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mafia capitale

Il testimone si inventa un lutto per non testimoniare: la paura, a Roma.

carminati

È una storia che lascia spazio a molte riflessioni quella di Filippo Maria Macchi, l’imprenditore romano che nel 2014 era ricorso a Massimo Carminati per farsi prestare trentamila euro. Aveva tra le mani un affare di oro in arrivo dall’Africa (che poi sfumò) e pensò che un prestito “facile” dalla criminalità potesse essere la strada più semplice. Ma non fu così. E oggi Macchi, chiamato a testimoniare, si dimostra impaurito come ci si aspetterebbe in una storia di mafia del profondo sud di qualche decennio fa; e invece accade a Roma, nella capitale in cui il processo Mafia Capitale viene usato per scagliarsi addosso a qualche candidato sindaco ma in realtà scompare dalla cronaca. Così Macchi prima si inventa un lutto (mai esistito) e poi portato a forza davanti al magistrato nega di avere mai ricevuto le minacce. E attenzione: se non si riesce a dimostrare minacce e intimidazioni cade l’accusa di mafia, che è proprio l’obiettivo degli avvocati di Carminati e compagnia. Quando il pm ha fatto ascoltare in aula le parole che Macchi aveva pronunciato al maresciallo dei Ros che l’aveva contattato per testimoniare («Marescià, sappiamo che queste sono persone che si sò rivalse e che si rivalgono contro chi gli si rivolge contro…») l’imprenditore ha provato a balbettare una scusa, una mezza frase. E invece è la mafia con tutti i suoi effetti. A Roma.

Il baldanzoso Gabrielli e tutti i turbopolitici con i voti degli altri

E niente: il Prefetto di Roma Gabrielli, che oggi ha presieduto la prima riunione per il prossimo “anno santo” (a poposito di priorità e laicità dello Stato, tra l’altro) non ce l’ha fatta a non cedere al machismo politico che di questi tempi va per la maggiore e davanti alle telecamere ha precisato che di sindaco ce n’è uno ma può cacciarlo quando vuole (banalizzando il “commissariamento” ad una questione di voglie del re) e ironizzando sulle vacanze di Marino (che, per carità, sono indifendibili). Così, in pratica, usando il cerino Marino ancora una volta si svilisce la politica facendo annusare un’oligarchia che (non in base a scelte democratiche) ci concede la democrazia solo perché si sente particolarmente in vena.

Il Prefetto nominato dal Governo (che non è uscito da nessuna urna) ci sta facendo il piacere di organizzare il piatto ricco degli appalti (sicuramente “urgenti” tra breve) lasciando in vita gli organi eletti.

Tutti turbopolitici con i voti degli altri.

Cosa dice Claudio Fava su Roma, PD e SEL

Si può essere d’accordo o meno con lui ma Claudio Fava non usa giri di parole. E il suo commento (che mi era sfuggito) merita una valutazione:

Quello che ci insegna il sacco di Roma

Se avete letto del sacco di Roma, avrete capito perché non sono entrato nel PD. E perché sono uscito da SEL.
Sul Partito Democratico, su quel suo personale politico tenuto a busta paga dal fascista mafioso Carminati, non ho molto da aggiungere. Aggiungo invece sulla reazione di Renzi, “…fa schifo!”, che andrebbe bene in una chiacchierata tra amici alla bocciofila ma non a Palazzo Chigi. Dal capo del governo mi sarei aspettato non una generica (e ruffiana) invettiva contro la politica corrotta ma un’agenda di lavoro per redimerla, per restituirle autonomia e dignità, per evitare la liturgia dello stupore quando i giudici (a Milano, a Roma, a Venezia) puntano il dito e il codice contro quello che tutti sapevano o intuivano. Avrei preferito che il segretario del PD spiegasse al suo partito quanto sia stato indecente, nel giorno in cui la Procura di Roma svelava l’assalto mafioso alla capitale, plaudire ipocritamente quei giudici e intanto negare al Senato la possibilità di utilizzare processualmente le intercettazioni a carico di due parlamentari democratici inquisiti. Mi sarei aspettato che Renzi commentasse l’inchiesta romana impegnando il suo esecutivo a mandare avanti quei punti di riforma sulla giustizia (prescrizione, falso in bilancio…) che la maggioranza ha depositato su un binario morto. Insomma, mi sarei atteso meno punti esclamativi e più verità. Per cui, resto fuori. Fuori da un PD che misura i rapporti di forza interni sul peso delle tessere, che avrebbe voluto il rimpasto della giunta Marino per piazzarci due nuovi assessori oggi finiti in galera, che voltava lo sguardo altrove mentre le seconde e le terze file del partito romano vendevano la città a una banda di fascisti, di mafiosi e di speculatori in cambio di una manciata di denari.
Sono uscito da SEL per motivi politici assai diversi ma per un comune sentimento di rimozione che PD e SEL ormai condividono. Penso al tenace, umiliante silenzio con cui gli alti dirigenti del mio vecchio partito hanno accompagnato le cronache di questi giorni. Non una parola preoccupata di Vendola sul fatto che tra gli amministratori distratti di Roma ci fossero anche quadri del suo partito. Non un accenno di autocritica rispetto alle ombre che attraversano le carte di questa inchiesta. Non un pensiero chiaro, netto, forte sui silenzi di SEL che questa città l’ha amministrata assieme e accanto al PD. Per un partito nato sull’esigenza di rimettere la questione morale al centro della propria missione (era scritto così nell’atto costitutivo che io firmai cinque anni fa) questa improvvisa timidezza, questo garbatissimo silenzio sono un segno desolante. In altri tempi, il gruppo dirigente di SEL avrebbe lanciato una campagna politica sul sacco di Roma prendendosi giorno per giorno le piazze, reclamando fino in fondo chiarezza e verità, analizzando senza sconti con nomi e cognomi il sistema di potere politico mafioso romano (che purtroppo, dicono le carte dell’inchiesta, non era una metastasi circoscritta solo alla destra). Adesso, invece, poco o nulla. Come se questa vicenda non rappresentasse per tutti una tragedia democratica, il segno di una deriva drammatica, di una politica stracciona e serva, di una pubblica amministrazione ridotta a bottino di guerra per bande e cosche mafiose.
Eppure è proprio su questo punto, sulla priorità di una questione morale non più delegata ai tribunali, che oggi a sinistra si apre uno sterminato spazio politico. Volerlo ignorare per privati pudori o per pubbliche convenienze non è solo un peccato: è una fuga. Per questo non riesco a ritrovarmi nelle forze politiche della sinistra italiana, per come sono oggi. Ma non rinuncio a credere che il dovere di ritessere – qui, a sinistra – una tela, proprio a partire dall’autonomia della politica, appartenga a tutti noi, nessuno escluso.

Posted by Claudio Fava on Lunedì 8 dicembre 2014

Mafia Capitale: i beni del “povero” Buzzi

mafia360ed06231_44285223_300Il nuovo provvedimento di sequestro, emesso dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione, eseguito da parte del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria, riguarda le quote societarie, il capitale sociale e l’intero patrimonio aziendale, ivi comprese le disponibilità finanziarie, della Sarim immobiliare S.r.l., con sede a Roma, in Viale Palmiro Togliatti n. 1639, operante nel settore della “locazione immobiliare di beni propri”. La società, legalmente rappresentata e partecipata (quota del 6%) da Emanuela Bugitti, anch’essa già colpita da ordinanza di custodia cautelare in data 2 dicembre 2014 e 4 giugno 2015, nonché dallo stesso Buzzi Salvatore (quota del 6%) e da Guarany Carlo Maria (quota 1%), risulta controllata dalle note cooperative “29 Giugno Coop. Sociale Onlus”, per il 48%, e “Formula Sociale a r.l. Onlus”, per il 4%, entrambe già cadute in sequestro il dicembre scorso. Il patrimonio detenuto dalla Sarim immobiliare S.r.l. si sostanzia in disponibilità finanziarie, partecipazioni societarie e, soprattutto, in una unità immobiliare di ben 2.750 mq, ubicata a Roma, in via Santa Maria di Loreto n. 35, utilizzata dalle cooperative di Buzzi quale casa di accoglienza, dedicata a categorie protette (donne, minori, rifugiati e richiedenti asilo). Il valore dei beni oggi cautelati ammonta a circa 16 milioni di euro, portando il sequestro totale dei beni cautelati nell’ambito dell’operazione “Mondo di mezzo” ad oltre 360 milioni di euro. Prosegue, ininterrottamente, da parte del Tribunale di Roma e della Guardia di Finanza, il recupero di spazi di legalità economica.

Buzzi, 59 anni e un passato nell’estrema sinistra, sarebbe, secondo i magistrati, uno dei due “boss” della presunta associazione a delinquere. Finito in carcere nel 1980 per l’omicidio di un suo socio in affari, era uscito prima del tempo, nel 1994, per via della grazia concessagli da Oscar Luigi Scalfaro. E, proprio in quegli anni di galera, aveva conosciuto l’altra persona che sarebbe a capo del presunto sodalizio criminale, Massimo Carminati, ex terrorista di estrema destra molto vicino, in passato, alla banda della Magliana. Uscito di prigione, Buzzi aveva fondato la “29 Giugno”, una cooperativa di ex-carcerati, e, nel corso degli anni, era diventato anche il direttore di un consorzio di cooperative che gestivano campi rom, centri di accoglienza per migranti e anche alcuni punti verde qualità. Buzzi e Carminati, secondo i magistrati, avrebbero ottenuto diversi appalti grazie alla corruzione di politici e amministratori.

(fonte)

Cara di Mineo: 8 domande ad Alfano e (per ora) nessuna risposta

Sono otto domande che potrebbero chiarire le responsabilità politiche, oltre che penali. Le pone De Angelis per HP qui:

1) Perché tra gli arresti di Mafia Capitale 1 e Mafia Capitale 2, non spiega che a Cara di Mineo è stato creato un sistema unico, sin dall’inizio, teso a garantire un sistema di potere? 2) Perché Alfano non spiega il perché il Viminale fa, per tramite della prefettura, una convenzione che porta ad aumentare le spese? 3) E perché Alfano non spiega come mai, dopo Mafia Capitale 1, e preso atto che Odevaine (arrestato) era componente della Commissione che ha aggiudicato la gara, non ha fatto alcun atto a Cara di Mineo, tipo ispezioni e controlli? 4) E perché il ministro dell’Interno resta silente dopo che Cantone dice che la gara è illegittima? 5) E perché non risponde alla lettera del 27 maggio di Cantone, che in sostanza chiede: che cosa ne pensa il ministro dell’Interno dell’appalto di Mineo per il quale Odevaine pretendeva mazzette di 10-20mila euro mensili, dai manager della Cascina grazie a una gara “illegittima”? 6) È possibile che al Viminale nessun funzionario lo avesse informato del ruolo di Odevaine? 7) Si sente di escludere quello che Odevaine dice nelle intercettazioni e cioè che il “sistema Castiglione” al Cara di Mineo serviva a finanziare il suo partito? 8) E sarebbe pronto a dire che, se fosse arrivato un solo euro direttamente o indirettamente al suo partito da “La Cascina” sarebbe pronto a dimettersi? È in queste domande, oltre che nella posizione processuale di Castiglione, la bomba sotto il governo: “Se salta Castiglione – ripetono i bel informati – salta Ncd e al Senato si balla. E soprattutto la valanga stavolta rischia di travolgere Alfano”.

Se vedete scorrere troppi soldi fatevi delle domande prima che se le facciano i magistrati

Cristiana Alicata sul suo blog centra il punto su politica e soldi in modo semplice semplice. Come ci sarebbe bisogno di fare molto più spesso:

La pratica dei manifesti abusivi (ci chiedevamo dove arrivavano tutti questi soldi e ci lamentavamo dei lavoratori migranti in nero usati per attaccarli ovunque), le primarie cammellate messe più volte a verbale e molto prima delle primarie per il sindaco di Roma, le tessere false, le immense cene, le campagne elettorali costosissime, inaffrontabili da un normale cittadino, le volte che in alcuni comuni alle primarie votava più gente dei votanti al PD e, in ultimo, tutti quegli eletti (tanti) che non pagavano contributi ai partiti rendendo il partito e i suoi dipendenti deboli, troppo deboli rispetto ai comitati elettorali.

Tutto quello che sta accadendo sta intaccando tantissimo la città e i suoi cittadini in termini sociali prima che politici.

E’ un autentico disastro, anche culturale, perché sta gettando fango su tutti, anche sugli innocenti accusati di non avere vigilato a sufficienza o di non avere gridato abbastanza forte. Roma ci metterà anni per riprendersi da quello che sta accadendo e i prossimi anni saranno difficilissimi. Roma è una città dove non esiste più la fiducia, completamente rasa al suolo.

Io però questo lo devo dire a tutti. Non ai militanti del PD, ma a tutti i cittadini che militano in un partito da Canicattì a Bolzano: se vedete scorrere troppi soldi fatevi delle domande prima che se le facciano i magistrati.

Mafia Capitale capitolo secondo: l’ordinanza completa

172826636-4a9faf2f-10ab-4ef6-b071-8ec4839cb9a0Siccome già questa mattina fioccano gli editoriali sugli arresti di ieri a Roma e siccome ancora una volta sono tutti colpevoli e tutti innocenti (come dopo i risultati elettorali) vale la pena leggere, studiare e analizzare per capire.

L’ordinanza completa in PDF è qui.

Mafia Capitale: confiscati i beni al “povero” Diotallevi

3447786819Quote societarie, immobili a Roma e Olbia, un hotel a Fiuggi, conti correnti ed opere d’arte, per un ammontare di 25-30 milioni di euro, riconducibili a Ernesto Diotallevi, ritenuto dalla procura di Roma il referente locale di Cosa Nostra sono stati confiscati dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Roma.

La decisione è stata presa in accoglimento di una richiesta dei pm Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini che, sotto la direzione del procuratore Giuseppe Pignatone, indaga sulla cosiddetta Mafia Capitale. Esclusi dalla confisca, con revoca del sequestro, si legge nel provvedimento di 110 pagine firmato dal collegio presieduto da Anna Criscuolo, il 50 percento della società «Lampedusa srl», alcuni quadri, una vettura, il 49% del patrimonio aziendale della «Gamma Re srl» e una decina di conti correnti con importi intorno ai 1.000 euro. Il tribunale ha anche rigettato i ricorsi di Banca Carim, Banca Sella e Banca Tercas, in relazione a contratti di mutuo e di apertura di credito, garantiti da ipoteca sugli immobili, stipulati in favore dei fratelli Diotallevi e di Carolina Lucarini, moglie di Ernesto, ritenendo che questi siano stati concessi in malafede.

La sentenza emessa dal tribunale di Roma, impugnabile da Diotallevi in corte di appello, apre la strada ad analoghe iniziative già sollecitate dalla procura per altri indagati nell’inchiesta su Mafia Capitale. Tra questi Massimo Carminati, accusato di essere il «dominus» dell’associazione per delinquere di stampo mafioso

“Mafia Capitale”: le armi nascoste nel cimitero o nei battiscopa

Nascondendo le armi dentro il cimitero monumentale del Verano, gli uomini ritenuti essere il trait de union tra le ’ndrine calabresi e l’organizzazione «Mafia Capitale», pensavano di essere al sicuro. Invece i militari del Ros, durante una perquisizione effettuata lo scorso 11 dicembre negli spogliatoi a disposizione degli impiegati dello storico cimitero romano, avevano trovato alcuni documenti relativi ad armi, munizioni e anche un «serbatoio monofilare per pistola». Il caricatore era custodito nell’armadietto personale di Salvatore Ruggiero. L’uomo, secondo gli inquirenti, insieme a Rocco Rotolo, assicurava il collegamento tra la cosche calabresi e le cooperative gestite da Salvatore Buzzi. Un legame che garantiva ai romani una certa «protezione», una sicurezza ricambiata da Buzzi e Carminati che «avrebbero creato – scrivono gli inquirenti – la Cooperativa Santo Stefano Onlus, che nella progettualità dello stesso Buzzi sarebbe stata una “Cooperativa di ‘ndranghetisti”». Inoltre, a bordo della Citroen di proprietà di Ruggero, gli investigatori avevano anche trovato l’occorrente per la pulizia e manutenzione delle armi. Il Verano non era l’unico posto dove, secondo la procura di Roma, venivano custoditi gli armamenti. Rotolo, durante una conversazione intercettata successivamente all’arresto del «Cecato», spiegava al suo interlocutore di aver approntato, nei pressi della sua abitazione, un nascondiglio: «Ce l’ho a casa…mo’ poi ho preso la mezza panchina di queste..l’ho scavata dentro… gli ho fatto la vaschetta… e mo’ la monto…li scavo dentro… gli faccio il posto… poi ci metto un filo di silicone nel contorno…e chiudo…e la metto a mo’ di gradino». Ma le armi possono deteriorarsi a causa dell’umidità perché «il marmo è maledetto», quindi occorre celarle in un luogo dove sia possibile estrarle con facilità: «Basta togliere una mattonella del battiscopa per fare nu’ buco – continua l’indagato – incolli il battiscopa con la calamita… metti… u’ ferru… e il battiscopa..e la calamita nel buco». Così è possibile prelevare velocemente l’arma: «Quando ti serve…tiri avanti la calamita…tiri la mattonella….e stacchi la calamita…co’ la colla speciale… iu adesso quando ho tempo u facci…» continua l’uomo specificando che tale operazione risultava essere di sicura efficacia contro eventuali controlli delle forze dell’ordine: «Non mi’ ’i trovano mai…a me…a casa mia….u sistema è questo qua…ce l’ho dietro a cucina…e a stufa a pellet…o dietro l’armadio…non vanno mai col metaldetector basso capito…?». Effettivamente, presso la casa di Rotolo non è stata trovata neanche una pistola.

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