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Antimafia

In Liguria al patto antimafia organizzato da Libera i candidati non si presentano

211035155--66208d4a-bd42-4edc-a823-367207c7ec63Inizia alle 8.45 il venerdì elettorale dei candidati alla guida della Regione.
Prima dell’arrivo di Renzi, dei comizi e delle polemiche quotidiane, in programma c’è la tavola rotonda di Libera su trasparenza e corruzione: con la presentazione degli impegni che l’associazione contro le mafie chiede ai candidati presidenti.
E però, al tavolo della legalità non siede Raffaella Paita.

La candidata del Pd preferisce una diretta tv a Mattino Cinque con Federica Panicucci e colleghi, e manda al suo posto Alessandro Terrile, segretario provinciale candidato nel listino. Non c’è neppure Giovanni Toti di Forza Italia, che alla chiamata di Libera proprio non risponde (salvo poi dichiarare in tv che «sì, occorre trasparenza nella pubblica amministrazione»: ma l’appoggio formale alla campagna non arriva).

Era presente invece il candidato (secondo Renzi “gufo” e “perdente” Luca Pastorino. C’è bisogno di aggiungere altro?

Gotha 5, operazione antimafia a Barcellona Pozzo di Gotto: i nomi, le facce.

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Dalle prime ore di oggi, in diverse località della provincia di Messina, i Carabinieri del R.O.S., della Compagnia Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto ed i poliziotti del Commissariato P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto e della Squadra Mobile di Messina, stanno svolgendo una vasta operazione antimafia, coordinata dalla D.D.A. di Messina dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina Dr.ssa Maria Luisa Materia, su richiesta della medesima Direzione Distrettuale Antimafia (il Procuratore Lo Forte ed i Sostituti Cavallo e Di Giorgio).

L’operazione ha portato all’arresto di 22 soggetti per associazione mafiosa, estorsioni, rapine, porto abusivo di armi ed altri reati contro la persona e il patrimonio. Altre 5 persone sono state indagate e denunciate in stato di libertà per gli stessi reati.

I provvedimenti scaturiscono da una complessa attività investigativa, avviata nel 2013, sul conto del sodalizio mafioso riconducibile a CosaNostra siciliana denominato “dei barcellonesi”, operante sul versante tirrenico della Provincia di Messina e della sua storica diramazione territoriale cd. “dei mazzarroti”.

L’operazione antimafia, che si pone in linea di continuità con le precedenti, è stata denominata “GOTHA V”, proprio perché ha individuato e colpito i nuovi assetti del sodalizio criminale, già duramente provato dagli esiti dell’operazione “GOTHA IV”.

Le indagini, che hanno avuto inizio dalle dichiarazioni di ARTINOSalvatore (figlio di Ignazio, già esponente di primo piano e rappresentante dei mazzarroti, ucciso in agguato di mafia il 12.04.2011), che ha avviato la sua collaborazione con la giustizia dopo essere stato arrestato nel luglio del 2013 nell’ambito di “GHOTA IV”, hanno visto il contributo offerto dalle persone offese dei reati ed hanno trovato significativi riscontri nelle risultanze delle articolate attività di intercettazione.

Le dichiarazioni di ARTINOSalvatore raccolte dai Carabinieri del ROS e dalla Polizia di Stato hanno contribuito a far luce sull’evoluzione della consorteria mafiosa barcellonese e della sua articolazione dei “mazzarroti”, monitorata recentemente dagli inquirenti grazie anche all’apporto di altri collaboratori quali BISOGNANO Carmelo, CAMPISI Salvatore e GULLO Santo, che hanno fornito, accanto agli esiti delle indagini nel frattempo riaperte, ulteriori preziosi elementi di riscontro.

Ne è scaturito un panorama puntuale della nuova composizione del sodalizio mafioso, operativo nell’hinterland barcellonese, comprensivo dei consociati subentrati nei vari ruoli – secondo il collaudato meccanismo mafioso del “rimpiazzo” –  ai referenti mafiosi arrestati nelle operazioni antimafia che si sono succedute negli ultimi anni, nonché uno spaccato dell’attività pervasiva di controllo del territorio.

In tale contesto sono stati individuati i responsabili di diverse estorsioni, nonché gli esecutori materiali di alcuni fatti di sangue del recente passato, come la rapina ai danni di un supermercato di Campogrande di Tripi verificatasi nel dicembre 2012, conclusasi tragicamente con la gambizzazione di un cliente che aveva opposto resistenza.

Le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto hanno delineato la nuova mappatura criminale del sodalizio mafioso barcellonese, caratterizzata dalla presenza di giovani consociati che sono riusciti ad acquisire, nonostante l’età, un ruolo di assoluto valore criminale. Il nuovo gruppo ha posto in essere diverse attività criminali quali estorsioni e spaccio di sostanze stupefacenti, portate a compimento con modalità tipicamente mafiose e definite dal GIP: “odiosi sistemi invalsi negli ambienti mafiosi”. I giovani quanto spregiudicati esponenti di tale gruppo hanno raccolto l’eredità dei consociati ormai detenuti e facendo leva sui legami familiari con gli stessi, hanno intrapreso autonome attività delinquenziali. È il caso di ALESCI Alessio o del nipote OFRIA Giuseppe, figlio di OFRIASalvatore e nipote di DISALVOSalvatore (detto Sem), considerati ai vertici della famiglia mafiosa barcellonese già tratti in arresto nell’ambito dell’operazione “GOTHA” nel giugno 2011. Oltre allo spaccio di sostanze stupefacenti, il gruppo ha sviluppato il proprio controllo del territorio soprattutto attraverso attività estorsive, in particolare nei confronti dei locali notturni e delle discoteche di Milazzo. In questo settore le indagini hanno evidenziato come gli indagati, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dalla propria appartenenza al sodalizio abbiano ottenuto sistematicamente l’accesso ai locali e le consumazioni all’interno in modo gratuito, con modalità violente e prevaricatrici ed abbiano imposto, altresì, l’assunzione di alcuni componenti del sodalizio quali responsabili della sicurezza, secondo il più classico dei paradigmi mafiosi.

Le modalità violente delle estorsioni contestate hanno ben delineato le capacità criminali del gruppo, come nel caso della scomparsa di una partita di droga che era stata consegnata a un minore incensurato per detenerla presso la sua abitazione; alcuni componenti del sodalizio, dopo aver fatto irruzione nell’abitazione del ragazzo e averla perquisita, non hanno esitato a picchiarlo violentemente, anche alla presenza della madre, ed a sottrargli un ciclomotore a titolo estorsivo.

L’attività del Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto ha parallelamente disvelato il nuovo assetto operativo dell’agguerrita frangia dei “Mazzarroti”, un tempo retta dall’odierno collaboratore BISOGNANO Carmelo e poi da CALABRESE Tindaro attualmente detenuto in regime di “carcere duro”, nonchè i rapporti di stretta alleanza con CosaNostra barcellonese.

In particolare, gli elementi acquisiti soprattutto attraverso le attività di intercettazione, hanno consentito di accertare l’attuale impegno della cosca dei “Mazzaroti” per garantire continuità all’azione del gruppo nel settore delle estorsioni alle quali sono state sottoposte, da parte di TORRE Sebastiano, CAMMISA Giuseppe e SALVO Orazio, diverse attività imprenditoriali e commerciali del comprensorio, vittime del forte potere intimidatorio degli affiliati. I proventi estorsivi, acquisiti “con violenza e minaccia” nelle “tradizionali” rate di Natale, Pasqua e Ferragosto, garantivano il sostentamento dell’associazione mafiosa ed in questo contesto sono state accertate consegne di denaro ad ITALIANO Salvatore, in atto sottoposto agli arresti domiciliari a seguito della sua cattura nel luglio del 2013 nell’ambito dell’operazione antimafia “GOTHA IV”.

E’ inoltre emersa in tutta evidenza la pericolosità del gruppo che ha dimostrato di poter disporre di numerose armi, anche di elevato potenziale (Kalashnikov), che è pronto ad utilizzare per garantirsi il controllo delle attività criminali nel territorio di Mazzarrà S. Andrea e dei comuni limitrofi, per mezzo di cruente spedizioni punitive in danno di coloro i quali non intendono sottostare alle strategie dell’organizzazione. In una di queste occasioni soltanto il provvidenziale passaggio di una pattuglia del Commissariato di Barcellona P.G. evitava il peggio ad altra vittima designata impedendo agli affiliati (TORRE Sebastiano, PINO Giovanni e CAMMISA Giuseppe) armati ed in appostamento, di portare a termine l’agguato.

In questo contesto si inseriscono pestaggi, minacce a mano armata ed “interrogatori” di soggetti rei di aver commesso reati contro il patrimonio senza autorizzazione dei vertici dell’associazione criminale ed il progetto di aumentare il potenziale offensivo della cosca acquistando altre armi per garantirsi il pieno controllo delle attività estorsive (“se guerra vogliono, guerra sia”).

Nell’ambito dell’operazione è stato tratto in arresto per associazione mafiosa e detenzione illegale di armi da fuoco, BUCOLO Angelo sul conto del quale pesano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia CAMPISISalvatore e ARTINOSalvatore che hanno trovato numerosi riscontri e sono state ritenute attendibili dal GIP (contraddistinte, in ordine alla caratura criminale dell’indagato,da piena attendibilità intrinseca in quanto caratterizzate da precisione e coerenza logica”).

Il BUCOLO viene indicato come uno dei componenti storici del gruppo mafioso dei Mazzaroti impegnato nella riscossione dei proventi estorsivi che provvedeva a consegnare ad esponenti di CosaNostra barcellonese, partecipando ad attentati in danno di imprenditori nonché promuovendo atti incendiari, “al fine di convincerli a continuare a pagare il pizzo”, contro i responsabili della discarica di Mazzarrà S. Andrea presso cui il BUCOLO, unitamente a REALEGiuseppe e PINOGiovanni prestava attività lavorativa. Dalle dichiarazioni dei collaboratori è altresì emerso che BUCOLOAngelo, il quale si era anche occupato di custodire ed occultare alcune armi per conto di REALE Giuseppe che questi aveva utilizzato per commettere attentati, – secondo un collaboratore di giustizia – sarebbe stato contattato, senza esito, da altri sodali “affinchè convincesse il fratello BUCOLO Salvatore, Sindaco di Mazzarrà ad intervenire nei confronti della società Tirreno Ambiente (società che gestisce la discarica) affinchè quest’ultima riprendesse a pagare le somme a titolo estorsivo”.

Particolarmente significativa l’intercettazione ambientale che ha documentato un incontro tra rappresentanti armati della cosca dei “mazzaroti” con esponenti della mafia catanese per la reciproca “messa a posto” di imprese operanti nelle due province nell’ambito di quello che il Gip definisce un “sistema di estorsioni incrociate”. All’esito dell’incontro veniva confermato il reciproco rispetto tra le due organizzazioni mafiose (“allora da quando è … è sempre stato così, sempre così!) secondo una consolidata alleanza (“gemellaggio”) tuttora operativa.

Anche alla luce degli elementi probatori individuati dall’Arma Territoriale, dal R.O.S. e dalla Polizia di Stato, è stato poi formulato un giudizio di gravità indiziaria a carico dei detenuti, già tratti in arresto dal R.O.S., CAMPISIAgostino, padre dell’odierno collaboratore CAMPISISalvatore, CALABRESETindaro, CALCO’ LABRUZZOSalvatore e TRIFIRO’Maurizio in relazione alle estorsioni che ciascuno di loro, in periodi diversi, ha posto in essere ai danni dell’imprenditoria locale, alcune delle quali già emerse nel corso dell’indagine denominata “VIVAIO” ma ancora non contestate agli indagati.

Boss mafiosi e patria potestà

Un dibattito annoso e, ora, una proposta di legge:

Un boss mafioso, un trafficante di armi o di droga, un terrorista o un mercante di uomini, non può essere un buon genitore. Gli va tolta la patria potestà e ove necessario i figli vanno allontanati dal contesto familiare. E’ questo, in buona sostanza, l’obiettivo dell’emendamento al decreto legge contro il terrorismo che Ernesto Carbone presenterà in aula la prossima settimana. Un tema che è un vecchio pallino del membro della segreteria Pd, il quale già lo scorso anno aveva presentato un disegno di legge specifico. L’emendamento inserisce nel Codice penale il 416-quater, nel quale si afferma che “La condanna per il delitto previsto dall’articolo 416-bis del codice penale (ossia l’associazione mafiosa) comporta la decadenza dalla potestà dei genitori”. Attualmente una legge specifica non esiste, le condanne per mafia non sono d’impedimento allo svolgimento del ruolo genitoriale. Tuttavia, in alcuni casi specifici, i Tribunali per i Minori hanno tentato di intervenire, togliendo i figli minori alle famiglie radicalmente coinvolte nella criminalità organizzata in maniera parziale oppure per alcuni periodi di tempo. Una misura che colpisce un’organizzazione criminale che mette la famiglia al centro di tutto.

In passato, alcuni giudici calabresi, su richiesta dei pm, hanno adottato provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, nominando ad esempio in presenza di minorenni un curatore speciale, ritenendo indispensabile affidare il minore al servizio sociale per inserirlo subito in una comunità fuori dalla territorio della regione di origine, al fine di affidarlo ad operatori professionalmente qualificati che fossero in grado di fornirgli una seria alternativa sul piano culturale e sociale.

Altri Tribunali ancora si stanno muovendo facendo leva sull’allontanamento “volontario”. In altri termini si punta ad avere il consenso di almeno dei genitori (spesso detenuti) e dello stesso minore per la collocazione in comunità e lontano dai contesti sociali a rischio. Alcune sentenze dei giudici, che si occupano di minori che hanno già commesso i primi reati, si giustificano la decadenza della patria potestà, ritenendola l’unica soluzione per sottrarre il minore “a un destino ineluttabile e nel contempo consentirgli di sperimentare contesti culturali e di vita alternativi a quello deteriore di provenienza”, nella speranza che il minore “possa affrancarsi dai modelli parentali sinora assimilati”.
Un argomento delicato, soprattutto in alcune aree del Paese. Non è un caso che durante le faide degli anni ’80 in diversi paesi della Piana di Gioia Tauro i bambini venissero allontanati dalle famiglie e affidati alle comunità per evitare che rimanessero vittime di vendette e rappresaglie. E più di recente, negli anni della faida di San Luca, le famiglie coinvolte nella guerra di ‘ndrangheta evitavano persino di mandare i figli a scuola. La convinzione di diversi operatori del settore è che in alcuni contesti familiari non si crescono figli, ma veri e propri soldati dei clan, addestrati alla vendetta o addirittura già giovanissimi affiliati alle cosche perché così educati da genitori e figli maggiori. Le cronache più recenti raccontano come, ad esempio a Palmi (Reggio Calabria), dopo l’arresto dei boss Gallico, a riscuotere le tangenti fosse un sedicenne figlio del capoclan. Interventi mancati e interventi che invece stanno sortendo l’effetto sperato. Per salvare i figlia della pentita Giuseppina Pesce, la magistratura ha tolto al padre (attualmente detenuto) la possibilità di esercitare il proprio ruolo. Stessa cosa anche per i figli della collaboratrice Maria Concetta Cacciola (morta suicida) allontanati dalla famiglia d’origine e affidati ai servizi sociali.

Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria, già sette anni fa aveva chiesto che fosse tolta la patria potestà a boss del calibro di Giuseppe De Stefano e Pasquale Condello. E ancora oggi si dice convinto che si tratti di “un passaggio fondamentale”. Per il magistrato “lo Stato ha il dovere di intervenire a tutela dei minori a cui non viene data la possibilità di un futuro diverso da quello dei padri”.

Secondo Carbone “a prima vista l’intervento potrebbe apparire forte, ma in realtà, la proposta vuole recepire, e portare a compimento, profili sanzionatori in parte già attivati dalla magistratura”. Mafia ma non solo. La proposta varrebbe, come pena accessoria anche per i reati di strage, omicidio, riduzione in schiavitù o traffico di esseri umani, nonché traffico di armi e traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope.

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La relazione annuale della DNA: le mafie sono in ottima salute

NO-MAFIAAl Nord, e in particolare a Milano, la ‘ndrangheta ha conquistato una posizione di “predominio, a discapito di altre compagini associative, come quella di origine siciliana”. Cosa nostra mantiene il cervello a Palermo. L’ndrangheta si è specializzata in appalti pubblici, entrando nel privato laddove esiste una partnership pubblico-privato. Gioia Tauro è il porto di approdo della cocaina. Bologna è entrata a far parte dell’elenco delle “terre di mafia”. A Roma proliferano le mafie autoctone, come quella di Carminati. Mentre è in corso una indagine sul “protocollo fantasma”, sull’ipotesi che alcuni magistrati siano da anni spiati per conto di una misteriosa entità.

Sono, questi, i punti salienti della Relazione annuale presentata oggi al Senato dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, alla presenza del presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. “Il tema dell’immigrazione clandestina – ha detto Roberti – si incrocia con il tema del terrorismo internazionale. L’immigrazione clandestina può alimentare, finanziarie il terrorismo internazionale, questo è un rischio concreto e tangibile”. Nella relazione di Roberti non compare mai la parola “politica”, neppure nel capitolo dedicato alla trattativa Stato-Mafia, né allorquando si parla della banda Carminati, entrata in Campidoglio proprio grazie ai contatti con la politica.

Expo 2015. Importante per Roberti l’obbligo di iscrizione delle imprese operanti in determinati settori ritenuti particolarmente a rischio di infiltrazioni mafiose, in una white list di “elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa”.

Mafia. L’arresto dei suoi capi, dice Roberti, non le impedisce di esistere. L’assenza di leader carimatici in stato di libertà non ha portato a una guerra di mafia. Anzi, al contrario sta tentando di ricostituire il mandamento centrale, il cui capo risulta tutt’ora Totò Riina. Sono false le analisi che teorizzano una sorta di “balcanizzazione” dell’organizzazione mafiosa Cosa nostra e un suo inarrestabile declino. Si conferma invece che la città di Palermo è e rimane il luogo in cui l’organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità, la sua struttura sopravvive anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato di libertà. L’assenza, in Cosa Nostra palermitana, di personaggi di particolare carisma criminale in stato di libertà, seppure latitanti, non ha riproposto la violenta contrapposizione interna tra famiglie e mandamenti del passato. Cosa nostra rinnova l’interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei “giochi” sia di natura legale che illegale.

La cattura di Matteo Messina Denaro resta una priorità (foto: l’identikit). Mentre Salvatore Riina, del tutto inaspettatamente, osserva Roberti, ha preso a parlare apertamente, intrattenendo il compagno di detenzione sui più disparati temi: dalla sua storia criminale, all’ideazione delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, a quelle commesse nel 1993/94 nel continente, al processo cosiddetto “Trattativa” in corso avanti la Corte d’Assise di Palermo, alle reiterate minacce di morte rivolte al magistrato Di Matteo.

Protocollo Fantasma. Altro procedimento che merita menzione riguarda quello inerente il cosiddetto “Protocollo fantasma”. Trattasi di un esposto anonimo nel quale oltre a varie vicende, in gran parte di competenza della Dda di Palermo, riguardanti processi anche risalenti nel tempo ed appartenenti alla Storia del contrasto giudiziario a Cosa Nostra, emergono notizie di reato a carico di ignoti, asseritamente appartenenti alle forze dell’ordine, che avrebbero per conto di una non meglio specificata entità, spiato alcuni magistrati, impegnati in delicate attività di indagine.

‘Ndrangheta. La ‘ndrangheta è amministrata da una sorta di “consiglio di amministrazione della holding” che elegge il suo “Presidente”. Del resto era difficilmente ipotizzabile che ad amministrare centinaia di milioni di euro, a governare dinamiche economiche, lecite ed illecite, in decine di comparti diversi e che attraversano, non solo l’Italia, ma buona parte del pianeta (dall’Australia al Sud America, dall’Europa al Nord America passando per tutti i possibili paradisi fiscali ), potesse essere questione affidata allo spontaneismo anarcoide di gruppi criminali disseminati e slegati, di decine e decine di cosche e locali, sorta di piccole monadi auto-referenziali.

Le cosche operanti nella città di Reggio Calabria, la particolare capacità della ‘ndrangheta cittadina di inserirsi nella gestione delle cd società miste  –  pubblico/privato  –  attraverso cui vengono forniti i principali servizi pubblici alla cittadinanza. In particolare, attraverso una serie concatenata di prestanomi, la ‘ndrangheta ha il controllo totale delle quote di spettanza del partner privato e, attraverso la sua capacità collusiva ed intimidatoria, riesce a condizionare la parte pubblica.

Gioia Tauro. La ‘ndrangheta ha il controllo controllo totalizzante del Porto di Gioia Tauro, ove attraverso una penetrante azione collusiva, gli ‘ndranghetisti riescono a godere di ampi, continui, si direbbe inesauribili, appoggi interni. Il Porto di Gioia Tauro è divenuta la vera porta d’ingresso della cocaina in Italia. Sul punto basterà osservare che nel solo periodo di riferimento (Giugno 2012-Luglio 2013) quasi la metà della cocaina sequestrata in Italia (circa 1600 kg su circa 3700 complessivi ) è stata intercettata a Gioia Tauro.

Bologna “Terra di Mafia”. Quanto al distretto di Bologna, l’imponente attività di indagine durata oltre due anni ha consentito di accertare la esistenza di un potere criminale di matrice ‘ndranghetista, la cui espansione si è appurato andare al di là di ogni pessimistica previsione, con coinvolgimenti di apparati politici, economici ed istituzionali. A tal livello che oggi, quella che una volta era orgogliosamente indicata come una Regione costituente modello di sana amministrazione ed invidiata per l’elevato livello medio di vita dei suoi abitanti, oggi può ben definirsi “Terra di mafia” nel senso pieno della espressione.

Camorra. La Camorra non è un’entità assimilabile dal punto di vista delle forme di manifestazione né a Cosa Nostra né alla ‘ndrangheta. Va ribadita, forse in modo ancor più accentuato, la caratteristica propensione delle aggregazioni camorristiche alla contrapposizione, talvolta, passando con eccessiva disinvoltura, da situazioni di alleanza a situazioni di contrasto violento. La Camorra si dedica alle agenzie di scommesse che  – per la sua peculiare ramificazione territoriale (che può corrispondere alla dislocazione delle singole agenzie di una determinata società di raccolta di scommesse sportive), oltre che per la stretta relazione con il gioco on-line, per sua natura, dematerializzato – spesso implica il coinvolgimento di più di un sodalizio criminale. Su questo terreno spesso si formano e consolidano alleanze o, viceversa, si consumano sanguinose rotture.

Mafia Capitale. Le organizzazioni mafiose autoctone nel distretto di Roma. Se sul territorio laziale sono dunque presenti le articolazioni di tutte le organizzazioni mafiose tradizionali, che si dedicano al riciclaggio e al reinvestimento dei capitali illecitamente accumulati, vi è poi un altro fenomeno, del tutto peculiare alla realtà della Capitale, rappresentato da organizzazioni che sono state qualificate dalla Dda come associazioni di stampo mafioso ma che non fanno riferimento ai sodalizi tradizionali del sud Italia, essendo, per così dire, autoctone.

In una città come Roma, una città di servizi e di attività terziarie, gli affari più lucrosi si fanno appunto attraverso l’acquisizione e il controllo di tali servizi e attività, e dunque attraverso l’infiltrazione sistematica nei settori economici e commerciali e nei servizi pubblici, e dunque negli appalti pubblici. L’associazione capeggiata da Massimo Carminati si dedica ad attività prettamente criminali quali l’usura, le estorsioni, il commercio di armi, ma soprattutto si dedica all’acquisizione di appalti in variegati settori in favore delle società controllate dall’organizzazione.

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La mafia a Lodi non esiste (ennesima puntata, eh)

Balzo in avanti per la Lombardia nella classifica nazionale del ciclo illegale dei rifiuti. Secondo il rapporto 2014 di Legambiente sull’ecomafia, presentato ieri mattina a Milano, nel 2013 nella nostra regione sono stati accertati in generale 1.268 reati contro l’ambiente, con 1.085 persone denunciate, 339 sequestri e 24 arresti, numero quest’ultimo più basso solo di quello registrato in Campania e Puglia, mentre nello specifico del ciclo illegale dei rifiuti, la Lombardia è passata dal sesto al quarto posto nella classifica nazionale, dietro Campania, Puglia e Calabria, con 448 infrazioni (il 7,8per cento del totale nazionale), 376 persone denunciate e 114 sequestri effettuati. Grandi numeri affatto lusinghieri anche sul fronte del ciclo illegale del cemento, dove la Lombardia risulta al primo posto tra le regioni del Nord con 341 persone denunciate e 265 infrazioni accertate.

I dati di Lodi, all’apparenza, sono minimali: nessuna infrazione contestata nel “ciclo del cemento”; due nel ciclo dei rifiuti, con tre indagati e un sequestro (a fronte di 21 infrazioni a Pavia, 63 a Cremona, 72 a Milano e 128 a Bergamo).

È vero che su questo fronte in passato la procura della Repubblica di Lodi è stata molto attiva, e va anche detto che da qualche tempo le ipotesi associative di traffico di rifiuti sono passate alla competenza della Dda di Milano. Ma va evidenziato che, comunque, nel 2014 la procura di Lodi risultava impegnata in inchieste per traffico illecito di ambito regionale e interregionale, stando ai dati raccolti da Legambiente.

Tra i casi citati, il sequestro di un’area collinare fra Sant’Angelo e Graffignana, per una discarica di rifiuti pericolosi, fra cui anche eternit. Ma anche l’operazione della Forestale a San Giuliano Milanese, con tre arresti e sei denunce, per un traffico illegale di cuccioli provenienti dall’Est Europa e svezzati precocemente con il rischio di malattie e disturbi comportamentali. Legambiente ricorda anche l’inchiesta sui costi della bonifica all’ex Sisas, che ha coinvolto un tecnico lodigiano.

Ma soprattutto richiama l’attenzione su un’indagine chiusa nel 2013 dei carabinieri del Noe di Milano, che sotto il coordinamento della Dda denunciarono traffici di terreni scavati da Milano e scaricati a camionate in cave di Romentino (Novara) e di San Rocco al Porto. Secondo l’accusa, il materiale non veniva analizzato come sarebbe stato obbligatorio, ma semplicemente riclassificato come “terre e rocce da scavo” con giri fittizi di bolle. Il 14 novembre del 2007, un Barbaro, cognome legato anche alla’ndrangheta, fu intercettato mentre telefonava a un imprenditore, che lo informava: «Per Casalpusterlengo,caricano in fiera, per Casalpusterlengo, tutti e due».

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Moltiplicava i pani, i pesci e i profughi: Luca Odevaine (ex braccio destro di Veltroni)

luca-odevaine-durante-le-operazioni-di-sgombero-del-campo-rom-di-via-troili-a-ro-620558Se il Pdl trema, anche il Pd non è messo tanto bene. L’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni, Luca Odevaine (arrestato per corruzione aggravata), si faceva versare le tangenti su conti segreti di moglie e figlio. E il capo della segreteria del sindaco Ignazio Marino, Mattia Stella, (non indagato) oltre a essere stato più volte tirato in ballo da Salvatore Buzzi nelle intercettazioni, c’era stato tranquillamente a cena.

Luca Odevaine – membro del Coordinamento nazionale sull’accoglienza profughi – preferiva incassare le mazzette sui conti correnti bancari dei parenti. A partire da quello dell’ex moglie venezuelana Lozada Hernandez Nitza del Valle per passare poi a quello del figlio Thomas Edinson Enrique Lozada. Considerato «il moltiplicatore dei profughi da destinare al centro di Buzzi» per fargli guadagnare di più, Odevaine è stato anche consigliere del ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri.

Secondo la procura e i carabinieri del Ros il sodalizio con Buzzi si ritroverebbe nelle forti pressioni per trasferire i migranti in altre strutture parallele: per questo sarebbe stato pagato mensilmente con i 5 mila euro. Le ha provate tutte, Odevaine, per aggirare i controlli: chiamava la tangente «affitto» e la voleva depositata su conti non a lui direttamente riconducibili.

Il 15 febbraio 2013 spedisce un sms a Salvatore Buzzi: «Salve, buongiorno. Puoi verificarmi gli affitti, per piacere. Sono un po’ in difficoltà. Grazie, un abbraccio…». La ricompensa, in passato pagata con bonifico sul conto dell’ex moglie venezuelana, doveva finire nelle mani del figlio Thomas. Ma un intoppo ha creato confusione. Odevaine incalza dunque Buzzi: «No, se so’ sbagliati, hanno mandato… purtroppo m’hanno fatto un bordello i tuoi, l’hanno mandato al… al vecchio conto».

La sua preoccupazione è che l’ex moglie ora non gli consegni il denaro ricevuto per errore: «Eh, no, m’ha bruciato, chiaramente, quella, figurati, che so’ arrivati… col cazzo che me li dà, però va be’…». Buzzi cerca allora di calmarlo, spiegando che si è trattato della svista di una collaboratrice «…Sandra gliel’ha ridato, se so’ sbagliati loro, hanno… ce… ce l’avevano quello… quello buono di iban, no? Quello di, di… di Thomas, e però per… si vede che per errore, in automatico… l’hanno mandato a quell’altro di prima…».

Destinata a scatenare nuove polemiche è invece la cena tra Buzzi e Mattia Stella. L’uomo vicinissimo a Marino non è indagato ma dalle intercettazioni dei carabinieri del Ros, agli ordini del generale Mario Parente e il colonnello Stefano Russo, emerge che «i rapporti con la nuova amministrazione comunale da parte di Buzzi sono costituiti da una relazione con il capo della segreteria del sindaco, Mattia Stella, che s’intrecciano con quelli con Mirko Coratti (Pd, presidente del consiglio comunale, dimessosi dopo essere stato indagato per corruzione aggravata e illecito finanziamento ndr), massimamente in relazione alla questione Ama.

Eloquente nel senso della costruzione di un rapporto privilegiato con Stella è la conversazione nella quale Buzzi chiamava Carlo Guarany, lo informava che prima sarebbe andato in Ama e successivamente sarebbe andato presso il Gabinetto per incontrare Mattia. Conversazione nella quale Guarany diceva che occorreva “valorizzare” Mattia e “legarlo” di più a loro».

Non sono indagati e minacciano querele anche i deputati Pd Micaela Campana e Umberto Marroni, sollecitati da Buzzi per ottenere un’interrogazione parlamentare sull’appalto su un centro rifugiati bloccato da un giudice del Tar del Lazio. E se la Campana saluta Buzzi, via sms, con «Bacio grande capo», Umberto Marroni, alle 18.31 del 20 marzo scorso gli inviava il seguente sms: «Ho parlato con Micaela meniamo». E, in riferimento alla stesura del testo, precisava «La sta preparando Micaela».

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Allora non sono solo

Claudio Fava pone alcune domande:

“Perché da sei mesi il governo non nomina il nuovo direttore del Dap? Perché la Procura di Palermo è senza un capo? Perché l’agenzia dei beni confiscati è paralizzata?”. Claudio Fava, vicepresidente della Commissione antimafia, denuncia l’inerzia istituzionale sul tema della sicurezza e del contrasto a Cosa nostra. “Da sei mesi esatti il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è senza un responsabile. E da molte procure arrivano segnali preoccupati sullo stato di efficacia del regime del 41 bis. In un momento in cui Cosa Nostra ha deciso di alzare il livello di scontro, con ordini stragisti impartiti direttamente dal carcere, l’inerzia del governo sul nuovo direttore del Dap è inammissibile. Come incomprensibile resta la decisione del Csm di rinviare la nomina del procuratore di Palermo, proprio nei giorni in cui quella procura e quella città sono sotto attacco della mafia”.

Non meno grave, per Fava, il silenzio del governo sulle nomine mancanti per il comitato direttivo dell’Agenzia sui beni confiscati: ”Senza quelle nomine – dice fava – l’Agenzia non può procedere all’assegnazione dei beni che rischiano di marcire dando ragione a chi ripete che con la mafia almeno si lavora”. “Qualcuno spieghi al presidente Renzi – conclude Fava – che la lotta alla mafia non si fa con i comunicati di solidarietà e con le generiche affermazioni di principio ma con le scelte operative, con i comportamenti sul campo, con l’assunzione delle proprie responsabilità

Gomorra e il pizzo alla camorra

Il brand Gomorra sviscerato da Sky con una serie che voleva essere educativa lancia il messaggio peggiore. Lanciare messaggi di legalità con atteggiamenti non etici e, peggio ancora, illegali è lo sport del duemila:

img1024-700_dettaglio2_gomorra-la-serie-skyEstorsione aggravata dal metodo mafioso alla casa cinematografica Cattleya per la produzione televisiva ‘Gomorra la serie’: per questi motivi sono stati arrestati tre esponenti del clan Gallo-Pisielli. Si tratta di Francesco Gallo, attualmente detenuto e ritenuto uno dei capi del clan, e dei genitori Raffaele Gallo e Annunziata De Simone. Secondo gli inquirenti, i rappresentanti della società sarebbero stati costretti a versare una somma ulteriore rispetto a quella pattuita da contratto per girare alcune scene a Torre Annunziata (Napoli), in un’abitazione di proprietà di uno dei parenti del boss. Per le riprese avvenute lo scorso anno, infatti, la società di produzione Cattleya aveva individuato come location l’abitazione di Francesco Gallo a parco Penniniello a Torre Annunziata, usata come casa della ‘famiglia Savastano’, protagonista della serie. Cattleya aveva accettato di pagare 30mila euro in cinque rate, ma dopo il versamento della prima, a marzo 2013, il 4 aprile Francesco Gallo è stato arrestato per associazione camorristica e la sua abitazione, dove stavano per iniziare le riprese, è stata sequestrata e gestita dall’amministratore giudiziario. Nel corso diintercettazioni telefoniche e ambientali è emerso che i parenti di Gallo avevano ottenuto da alcuni addetti alla produzione il pagamento di un’altra rata, anche se il canone doveva essere versato solo all’amministratore giudiziario nominato dal giudice. Una parte dell’inchiesta, inoltre, riguarderebbe inoltre una talpa che avrebbe avvisato gli uomini del boss sulle indagini in corso.

Lo scorso 6 maggio Il Fatto Quotidiano, in un servizio a firma di Antonio Massari, aveva annunciato l’esistenza di un’indagine sulla serie Gomorra con le ipotesi di estorsione e favoreggiamento. E ancor prima, a metà settembre 2013, sempre il nostro giornale aveva dato notizia dell’affitto pagato da Cattleya alla famiglia del boss. In entrambe le circostanze, la casa di produzione aveva aveva scritto al Fatto: la prima volta (nel 2013) per spiegare la vicenda della pigione versata ai parenti del boss, la seconda (maggio 2014) per negare l’esistenza dell’indagine. Oggi, però, sono arrivati gli arresti.

La ‘ndrangheta che fa politica

Concorso esterno in associazione mafiosa. E’ questa l’accusa rivolta all’assessore all’Agricoltura della Regione Calabria Michele Trematerra (Udc), indagato nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catanzaro che stamani ha portato all’esecuzione di numerose perquisizioni. Gli indagati, una quindicina tra cui l’ex sindaco e un ex consigliere del comune di Acri, sono accusati di aver favorito la cosca Lanzino di Cosenza, nella sua articolazione territoriale di Acri guidata da Giuseppe Perri. Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero condizionato enti pubblici quali la Regione ed il Comune “avvalendosi dell’apporto di figure istituzionali quali l’assessore al ramo Michele Trematerra e l’ex sindaco Luigi Maiorano”. 

In particolare l’assessore Michele Trematerra, è accusato di avere posto in essere una serie di “condotte materiali e procedimentali amministrative a favore dell’associazione” mafiosa dei Lanzino ed in particolare a “favore degli imprenditori facenti parte della cosca e delle rispettive società”, oltre che a favore dell’ex consigliere comunale Angelo Gencarelli. La Dda contesta fatti avvenuti nel periodo tra il 2010 ed il 2013.

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Sulla questione vitalizi/mafia/Cuffaro mi scrive Francesco Forgione

Sulla questione siciliana Francesco Forgione chiarisce:

Caro Giulio, come sai sono agli atti del parlamento siciliano le due mozioni di sfiducia a Cuffaro quando era padrone della Sicilia e non ora che è un carcere. Tutte e due hanno come primo firmatario, Francesco Forgione, la mia firma. Non posso quindi essere accusato di accondiscendenza al cuffarusmo. Ma quello che scrivi è una bufala e se fossi stato ancora all’Ars, comparirei nella lista nera grillina. Forse questi deputati non hanno letto statuto autonomista e costituzione repubblicana che assegnano al parlamento italiano e non alle regioni potere esclusivo in materia di giustizia e pene. Qui di anche le pene a censorie come l’interdizione dai pubblici uffici che determina la decadenza o meno del vitalizio a Cuffaro. Tra l’altro la legge Severino prevede la decadenza del vitalizio per i testi di corruzione e non di mafia ma solo per le regioni e non per il parlamento. Così succederà che Cuffaro non avrà più il vitalizio siciliano per le condanne contro la PA, ma prenderà quello del senato, e così anche dell’Utri. In questo caso l’Ars non poteva votare e decidere niente! Come vedi nella lotta alla mafia bisogna essere seri e rigorosi, sottrarrai alla propaganda e se si legge bene anche la costituzione fa bene alla politica e alla credibilità di chi sta nelle istituzioni non per fare spot ma per dare risposte serie e credibili alle domande sociali e alla ricostruzione dell’etica pubblica. 

A Francesco ricordo che addirittura Formigoni congelò il vitalizio ad un suo compagno di partito (con un escamotage, ovvio) e che la mozione venne modificata in modo unanime e votata per diventare proposta di legge in Parlamento.