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mafia

Comunicato agli ascoltatori di RadioMafiopoli

A Mafiopoli succede che la parola non mafiopilotata è a forma di una lupara dritta dritta sul gargarozzo. Succede che ridere è una concessione in mezzo a tutte queste carte bollate, animali addestrati alla minaccia barbara per niente francescana. E noi il diritto di tenere nella fondina il sorriso come arma bianca ce lo teniamo stretto e lo esercitiamo, come le panelle all’ora dell’aperitivo. Perché ci viene da non crederci e anche un po’ da ridere a pensare che l’unica via sia alluparsi di lupara o stare zitti o peggio ancora alluparsi zitti come i Lo Pippolo davanti alla tivù o come Binnu dopo il tagliando alla prostata. Però per esercitare il nostro diritto con intelligenza abbiamo bisogno di un secondo di stop (mica di quegli stop suggeriti a forza di piloni dell’autostrada o con qualche macchina al microonde). Abbiamo bisogno di stop perché ridiamo ma non siamo scemi come le loro ricotte con le biete erbette e perché ci piace fregare senza essere fregati, e perché ci viene da ridere mentre cercate la saracinesca di radiomafiopoli con in mano il tubetto di colla.
Ci facciamo carico della nostra responsabilità di avere così tanti ascoltatori e amici in questa corsa e torniamo tra poco più radiomafiopolitani di prima. Anche più belli, più alti e con gli occhi azzurri.
Perché fa ridere doversi tutelare per uno sberleffo antiracket ma Mafiopoli è una terra strana.
Ci ritroviamo tra poco con una puntatina sugosa sugosa sul percolato dei Capalesi, con una casa su misura per noi e con la stessa tragica voglia di ridere.
Intanto vi mettiamo le pecore e la staccionata e quella musichetta dell’intervallo Rai che fa venire l’orchite solo a pensarla.

Giulio Cavalli

RADIO MAFIOPOLI – Terza puntata: Questa Cosa (Nostra) non è un albergo

clicca qui per ascoltare mafiopoli3

Comunicato sindacale della redazione di Radiomafiopoli: a seguito di recenti informazioni pervenute presso la nostra redazione da Partinico circa le presunta fuitina non protetta di un nipote Fardazza, episodio che va ad aggiungersi ad altri paventati congiungimenti carnali avvenuti negli ultimi giorni, il comitato dei giornalai di Radiomafiopoli chiede con forza a tutti gli amici degli amici e in particolare ai rappresentanti dei sindacati della Cipielle, Cifl, Cosa Nostra, Camorra e gli aiutanti di Babbo Natale di porgere maggiore attenzione al palinsesto delle trasmissioni per un miglior coordinamento. Già in una nostra puntata precedente ci eravamo dedicati al mistero sacro della perpetuazione della specie ed eventuali spargimenti di seme fuori tempo rischiano di minare la nostra credibilità. Raccomandiamo quindi ai nostri protagonisti di inviarci mezzo fax o posta elettronica i programmi futuri evitando possibilmente segni di difficile interpretazione sui muri. Certi di una vostra risposta e di un’eventuale lettera ai Corinzi continuiamo ad essere disposti ed esposti a quella solita omertà che tiene orgogliosamente alto il nome di Mafiopoli nel mondo. Grazie. Ora proseguiamo con le nostre trasmissioni. Riassunto delle puntate precedenti: Mafiopoli è una ridente cittadine sulle rive del ponte dei sogni. I cittadini sono tutti felici. La mafia non esiste e tutto il resto è noia.
RADIOMAFIOPOLI PUNTATA NUMERO 3: QUESTA COSA (NOSTRA) NON E’ UN ALBERGO
C’è un’aria elettrica oggi a Mafiopoli per la manifestazione annuale delle mogli dei mafiosi mafiopolitani contro il rincaro della benzina e dei latticini, che pesano enormemente sul bilancio della famiglia (quella minuscola e quella maiuscola) per tutto questo via vai dei zampettanti latitanti da una casupola all’altra. Giù a Mafiopoli è pieno di casupole in mezzo ai campi, in mezzo ai campi di tabacco, in campi di finocchietto, in campi di riso, in periferia, in centro, nei montecitori e quando vengono quelle belle piogge monsoniche perfino nei palazzi di giustizia. Sono la particolarità del posto, come i nuraghi in Sardegna, i craponi all’isola di pasqua e gli ingressi dal retro delle banche popolari di lodi in Lombardia. E le donne a casa a soffiare sul focolare domestico s’intristiscono, con la tristezza tipica dell’arancino con il riso scotto, perché i mariti braccati e bracconieri non hanno più orari, casupolano di baracca in baracca, hanno la gotta da ricotta e corteggiano capre. Una vita d’inferno, quella delle mogli del latitante che non è ancora stato eletto in Pirlamento. I mariti escono a comprare le sigarette e tornano tra trent’anni e loro, femmine dolci e sevizievoli, ci tocca da sole controllare la posta (tra bollette, raccomandate, pizzini sputati e teste di cavallo), allevare i figli (con il fondo mutualistico del Mafinps), mandarli a scuola e fare tutte le settimane le prove di punciuta per il saggio di fine anno.  Poi è normale che quando i nostri pendolari tra casupole e riformatori residenziali tornano a casa, si apre un meraviglioso pantagruelico abbraccio delle donne pazienti. Per il prossimo 15 ottobre all’apertura delle gabbie per Michele Ditale, ad esempio,  è stata prenotata una torta di panna e alici a forma di bombola a gas, e il comitato di benvenuto (coordinato dalla Fardazza Eventi SPA) ha noleggiato quattro ballerine nane, quindici clown e l’almanacco del buon mafiopolitano, e i filmini pistoleri e un po’ spinti di quel maialino di Leoluca Barbarella. Ogni volta che un mafiopolitano torna a casa è un’esplosione di gioie e di colori, di sentimenti e di un paio di auto e i fuochi di artificio sfrizzano felici per le vie di Mafiopoli. Per questo tira e molla dell’amicizia e dell’onore. Totò o ‘curtu tornerà anche lui finalmente a casa tra 177 anni finito il castigo e a Corleone gli stanno preparando una festa che se la scriveranno sui calendari: una bella urna tutta diamanti e cannoli della pasticceria Vasa Vasa. Ma il fuoriclasse del vado e torno era stato il portafortuna di Mafiopoli Andrea Otti, l’elfo gobbetto e occhialuto che portava fortuna a tutti. Che gli lisciavi la gobba e improvvisamente tutto andava bene e meglio e ti si apriva una corrente democricchiana in famiglia. Andrea Otti era per mafiopoli quello che Babbo Natale è stato per la Coca Cola, quello che l’uva è per il vino, come l’acqua per la terra: Andrea Otti era la statua della libertà sul lungomare di Mafiopoli. Dove camminava crescevano petali di rosa, dove parlava non c’era mai un testimone, dove passava tutti i picciotti in festa canticchiavano come nel Mago di Oz. Un tripudio. Poi un giorno arrivò la sagra con tutti i santi in colonna e tutti i mafiopolitani sapevano che Andrea Otti con quella sua gobba avrebbe portato una fortuna perenne alla città e a tutti i suoi cittadini con quella sua gobba di fata. Perché Andrea Otti era eterno, ce l’aveva scritto sulla scadenza dell’etichetta pinzata agli occhiali e infatti era indistruttibile come il guscio Meliconi.
Ma un giorno (un giorno triste che era nato subito dopo cattivi auspici dopo che Pippadauro aveva azzeccato un congiuntivo) Andrea Otti girò i tacchi, si svitò la gobba e se ne partì. Senza dire niente. Senza neanche uno di quei suoi bei baci bavosi che dava per sbaglio. Neanche una telefonata agli amici più cari. E a Mafiopoli scese la tristezza più cupa. E tutti soffrivano, anche il suo amico Salvo soffriva come un cane. Che l’avevano dovuto abbattere.
“tornerà, tornerà!” gridava il Principe Chiaccavellico durante l’inaugurazione del nuovo ponte da Messina a Bogotà. “tornerà! Come tutti i mafiopolitani seri e certificati! State tranquilli! È solo un momento di mestruazione, un secondo di prescrizione e poi tornerà bello gobbo e funereo come prima!”
Ma Andrea Otti non tornava, e la città si faceva sempre più trista. Le mamme lo ricordavano raccontando le favole ai figli, e le raccontano così bene la favola di Andrea Otti che ancora adesso c’è chi non ci crede. Le raccontavano loro e tutta la tivù di stato: Mafiopoli 1, 2, 3 e Beghe 4 e Banale 5. Un kolossal di proporzioni proporzionali e con un pizzico di maggioritario, senza la preferenza unica.
Ma Mafiopoli non va mai in prescrizione e le leggi della natura non si spengono: se Andrea Otti non è tornato, forse è perché non è mai andato via. Noi mafiopolitani stàmo, magnàmo enon pagàmo, alla Romana.

RADIO MAFIOPOLI – Regole fondamentali di latitanza civile, ore 14:00 in diretta

Mi hanno chiesto – perché sfottere la mafia? Ho risposto – perché no?

Siamo nell’epoca del culto per la credibilità e per l’onore, della comunicazione masticata e poi sputata, della dignità da discount; in tutto questo magma di garantismo avanzano nel borsellino, come la moneta, quelli che a ragion veduta dovrebbero essere il braccio armato della “cosa nostra di chi?” al soldo di qualche incravattato nelle stanze del potere.

– Perché sfottere la mafia?

Perché siamo stanchi di questi falsi miti da fiction che qualcuno vuole convincerci possano tenere sotto scacco una nazione. Perché disonorare la mafia è una questione di onore. Perché è il nostro modo da giullari per urlare il nostro no. Perché fanno ridere mentre si mettono in posa per fare paura. Perché come diceva Peppino la mafia è una montagna di merda.

Perché smontare la loro credibilità è il nostro modo per opporsi ad un racket culturale e in più ci divertiamo un mondo.

REGOLE FONDAMENTALI DI LATITANZA CIVILE
A Mafiopoli una volta c’è stato un momento, un secondo soltanto, un istante di stallo: di quegli stalli belli bellini che nessuno osa toccare, come le stalle mafiuse di Dito Ditale giù a Partinico, di quegli stalli e stalle che ci vuole un Genio a buttarle giù, perché le persone normali sentono troppo odore e se la fanno sotto, come per  le stalle mafiuse di Dito Ditale giù a Partinico.
A Mafiopoli c’è stato il santo momento di stallo quando l’accalappiacani ha preso Zu’ Binnu di Provenza che girava randagio. L’hanno preso nel bel mezzo del festivàl internazionale della bieta erbetta e ricotta con il grembiule elettorale quello in raso che ci aveva regalato Totò (l’altro). Preso Binnu tutte le campane a Mafiopoli e i campanelli in parlamento suonavano a morto, più che morto, come quasi a babbo morto, ecco.
E allora c’è stato lo stallo: anzi c’è stato lo Stato Stallo, che attraversa la prima repubblica, la seconda e ci ha già l’abbonamento per la stagione della terza, tanto è avanti lo Stato Stallo. Il Principe Cacchiavellico, che siede sullo scanno più alto, solo lui se la rideva sotto i baffi. Perché su Binnu di Provenza,  adesso che lo avevano accalappiato arrotolato nel grembiulino,  si apriva una grande stagione di filmoni e a Mafiopoli si registrava un’impennata di vendite di ricotte alla faccia della mozzarella di bufala.
Don Binnu da Provenza l’hanno rinchiuso in carcere duro. Ma duro di quelli duri, dove te la fanno pagare: ti danno la pasta scotta, la carta igienica ruvida, e hai il televisore fisso su rete 4. E Don Binnu in carcere sta male, perché il carcere duro è duro anche per un duro come lui, tanto che ce l’ha anche scritto al Principe Cacchiavellico che bisogna risolverla quest’infamia del  41 bis come diceva anche U’Curtu, magari con 41 tris o con una leggina nuova nuova e chiamarla la 44. In file per sei con il resto di due. Per questo il sindaco ha pensato ad una nuova forma di detenzione: dopo la detenzione di droga alla Barbalamenti, la detenzione pensionistica alberghiera per Binnu e suo compare Totò: cornetti caldi, alici fresche e ricotta come se piovesse. E tutti i giovedì nell’orata d’aria Binnu dalla provincia di Provenza se la gioca a Monopoli con Angelo Sìeno, che a monopoli ci sa fare perché a Mafiopoli era stato assessore alla deflorazione  urbanistica. E mastro Sìeno come ci riempie via Corta e via Stretta di case lui, non ce n’è nessuno al mondo. Perché a Mafiopoli l’edilizia è tutta questione di cubatura: la cubatura delle valigette sotto la scrivania dell’ufficio tecnico. E così anche se il carcere è duro è come tornare ai vecchi tempi quando si costruivano le case in quattro e quattrotto senza complicanze con la benedizione di Cianciamino. E così scorre lenta la prostatica detenzione dell’ex capo, lenta e dura come il sugo attaccato sul fondo della pentola. Alla faccia di tutti gli amici degli amici e dei più fortunati tra loro che sono finiti in pirlamento.
Arrestati Binnu e Totò a Mafiopoli si sono aperte le primarie. Perché Mafiopoli è democratica e al passo con i tempi: a Mafiopoli sono anni che governa il governo ombra e quello vero fa’ la sua onesta apposizione. Per le primarie si erano presentati in due, che però se li guardavi da vicino sono tre. Matteo Messina Soldino e i Lo Pippolo, che sono due come le Kessler. I Lo Pippolo erano partiti alla grande, sarà anche che sono due, ma poi li hanno presi e fine dei giochi. Li hanno presi perché a latitare in due ci sono quei soliti vecchi problemi di convivenza (calzini sporchi, lavare i piatti e cosa vedere alla sera in tivù) e poi li hanno presi perché non puoi latitare bevendo champagne dal baretto al piano terra. Questa tracotanza di latitanza indispettiva anche lo Zio Binnu che era mezzo secolo che andava a ricotta e al massimo al compleanno s’era bevuto mezzo Tavernello moscio e siccome anche a Mafiopoli vale l’adagio “chi troppo vuole” alla fine hanno dovuto abbandonare la tornata elettorale. Matteo Messina Soldino non si sa ancora se adesso ha vinto, perché lui è un latitante professionista e non lo trovano neanche gli amici per portarci la medaglia della vittoria. L’ultima immagine conosciuta è un ritratto del secolo decimo quarto della collezione di Totò (l’altro). E allora ritorna lo Stato di Stallo dello Stato Stallo di Mafiopoli.
Ma la lotta non si esaurisce a Mafiopoli e nuovi arrivi si aspettano. Intanto si è risolto il problema del governo e come deciso dagli anziani del posto come governatore ci hanno messo uno che non ha impicci, meglio ancora uno che addirittura non è nemmeno del posto; tant’è che ci hanno messo un Lombardo. Il papa Greco (che ormai sta anche lui sull’olimpo dei silurati insieme a Zeus e don Tano che fa’ da chierichetti), il papa Greco diceva che Mafiopoli non smetterà mai, che passano gli uomini ma non le tradizioni e che non si sa mai che un giorno arrivi un Principe che si prenda l’impegno per amore della città un ponte ideale che proietti Mafiopoli in nuovo futuro fatto libertè, legalitè, umiditè, mafiusitè e cocainè. Alla francese.

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Dal 17 settembre Giulio Cavalli e la Bottega dei Mestieri Teatrali presentano: “Radio Mafiopoli”

Dal 17 settembre Giulio Cavalli e la Bottega dei Mestieri Teatrali presentano:

“Radio Mafiopoli”

Una striscia settimanale sulle cronache dalla Repubblica di Mafiopoli. Dieci minuti irridenti, dieci minuti di satira sulla mafia e i suoi protagonisti.

Ogni mercoledì alle 14.00 in onda su AgoraVox Italia e LoStrillone.

Tutti i blogger e i cittadini possono ridiffondere la trasmissione attraverso i proprio siti e blog.

Venerdì 3 Ottobre, nell’ambito della presentazione di AgoraVox Italia, presso il Nuovo Cinema Aquila – Roma, Giulio Cavalli condurrà una puntata alla quale potranno intervenire i presenti  – l’invito è scaricabile cliccando qui -.

Una striscia che riprende la tradizione dell’indimenticato Peppino Impastato e l’esperienza della sua Radio Aut. Una voce che si prende gioco della mafia e delle sue connivenze per ricordarci che la mafia non è solo un problema siciliano.

Giulio Cavalli

Giulio Cavalli, Milano 1977, fonda a Lodi nel 2001 la compagnia Bottega dei Mestieri Teatrali. Firma il testo e la regia delle prime produzioni Il Cantafavole Muto, Tetiteatro e un chicco di caffè, Carro Poetico, Pulvere de Katabatù e Filo Spinato.
Nel 2006 mette in scena (Re) Carlo (non) torna dalla battaglia di Poitiers giullarata in occasione del quinto anniversario della morte di Carlo Giuliani
Il 27 marzo 2008 è stata presentata al Teatro alle Vigne di Lodi l’anteprima di Do ut Des, spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi, coprodotto dal comune di Lodi e dal comune di Gela, in collaborazione con la casa della memoria “Felicia e Peppino Impastato” ed il Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”.
Dalla stagione 2007-2008 Giulio Cavalli è inoltre direttore artistico del Teatro Nebiolo di Tavazzano con Villavesco, nella provincia di Lodi.

AgoraVox

Nasce in Francia nel 2005 da un’idea di Carlo Revelli che “sentiva” una discrepanza tra l’opinione pubblica e quella dei politici e dei media mainstream in merito al referendum sulla Costituzione Europea. AgoraVox nasce, anche, da un avvenimento tragico : lo Tsunami 2004. Il flow d’informazione non era gestibile attraverso i media tradizionali e il mezzo di comunicazione privilegiato divenne il Web. Decise, quindi, di fondare un giornale partecipativo. L’edizione francese, oggi, conta un milione di visitatori unici al mese e 35000 “reporter” che sottopongono degli articoli. Tra loro circa 1000 moderatori, votano gli articoli off line e quelli più interessanti sono pubblicati.. In Francia AgoraVox il secondo medium più citato su Internet dopo Le Figaro. Da Giugno AgoraVox é una Fondazione indipendente per evitare possibili derive aziendalistiche e/o politiche consentendoci di preservare la nostra indipendenza. AgoraVox ha per vocazione la libera diffusione delle informazioni provenienti dai cittadini. La versione italiana, oggi, conta già più di 300 reporter

Lo Strillone

“Lo Strillone” vuole dare forma a una rete di soggetti informativi e culturali. Non un soggetto egemone, ma un soggetto di servizio. A servizio di chi vi aderisce, ognuno con pari dignità, e a servizio di chi ne fruisce. La nostra intenzione è quella di creare un luogo di produzione e di scambio di oggetti informativi e culturali prodotti da soggetti già attivi sul web (e non solo) e fra loro empatici. Dare informazione, creare dibattiti, distribuire prodotti (evitando il saccheggio che spesso avviene sul web delle produzioni intellettuali e dei materiali che ciascuno di noi mette in rete quotidianamente). Un nuovo media costruito da tanti media. Che non si annullano in un nuovo oggetto, ma lo utilizzano per moltiplicare la massa critica dell’informazione e della cultura prodotte fuori dal circuito tradizionale.

SCARICA IL COMUNICATO QUI

Scrivere è reato

Sulla indicibile condanna a Carlo Ruta.  Dal sito Fustigat ridendo mores.

Er giudice gl’ha detto: “Che te credi

che ner blogghe puoi scrive’ ciò che vuoi?

Tu m’attacchi le banche e pesti i piedi

puro a la mafia e a li mortacci tuoi!

Che dichi? Che er tuo blogghe è libbertà?

Ma quale libbertà  famme er piacere

la pace nostra è fatta d’omertà

e se sgarri la pigli ner sedere.

E t’aggiungo così, bello papale,

pe’ nun portare avanti ‘sta manfrina

ch’er  blogghe tuo per me resta n’giornale

e un giornale de stampa clandestina.

Quindi mo te condanno e bada bene

de rigà dritto tu e l’amichi tua

artrimenti te becchi gravi pene.

Ma chi te credi d’esse’? Gargantua?”

“Ma signor giudice, io me so’ ‘nformato

e ho cercato de fa’ conosce i fatti:

perché hanno ucciso Giovanni Spampinato

che indagava su truffe e su ricatti…”

“Ma quali truffe, fatti e fatterelli…

Mo m’hai scocciato e te lo dico chiaro,

scrivi, se vuoi, di scippi e furtarelli

nun ce provà ndove ce sta er danaro.

Ringrazziaiddio che mo me trovi bbono

e che te faccio ammettere ar condono

e nun fiatà, sinnò prima de sera

giuro, te faccio sbattere ‘n galera”

Leggi tutto »Scrivere è reato

I professionisti dell’antipizzo

di Claudio Fava – 10 settembre 2008
Il caso Lo Bello

Quando parliamo di mafia, ci tocca ragionare anche su una sottocultura di luoghi comuni e di ammiccamenti poco raffinati ma utilissimi a prendere le distanze, a celebrare dubbi, a insinuare malizie.

Cominciò Leonardo Sciascia ventuno anni fa prendendosela con i professionisti dell’antimafia, e fu pessimo profeta perchè di quei cosiddetti professionisti (Sciascia ne citò per cognome e nome uno per tutti: Paolo Borsellino) i sopravvissuti sono proprio pochini. Adesso siamo ai professionisti dell’antipizzo. Anzi, al professionista: Ivan Lo Bello, presidente degli industriali siciliani, colpevole d’aver promesso (e mantenuto) di cacciar via dall’associazione gli imprenditori che avessero preferito pagare e tacere. Tra qualche settimana dovrebbero riconfermarlo nell’incarico, ma i suoi colleghi di Catania hanno già aperto il tiro a bersaglio: «Lo Bello? Non lo votiamo. Troppo monotematico con questa sua fissazione sul pizzo». E subito si sono
alzati gli echi malevoli, le voci di contorno e di rimbalzo: la battaglia contro il racket? Una vetrina, una passerella, una trovata per farsi pubblicità…Sono gli stessi argomenti, magari un po’ dirozzati, che usarono molti anni fa commercianti e imprenditori palermitani contro Libero Grassi. Colpevole d’aver detto, anzi d’aver proclamato con tutta la carica emotiva di una denunzia in televisione, che lui il pizzo non lo avrebbe mai pagato. I commenti di molti suoi colleghi furono un repertorio di grossolano buon senso: certe cose non si dicono, non si denunziano e soprattutto non si raccontano in tivù; meglio pagare, tacere e conservarsi in salute. Libero Grassi lo ammazzarono una settimana dopo il florilegio di quei commenti. Ora, non sappiamo se gli industriali che si sono schierati, con siffatti argomenti, contro Lo Bello abbiano presente quanto la mafia abbia gradito la loro scomunica. Non sappiamo se si rendano conto che il gesto di quel
loro presidente aveva, da solo, riscattato lustri di opacità. Non so se la memoria li soccorre per ricordare che il predecessore di Lo Bello fu allontanato dall’incarico con ignominia dopo aver scoperto le tresche d’affari che mescolavano i suoi soldi a quelli di una veccia famiglia mafiosa palermitana.
No, davvero non sappiamo se ci sia consapevolezza sulla violenza di certi gesti, di certi ammonimenti. Sciascia, forse, non se ne rese conto: ma chi si nutrì di quel tristo riferimento ai “professionisti dell’antimafia” lo fece, nei mesi e negli anni a venire, sperando che quella povera gente – giudici, giornalisti, poliziotti, professori, studenti – venisse spazzata via. E che tornasse il tempo felice e scellerato in cui tutta aveva un prezzo e una scorciatoia, dalle licenze edilizie ai pubblici appalti. Forse anche adesso qualcuno rimpiange il tempo in cui si pagava tutti e tutti si taceva, ricevendone in cambio benevolenza e protezione dai signori delle cosche. Ci auguriamo che Lo Bello resti a lungo presidente degli industriali siciliani, che non defletta mai dalla linea di rigore civile che si è dato e che ha preteso dalla sua associazione. Ci auguriamo che non resti solo e che il nuovo ritornello sui “professionisti dell’antipizzo”
venga raccolto per ciò che é: un atto di viltà, parole di miseria da dimenticare subito.

L’UNITA’

Intimidiscimi. Bara anche tu.

da www.orsatti.info

Questa è stata una strana estate. Di minacce, tentativi di intimidazione, anche attentati. A Pino Maniaci di TeleJato e anche a Giulio Cavalli per il suo spettacolo che “sfotte” la mafia. Non sono stati i primi  a subire questo “trattamento”e purtroppo non saranno gli ultimi. Come non saranno gli ultimi ad essere attaccati solo per  il “raggiungimento” (è un eufemismo, sarebbe più corretto dire “precipitati in”) di un tipo di visibilità alla quale, conoscendoli, avrebbero volentieri rinunciato.
E’ stata anche un’estate, infatti, in cui alcuni personaggi, dai propri salotti politici e editoriali, hanno deciso di attaccare e cercare di isolare queste persone e gruppi attraverso “voci”, “sospetti” e a volte vere e proprie “calunnie” nei confronti sia  di Pino, sia di Giulio che di tutti quelli che, direttamente e indirettamente, hanno messo la propria faccia per ribadire il bisogno di legalità e trasparenza che ha la nostra società. Non è una novità. E c’è chi ringrazia questi detrattori da salotto. Qualche giorno fa parecchi di noi, de Lo Strillone e della campagna Siamo Tutti Pino Maniaci, ci siamo trovati ad Alcamo per lo spettacolo di Giulio. Il giorno dopo a cena, con l’aiuto di qualche bottiglia di vino, abbiamo deciso di sfottere (in linea con lo sfottò utilizzato da Giulio per il suo spettacolo) anche queste brave persone che con il loro gioco incosciente rischiano di mettere a repentaglio lavoro e perfino vita di chi la faccia per lottare per la legalità ce la mette.
E quindi ecco qua, un pioccolo film realizzato in una sola notte a Palermo. Con Giulio Cavalli (attore), Maura Pazzi (fotografa), Francesca Scaglione (Fascio&Martello), Carmelo Di Gesaro (Fascio&Martello), Fabrizio Ferrandelli (consigliere comunale a Palermo) e Pietro Orsatti (regista). E, chiaramente, la partecipazione di Pino Maniaci (solo in voce…).
Buona visione

Pietro Orsatti

Andare sotto alla notizia

Il giornalismo è un rito che amo. C’è chi racconta, chi manipola, chi gioca al telefono senza fili; Telejato e Pino Maniaci ci vanno sotto al portone della notizia. E’ la differenza tra essere e fare. Matrimonio della figlia di Totò Riina secondo Telejato:

Delle malelingue, dei servi e delle fallimentari Opa di provincia alla dignità degli altri

Ho contato fino a dieci. Uno, due, tre, dieci. Mi sono letto, ascoltato, terapeuticamente scritto una storia che è vecchia qualche mese. Mi è venuto anche da ridere mentre stavo a guardare che qualcosa succede solo un minuto dopo essere stata pubblicata e il resto dei giorni (dal fatto alla notizia) sono tutti da riconsiderare. Ma Lodi è così una bella signora di mezza età e dormiente che si sta comodi seduti ad ascoltarla russare anche nell’antipatica posizione della starlette gossipara di questo fine settimana. Partiamo finalmente per la Sicilia. Il primo di una serie di viaggi, già organizzati prima della malapubblicità di cretini graffitari di bare maldisegnate. Partiamo tranquilli e determinati, come per tutti i nostri progetti teatrali, e fondamentalmente già impallinati. Dopo le minacce vere di presunti mitomani o presunti mafiosi o, peggio ancora, di mitomani mafiosi e dopo le gradite lezioni di legalità di detrattori da aperitivo, di ex condannati ciclicamente riabilitati e di qualche professionista della politica del “divide et impera” e del “non prendere posizione”  andiamo in Sicilia dove questo spettacolo può avere un confronto se non sereno almeno autentico del proprio valore. Essere tra le piazze più significative dell’antimafia siciliana nonché ospiti del nostro graditissimo produttore Rosario Crocetta è per noi motivo di orgoglio più di tante parole. Avremo modo di “confiscare” la terra bruciata intorno a noi con l’unica cosa che ci interessi realmente: stare sul palco a raccontare storie, convinti che sia sempre difficile avere la saggezza di non prendersi troppo sul serio.  Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti quelli che spontaneamente ci hanno espresso la propria solidarietà: istituzioni, deputati e senatori, associazioni e singoli cittadini.
Per rispetto e amicizia verso il nostro pubblico che ci sostiene noi continueremo nella nostra attività di imperterriti “curiosi” con i nostri futuri progetti tra cui la “mafia” tutta banca e istituzioni che ci è così tanto vicina.