolo, di spreco di danaro pubblico: chi garantisce che l’investimento vada a buon fine? E qual è il fine ultimo?
Con questo gesto iniquo si è inoltre svilito il ruolo e il lavoro delle associazioni di categoria, Agis, Federvivo, Platea. E non ci si risponda che ora, grazie a questo emendamento ad aziendam, tutte le imprese culturali e artistiche del Paese potranno ricorrere agli stessi aiuti straordinari perché sappiamo bene che questa via non è praticabile, sia sul piano economico sia sul piano giuridico. La regola civile insegna ad agire in lealtà e nel rispetto delle regole, sale primo di una società democratica. Noi, nonostante tutto, ci crediamo ancora e vogliamo continuare a onorare la nostra personale e comune etica. L’amarezza è tanta, ma anche la certezza che urge voltare pagina una volta per tutte, con una legge, in fase di elaborazione, che contempli e regoli anche il soccorso alle imprese in difficoltà. Vi chiediamo, dunque, alla luce di quanto accaduto, di vigilare ancora più serratamente sui meccanismi che regolano il lavoro del Parlamento, e di ricondurre a rigore, trasparenza, equità, legittimità le azioni degli Onorevoli Deputati e Senatori, da tutti noi eletti nostri rappresentanti.
Emanuele Bevilacqua, presidente
Antonio Calbi, direttore
Teatro di Roma Teatro Nazionale