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luigi de magistris

La forma del voto

Ho voluto aspettare un paio di giorni poi ho pensato che sono due giorni persi per il ballottaggio di Luigi a Napoli e Giuliano a Milano: il voto potrà avere forma compiuta dopo i ballottaggi che ci diranno chiaramente alcune cose.

Innanzitutto si è inceppata la Lega (lo analizza bene Pippo qui) e questo costringerà le camicie verdi a cominciare a parlare d’altro che non siano rom o federalismo. Che il calo avvenga poi proprio nel momento in cui il sogno del “federalismo” viene dato in piena fase di realizzazione rende il tutto ancora più complicato. Ieri un rappresentante leghista mi diceva “la Moratti deve ammettere di avere sbagliato”, sono anni che la Lega non usa (e non aveva bisogno di usare) il “noi” sul tema delle responsabilità, ora devono imparare a farlo con urgenza. E addossare tutte le colpe al PDL regge poco: i due candidati sindaci espressi da Bossi & co. (a Bologna e a Torino) non hanno superato il 30%. E lì non c’era di mezzo nessuno, solo dirigenti espressi dal partito, tutti indigeni padani.

Milano e Napoli sono due venti magici. Giuliano ha cementato una coalizione che si è ritrovata unita (l’unità della sinistra, questo miraggio evocato da secoli…) e ha accompagnato un candidato che non è mai caduto nella trappola di etichettare e circoscrivere la campagna elettorale. Giuliano non si è fatto rinchiudere nell’antiberlusconismo, nella destra contro la sinistra o nella faida tra i vari sponsor nazionali (come avrebbe voluto Berlusconi): Giuliano è un elegante aggregatore. Nel suo comitato elettorale il giorno dei risultati si è rivista insieme gente in eterna lotta fratricida rinfrancata dal comune obbiettivo. O dall’obbiettivo comune. Uno stare insieme che non ha avuto bisogno di forzature o algebriche mediazioni: stare insieme per fare un’altra città. Ora i berluscones ricominceranno con il fango ma questo voto dice già che c’è un rinnovato disgusto per la delazione e le bugie. E Pisapia ha proposte e sue verità buone (e umili) da trasformare in progetti.

A Napoli Luigi ha scassato. E’ partito con le spalle al muro (messo lì dai nemici e dai presunti amici) e ha incassato cifre impensabili. 11 punti di voto disgiunto sono un risultato incredibile: 50 mila napoletani hanno votato Luigi sindaco pur votando altre liste. E’ l’argine che si rompe. Bello, soprattutto per chi vedeva in Napoli l’occasione buona per recintarlo. E il metodo gli permette già di raccontare un’altra storia, “ho già detto che 12 assessori sono sufficienti, e che io vorrò al mio fianco solo persone oneste, credibili e coraggiose. Noi non abbiamo partiti da accontentare o persone da sistemare nelle partecipate” è la frase che sta nel vento che deve diventare presto nazionale.

Il terzo Polo intanto decide di non decidere (sai che novità) e continua nel suo mercimonio al miglior offerente. Vorrebbe essere l’ago della bilancia ma l’importanza continuiamo a dargliela noi ostinandoci ad inseguirli (ma non troppo).

Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto risultati importanti. Ha ragione Dino Amenduni su IlFattoQuotidiano, continuare a etichettare il Movimento5Stelle come “antipolitica” e trattare una forza politica così rilevante in tante città (e anche nelle province, dato che richiederebbe un’analisi a parte) come se i loro elettori fossero alieni o barbari, inizia a diventare un esercizio di arroganza e supponenza che non fa altro che alimentare il serbatoio di idee dei grillini. Parliamo di liste che a Bologna hanno preso il doppio dei bolognesi Fini e Casini ma senza avere lo stesso spazio televisivo, lo stesso budget e la stessa popolarità. Il Movimento sarà in tanti consigli comunali in Italia e da lì proverà a cambiare la politica dal di dentro. E  lo faranno anche giovanissimi, non costretti a pregare qualche dirigente per farsi mettere in lista dopo anni di servizievole gavetta. Sarà il caso di ascoltare le istanze di questa forza, studiare i loro metodi, prendere il meglio di quelle energie e, soprattutto, non considerarli nemici. Non sono anti-politica, tutt’altro: sono anti-sistema, come tantissimi italiani.

IDV ha perso voti. Il primo passo è riconoscerlo, per favore. E provare a ripartire con slancio senza rabboccamenti matematici per non doverlo dire. Il vento che sta abbattendo il berlusconismo sul Paese chiede onestà intellettuale. Poi si pensa (insieme) come ripartire. E su questo avremo modo di parlare. Adesso c’è da pensare al ballottaggio.

Ipse dixit

De Magistris? Ha bisogno di un bagno, di un bagno di umiltà. Mannino? Non è un mafioso. Il processo Andreotti? andava archiviato. Cuffaro? punizione esagerata. Lombardo? vittima di un complotto giudiziario. Lo dice Genchi qui.

A Napoli sto con Luigi

A Napoli sto con Luigi.

appello per luigi de magistris sindaco per napoli
La battaglia per affermare una nuova politica e una nuova cultura amministrativa a Napoli ha un assoluto rilievo nazionale. Sotto gli occhi dell’opinione pubblica italiana e internazionale, infatti, Napoli sta vivendo in questi anni una gravissima emergenza politica, sociale, economica, ambientale e culturale. Ma Napoli non è soltanto la terza città d’Italia, è anche la capitale del Mezzogiorno, di quella parte d’Italia abbandonata a sè stessa e cancellata dalle priorità nazionali nell’ultimo quindicennio di confuse riforme istituzionali e di falso federalismo. I tagli dei trasferimenti e la compressione degli investimenti per il Mezzogiorno, le tante promesse tradite, come la soluzione dell’emergenza rifiuti, svelano l’abisso in cui è caduto il governo Berlusconi, caratterizzato dalla propaganda leghista sulla “questione settentrionale”. E’ urgente battersi contro questa politica. Non solo per ribadire i fondamentali principi di uguaglianza nei diritti di cittadinanza sull’intero territorio nazionale stabiliti dalla Costituzione, ma anche perchè non potrà esserci un reale sviluppo del Paese senza un rilancio del Mezzogiorno. Questa battaglia non può che partire da Napoli. Il Paese ha bisogno di una nuova politica nazionale per Napoli e la Città ha bisogno di una nuova stagione amministrativa per ispirare quella politica. Per questo è necessario impedire che la destra conquisti il governo della Città.
Tuttavia, battere la destra è necessario ma non sufficiente. Nell’ultimo decennio, infatti, le forze del governo locale hanno raccolto istanze che nulla hanno a che vedere con una prospettiva riformistica. Da visione pragmatica, il riformismo si è trasformato in una mera copertura ideologica per nascondere la reale impotenza nell’interpretare i cambiamenti della società e proporre risposte adeguate. Ora occorre che le forze progressiste e democratiche napoletane mettano in campo una profonda innovazione nei programmi, nei metodi di governo e nella cultura amministrativa. Serve una svolta nella direzione del rigore e della efficienza, della lotta alle clientele, della difesa degli assets pubblici contro le privatizzazioni selvagge, per il rispetto del piano regolatore e il rilancio di una programmazione industriale finalizzata allo sviluppo sostenibile e alla difesa della buona occupazione, per l’energia pulita e contro il ricorso al nucleare, contro gli inceneritori, per la dignità delle periferie, per l’acqua pubblica e la difesa dei ceti deboli minacciati dalla crisi. Ebbene, noi riteniamo che la candidatura di Luigi de Magistris sia quella maggiormente in grado di ridare voce autorevole ai napoletani nel Paese e impedire la vittoria delle destre in Città. Per queste ragioni, invitiamo tutte e tutti a sostenere la candidatura di Luigi de Magistris sindaco per Napoli.

 

 

Per non andare fuori tema: AFFARI ITALIANI intervista Giulio Cavalli

Non mi è mai piaciuta la strategia di chi volutamente prova ad andare fuori tema per scavalcare la questione. In mezzo al marasma mediatico di questi giorni riportiamo il dibattito sui temi caldi. Vi chiedo di condividere il più possibile questa intervista uscendo dal gioco al massacro che non ha nulla a che  vedere con quello di cui si deve parlare. Grazie.

DA AFFARI ITALIANI

Più democrazia nell’Italia dei Valori. Così nasce la sfida interna a Di Pietro. L’intervista a Cavalli (Idv)

“Abbiamo raccolto le istanze che emergono stando a contatto con la società civile. Questa legge elettorale ha favorito servi e yes-man come Razzi e Scilipoti”. Giulio Cavalli, consigliere regionale della Lombardia per l’Italia dei Valori, coordinatore Idv per la città di Milano e firmatario, insieme a Luigi De Magistris e Sonia Alfano, di una lettera sulla questione morale che tocca il  partito, sceglie Affaritaliani.it per spiegare i motivi della rivolta contro Antonio Di Pietro e si definisce “basito e perplesso”.

Basito di fronte a che cosa?
“Soprattutto di fronte ai toni della risposta che abbiamo ricevuto, di fronte alle accuse che ci vengono mosse. Vorrei fare delle precisazioni, in attesa della replica che stiamo preparando. Noi abbiamo fatto questa riflessione, perché l’abbiamo raccolta da molti degli iscritti che incontriamo in giro. Siamo entrati nell’Italia dei Valori per portare l’ala “movimentista”, anche se questo termine non mi piace molto, o comunque per creare un contatto con la società civile. E abbiamo pubblicato questo documento sui nostri blog, non è una lettera di Natale spedita ai giornali, anche se ovviamente la stampa l’ha ripresa. La ricchezza dei partiti sono le diverse opinioni, il dibattito interno. E ci possono essere posizioni anche molto distanti, basta che non siano solo posizioni di negazione pregiudiziale. Ci è stato detto che non abbiamo parlato nelle sedi opportune. Ma noi ovunque andiamo, negli incontri e nei coordinamenti, manifestiamo sempre le nostre posizioni. Siamo stati accusati di non metterci in gioco all’interno del partito. Ma io sono coordinatore di Milano città, sorrido più di tutti. Quello che è un atto d’amore, senza nessuna messa in discussione di chi lavora nel partito, improvvisamente e strumentalmente è diventato l’occasione per alzare i toni e tirare fuori delle nevrosi, delle criticità per cui si aspettava solo quello”.

Insomma, il vostro gesto è stato frainteso?
“Noi abbiamo scritto quel documento per dichiarare il nostro impegno a fare di più e chiedere l’aiuto di tutti. Al di là delle posizioni politiche, la cosa che può veramente differenziarci è l’essere un partito bravo a fare opposizione, raccontando sì le incoerenze degli altri, ma anche capace di vedere le proprie. Uno dei più grandi politici italiani, Pio La Torre, per raccontare ciò che combatteva iniziava raccontando innanzitutto quello che non andava nel suo partito. Dobbiamo sempre avere attenzione massima per la credibilità. Ma, se dichiarare questo, ci fa accostare a Razzi e Scilipoti… Questa reazione ci lascia perlessi, per usare un eufemismo. Forse qualcuno aveva bisogno di una resa dei conti e ha voluto giocare di sponda con una lettera che nasce con tutte le buone intenzione di preservare la dignità di eletti e governanti”.

Quali sono le colpe di Di Pietro?
“Io vedo una legge elettorale che non ha senso. Razzi e Scilipoti in un Paese normale dovrebbero far riferimento ai loro elettori, ma non li hanno, essendo nominati. Il fatto di essere nominati, e questo è un problema della politica in generale, crea degli “yes-man”, un intergruppo di servi, numeroso sia a destra che a sinistra. Io dico, come partito e come politico, visto che la gente ci delega a risolvere le criticità, che dobbiamo cercare una soluzione. Un regolamento, oppure delle primarie di collegio, questione tra l’altro già aperta nell’Idv. E poi pensiamo a una visione di centrosinistra, che non sia solo una visione feudale, prettamente partitica”.

De Magistris nuovo segretario al posto di Di Pietro?
“Voler portare una questione poilitica, che riguarda i contenuti, su una questione di leadership è una questione onanista, che non interessa né a me né a De Magistris né a Sonia Alfano. Molti degli iscritti che lamentano difficoltà sui territori hanno sempre chiesto a Di Pietro di intervenire, senza mettere in discussione la sua leadership. La polvere sollevata dalle persone vicine a Di Pietro spero sia frutto di una reazione a caldo, e non di una strategia”.

Maria Carla Rota

De Magistris tra leggi vergogna, elogi ai pregiudicati ed elezioni regionali

Luigi De Magistris, eletto parlamentare europeo, è ora anche Presidente della Commissione per il controllo dei bilanci. Strano segno del destino. Dopo aver dovuto abbandonare il suo lavoro di pm anche per aver indagato, con la sua inchiesta Poseidon, su un presunto uso illecito di denaro pubblico legato agli aiuti comunitari per 200 milioni di euro, oltre che per aver portato alla luce, con Why not e Toghe lucane, un intreccio oscuro tra imprenditoria, politica e settori della magistratura, la cosiddetta “Nuova P2”, oggi si ritrova proprio a poter controllare e garantire la trasparenza dell’investimento dei finanziamenti comunitari nei paesi aderenti all’Ue, in primo luogo l’Italia, dove la dilapidazione del denaro pubblico è una costante da decenni, provocata dall’ingordigia e dall’inettitudine di una classe dirigente corrotta, al servizio di loschi comitati d’affari, che si spartisce la torta degli aiuti destinati allo sviluppo e alla crescita delle zone più disagiate e povere del nostro paese.

De Magistris si è laureato in Giurisprudenza a 22 anni con 110 e lode, a 26, nel 1985, ha superato il concorso in magistratura, e dopo il tirocinio a Napoli, ha cominciato ad esercitare le funzioni giudiziarie come Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, in cui ha lavorato dal ’96 al ’98. Dal 1999 al 2002, dopo aver chiesto il trasferimento, è stato pm a Napoli. Dal 2003 al 2008 sarà pubblico ministero a Catanzaro, e proprio in Calabria toccherà quei fili dell’alta tensione che porteranno alla sua estromissione dalle inchieste che aveva seguito e al successivo abbandono di quello che era stato il suo lavoro e la sua passione, costato infiniti sacrifici.
Luigi De Magistris la giustizia se la porta nel sangue, nel Dna, appartiene infatti ad una famiglia che ha dato in linea diretta già tre esponenti alla carriera magistratuale. Suo bisnonno fu oggetto di attentato per aver perseguito il malaffare nei primi anni dell’Unità d’Italia. Anche questi, strani segni del destino. Quando annunciò, nel marzo 2009, la sua candidatura per le europee con il partito dell’Italia dei valori, fece sapere che lasciava così “un lavoro al quale ho dedicato quindici anni della mia vita e che è stato il mio sogno, come ha detto qualcuno, la missione di questi anni”.
Appena mette piede in politica, viene eletto europarlamentare risultando il secondo candidato più votato in Italia dopo il Presidente del Consiglio con 415.646 preferenze, e così oggi vigila sui milioni di euro destinati al progresso del nostro paese dall’Unione Europea.
De Magistris ha accettato di parlare un po’ con noi di quello che succede in questi giorni in Italia, tra strane celebrazioni a latitanti defunti, elezioni regionali e candidature che lasciano far sperare.
Tra un po’ ci sono le elezioni regionali, com’è la situazione nella sua regione, la Campania?
La situazione è che noi come Italia dei Valori auspichiamo una forte discontinuità col centro-sinistra. Il centro-sinistra ha governato per molti anni e ha governato abbastanza male, soprattutto per un forte rifiuto della questione morale in alcuni settori in particolare come l’ambiente, la sanità. In questo momento un cambiamento si potrebbe avere solo con un rinnovamento significativo della classe dirigente, con persone che vengono dalla politica ma anche dalla società civile, che insieme stabiliscano un nuovo patto con i cittadini campani per poter dare slancio a una regione che rischia altrimenti di essere governata dai plenipotenziari della criminalità organizzata.
Cosa pensa delle indagini su Vendola e cosa pensa succederà adesso in Puglia?
Sulle indagini su Vendola non commento perché io sono stato magistrato per quindici anni e spetta alla magistratura accertare le responsabilità penali. Devo dire che anche in Puglia il centro-sinistra è crollato sulla questione morale, che è divenuta anche, come si sta accertando in questi mesi, questione criminale. Non c’è dubbio, devo anche constatare che si verifica l’ennesima grave fuga di notizie alla procura di Bari, o comunque con riferimento ad indagini svolte dalla procura di Bari.
E della candidatura della Bonino nel Lazio che ci dice?
Bisogna vedere. Così come le candidature in Puglia, di Vendola, e così quella della Bonino sono le candidature su cui si può ragionare tranquillamente. La candidatura della Bonino è una candidatura che potrebbe essere buona, certo i Radicali devono entrare in un ottica di sapersi confrontare in modo adeguato anche con gli altri partiti che appoggiano la Bonino. In particolare Italia dei Valori ha sempre avuto tra l’altro un atteggiamento molto costruttivo e positivo nei confronti dei Radicali. Io personalmente penso sia una candidatura da sostenere.
Ieri lei ha detto che “ci si inchina ad Hammamet per genuflettersi verso Arcore”. Che giudizio dà a questa riabilitazione di Craxi tra l’altro anche da parte del Presidente della Repubblica?
Quella di questi giorni e una vera e propria vergogna politica e istituzionale, che tra l’altro coincide negli stessi giorni in cui Paolo Borsellino avrebbe fatto 70 anni. Questo è un paese che ormai considera eroe Mangano lo stalliere o Craxi. Quindi considera eroi i mafiosi o i corrotti, mentre a chi ha contrastato il crimine organizzato, a chi è vittima di mafia, magari si fa semplicemente un ricordino che vale la decima pagina di un giornale. Questa riabilitazione politica è per dare ancor più forza a Berlusconi, che è figlioccio di Craxi, figlioccio politico. Non dimentichiamoci che il potere mediatico di Berlusconi nasce e si consolida proprio attraverso il rapporto con Craxi. Se Berlusconi ha un potere così grande è perché gliel’ha consentito Craxi, ed ecco perché adesso la televisione di regime e il sistema castale del potere politico e istituzionale deve riabilitare l’immagine di Craxi continuando nell’opera di demolizione dell’inchiesta Mani Pulite, che invece rimane una pietra miliare nella storia giudiziaria e contemporanea del nostro paese. Quindi do un giudizio scandaloso su quello che sta avvenendo in questi giorni.
Al Senato è passato il processo breve. Cosa ne pensa e cosa pensate di fare alla Camera?
Questa è un’altra legge vergognosa, ma non c’è nulla di nuovo sotto al sole. Ormai sono sedici anni che il parlamento è bloccato per trovare una soluzione legislativa ai processi di Berlusconi. Ci hanno provato da ultimo con il Lodo Alfano del Ministro dell’Ingiustizia che si chiama Alfano, la Corte Costituzionale ha ripristinato la legalità costituzionale, ma immediatamente dopo, come aveva preannunciato Gasparri, si sono trovati ulteriori cavilli giuridici e legislativi per sottrarre Berlusconi ai processi. Questa è la legge sulla prescrizione breve, una legge indegna, perché sottrae al giudizio una serie di categorie di persone che sono sotto processo, in particolare i colletti bianchi, una legge incostituzionale perché differenzia le persone, che non son più uguali davanti alla legge, un’amnistia di fatto. Il governo invece di mettere in condizione i tribunali di poter lavorare celermente dando magistrati, mezzi, risorse, strutture e quant’altro fa delle leggi che sono sostanzialmente delle vere e proprie amnistie. Ma ripeto, nulla di nuovo sotto al sole. Fin quando non troveranno il lodo, finalmente, a misura d’abito di Berlusconi, non la smetteranno a ridurre il parlamento ad una funzione servente gli interessi del Presidente del Consiglio.
Torniamo alle regionali. Domani (oggi, n.d.r.) lei sarà con Giulio Cavalli che comincerà la sua campagna elettorale. Perché Giulio Cavalli e perché il suo appoggio?
La candidatura di Giulio Cavalli è stata una notizia importante. Io sostengo Giulio Cavalli perché è una persona intelligente, una persona sensibile ai temi della legalità, del contrasto del crimine, persona che ha subito gravi minacce proprio per contrastare il crimine in Lombardia, quindi non solo nel sud del nostro paese, a dimostrazione che il crimine organizzato non ha frontiere, non ha territori regionali, ma purtroppo è una piaga, un cancro, che sta corrodendo la democrazia nel nostro paese e che si sta estendendo in tutta Europa, anche nei paesi fuori dall’Europa, e quindi le battaglie per la legalità, per la giustizia e i diritti vanno fatte in ogni luogo. Quindi che ci sia in Lombardia un candidato come Giulio Cavalli è una buona notizia innanzitutto per i lombardi e per i collegi, il territorio, dove potrà essere eletto, perché se lui va nel Consiglio regionale della Lombardia, sicuramente potremmo stare tutti più tranquilli che potrà dar voce certa a chi ha sete di giustizia e vuole un’altra Lombardia e un’altra Italia.
Pensa che possa davvero a fare qualcosa in questa regione, visti anche gli arresti eccellenti di questo periodo?
Ognuno si deve rimboccare le maniche e fare qualcosa per il prossimo, per la giustizia e per la tutela dei diritti soprattutto dei più deboli, ognuno deve fare il suo. Giulio Cavalli son sicuro che lo farà. Certo, Cavalli non è il messia sceso in Lombardia, va aiutato, va supportato, bisogna fare squadra attorno a lui, ci sono tante altre persone che si impegnano quotidianamente nel contrasto al crimine, all’illegalità, e per una maggiore giustizia, per il lavoro, per uno sviluppo compatibile con l’ambiente. Se saremo in tanti ad andare in questa direzione avremo in tempi brevi un altro paese, del quale non ci dovremmo più vergognare quando andiamo all’estero.
Trova dei paralleli tra lei e Cavalli?
No, beh, son due storie completamente diverse. Io ho la mia storia personale che è unica e come è giusto che sia, così come Giulio Cavalli ha la sua storia, che è unica anche per lui. Non so se sono i percorsi che son simili, le sensibilità che sono simili, i progetti, i sogni, la voglia di cambiare, ma poi ognuno ha la sua storia, tra l’altro lui viene dal mondo dell’arte, dello spettacolo, del teatro, io vengo dalla magistratura; insomma sono anche percorsi professionali molto diversi da questo punto di vista.
Pensa ci sia qualche possibilità per lui di ripetere il suo exploit?
Anche qui son paragono che non si possono fare, perché io ero candidato alle europee, con un sistema elettorale completamente diverso, son stato candidato su tutto il territorio nazionale. Lui è candidato alle regionali, una situazione più difficile, ma credo che possa essere eletto, dipende dalla sua capacità di trasmettere entusiasmo nei lombardi e renderli protagonisti di un cambiamento. Io credo che Giulio Cavalli abbia queste caratteristiche e mi auguro che sarà aiutato da persone per bene, coraggiose, con voglia di produrre un cambiamento nella regione Lombardia.
Di cosa state discutendo in questi giorni al Parlamento europeo?
Proprio in queste ore stiamo procedendo alle audizioni dei nuovi commissari designati da Barroso. E’ un’attività molto delicata, perché si tratta di decidere se i commissari hanno le doti della capacità, dell’indipendenza, per poter svolgere in modo adeguato e concreto il loro mandato. Quindi stiamo facendo le audizioni, che ci stanno impegnando moltissimo, sono molto difficili e stiamo cercando di svolgere al meglio quest’attività.

Giulio Cavalli e Luigi De Magistris a Milano per aprire la campagna elettorale

Giovedì 21 gennaio alle ore 21:00 presso lo SPAZIO GUICCIARDINI in via Macedonia Melloni 3 a Milano, si apre la campagna elettorale di GIULIO CAVALLI per le Elezioni Regionali 2010 “LA BELLEZZA DI UN IMPEGNO”.

con

LUIGI DE MAGISTRIS

Presidente della Commissione per il Controllo dei Bilanci presso il Parlamento Europeo

e

GIULIO CAVALLI

attore, scrittore e regista candidato alle elezioni regionali 2010 nelle province di Milano e Varese


SCARICA IL COMUNICATO STAMPA QUI

Rifiuti in Sicilia. Le prospettive di un affare da cinque miliardi di euro.

di Carlo Ruta

Con l’avvio delle nuove gare per gli inceneritori, viene rilanciato un affare di proporzioni enormi, destinato a influire notevolmente sugli assetti del potere siciliano nei prossimi decenni. Le concertazioni fra Palermo e Roma. Il quadro degli interessi in causa.

L’accelerazione impressa dalle sedi regionali nella partita dei rifiuti è sintomatica. È arrivata per certi versi imprevista, dopo anni di gioco apparentemente fermo, a seguito della decisione assunta nel 2006 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di annullare le aggiudicazioni dei quattro mega inceneritori, avvenute nel 2003. Si è cercato di prendere tempo, per rimettere ordine nell’affare, che ha visto in campo cordate economiche di spessore, eterogenee ma bene amalgamate. Si è interloquito con le società interessate per concordare il rimborso dei danni, stabiliti in ultimo nella cifra, iperbolica, di 200 milioni di euro. Adesso è arrivato l’annuncio delle nuove gare, mosse paradossalmente dagli alti burocrati che hanno organizzato le precedenti: dai medesimi quindi che sono stati censurati dalla UE per le irregolarità rilevate nella vicenda. Come è nelle consuetudini, esistono ipoteche, parole date, assetti da cui non è agevole prescindere. Si registra comunque un aggiornamento, non da poco: gli inceneritori da realizzare saranno tre, a Bellolampo, Augusta e Campofranco. Si è deciso quindi di rinunciare al quarto, che sarebbe dovuto sorgere a Paternò, in area etnea. Le responsabilità sono state fatte ricadere sulla compagine aggiudicataria Sicil Power, che secondo l’avvocato Felice Crosta, presidente dell’Arra, avrebbe indugiato troppo dinanzi alle richieste della parte pubblica. In realtà tutto lascia ritenere che si sia trattato di un primo rendiconto, nell’intimo della maggioranza e delle aree economiche di riferimento, mentre si opera per disincentivare la protesta che ha percorso l’isola dagli inizi del decennio.

Si è fatto il possibile, evidentemente, per rispettare i termini imposti dalla Ue, perché non si perdessero i contributi, per diverse centinaia di milioni di euro, che la medesima ha destinato al piano rifiuti dell’isola. In quanto sta avvenendo si scorge nondimeno un ulteriore tempismo, che richiede una definizione. Tutto riparte dopo l’anno zero dell’emergenza di Napoli, a margine quindi di una rivolta sedata, ma probabilmente solo differita, che ha permesso di saggiare comunque un preciso modello di democrazia autoritaria, sostenuto da leggi ad hoc e da un particolare piglio sul terreno, tipicamente militare. Tutto riparte altresì quando l’allarme rifiuti è già al rosso non solo in Sicilia ma in numerose aree della penisola: quando s’impone quindi una risposta conclusiva, a livello generale, che, come nel caso di Napoli, si possa spendere dalla prospettiva del consenso. In tali sequenze si possono ravvisare allora delle logiche, che comunque vanno poste in relazione con alcuni dati di fatto, ma soprattutto con una serie di numeri.

In Italia funzionano 52 inceneritori, che trattano ogni anno circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti: il 15 per cento di quelli complessivi. In Sicilia ne sorgeranno appunto tre, che, come previsto nei bandi di gara del 2003 e in quelli odierni, fatto salvo ovviamente l’impianto di Paternò, cui si è rinunciato, saranno capaci di trattare 1,86 milioni di tonnellate di rifiuti, pari quindi a quasi la metà di quelli che vengono inceneriti lungo tutta la penisola. In particolare: l’impianto di Bellolampo avrà una capacità di lavorazione di 780 mila tonnellate di rifiuti annui; quello di Campofranco, di 680 mila; quello di Augusta, di 400 mila. Si tratta di numeri significativi. I tre inceneritori siciliani risulteranno infatti fra i più grandi dell’intera Europa, insieme con quello di Brescia, che tratta 750 mila tonnellate di rifiuti, e con quello di Rotterdam, che ne lavora 700 mila. I conti tuttavia non tornano, tanto più se si considera che i rifiuti siciliani da termovalorizzare, al netto cioè di quelli da riciclare attraverso la raccolta differenziata e altro, non dovrebbero superare, secondo le stime ottimali, le 600 mila tonnellate. È beninteso nell’interesse delle società aggiudicatarie far lavorare gli impianti il più possibile. Ma a redigere i bandi di gara è stato e rimane un soggetto pubblico, tenuto al rispetto dell’interesse generale, delle leggi italiane, delle direttive europee, e che, comunque, non può prescindere, oggi, da taluni orientamenti del governo nazionale.

In sostanza, i numeri bastano a dire che già nel 2003, quando il governo Berlusconi poteva godere dell’osservanza stretta di Salvatore Cuffaro, presidente della giunta regionale, si aveva un’idea composita dei mega impianti che erano stati studiati per la Sicilia. E se non fosse intervenuta la Ue, quando Romano Prodi aveva riguadagnato il governo, l’operazione rifiuti, nei modi in cui era stata congegnata, sarebbe oggi alla svolta conclusiva, a dispetto delle problematiche ambientali e dell’interesse delle popolazioni. Con l’avvento dell’autonomista Raffaele Lombardo il gioco si è fatto più mosso. Le cronache vanno registrando sussulti di un qualche rilievo nel seno stesso della maggioranza. Ben si comprende tuttavia che se ieri l’affare accendeva motivazioni forti, oggi diventa imprescindibile, sullo sfondo di un potere politico che, dopo Napoli appunto, sempre più va lanciandosi in politiche che per decenni la comune sensibilità aveva reso impraticabili. Il proposito delle centrali nucleari costituisce del resto l’emblema di un modo d’essere.

Esistono in realtà le premesse perché la linea dei termovalorizzatori, a partire dalla Campania, dove sono in costruzione quattro impianti, passi con ampiezza, a dispetto delle restrizioni sancite in sede comunitaria. In particolare, tutto è stato fatto, in un anno di governo, perché l’affare risulti allettante. Se il ministro dell’Ambiente del governo Prodi, a seguito di una procedura d’infrazione dell’Unione Europea, aveva annullato infatti il “Cip6”, nel quadro dei contributi concessi alla produzione di energie rinnovabili, il ripristino e la maggiorazione del medesimo, nei mesi scorsi, offre alle imprese del campo ulteriori sicurezze. In aggiunta, con la finanziaria 2009, tale contributo viene esteso a tutti gli impianti autorizzati, inclusi quelli che indugiano ancora sulla carta.

In tale quadro, l’affare siciliano insiste a recare comunque caratteri distinti. Alcuni dati recenti della Campania, epicentro dell’emergenza italiana, lo comprovano. Gl’inceneritori che stanno sorgendo ad Acerra, Napoli, Salerno e Santa Maria La Fossa, potranno trattare, insieme, rifiuti per un massimo annuo di un milione e 200 mila tonnellate. I tre siciliani, come si diceva, potranno lavorarne poco meno di due milioni. Questo significa allora che l’isola è destinata a far fronte alle emergenze che sempre più si paventano in altre aree del paese? Alla luce di tutto, propositi del genere sono più che supponibili. Se tutto andrà in porto, non potranno mancare, in ogni caso, le occasioni e le ragioni per far lavorare gli inceneritori a pieno regime. Sulla base di logiche che non hanno alcun riscontro in altri paesi del mondo, si prevede infatti che possano essere trattati nell’isola fino all’85 per cento dei rifiuti siciliani, con esiti ovvi. A fronte dei progressi tecnologici, di cui pure si prende atto, la nocività dei termovalorizzatori viene riconosciuta a tutti i livelli, a partire dalla Ue, che suggerisce impianti di dimensioni piccole e medie, tanto più in prossimità degli abitati. Viene ritenuto esemplare in tal senso quello di Vienna, allocato nel quartiere periferico di Spittelau, che può trattare fino a 250 mila tonnellate di rifiuti. Sono ipotizzabili allora i danni che potranno derivare dagli inceneritori siciliani: da quello di Campofranco che, tre volte più grande di quello viennese, dovrebbe sorgere ad appena un chilometro dall’abitato, a quello di Augusta che, uguale per dimensioni all’impianto di Parigi, non potrà che aggravare, come denunciano da anni le popolazioni, lo stato di un’area già fortemente colpita dalle scorie petrolchimiche. Ma tutto questo rimane ininfluente.

Il secondo tempo della partita siciliana significa ovviamente tante cose. Dalla prospettiva propriamente politica, è in gioco il potere. Sul terreno dei rifiuti, oltre che delle risorse idriche e delle energie, andranno facendosi infatti gli assetti regionali dei prossimi decenni. L’affare è destinato altresì a pesare sul contratto che va ridefinendosi fra Palermo e Roma, fra l’interesse autonomistico in versione Lombardo e quello di un potere centrale che intende mettere mano alla Costituzione come mai in passato. La presenza insistente del presidente regionale presso le sedi governative, danno peraltro conto di affinità sostanziali, di una interlocuzione produttiva. È comunque sul piano degli interessi materiali che si condensa maggiormente il senso dell’affare. La posta in palio rimane senza precedenti: circa 5 miliardi di euro in un ventennio, fra fondi governativi e comunitari. In via ufficiale, ovviamente, ogni decisione è aperta. Ma nei fatti, è realmente così? È possibile che si prescinda del tutto dai solchi tracciati dalle gare del 2003?

Sin dagli esordi, la storia ha presentato un profilo mosso. Come era prevedibile, è sceso in campo il top dell’industria italiana dell’energia. Senza difficoltà gli appalti degli inceneritori di Bellolampo, Campofranco e Augusta sono andati infatti a tre gruppi d’imprese, rispettivamente Pea, Platani e Tifeo, guidati da società del gruppo Falck. Nel secondo si è inserita altresì, con una quota di riguardo, Enel Produzione. E la cosa darebbe poco da riflettere se non fosse per il piglio particolare con cui tale società veniva amministrata, allora, da Antonino Craparotta, destinato a finire in disgrazia per l’emergere di una storia di capitali extracontabili, alla volta di paesi arabi. Ancora senza alcun ostacolo, come da consuetudine, la quarta aggiudicazione, per l’impianto di Paternò, è andata a Sicil Power, un raggruppamento di diversa caratura, guidato da Waste Italia: quello che adesso, significativamente, con la rinuncia all’inceneritore etneo, sembra essere finito fuori gioco. Sono comunque altre presenze, discrete e nondimeno importanti, a rivelare i toni della vicenda.

Il posizionamento rapido della famiglia Pisante, presente nelle cronache giudiziarie sin dai tempi di “Mani pulite”, e del gruppo Gulino di Enna nelle quattro compagini aggiudicatarie, attraverso la Emit e l’Altecoen, è al riguardo paradigmatico. Come tale è stato percepito del resto, sin dai primi tempi, da alcune procure, che hanno lanciato l’allarme inceneritori, e dalla stessa Corte dei Conti siciliana, intervenuta sul caso con perentorietà. A gare concluse, sono emersi, come è noto, degli inconvenienti, che hanno costretto l’imprenditore ennese, reduce con i Pisante della vicenda di MessinAmbiente, finita in scandalo, a farsi da parte, con la cessione di quote che gli hanno fruttato diversi milioni di euro. I termini della questione rimangono però intatti. Si è aperta una contrattazione. Interessi di varia portata sono diventati compatibili. È stato tenuto debitamente conto delle tradizioni. Il gruppo pugliese infine, senza alcun pregiudizio, è rimasto in gioco. Tutto questo costituisce però solo un aspetto della storia. Si sono avuti infatti ingressi ancor più discreti, per certi versi invisibili, al confine comunque fra l’economia e la politica. È il caso della Pianimpianti: nota società di Milano amministrata dal calabrese Roberto Mercuri.

Attiva in numerose aree della penisola e all’estero nell’impiantistica per l’ambiente, tale impresa ha potuto godere di un inserimento strategico nel sistema degli appalti calabresi: in quelli dei depuratori in particolare, che hanno mosso circa 800 milioni di euro. Ha manifestato altresì dei punti di contatto oggettivi con l’Udc, essendone stato vice presidente l’ex parlamentare parmigiano Franco Bonferroni, amico di Pier Ferdinando Casini, ma soprattutto legatissimo a Lorenzo Cesa, attuale segretario nazionale del partito. Per tali ragioni, ritenuta cardinale negli intrecci fra politica e affari in Italia, è finita al centro di indagini giudiziarie complesse, condotte dal sostituto procuratore di Potenza Henry John Woodcock e, soprattutto, da Luigi De Magistris. Nell’atto di accusa del sostituto di Catanzaro vengono passati in rassegna fatti specifici, alcuni di non poco conto: dal sequestro di 3,8 milioni di euro al fratello e al padre di Roberto Mercuri su un treno diretto in Lussemburgo, al versamento di 370 mila euro che la Pianimpianti avrebbe fatto alla Global Media, ritenuta, attraverso Cesa, il polmone finanziario dell’Udc. Un teste, riferendosi agli appalti dei depuratori in senso lato, ha detto inoltre del sistema in uso delle tangenti, stabilite nella misura dal 3 al 7 per cento, equamente divise fra la Calabria e Roma. In conclusione, l’accusa ha presentato la società di Mercuri come la “cassaforte” di una associazione finalizzata all’illecito, ma l’inchiesta, che come è noto è passata di mano, è stata largamente archiviata.

Cosa c’entra però tutto questo con gli inceneritori in Sicilia? In apparenza nulla. Pianimpianti, nei raggruppamenti guidati dal gruppo Falk, reca una presenza del tutto simbolica, con quote dello 0,1 per cento. Nell’affare ha guadagnato in realtà un rilievo sostanziale per quanto è avvenuto, in via assolutamente privata, dopo le aggiudicazioni del 2003. Le società Pea, Platani e Tifeo, l’1 luglio 2005 hanno commissionato infatti proprio all’impresa di Mercuri, in associazione con la Lurgi di Francoforte, la fornitura, chiavi in mano, dei tre inceneritori, per un importo complessivo di mezzo miliardo di euro, che costituisce, a conti fatti, la fetta più grossa, più immediata, quindi più tangibile, dell’intera posta in palio. È il caso di sottolineare in ultimo che pure il sodalizio Pianimpianti-Lurgi è connotato da un iter mosso, antecedente e successivo alla firma dei contratti con Actelios-Elettroambiente. Le due società sono finite sotto inchiesta nel 2005 per un giro di tangenti connesse alla costruzione dei due termovalorizzatori di Colleferro. Compaiono altresì nell’inchiesta Cash cow, ancora in corso, che nella medesima area laziale ha coinvolto, fra gli altri, decine di politici.

A questo punto, dal momento che sono state disposte nuove gare, si tratta di capire cosa potrà avvenire delle intese sottoscritte a partire dal 2003. Di certo, le società aggiudicatarie hanno guadagnato una posizione favorevole. Da titolari dei cantieri, hanno ripreso a beneficiare infatti del “Cip6”, malgrado il blocco di ogni attività dal 2007. Otterranno infine il mega risarcimento che reclamavano, di 200 milioni di euro appunto, pur avendo effettuato nei tre siti lavori esigui, solo di recinzione e movimento terra. Dopo la firma dell’accordo, regna quindi un curioso ottimismo. Prova ne è che i titoli Falck hanno avuto in Borsa rialzi del tutto anomali, lontanissimi dai trend dell’attuale recessione. Ma quali giochi vanno facendosi? La cifra della penale, che evoca un calcolo complesso, di certo costituirà un forte deterrente alla partecipazione di nuove compagini. Nel caso in cui la gara dovesse andare a vuoto, l’affidamento diretto agli attuali concessionari, a trattativa privata, potrebbe essere quindi un esito “inevitabile”. Ed è la stessa Falck a dare conto di intese in tal senso con l’Agenzia regionale, nella relazione semestrale del giugno 2008. Per motivi di opportunità potrebbe prevalere tuttavia una seconda soluzione: il ritorno in gara, direttamente o in forma mimetica, delle imprese già aggiudicatarie, che finirebbero per pagare a sé stesse la penale, per il ripristino dei patti. In ambedue i casi, come è evidente, risulterebbe eluso il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue.

Fonte: “Domani Arcoiris tv”