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mafia

Nervosetti, i leghisti

Sono piuttosto nervosi dalle parti della Lega. Il capitano leghista è finito mozzo, con la sua fascinazione che si è schiantata contro la pandemia. Accade sempre così: quando la gente ha paura torna di moda la serietà e così perfino le foto dei suoi pranzi e delle cena hanno iniziato a essere criticate dai suoi fedelissimi. Occupati delle cose importanti, gli scrivono e infatti lui si sta occupando dell’unica cosa che gli interessa davvero: cercare di salvarsi dai processi e non nei processi, come il suo ex tutore Silvio Berlusconi. Del resto un uomo che voglia fare il duro e il puro ne approfitterebbe per difendersi in tribunale e per mostrare di avere fatto il bene dell’Italia davanti alla legge. A Salvini invece basta difendersi su Facebook, per lui funziona così.

Poi se la sono presa con la conduttrice di Chi l’ha visto? Federica Sciarelli. Meravigliosa la risposta della conduttrice: “Un onorevole leghista ha detto che io dovrei essere sostituita alla conduzione di ‘Chi l’ha visto?’ perché io sarei stanca. Innanzitutto lo ringrazio per le sue attenzioni, ma lo voglio rassicurare: non sono stanca. Inoltre, le Procure competenti di Alzano e di Villa Torano hanno chiesto di acquisire le nostre immagini e le nostre interviste per le loro indagini, dunque apprezzano il nostro operato”. Ovviamente non entrano mai nel merito: definire una donna stanca per loro è il massimo dello spesso nella critica politica. Lei sarà stanca, loro sono sicuramente dei ridicoli banalotti.

A proposito di Villa Torano: sull’enorme vergogna calabrese ne abbiamo scritto proprio in un numero di Left che vi invito a recuperare e leggere con attenzione. Si parla molto delle RSA al nord ma in Calabria Villa Torano è qualcosa che grida vendetta. Il re delle cliniche Massimo Poggi e il suo amico Claudio Parente non sono ancora entrati nelle cronache nazionali ma ci arriveranno a breve, grazie anche al serio lavoro di Sciarelli e della sua redazione. Che poi Parente sia stato il coordinatore della campagna elettorale della Santelli dovrebbe interessare anche all politica.

A proposito di Calabria: tra gli indagati dell’inchiesta Waterfront che ieri ha scoperto gare d’appalto in favore della cosca Piromalli c’è anche il parlamentare della Lega Domenico Furgiuele. Il parlamentare di Lamezia Terme, genero dell’imprenditore Salvatore Mazzei (già condannato per reati di mafia) il procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Gaetano Paci contestano il concorso in turbativa d’asta.

Insomma, va forte la Lega, eh.

Buon venerdì.

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C’è ma non la vedono (la mafia)

I decreti che servono per gestire la pandemia non possono non tenere conto dell’infettività mafiosa in Italia e dell’esperienza che le cosche hanno accumulato sul campo. E invece mai nemmeno un accenno dal governo e dalle opposizioni

Il 12 maggio una maxi operazione ha portato agli arresti 91 persone sparse tra Sicilia e settentrione d’Italia; con un sequestro patrimoniale di circa 15 milioni di euro ma soprattutto una mafia che dimostra di avere tutti gli strumenti per sfruttare la pandemia del Covid-19 e di saperli usare perfettamente per sfruttare la crisi dovuta alla quarantena e alle nuove disposizioni. Angelo, Giovanni e Gaetano Fontana sono tre fratelli che fanno parte dell’omonimo clan dell’Acquasanta, famiglia storia di Cosa Nostra a Palermo, la stessa che Tommaso Buscetta aveva descritto come una delle più pericolose. Secondo gli inquirenti i tre fratelli «sono, da tempo, insediati nella realtà del capoluogo lombardo dove praticano forme di riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti, conseguiti con le estorsioni, il traffico di stupefacenti e il controllo del gioco d’azzardo».

Ma il punto interessante è un altro. «È emerso – scrive il Gip Piergiorgio Morosini nell’ordinanza di custodia cautelare – come i gestori di un supermercato si siano prestati a sovvenzionare la consorteria attraverso la vendita a credito di prodotti di consumo a persone segnalate dal sodalizio, per poi essere pagati con fondi provenienti dalla società cooperativa Spa.Ve.Sa.Na., società operante presso i Cantieri navali sotto il pieno controllo della famiglia Fontana. Disponendo di ingente liquidità e di complici commercianti, i componenti della famiglia mafiosa e i loro fiancheggiatori sarebbero in grado di soccorrere tanti lavoratori “in nero”, privi di fonti di reddito e difficilmente raggiungibili da ogni forma di sostegno alternativo da parte dello Stato (per esempio i buoni alimentari)». Se fosse tutto confermato in sede processuale, eccola qui la mafia che sfrutta il coronavirus per ingoiare bocconi di economia legale proprio mentre barcollano sotto il peso delle difficoltà economiche.

L’assistenza interessata delle cosche si sta già muovendo sotto traccia per andarsi a prendere i fragili che non riescono a trovare sostegno dallo Stato. Il governo italiano sa bene che il rischio che la criminalità organizzata si proponga come partner affidabile per superare la crisi. Il 27 marzo scorso il dipartimento di Pubblica sicurezza, guidato da Franco Gabrielli, ha diramato ai vertici sul territorio una direttiva…

L’inchiesta prosegue su Left in edicola da venerdì 22 maggio

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Mafie, smemorati e giornali

Luigi Di Maio si indigna con il giornale tedesco Die Welt che usa le stesse parole di Beppe Grillo sul rischio che i soldi europei vadano alle mafie

«Io sono venuto qui a guardare i conti e a dire di non dare più i soldi all’Italia perché scompaiono in tre regioni: Sicilia, Calabria e Campania, quindi mafia, ‘ndrangheta e camorra»: sono le parole esatte che pronunciò Beppe Grillo a Strasburgo al Parlamento Europeo il primo luglio del 2014. 7 anni fa. Sembra passata un’era geologica fa e invece il Movimento 5 Stelle è nato e si è consolidato elettoralmente esattamente con questi toni, con questi contenuti e con queste semplificazioni. La base elettorale che ne ha fatto il partito più rappresentato in Parlamento è quella che vedeva (e vede ancora, poiché in parte ha abbandonato il M5S) marcio marci dappertutto, tutto uno schifo e che sognava l’abbattimento della classe dirigente come fine ultimo.

Stupisce che il ministro Di Maio ieri si sia così furiosamente indignato con il quotidiano tedesco Die Welt che ha scritto: «dovrebbe essere chiaro che in Italia, dove la mafia è forte e sta adesso aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia da Bruxelles». Sono le stesse parole di Beppe Grillo, scritte in modo più elegante. Allora facciamo che in cambio Di Maio e gli altri chiedano anche scusa per avere usato la banalizzazione come arma di indignazione politica. Basterebbe questo, il mondo è più complesso di come lo racconta la propaganda e ce ne siamo accorti, dire una cosa così, semplice semplice.

Poi c’è un altro punto: Di Maio chiede al governo tedesco di intervenire contro l’opinione di un quotidiano che non ha nessun legame governativo. Scagliarsi contro un giornale è stupido, pretendere che il governo debba rettificare l’opinione di un editorialista è populista e semplicistico, ancora. Se il governo italiano si sente diffamato da quell’articolo valuti i presupposti legali per tutelarsi senza farne una ragione di Stato. Semplice.

A proposito: c’è una circolare del Viminale mandata ai questori il 27 marzo in cui si scrive, nero su bianco, che in tempi di Coronavirus ci sono «ampi margini di inserimento per la criminalità organizzata nella fase di riavvio di molte attività». Le parole del giornalista tedesco sono un’odiosa banalizzazione di un concetto che esiste e che preoccupa anche lo Stato italiano. Brutta cosa le banalizzazioni, eh?

A proposito: da noi Libero e Il Giornale hanno titolato, in prima pagina, mica in un loro editoriale, “è stata la culona”, riferito alla Merkel, “ciao ciao culona”, “vaffanmerkel”, e “la culona si è sgonfiata”. Non risultano pervenute richieste ufficiali dal governo tedesco per il governo italiano di intervenire, mai.

Un’ultima cosa: sappia Die Welt che l’Italia ha le peggiori mafie ma anche la migliore antimafia del mondo. Antimafia sociale, culturale e giudiziaria. E le mafie sono un problema mica solo italiano, i mafiosi sono già oltre quello stantio editoriale, molto più europei di molti che si professano europei.

Buon venerdì.

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Ma chi se ne fotte della Calabria

Se è vero che Facebook è il nuovo luogo della campagna elettorale allora i numeri sono impietosi: per le elezioni in Emilia Romagna la candidata leghista Borgonzoni ha speso negli ultimi 30 giorni circa 45mila euro, 45mila euro la pagina di Matteo Salvini, circa 12mila euro il candidato di centrosinistra Stefano Bonaccini; in Calabria 7mila euro per il candidato Pippo Callipo (diviso tra il suo profilo personale e quello della lista) e 828 euro spesi da Matteo Salvini. Se non avete notato la mancanza di spesa da parte del Partito Democratico, no, non è una svista: il centrosinistra parla dell’abuso dei social da parte degli avversari ma evidentemente si scorda di usarli, i social. E vabbè.

La Commissione Europea e la pagina italiana di Save the Children hanno speso in pubblicità su Facebook per promuoversi in Calabria più di quanto abbia speso Salvini. Del resto basta leggere i giornali o guardare le trasmissioni televisive: le elezioni regionali in Calabria tornano utili per quel paio di giorni che seguono la maxi operazione di Gratteri e poi sono sparite. Che la commissione antimafia abbia poi segnalato come impresentabili due candidati del centrodestra (Giuseppe Raffa e Domenico Tallini, lista Berlusconi per Santelli) sembra interessare pochissimo.

Non conta che il Pd abbia nel governo un suo ministro per il sud. Niente. Il centrosinistra si affida all’imprenditore Pippo Callipo (che si proclama “né di destra né di sinistra” provocando brividi lungo la schiena) mentre il centrodestra ha buone probabilità di vincere con Jole Santelli, deputata forzista, nipote del ras socialista cosentino Giacomo Mancini, ex assistente di Cesare Previti e vicesindaco di Cosenza, quando la città finì in dissesto di bilancio. La campagna elettorale si svolge stanca sui soliti binari della politica che cerca voti nel mezzogiorno promettendo le stesse cose che si promettono da cinquant’anni. Nemmeno le sardine sembrano avere troppi interessi.

Intanto da Catanzaro arriva la notizia del rafforzamento della scorta al procuratore Gratteri poiché ci sarebbero segnali preoccupanti su un progetto di attentato. Un attentato che, basterebbe ascoltare le parole di Gratteri, farebbe comodo a un coacervo di delinquenti che non sono solo mafiosi, no. Ma Gratteri torna utile solo per farsi una foto con lui e lanciarla sui social. Solo per quello.

Se l’attenzione per il sud si misurasse dalla passione di questa campagna elettorale c’è da mettersi le mani nei capelli. Ma è la politica dello spettacolo, quella che si tuffa su Bibbiano, quella che insegue i like: figurarsi se c’è il tempo di essere seri.

Buon venerdì.

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Gli insospettabili sospettati da sempre

Imponente operazione antimafia ieri in Calabria. Ne esce Vibo Valentia completamente assoggettata alla cosca dei Mancuso, ne escono cittadini lavoratori costretti a subire angherie di ogni tipo ed esce quella ‘ndrangheta che sembra essere completamente scomparsa dai radar delle agende politiche (ne parlavo proprio qui qualche giorno fa, che curiosa coincidenza) fatta di massoneria, mala politica e protezioni in alto.

Giancarlo Pittelli, ad esempio, a Catanzaro era (fino a ieri) uomo conosciuto e fin troppo riverito. Era lo stesso Pittelli che odiava pubblicamente De Magistris perché dodici anni fa aveva osato descriverlo in modo molto simile al suo ritratto che esce dalle carte dell’indagine coordinata da Gratteri. Più volte parlamentare di Forza Italia (e da poco passato a Fratelli d’Italia, come ogni buon annusatore del vento) è descritto come cerniera tra il mondo criminale e quello della politica, dell’imprenditoria, dell’università, sempre con la massoneria sullo sfondo. Eppure Pittelli a Catanzaro è il maestro di tanti avvocati che lo veneravano. Oggi, ovviamente, spariranno tutti: la caduta dei mostri sacri come Pittelli indica che sono cambiati i rapporti di forza.

L’ex vicepresidente della regione Nicola Adamo era anche lui nell’inchiesta di De Magistris di dodici anni fa. Altra sponda politica: ai tempi era il segretario regionale dei Ds. Poi è finito nell’inchiesta Eolo nel 2012, poi Rimborsopoli e a ottobre la procura di Catanzaro aveva chiesto il suo rinvio a giudizio per l’inchiesta sugli appalti riguardanti la costruzione della metropolitana leggera destinata a collegare Cosenza, Rende e l’Università della Calabria oltre al nuovo ospedale di Cosenza.

Persone insospettabili sospettate da sempre che rimangono dove sono perché la politica non ha gli anticorpi per prenderne le distanze. Ma mica solo la politica: sono sostenuti dai salotti, dai loro cortigiani, da pezzi interi delle città in cui vivono.

Gli insospettabili sospettati da sempre sono un classico letterario nelle nostre città: camminano fieri, a testa alta, fanno anche la morale agli altri (chiedete in giro di Giorgio Naselli, ex comandante del Reparto operativo nucleo investigativo dell’Arma di Catanzaro) e poi quando decadono sembra che non li conoscesse nessuno.

C’è bisogno di tanta vigliaccheria perché trionfino i prepotenti. E poiché la vigliaccheria non è reato quelli, i vigliacchi, si salvano sempre.

Buon venerdì.

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Gomorra in versione calabrese


Tra le carte dell’operazione “Rinascita-Scott” che ha decapitato la ‘ndrangheta di Vibo escono le prepotenze e le vessazioni di una consorteria criminale che riesce a infilarsi dappertutto, sventolando pistole e usando parole da film. La mafia in mezzo alle persone è una Gomorra in salsa calabrese.
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Una volta qui era tutta antimafia

Che brutta fine che ha fatto l’antimafia che prima era dappertutto, quando ci dicevano che la lotta alla criminalità valesse pure qualche film bruttino, qualche messa sciacquata e qualche eroe da bancarella ma si insisteva nel convincersi che l’importante era parlarne, che se ne parlasse, che fosse all’ordine del giorno. Finito il lato spettacolare dell’antimafia (a parte qualche film, sempre bruttino) la politica è riuscita comunque a scrollarsela di dosso come se fosse stata solo una moda passeggera, qualcosa che era importante attraversare per dire “io c’ero”. Anche i movimenti sembrano averla retrocessa tra le priorità di cui parlare solo “se c’è tempo”.

Mentre in Italia le associazioni e gli studiosi (tanti, bravi e competenti) insistono nello studiare, discutere e imparare la politica italiana, tutta, ha dimenticato il fenomeno dando la preoccupante percezione di averlo perfettamente assorbito, esattamente come temevano e denunciavano molti di quelli che ci sono morti, per mano della mafia.

La Procura antimafia di Torino negli atti del processo contro 19 persone in Val d’Aosta (si è dimesso il presidente della regione, tanto per dare un’idea delle proporzioni dello scandalo) racconta come Antonio Raso (calabrese di origine ma valdostano per imprenditoria nel campo della ristorazione) abbia gettato già da tempo le basi per eleggere sindaci e senatori che fossero a disposizione della cosca per assunzioni, lubrificazione di pratiche amministrative e altri favori.

La locale ‘Ndrangheta di Aosta avrebbe addirittura “influenza” su diversi candidati di diversi partiti, creando una sorta di oscena alleanza trasversale che troppo spesso capita di vedere nella politica italiana. I fratelli Di Donato (che secondo gli inquirenti sarebbero a capo del clan che controlla Aosta) avrebbero incontrato il governatore dimissionario Fosson ma anche gli ex governatori Augusto Rollandin, Laurent Viérin e Pierluigi Marquis. Un’infiltrazione che comincia addirittura nel 1999 con la costituzione del Movimento Immigrati ValdostanoPer gli inquirenti le indagini (come le precedenti inchieste) «hanno rivelato che il ‘volere’ elettorale del locale ha condizionato gli ultimi decenni della storia politica valdostana creando un connubio politico-criminale ben radicato».

Un bubbone enorme. Eppure poiché la destra non può usarlo come manganello contro la sinistra e la sinistra non può usarlo come manganello contro la destra va a finire che non commenta nessuno. Una volta qui era tutto antimafia, ora è roba solo per affezionati.

Buon martedì.

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Letteratume recensisce #ACasaLoro

(fonte)

Il racconto di una tragedia rischia di scadere nel sensazionalismo (o nella propaganda) se non si ricostruiscono fatti e contesto con metodo e onestà intellettuale e se non si dosano correttamente questi elementi con una sapiente capacità narrativa.

In A casa loro si affronta il delicatissimo tema delle morti nel Mediterraneo grazie al virtuoso incontro tra il teatro civile di Giulio Cavalli e il giornalismo d’inchiesta di Nello Scavo: un monologo prima portato in scena sui palchi d’Italia e ora un libro pubblicato da People, casa editrice fondata e diretta da Pippo Civati, sempre in prima linea nel racconto criticamente costruttivo del presente.

A casa loro è un urlo straziante che deve giungere alle orecchie di chi vuol capire ma soprattutto a quelle di chi non vuol sentire, di chi crede ancora che esista un noi e un loro e che i confini siano barriere invalicabili soggette alla discutibile discrezionalità di un caudillo o di un tiranno 4.0.

Il monologo teatrale di Giulio Cavalli, incentrato sulle accurate ricostruzioni di Nello Scavo, tocca le corde intime perché mostra persone e vite umane, spesso trattate da un’informazione sciatta e distratta solo come un’impietosa statistica.

Invece qui ci sono le storie, i sogni strappati, il peso di vite annientate, sfregiate, distrutte.

Viaggi e fughe spesso mai terminati, se non nei fondali del Mediterraneo, versione moderna delle camere a gas naziste.

«Il mare non uccide. Ad uccidere sono le persone, la povertà, le politiche sbagliate e le diseguaglianze che rendono il mondo un posto opposto dipendentemente dal nascere dalla parte giusta o sbagliata.»

Ci sono Karim e le sue storie, la bella Rhoda che voleva essere brutta per scampare alle indicibili violenze del “Bastardo di Zuara”, Efrem che come una pallina di ping pong aspetta il prossimo rimbalzo fuori dall’Italia; ci sono i pescatori lampedusani, che lottano intimamente contro l’assuefazione al dolore, c’è Victory svenduto all’asta come una merce e c’è una Dichiarazione Universale dei Diritti Umani tristemente disattesa da uomini e istituzioni.

La ricostruzione dell’inferno libico e delle sue atroci conseguenze trova compimento in un viaggio narrativo che è anche un “safari lessicale”: sapere cosa significhino Madame Boga, Native doctor, Connection man o Lapalapa, è fondamentale se si vuole dare un senso a tutto questo e capire dove può arrivare l’occultamento della verità.

Una ricerca della verità che è costata a entrambi gli autori una vita sotto scorta: il quotidiano impegno nello svelare gli orrori, le ingiustizie e le storture, uno della mafia nostrana, l’altro di quella nordafricana, è infatti la loro stella polare.

«Quando davvero la storia riuscirà a mostrare le dimensioni della tragedia, sul barcone ripescato sarà il museo della vigliaccheria.»

Affinché il messaggio di Scavo e Cavalli non si disperda, occorre che ognuno di noi legga e faccia conoscere questo testo (e altri di questa natura), perché il futuro ce ne renderà conto e non si potrà vivere con il tormento e la responsabilità di non aver permesso ad esseri umani come noi di cominciare una nuova vita, di trovare un’alternativa o più semplicemente di sentire il mondo come casa propria.

Affinché non esista più una “casa nostra” contro una “casa loro” e perché nessuno potrà più dire “non sapevamo”.