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Manovra

Fiducia e calcinculo

Questa cosa della manovra e della fiducia in Senato sulla votazione del maxiemendamento mi fa proprio impazzire. Non solo per gli aspetti politici e economici (è la quarantanovesima volta che viene posta e proprio in un momento in cui i mercati ci osservano e tutto il resto) ma proprio per il modo. Penso a me che dico al mio migliore amico “ti piace il mio ultimo libro? se non ti piace la chiudiamo qui” oppure “andiamo sabato al lago? se non ci vieni addio” o “ci vediamo domani per discutere di quel progetto, se non sei d’accordo con me allora sparisci”. Ecco, penso se riuscirei ad arrivare a quarantanove volte senza essere preso a calci nel culo.

Si sbilancia anche la Svizzera

Sull’imbecillità di questa manovra anche gli svizzeri perdono il loro leggendario aplomb. Ora Berlusconi cerca – improvvisamente – di spacciarsi per un grande statista, che, per salvare la nazione dalla cattive conseguenze della speculazione e della crisi causata dall’estero, persegue un programma di draconiana austerità. E non si ferma nemmeno davanti alla bugia che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani e quindi che avrebbe fatto ricorso al «contributo di solidarietà» previsto inizialmente per i redditi più alti. In realtà il «piano di austerity» procede non solo con massicci tagli alla spesa pubblica, ma, soprattutto, con le entrate fiscali. Se volete farvi del male l’articolo completo lo potete leggere qui.

Licenziamoli per giusta causa

La deroga all’articolo 18 non è solo l’ennesimo attacco alla Costituzione di un Governo che, morbido con gli amici, cerca di recuperare spessore affondando i lavoratori per mostrarsi muscolare e compatto. Le mani sull’articolo 18 preoccupano perché raccontano soprattutto cosa pensano di noi questi dirigenti politici, spostando ogni giorno di qualche metro più in là il confine di ciò che fino a qualche ora prima era universalmente considerato intollerabile. Perché la malattia più grave, oggi, è riconoscersi educati allo scippo: come se fosse l’inevitabile dazio da pagare per servire il Paese. E così abbiamo confuso fedeltà con servilismo, solidarietà con debolezza, stato sociale con sopravvivenza, confondiamo i diritti con i servizi e sviluppo con necessaria demolizione.

In questa marmaglia di mediocri, i nuovi moderati sono invece i nuovi mediatori dello scippo: quelli che non rincorrono il ladro per prenderlo a borsettate sul grugno, ma ci invitano a valutare come si potrebbe scippare in modo più indolore e più equo. Ci invitano a parlare di manovra come se fosse un atto politico e non per quello che è: la proterva eiaculazione di un vecchio ladro infeltrito che sbava contro le categorie nemiche come un bambino dispettoso. E insieme alla sua corte di gnomi può sorridere quotidianamente per avere superato ancora l’inosabile; può sperare di essere ancora credibile con i suoi amici (se non comprandoli come al solito) affogando gli avversari.
La parabola di Berlusconi è la parabola di due stati che si combattono: uno è lui in persona, l’altro è lo Stato.

Eppure educare un popolo allo scippo non gli è nemmeno stato difficile: gli è bastato coprire le macerie della degenerazione etica e morale con il sogno sempre acceso di una libertà individuale he ha assunto le forme di impunità pressoché garantita. E ogni volta che i suoi “avversari” politici (che mai nella storia della Repubblica sono stati così mansueti da sembrare semplicemente scenografici) si sono infilati nelle pieghe di impunità per salvarsi, il progetto politico di Berlusconi è apparso “inevitabile”.

Diceva Pasolini che “la Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline”Oggi il silenzio e deserto è anche il desiderio irrefrenabile di diritto all’impunità, l’accettazione di una rappresentanza che sa rappresentare nulla più che se stessa e l’indignazione che non riesce ad accendersi, strutturarsi e diventare coscienza collettiva.

In un bel post, Luca De Biase scrive: “La parola ‘rappresentare’ vive sia nell’ambito della politica che in quello dell’informazione. Se i politici ci rappresentano fanno qualcosa di più preciso di essere semplicemente eletti. E se i giornali ci rappresentano fanno qualcosa di più preciso di essere semplicemente letti. Perché ci sia rappresentanza occorre una sorta di corrispondenza tra quanto dicono, i politici e i giornali, e quanto accade davvero al loro rispettivo ‘pubblico’”. Se non si riconosce più la discrepanza, ci si è abituati allo scippo.

L’articolo 416 del nostro codice penale ci racconta come un’associazione a delinquere esista quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, si riconoscono per la stabilità dell’accordo, per il vincolo associativo destinato a perdurare anche dopo la commissione di singoli reati specifici e per l’esistenza di un programma di delinquenza volto alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti. Proviamo ad uscire dal recinto penale e rileggere l’articolo nel recinto delle opportunità civili e della sopportazione civile: finché respira ancora, l’articolo 18 sarebbe già una giusta causa per licenziarli.

DA IL FATTO QUOTIDIANO

La (brutta) favola di Re B. e la manovra

Il pifferaio magico ha convocato i suoi topi, gli ha ordinato di firmare il saccheggio e poi di scendere in strada chiamandolo ‘responsabilità’.

Senza nessuna analisi, senza fingere postura da economista dell’ultima ora:

Hanno detto per anni che tutto andava bene e che la crisi era solo nella testa della sinistra disfattista e sulla bocca dei parassiti pidocchiosi che infestano la scuola, gli uffici pubblici e che pensano solo a scioperare. Li hanno applauditi.

Poi ci hanno detto che la crisi c’era (e che in fondo lo sapevano ma non volevano creare allarme) e che non è mica una cosa italiana ma che tutta l’europa (anzi, l’universo mondo) andava a picco e intanto indicavano la Grecia che stava a galla come un tonno rinsecchito che nuota senza pinne. E tutti hanno detto – hai visto, poveretta la Grecia, noi stiamo in piedi grazie al nostro Presidente.

Hanno scritto la prima manovra per risanare il Paese (ci dicevano). Bene.

Male, anzi, ci siamo sbagliati. Hanno scritto la seconda. Anzi, l’hanno scritta mentre l’Europa li teneva per un orecchio come la maestra con l’alunno che scrive cento volte ‘responsabilità’. Bene, questa volta ci siamo.

Anzi no, hanno riscritto la seconda, qualche aggiustamento, ci vuole responsabilità – diceva – e tutti uniti (dopo averlo scritto cento volte aveva imparato a pronunciarla oltre che scriverla). Qualcuno ha iniziato ad avere comunque qualche dubbio ma comunque, ci dicevano, non toccheremo le pensioni. L’importante è che chi ha di più paghi di più e poi via le provincie piccole (tranne le nostre) e i comuni, anzi no, il federalismo le salveremo, viva l’identità locale, non può essere mica un costo, e sono usciti con una macelleria sociale (ter) che tocca le pensioni, cancella il contributo di solidarietà (cioè chi guadagna di più semplicemente guadagna di più), e cancella le province forse sì, forse no, non si sa quando, ma serve un’unità d’intenti e responsabilità (rieccola) dell’opposizione. E forse hanno sbagliato anche i conti. In compenso non si sono aumentati nemmeno il prezzo dell’insalata alla mensa del reame.

Il re è uscito sul balcone e ha urlato ‘manovra più equa’.

Qualcuno disse – beh, almeno non ci hanno tassato il pane, gli è bastato il 1 maggio e il 25 aprile.

Crescita, equità e giustizia sociale: il 6 settembre in piazza  per andare a riprendercele.

Un’ipotesi di manovra. Uno scenario politico.

L’avevo scritto il 9 agosto quanto fosse importante allinearsi alla proposta complessiva di Sbilanciamoci.org per una contromanovra credibile, fattibile ma soprattutto che disegni un altro Paese. E sono contento di leggerla oggi come proposta politica di SEL con un’analisi pienamente condivisibile di Massimiliano Smeriglio sul sito di Sinistra Ecologia Libertà. Perché è anche rassicurante toccare il sentire comune.

Svendere: scritto in piccolo nella manovra

Praticamente con questa finanziaria a parte i tagli e l’aumento delle tasse si stanno dettando i presupposti per poter pagare i creditori con un bene del demanio, una spiaggia ad esempio. L’attuale governo, qualche termpo fa non aveva pensato ad esempio di “fare cassa” dando in concessione le spiagge? L’idea venne ritirata per la diffusa avversione dell’opinione pubblica. Oggi tale possibilità è stata introdotta nel silenzio più assoluto dei media ufficiali. Perché e come ce lo spiega Attilio Folliero qui.

Non lotta di classe: diritto alla decenza

Macelleria sociale, attuazione del piano del venerabile Gelli, iniquità al potere, disuguaglianza per decreto: la manovra estiva del governicchio in castigo è riuscita ad allargare (se ancora fosse possibile) il vocabolario dello sdegno. Eppure oltre la questione finanziaria questo conato estivo per scansare il fallimento ha aperto l’oscenità di una cultura dell’impunità che passa non solo dalle aule giudiziarie ma anche (e soprattutto) dalle ipotesi indecenti e intollerabili che ci vengono propinate con la postura dei buoni padri di famiglia.

La notizia arriva da Venezia e ha come protagonista il presidente di Confindustria Veneto, nonché Presidente di Lotto Sport Italia Spa, Andrea Tolmat che propone una ricetta per uscire dalla crisi semplice semplice: i lavoratori rinuncino alle ferie per aiutare l’economia. Testualmente: «regalando cinque giorni lavorativi all’anno per un periodo limitato, diciamo cinque anni» perché, ci dice, «non bisogna guardare alla singola azienda ma al sistema. Cinque giornate lavorative consentirebbero di aumentare la produttività e la competitività per le imprese, si riuscirebbe ad abbassare i costi dei prodotti, anche ad ampliare le possibilità di aumentare le assunzioni».

Verrebbe da chiederai cosa ne pensano i sindacati (o i lavoratori, meglio, di questi tempi) ma Tolmat ha la risposta ad eventuali critiche: «Teniamo presente che già oggi c’è un numero elevato di giorni di ferie – sottolinea – da 25 potrebbero passare a 20 con sacrificio: non se ne accorgerebbe nessuno». E i sacrifici delle aziende? «Le aziende pagano già il 60 per cento di imposte»: capitolo chiuso.

Agosto 2011, Italia: Giuliano Amato disse nel 1992 “in Italia le misure si riescono a prendere solo quando è crollato il soffitto”, oggi, sotto le macerie (già appaltate), la vera lotta di classe è una resistenza all’indecenza.

Pubblicato anche su IL FATTO QUOTIDIANO

Contro le spese militari. Un impegno politico.

È uno dei capitoli di bilancio meno discusso. È un ‘recinto’ di giochi per pochi. Le spese militari italiane navigano (da tempo) nella classifica dei primi dieci stati al mondo. Nello stesso Paese in cui il Servizio Civile è stato tagliato del 70%, i fondi per la cooperazione internazionale sono stati tagliati del 50% raggiungendo il punto più basso degli ultimi anni nel 2010 si sono spesi Oltre 23 miliardi di euro. Adesso è ora di prendere posizione e dire basta. Basta all’esportazione di democrazia che costa troppo a tutti e giova sempre a pochi. Basta senza temere di scostarsi dalle ‘buone maniere’ della politica che frena sulle scelte di campo. Farlo tutti, tutti insieme e cogliere un occasione per essere integralisti al contrario. Un impegno che mi assumo (e ci assumiamo, vero?) da subito in tutti i modi che ci sono possibili. Al massimo rischieremo di essere additati come fastidiosi pacifisti.

Perché leggere Massimo Gramellini

Mi chiamano Medio Alto, ma il mio soprannome è Rintracciabile. Sono quello che non può nascondersi, quello che paga. Anche stavolta. Il governo della Libertà mi impone tasse svedesi per continuare a fornirmi servizi centrafricani. E io le verserò fino all’ultimo centesimo, senza trucco e senza inganno, da vero scandinavo. Poi però rimango un italiano e allora mi si consenta di essere furibondo. Per pezzi così.