Le aziende criminali (e mafiosi) del nord Italia. E il silenzio.
Insisterò, scriverò, scriverò, scriverò finché non diventerà qualcosa di più di un’urgenza circolare ma sarà finalmente una priorità politica, sociale. Una priorità. Ecco il bell’articolo de il Bo:
Mafie sempre più aggressive nel campo economico e finanziario, che si appoggiano ai loro enormi fondi per falsare il mercato a danno soprattutto delle imprese pulite, ma anche per attrarre fondi pubblici sottraendoli a chi li meriterebbe. Una criminalità sempre più ‘acculturata’, capace di attrarre le professionalità del mercato per imporre le sue regole alla società civile. Sono i pericoli che emergono dalla ricerca condotta sulle cosiddette ‘aziende criminali’ nel centro-nord Italia da Antonio Parbonetti, docente di economia aziendale presso l’università di Padova, assieme a Michele Fabrizi, assegnista di ricerca, e a Patrizia Malaspina, dottoranda del dipartimento di Scienze economiche e aziendali ‘Marco Fanno’.
Si tratta di uno studio che parte dall’esame di tutte le sentenze emesse nel centro-nord Italia dal 2005 al 2014 per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, per un totale di 120. Da queste in seguito sono stati recuperati tutti i nomi dei condannati e successivamente si è risaliti alle aziende e ai loro bilanci, tramite le banche dati delle camere di commercio. Un lavoro lungo, che ha comportato l’esame di migliaia di pagine di documenti.
In seguito i ricercatori padovani hanno esaminato i bilanci delle aziende identificate in questo modo per un totale di 1.139: al primo posto per concentrazione di imprese criminali al nord è risultata la Lombardia con 425 (il 37,38% del campione esaminato), seguita dal Triveneto con 187 (16,45%) a dalla Liguria con 74 (6,51%). Impressionanti alcuni dati, a partire dal fatto che circa un quarto delle 1.567 persone condannate per mafia in primo grado di giudizio o successivo sarebbero azionisti o amministratori di società di capitali (Spa o Srl). Un numero alto, che denota quasi un mutamento genetico di una criminalità sempre più padrona degli strumenti economici e finanziari. “Allo stesso tempo ci ha stupito che queste aziende abbiano un ricavo medio di oltre 13 milioni, molto al di sopra della media – spiega al Bo Antonio Parbonetti –. Non si tratta quindi solo di piccole realtà nel campo dell’edilizia ma di aziende abbastanza grandi, che si occupano anche di industria e di servizi e sono praticamente diffuse in tutti i settori”.
Una criminalità che dimostra anche una forte capacità di internazionalizzazione (la ‘ndrangheta e la camorra ad esempio hanno creato veri e propri network internazionali) con un’espansione che privilegia aree economicamente sviluppate e caratterizzate da buone condizioni istituzionali. Diverse le tipologie di imprese esaminate, che rispondono a differenti esigenze dell’organizzazione criminale. Le aziende di supporto ad esempio hanno spesso ricavi pari a zero e molti costi per servizi, mentre le cosiddette ‘cartiere’ (in gergo quelle che si occupano di riciclaggio) sono quelle più facilmente individuabili tramite un’indagine statistica, dato che sono caratterizzate da un andamento sincrono di costi e ricavi, dalla dimensione medio-piccola e da ricavi molto volatili. Ci sono poi le ‘aziende star’, le più grandi, che mostrano buone performance ma sono anche le più indebitate: si tratta di aziende ben visibili che servirebbero per infiltrare la longa manus criminale all’interno del sistema socio-politico.
La ricerca getta una luce su un fenomeno tristemente rilevante per la nostra società, ma finora poco studiato: “Adesso per la prima volta abbiamo un’analisi micro molto dettagliata, condotta sulle aziende in quanto tali e sui loro bilanci. Numeri veri insomma e non stime”. Ma non si tratterà solo della classica punta dell’iceberg? “Certamente la realtà dei rapporti tra criminalità ed economia è molto complessa, esiste una serie di piccole aziende, società di persone, terreni e patrimoni che per il momento non abbiamo potuto esaminare – riprende Parbonetti –. In questo studio abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sulle società di capitali, che sono comunque quelle economicamente più significative”.
Cosa fare concretamente per contrastare il fenomeno? “Innanzitutto stiamo cercando di capire se è possibile identificare dai bilanci le connessioni con la criminalità almeno in via probabilistica. Ciò che in sostanza differenzia le aziende criminali si può sintetizzare in pochi evidenti parametri: ricavi quasi sempre pari a zero, il peso dei crediti verso i soci e l’andamento sincrono di ricavi e costi operativi”. C’è un rischio reale di infiltrazione della malavita, in particolare nel Nordest? “Nella misura in cui il sistema non sia preparato a capire la portata della sfida che ha davanti. Il centro-nord per molti versi è culturalmente estraneo al fenomeno delle mafie, che non è nato qui, quindi la società ha difficoltà a riconoscerlo nelle sue dimensioni e nella sua effettiva pericolosità. I pericoli di infiltrazione arrivano soprattutto da qui”.