Vai al contenuto

Malta

La bugie di Conte sui migranti: “Con me porti mai chiusi”

Riposizionarsi in politica, si sa, costa fatica, richiede spalle molto larghe e soprattutto una credibilità che va trattata con cura. Se dovessimo pensare al principe del riposizionamento di questi ultimi anni non potremmo che cadere sulla figura di Giuseppe Conte, l’ex due volte presidente del Consiglio che è riuscito nell’impresa di governare con la Lega di Salvini per poi, nel giro di qualche mese, essere addirittura indicato come “il punto di riferimento dei progressisti” dal Partito democratico. Merito anche della liquidità di un’epoca politica in cui una buona narrazione conta molto di più degli ideali, Conte è riuscito a imbastire una drammaturgia perfettamente pop e magistralmente funzionale.

Cambiare opinioni e posizioni non è un peccato, in politica può essere un pregio se l’evoluzione è motivata e risulta credibile a vecchi e nuovi elettori ma Conte sceglie per riposizionarsi la svilente strada della negazione e questo no, non è accettabile: «con i miei governi i porti non sono mai stati chiusi» ha detto l’ex presidente del Consiglio al webinar delle Agorà a cui ha partecipato con il segretario del Pd Enrico Letta. Un’affermazione (furbescamente accettabile dal punto di vista giuridico) che cozza furiosamente con il primo Conte, quello con Salvini al ministero dell’Interno e con tutta la fanfara dei “taxi del mare” e le Ong finite in decine di inchieste che si sono tutte dissolte. Basterebbe un’immagine per raccontare quel Conte: c’è il futuro leader del Movimento 5 Stelle che sorride sornione con il suo ministro Salvini reggendo un foglio con l’hashtag #decretosalvini e la dicitura “sicurezza e immigrazione”. Quello è stato il punto più alto (o più basso, a seconda dei punti di vista) della piena condivisione della linea leghista. Quel testo era stato approvato il 24 settembre 2018: il comunicato stampa del Consiglio dei ministri precisa che ci si riunì «alle ore 11.41 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del presidente Giuseppe Conte».

Le parole sono importanti. Vale la pena ricordare anche come Conte, rispondendo al Pd (in quel caso nella veste di oppositore) sul caso Aquarius, appoggiò in toto la linea dura di Salvini: usare il divieto di sbarco per mostrare i muscoli contro l’Europa. Poi la Sea Watch e la comandante Carola Rackete. «È stato – disse Conte – un ricatto politico sulla pelle di 40 persone». Insomma, non proprio le parole di chi vuole prendere le distanze dalla politica di Salvini. A luglio 2018 anzi proprio l’allora premier rivendicava (sta ancora sul suo profilo Facebook) il risultato della spartizione dei migranti ottenuto lasciandoli in mare per giorni: «Francia e Malta prenderanno rispettivamente 50 dei 450 migranti trasbordati sulle due navi militari. A breve arriveranno anche le adesioni di altri Paesi europei». Come dire: se non li facciamo sbarcare gli altri si muovono, quindi il nostro agire è utile e chi se ne frega dei diritti.

L’ultimo atto del Parlamento prima della caduta del primo governo Conte? Agosto 2019, decreto sicurezza bis che stringeva ancora di più i lacci dell’immigrazione: il governo pose la fiducia per farlo passare. E anche i 159 migranti sulla nave Open Arms a cui fu impedito per 19 giorni l’accesso ai porti italiani nell’agosto del 2019 sono figli del governo gialloverde. Che Conte oggi ci dica di non avere “mai chiuso i porti” è una presa in giro alla memoria e alla verità. Potrebbe dirci di avere sbagliato, potrebbe dirci di essersi accorto che i diritti sono più importanti degli slogan, potrebbe perfino dirci di essere sceso a compromessi per tenere salda la propria posizione ma la narrazione per invertire il passato questa volta è miseramente fallita e che il Pd non alzi nemmeno un’osservazione aggiunge desolazione: se la prossima alleanza nasce sulle frottole non è un buon inizio.

L’articolo La bugie di Conte sui migranti: “Con me porti mai chiusi” proviene da Il Riformista.

Fonte

Decreti Sicurezza, Gatti (Open Arms) a TPI: “Un passo avanti, ma le Ong vengono ancora criminalizzate”

Riccardo Gatti, capitano e direttore di Open Arms, commenta le modifiche ai decreti sicurezza decise dal governo Conte e approvate ieri dal Consiglio dei ministri. A TPI, Gatti spiega quale impatto potrebbero avere queste modifiche ai “decreti Salvini” sulle Ong e sulle operazioni di soccorso in mare.

Gatti, come valuta le modifiche dei decreti sicurezza, lei che si occupa di salvataggio in mare?
Partiamo da questo presupposto: sono modifiche di provvedimenti che andavano cancellato dal primo momento, e noi lo abbiamo sempre detto. I decreti sicurezza erano vergognosi. Detto questo, qualsiasi miglioramento è da valutare positivamente. Dobbiamo però ravvisare che si continuano a criminalizzare le Ong. Le multe sono passate dall’ambito amministrativo a quello penale in due fondamentali casistiche: quando non vengono avvisate tempestivamente le autorità competenti delle proprie zone Sars e quando viene forzata l’entrata in porto. Si sta dando ancora l’idea che le Ong mettano in atto comportamenti fuori dalle normative, che invece hanno sempre dimostrato di rispettare.

Si può dire lo stesso dei governi?
Chi non ha rispettato la legalità sono stati proprio i governi. Ancora una volta per puro interesse politico si colpevolizzano le Ong. Continuare a parlare delle multe è scorretto e tendenzioso. Il soccorso in mare è normato dalle convenzioni internazionali. Da quando abbiamo cominciato a soccorrere in mare, nel 2015, c’è stata una totale distruzione di un sistema coordinato, diretto dalla Guardia Costiera italiana. Le autorità competenti sono via via scomparse. La collaborazione è scomparsa. Malta ha un comportamento totalmente ostile nei confronti delle Ong, non mette in atto nemmeno le evacuazioni mediche quando le richiediamo. In Italia lo sbarco dei migranti, che dovrebbe essere tempestivo, avviene sempre dopo che sono stati trovati gli accordi di ricollocamento, che non hanno niente a che vedere col soccorso delle persone in mare.

E poi c’è la Libia…
È stato ampiamente documentato quale sia il loro comportamento: non rispondono, e se lo fanno chiedono di riportare le persone a Tripoli, dove tutti sanno cosa accade ai migranti, violando la convenzione di Ginevra e i diritti umani. Negli anni il sistema di soccorso in mare coordinato è venuto meno, l’atteggiamento è diventato più ostile ed è aumentata la criminalizzazione, anche mediatica, delle Ong, mentre si è continuato a insistere con la politica dei respingimenti per procura, con l’unico obiettivo di intercettare le persone e riportarle in Libia. Quindi, ora ben venga qualsiasi miglioramento rispetto ai decreti Salvini, ma il problema di fondo resta sempre lo stesso.

Il governo però sostiene che passare dal reato amministrativo a quello penale sia un modo per tutelare le Ong: ci si affida infatti a un giudice esterno e terzo per valutare eventuali irregolarità. Che ne pensa?
Il discorso che fa il governo va bene, ma ci dimentichiamo che stiamo parlando delle stesse organizzazioni che hanno dimostrato per anni (anche nei tribunali) che di irregolarità non ne commettono. Siamo ancora sotto osservazione? Siamo sempre quelli che venivano coordinati dalla Guardia Costiera e dalla Marina Militare italiana. La verità è che andrebbe ripristinato il soccorso in mare, questo sì che migliorerebbe la situazione.

Leggi anche: 1. Decreti Sicurezza, Rampelli (FdI) a TPI: “Conte sotto ricatto del Pd. Il M5S ha perso la faccia” / 2. Sicurezza, ok al nuovo Dl. Ong, accoglienza, permessi di soggiorno: cosa cambia dai “decreti Salvini”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Solidali a respingere

C’era grande attesa per il il nuovo Patto europeo per le migrazioni e l’asilo, il Migration pact che ieri Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione europea, ha presentato in pompa magna. C’era anche molta attesa visto che proprio la presidente nei giorni scorsi aveva annunciato il superamento del Regolamento di Dublino che da tempo rende iniquo l’approccio degli Stati europei nei confronti delle migrazioni.

La presidente ha parlato di “un nuovo inizio” (che è una frase che qui in Italia risuona con l’odore stantio dei decreti sicurezza che continuano a rimanere in vigore) parlando di “solidarietà europea”. In cosa consiste?

Rimane il principio del Paese di primo ingresso che dovrà svolgere tutte le pratiche burocratiche e sanitarie. Dice l’Europa che però nel giro di pochi giorni saranno prese “veloci decisioni di asilo e di rimpatrio”, con l’intento di velocizzare l’esame delle domande d’asilo. Diventa difficile pensare che la ricerca di rapidità non comprima ulteriormente i diritti che già spesso vengono calpestati. Ma tant’è.

E allora dov’è la solidarietà? È una solidarietà al contrario, la solita, dell’Europa che si chiude. Il vicepresidente della Commissione, Schinas, ha ripetuto più volte la definizione di “sponsorship sui rimpatri”. Spiega Schinas: «La nuova idea di sponsorizzazione dei rimpatri servirà a riequilibrare interessi concorrenti: non tutti gli Stati membri accetteranno la ricollocazione dei migranti con questo sistema offriamo un’alternativa percorribile: se non si decide di accogliere si può aiutare nel rimpatrio». In sostanza: se un Paese non vuole accogliere deve aiutare gli altri a rimpatriare. Una nuova solidarietà europea che li vede tutti uniti a respingere. Il piano è sempre lo stesso: solidali tra Stati a contenere gli arrivi e ancora più perfomanti nei respingimenti. I “ricollocamenti”, quelli che dovevano essere “automatici” dopo gli accordi di Malta e che sono rimasti lettera morta, continuano a rimanere un’utopia.

E un programma di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo? Niente. L’apertura di canali umanitari (e legali)? Niente. Interrompere la criminale cooperazione con la Libia? Niente. Collocamenti automatici? Niente. Sanzioni? Niente.

Siamo alle solite: una decisione a respiro cortissimo e una solidarietà che no, non ce la fa proprio a guardare a quelli che vengono dal mare.

Buon giovedì.

Commenti

commenti

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Insomma bambini, annegate sì, ma annegate a tempo!

buyuk.20140218093526.jpg_415368877E così sono morti 7 bambini, e 7 adulti che fanno 14 in tutto che è un numero tra l’altro, medio, asfittico, senza gusto, incolore. Fossero almeno 100, 200, 300. Che so. Per “la più grande tragedia” di sicuro almeno ci scappa una prima pagina. Ma così… Sono morti 7 bambini e 7 adulti anche ieri, ma “con tutti i problemi che abbiamo qui, sai quanti italiani muoiono ogni giorno”? rispondono così, di solito, quelli che sono capaci di capire la qualità di un morto dal taglio e dal colore, quelli che hanno l’occhio fino per riconoscere il gusto tra morto e morto, come il prosciutto. Sono morte 14 persone, “ma potevano stare a casa loro e non sarebbe successo niente” dicono quegli altri con le spillette dei marò. Sono morte 14 persone ma hanno fatto apposta. Perché forse non lo sapevano che a Malta oggi i capi d’Europa avrebbero trovato la soluzione. Bastava rimandare di un giorno. E poi dici le partenze intelligenti.

Sono morti 7 bambini ma non fanno più effetto. Come alla quinta birra, come l’ultima canna di un giorno che hai passato tutto fumato, come il gol di una squadra che tanto vince sempre, come l’ennesima gaffe del solito amico sfigato o come muoiono i bambini nell’anno 2015. L’anno del motore delle Golf truccato, di Vale e il motomondiale rubato e dell’Italia con il segno più. Si vede che ormai, avranno pensato, quelli che scrivono con sdegno ma a comando, ormai conviene aspettare il fine anno, tanto siamo ad un passo e facciamo la somma. E così poi tutti contriti per quella. Come una tana libera tutti.

(continua qui)

Tredicimilacinquecento

Tredicimilacinquecento morti durante le traversate dei mari che promettono una migrazione a buon fine. I numeri sono di Human Rights Watch.

Tredicimilacinquecento morti sono un genocidio senza padroni negli stessi mari che bagnano le coste dei nostri ferragosto. Dietro ai “flussi”, “respingimenti”, la legge “Bossi-Fini” e tutto il resto ci sono loro: sono due volte il paese in cui apriamo il teatro tutti i fine settimana. E sono un fallimento per tutti. Sicuro.