Vai al contenuto

madonna

Dopo Salvini che evoca la Madonna, ecco Figliuolo che affida i vaccini a Santa Rita

E per fortuna questi sarebbero quelli seri, i migliori, quelli che non parlano ma fanno, quelli che nell’immaginario collettivo avrebbero dovuto segnare una svolta rispetto ai governi precedenti. Perché, proprio nel momento in cui stavamo per dimenticarci le nefandezze pseudoreligiose di Salvini (con rosari usati come clava, crocifissi adorati come totem e addirittura la Madonna di Fatima eletta sua social media manager), ora arriva il generale Francesco Paolo Figliolo, l’uomo della provvidenza, ad ammettere di avere chiesto a Santa Rita, osservando il suo corpo a Cascia, “di aiutare l’Italia a uscire da questa pandemia, a far sì che la campagna vaccinale proceda e che tutti gli italiani ne capiscano l’importanza”.

“Confidenti nella scienza ma anche nella spiritualità, auspico che Santa Rita posi la sua santa mano sopra di noi, per fare in modo che ne usciamo”, ha dichiarato Figliuolo.

E, sia chiaro, il problema non è la gestione della spiritualità intima del generale tintinnante di lustrini: qui il vero tema è la credibilità di un commissario straordinario che ammette candidamente di avere come strategia quella di votarsi ai santi.

Se non ci fosse il governo del super Draghi, ma un qualsiasi governo precedente, ora sentireste tutti i giornaloni strepitare d’indignazione. Invece, poiché questo governo, oltre a essere votato ai santi evidentemente è anche santificato da quasi tutti i giornali, il fatto è passato sotto traccia.

Poi magari il generale Figliuolo potrebbe anche dirci che cosa ne pensi Santa Rita del fatto che giugno dovesse essere il mese della spallata alla pandemia con 15 milioni di dosi consegnate dai soli Pfizer e Moderna, per un totale di 20 milioni di dosi inoculate complessivamente, ma non è andata proprio così.

E Figliuolo potrebbe anche dirci che cosa ne pensi Santa Rita del fatto che a luglio ci saranno 800mila dosi in meno rispetto alle consegne preventivate.

Perché, in fondo, siamo sempre qui: promesse non mantenute, simboli religiosi che vengono rivenduti come tradizioni, sacralità che viene smerciata come condono e un’infinita catena di simboli che vengono usati per ammansire.

Poi ci sarebbe la laicità dello Stato, ma quella ormai è un lontano miraggio, ancor di più con questo governo. E ci sarebbero i numeri promessi ma mai raggiunti. Ma agli italiani basta sapere che Figliuolo è uomo di chiesa per continuare a dargli fiducia.

A proposito: tutto questo avviene dopo una settimana in cui ci hanno spiegato che i simboli (quelli laici, come manifestare contro il razzismo) “non servono a niente”. Santa Rita da Cascia invece sì.

L’articolo proviene da TPI.it qui

“La Madonna mi ha detto che ci vuole tutti più uniti”: così Salvini offende i credenti

E così, alla fine, a Salvini non resta che affidarsi alla Madonna. Sia chiaro, non si tratta di un affidamento con tutti i crismi del fedele che decide di riporre la sua fede nelle mani della sua religione, perfino questo è troppo per un politico che non riesce a non strumentalizzare tutto quello che incontra: questa mattina Libero, senza nemmeno provare un briciolo di vergogna, titola “Salvini: ‘La Madonna ci vuole tutti più uniti’” e riesce addirittura a superarsi con un pezzo interno che aggiunge “Salvini: ‘La Madonna mi ha detto che…’”.

Farebbe tragicamente ridere, se non fosse che l’ennesima strumentalizzazione della religione da parte del decadente leader leghista (che già brandiva rosari come arma contundente contro i suoi avversari politici nella goffa posa di un templare fuori dal tempo) continua a essere offensiva nei confronti di chi crede, di chi non crede e della dignità di un dibattito politico che raggiunge abissi mostruosi.

Che sulla coda di una pandemia gravissima un leader di un partito politico che è addirittura al governo possa permettersi di dire “a Fatima ho consacrato la salute degli italiani” ammanta il nostro Paese di quell’oscurantismo magico al servizio del consenso che di solito deridiamo nei Paesi che riteniamo meno evoluti del nostro. Che una dimensione privata come la fede venga utilizzata per propaganda è una blasfemia, una vergogna etica che propone un neopaganesimo costruito per gli sfinteri dei suoi elettori.

Eppure il religiosissimo Salvini dovrebbe conoscere quel comandamento che invita a “non nominare il nome di Dio invano” e che lui viola più di chiunque altro. Ma dietro l’indecente spettacolo di Fatima, in realtà, si nasconde l’enorme difficoltà del leader leghista che ormai non sa più che pesci pigliare (e no, non arriveranno miracolose moltiplicazioni) in un momento in cui Giorgia Meloni lo sta scalzando come leader del centrodestra e mentre il suo dover essere mite con il Governo Draghi lo costringe a spostare la propaganda dai suoi temi abituali.

Il Salvini che dipingeva l’Italia sull’orlo della distruzione ormai combatte per il vaccino dei vacanzieri ed è stato disinnescato dall’affievolirsi del virus. Prossimamente ritornerà a bomba sul tema dei migranti (uno dei pochi rimasti) dovendo comunque smussarsi per non dispiacere troppo a Draghi.

E i malumori interni alla Lega continuano a ingrossarsi. Così per alimentare la sua figura dell’esagitato (come sempre povero di contenuti) non gli resta che affidarsi alla Madonna. Matteo il mistico è solo l’ultimo personaggio di una carrellata di orrori.

Leggi anche: Salvini non ha ancora trovato un minuto per spiegarci cosa pensa dei conti in Svizzera di Fontana (di G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Due parole su don Memè

Sull’inchino della madonna a Oppido Mamertina si continua a parlare troppo poco di quella sfacciata e desolante figura che è il parroco, Don Memè. Un articolo di Paolo Pollicchieni chiarisce il punto:

donmemèNoi non ci crediamo e soprattutto non crediamo alla sorpresa di monsignor Milito. Sa bene, il vescovo di Oppido, che in quella diocesi già altri e più gravi segnali si erano colti grazie all’operato di “don Memè”, storico parroco di Rosarno che non ha esitato a deporre in un tribunale della Repubblica in difesa di quei boss mafiosi che Papa Francesco ha inteso, invece, scomunicare.
Quando il caso scoppiò, monsignor Milito fece visita a don Memè e gli diede solidarietà. Davanti ai giudici, nel luglio dello scorso anno, il prete si era accomodato per dire: «Penso che Rosarno sia stato messo in una cattiva luce, non so da chi (…), è stato chiusa la sede scout per mafia, e siamo stati… siamo passati per razzisti, per cattivi contro i negri, c’è stata una serie di cose che hanno buttato fango su Rosarno e sui rosarnesi, e molti stanno pagando innocentemente penso».
Tra gli “innocenti” sotto processo don Memè colloca: «Francesco Pesce un mio amico, Domenico Varrà un gran gentiluomo e Franco Rao una brava persona». Tanto da indurre il presidente del Tribunale a chiedere: «Ma Rosarno quindi è un’isola felice ci sta facendo capire, don Ascone?».
Certo che è un’isola felice per don Memè che lì è parroco da ben trent’anni e in questi trent’anni ha visto piovere morti e dilagare corruzione. E che la Rosarno di don Memè sia un’ “isola felice” lo dimostra la devozione della famiglia Pesce che si è fatta carico di climatizzare la chiesa, probabilmente l’unica casa del Signore dove si può pregare senza sudare, grazie ai potenti condizionatori installati dagli “amici” della famiglia Pesce e della famiglia Rao.
È l’uomo che conosce la gratitudine il parroco di Rosarno, così dieci mesi dopo la sua deposizione in favore dei boss, torna a indignarsi per difendere i bravi ragazzi rosarnesi dal fango mediatico. Nel marzo scorso, infatti, la trasmissione televisiva “Le Iene” si occupa di Rosarno, dei Pesce, del porto di Gioia Tauro e della cocaina che vi transita. In questo contesto chiede il parere di don Memè. Eccolo: «Rosarno non è un paese mafioso (…) È tutto falso che il sindaco sia stato minacciato con una lettera arrivata dal carcere (…) Quello che mi tocca dire purtroppo è che quando ci sono dei sindaci di sinistra sono protetti dai giudici; quando ci sono sindaci di centrodestra non sono protetti dai giudici, anzi…».
Insomma colpa dei giornalisti e dei giudici, comunisti entrambi. Poco importa se nel frattempo l’amico Rocco Pesce incassa una condanna ad altri cinque anni per una lettera di minacce spedita dal carcere al sindaco Elisabetta Tripodi su carta intestata del Comune. Ma il meglio don Memè lo deve ancora dare, ed infatti davanti alle telecamere aggiunge: «Tanta gente a Rosarno si appoggia alla mafia per necessità. Io non ce l’ho con la mafia che purtroppo dà lavoro, ce l’ho con lo Stato che il lavoro non lo dà». Infine, riferendosi a don Ciotti, che ricordiamo è l’ispiratore e fondatore dell’associazione Libera che nella Piana di Rosarno è molto presente e si occupa di far lavorare giovani disoccupati nei terreni sequestrati ai mafiosi, don Memè afferma: «Non è un parroco, lavoro non ne ha, ha voluto prendere questa bandiera lotta alla mafia e questo lavoro. Per combattere la mafia basta essere preti, non delle guardie della polizia, questa è propaganda».
Non ci pare che questo argomentare sia in linea con l’insegnamento di Papa Francesco. Monsignor Milito però fin qui non ha battuto ciglio, probabilmente avrebbe potuto continuare a farlo anche dopo l’omaggio dei portatori della Madonna al boss Mazzagatti.
Solo che nel frattempo in quel di Cassano…

P.S. Per completezza di cronaca, va detto che don Memè con la sua testimonianza non ha portato grande giovamento agli “amici”: Francesco Pesce è stato condannato a 12 anni di reclusione; Franco Rao a 16 anni e altri 16 anni e quattro mesi sono stati inflitti a Domenico Varrà. Eppure in quel processo (“All Inside”) ben 21 imputati sono stati assolti, insomma questi giudici «comunisti»…

A proposito della Madonna che si inchina al boss

”I Carabinieri hanno fatto benissimo ad allontanarsi. I servitori dello Stato non possono tollerare il minimo compromesso o tentennamento nei confronti della ‘ndrangheta. Sta agli altri come ho detto sia prima e sia dopo che Papa Francesco venisse in Calabria, essere conseguenziali e coerenti con quello che ha detto Papa Bergoglio e con quello che abbiamo scritto con il libro ‘Acqua santissima’. E’ ora di finirla con la retorica delle parole e incominciare a prendere provvedimenti con chi ha violato le regole della Chiesa e le parole di Papa Francesco”.

Nicola Gratteri, procuratore aggiunto presso il tribunale di Reggio Calabria su ciò che abbiamo scritto (di prima mattina, eh) qui.