Vai al contenuto

massimo ponzoni

Quanti amici di mafiosi in Lombardia, carabinieri e dottori

Le cosche della ‘ndrangheta in Lombardia avevano creato “proficui rapporti” con “uomini dello Stato“: politici, investigatori e manager della sanità. E potevano contare anche sulle informazioni passate da un “appartenente alla Direzione Investigativa Antimafia di Milano, purtroppo ad oggi rimasto non identificato”. E’ questa la tela di potere che le ‘ndrine avevano esteso nel cuore produttivo del Paese. Una fitta maglia descritta nei dettagli nelle 800 pagine di motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello del capoluogo lombardo hanno confermato le condanne nate dalla maxi inchiesta Infinito-Tenacia del 2010. Le pene inflitte a giugno, seppure con qualche lieve riduzione, non hanno subito modifiche. Gli imputati sono circa una quarantina, tra cui il presunto boss Giuseppe“Pino” Neri e l’ex dirigente dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco. Diciotto anni di carcere al primo 12 anni al secondo.

Per raccontare i rapporti su cui potevano contare i presunti mammasantissima, la Corte riporta l’esempio del Comune di Desio. Il collegio della prima sezione, presieduto da Marta Malacarne elenca alcuni di questi “uomini dello Stato” e spiega, ad esempio, che “gli affiliati del locale (ossia della cosca, ndr) di Desio” erano in rapporti con l’ex assessore regionale lombardo Massimo Ponzoni. Inoltre, il collegio scrive che nel procedimento “sono stati analizzati i rapporti degli imputati con altri pubblici funzionari”, tra cui “Corso Vincenzo, ufficiale giudiziario in servizio a Desio”, “Marando Pasquale, ispettore dell’Agenzia delle Entrate” e “Pilello Pietro“, all’epoca “presidente del Collegio dei revisori dei conti della Provincia di Milano”. E poi “rilevantissima”, secondo i giudici, “l’infiltrazione nella società a completa partecipazione pubblica Ianomi, che raggruppa circa quaranta comuni della Valle dell’Olona e del Seveso, ed ha come oggetto sociale la gestione delle reti idriche”. E poi ancora i “rapporti di Strangio Salvatore con il colonnello in pensione Giuseppe Romeo e con l’ispettore della Polizia stradale di Lecco Alberto Valsecchi“.

Nelle motivazioni si parla anche di un “sequestro illegale” di un’auto da parte di “agenti della polizia di Stato di Torino” ottenuto da uomini vicini al presunto boss Domenico Pio. Un pentito poi ha raccontato di “un appartenente alla Guardia di Finanza che aveva fornito loro notizie di arresti imminenti” e di “rapporti privilegiati con il comandante della Polizia locale di Erba” e con “Nardone Carlo Alberto, ex ufficiale dell’Arma dei carabinieri”. Altri “proficui rapporti”, spiegano i giudici, “sono rimasti nell’ombra” e se ne “desume l’esistenza” dai molti “episodi di fuga di notizie” nel corso dell’inchiesta.

Vengono poi descritti i legami che intercorrono tra le ‘ndrine lombarde e la Calabria, “una sorta di rapporto di franchising” – scrivono i giudici – sebbene le cosche lombarde agissero in autonomia, “la Calabria è proprietaria e depositaria del marchio ‘ndrangheta’, completo del suo bagaglio di arcaiche usanze e tradizioni, mescolate a fortissime spinte verso più moderni ed ambiziosi progetti di infiltrazione nella vita economica, amministrativa e politica“.

Per questo la stessa “infiltrazione mafiosa nelle aziende della famiglia Perego”, importante impresa lombarda nei settori edili e del movimento terra, era “seguita” – scrivono i giudici – “con attenzione dalla ‘madre patria’ anche in previsione delle prospettive attribuite a Expo 2015“. L’ex manager della Asl di Pavia Chiriaco, invece, svolgeva il ruolo di “stabile punto di riferimento per convogliare i voti controllati dall’associazione sui candidati in più tornate elettorali amministrative”. Nelle motivazioni, tra l’altro, c’è un lungo elenco di “pubblici funzionari“, ma anche di membri delle forze dell’ordine con cui le cosche avrebbero intrattenuto rapporti.

(fonte)

La (prevista) brutta fine di Massimo Ponzoni

L’ennesimo pezzo di formigonismo e di brutta Lombardia che ha impunemente governato per anni:

formigoni_ponzoniEra stato mister 11mila voti, rimasto potente nonostante la perdita della carica di assessore e con l’aspirazione a ottenere una “delega per i lavori dell’Expo 2015″. Poi per Massimo Ponzoni, ex assessore regionale della Lombardia ed ex segretario dell’ufficio di presidenza in era Formigoni, era arrivata un’ordinanza di custodia cautelare. Era il gennaio del 2012 e oggi a poco più di due anni dalla sua consegna agli uomini della Guardia di Finanza è arrivata la sentenza di primo grado: una condanna a dieci anni e sei mesi di reclusione messo dai giudici del Tribunale di Monza.

A Ponzoni venivano contestati la corruzione, la concussione e bancarotta fraudolenta nell’ambito del ‘crac Pellicano’, la società immobiliare con sede a Desio di cui l’allora assessore era socio, dichiarata fallita dal tribunale di Monza per un ammanco di circa 600mila euro. L’inchiesta era però stata stralciata  da un’indagine della Dda di Milano sulla ‘ndrangheta. Di cui Ponzoni che al telefono si vantava di aver potuto fare a meno – diversamente dalle elezioni del 2005 – sostenendo in una conversazione intercettata: “Mi sono tolto di mezzo la grande soddisfazione di arrivare primo… secondo sono arrivato con Carugo e terzo mi sono tolto i voti dicerti personaggi affiliati a certi clan“. Per il difensore di Ponzoni, l’avvocato Luca Ricci si tratta di “una sentenza ingiusta”.

Con l’ex assessore sono stati poi condannati dai giudici monzesi a pene che vanno dai due anni e mezzo a cinque anni e mezzo, tutti e quattro i coimputati accusati a vario titolo di corruzione, concussione e bancarotta fraudolenta.

Ponzoni era stato arrestato il 17 gennaio del 20012 quando si era consegnato alla Guardia di Finanza perché su di lui pendeva un’ordinanza di custodia cautelare. Il gip ha firmato aveva firmato l’arresto anche per l‘imprenditore Filippo Duzioni, per l’ ex sindaco di Giussano Franco Riva e l’ex assessore provinciale e tecnico del Comune di Desio Rosario Perri (per questi erano stati disposti i domiciliari).  Per il giudice esisteva ”un radicato e diffuso sistema di illegalità che presenta, come dato comune, l’asservimento della funzione pubblica all’ interesse privato”; un ”contesto affaristico” non solo fatto, secondo la ricostruzione di presunte mazzette,”voti comprati”, appoggi per scalate all’interno delle amministrazioni locali in cambio di interventi sui piani di governo del territorio, ma anche legato con un filo alla ‘ndrangheta e che ha portato a iscrivere nel registro degli indagati, accanto a Ponzoni, oltre venti persone, tra suoi parenti, imprenditori, commercialisti e pubblici ufficiali.

Secondo il gip c’era anche  ”la sua dedizione al consumo di droga”, la ”cocaina”, a cui si aggiungono i ”costi del lusso”, a spingerlo ”procurarsi liquidità”. Bisogno questo, secondo il giudice, che l’avrebbe portato a commettere ”fatti corruttivi”, e per la quale sarebbero state ”strumentali (…) anche le condotte distrattive poste in essere nella gestione delle società” poi fallite o a lui riconducibili. Società svuotate, per l’accusa, per comprare voti o finanziare la sue campagne elettorali. E poi per pagare ”noleggi di barche” e anche ”viaggi esotici” al governatore della Lombardia Roberto Formigoni fino ad arrivare agli oltre 13 mila euro pagati da il Pellicano alla pasticceria Cova di via Montenapoleone, a Milano, o ai 62.400 euro versati a un ‘centro studi arredamenti” della Brianza.

Il vizio delle vacanze di Roberto Formigoni

Un articolo uscito su L’Espresso. Sarei curioso di sapere cosa ne pensa la Curia milanese, sempre impegnata sui diritti civili degli altri e ogni tanto confusa nella proiezione di castità e povertà del nostro Governatore lombardo:

Dalle Antille alle Alpi, spuntano nuove vacanze del governatore. Con i pagamenti dell’assessore Ponzoni, arrestato a gennaio
(di Paolo Biondani e Michele Sasso – l’Espresso)

Piero Daccò non è solo. Il grande lobbista ciellino, in carcere dal novembre 2011, non è stato il primo né l’unico a dispensare regali di lusso a Roberto Formigoni. Il governatore lombardo ha ricevuto doni costosi anche dal suo ex assessore regionale Massimo Ponzoni, sfortunatamente agli arresti dal gennaio 2012. Certo, le cifre del caso Daccò restano un record ineguagliato: il faccendiere della sanità privata, secondo i pm di Milano, avrebbe pagato all’amico Formigoni, ora indagato per corruzione, le spese di tre yacht, varie vacanze esotiche e altri benefici per almeno 7,8 milioni. I regali di Ponzoni sono molto meno favolosi, infatti non sono costati alcuna accusa a Formigoni, ma segnano comunque una svolta politica: non si era ancora visto un assessore che stanzia decine di migliaia di euro per donare oggetti preziosi e vacanze ai Caraibi al suo presidente.

Questa nuova storia di regali a Formigoni è stata ricostruita, almeno nelle parti documentabili, in tribunale a Monza, nel processo che vede Ponzoni imputato di corruzione e bancarotta. Tutto nasce dal memoriale di un commercialista terrorizzato. Sergio Pennati, 54 anni, brianzolo doc, è stato per un quinquennio l’amministratore-prestanome delle imprese del politico. Il 4 dicembre 2009 chiude in cassaforte un manoscritto di nove pagine, destinato a moglie e figli. Pennati teme di morire e scrive di aver ricevuto «minacce in stile mafioso da Ponzoni». Quindi spiega il suo ruolo di «fiduciario». Rivela svariate corruzioni edilizie nei comuni brianzoli, in provincia di Monza, e all’ospedale Niguarda di Milano, accusando ciellini e pidiellini. E documenta di aver sottratto milioni dalle casse aziendali per finanziare «la costosissima campagna elettorale di Ponzoni» e saldargli «spese personali». Con i soldi di un’immobiliare poi fallita, precisa il commercialista, «ho dovuto pagare varie volte noleggi di barche e vacanze esotiche a Ponzoni e al suo capo Formigoni».

In quel momento Ponzoni è l’assessore lombardo «alla qualità dell’ambiente» e le accuse a Formigoni di ricevere regali da sultano sono ancora inimmaginabili. A Milano i pm che indagano sulla ‘ndrangheta trasmettono a Monza le prime intercettazioni su Ponzoni. Il 3 dicembre 2010 la Guardia di Finanza trova il memoriale di Pennati. Che conferma tutto e accusa il politico di averlo minacciato perfino «nel suo ufficio in Regione».

Ponzoni intanto viene rieletto e diventa “sottosegretario” di Formigoni. Nel gennaio 2012 viene arrestato. I soldi sottratti alle società fallite sono un problema per lui, che è tuttora ai domiciliari, ma non per Formigoni, che non viene indagato. Sul presidente, del resto, c’erano solo le parole di Pennati. Ora, al processo, i testimoni dell’accusa hanno esibito bonifici e fatture. E in aula Ponzoni, difeso dagli avvocati Luca Ricci e Sergio Spagnolo, non ha smentito nessuno dei suoi presunti regali a Formigoni.

I primi documenti riguardano le vacanze di Pasqua del 2007. Una società di Ponzoni ha affittato per 23.572 dollari una villa da sogno a Saint Barthélemy, un’isola delle Antille francesi: quattro camere, quattro bagni, piscina, fitness e terrazze sul mare. Pennati, in tribunale, rivela quello che gli riferì Ponzoni: l’ospite d’onore di quella vacanza di dieci giorni ai Caraibi era Formigoni.

L’agenzia immobiliare, contattata da “l’Espresso”, non ha confermato né smentito l’effettiva presenza del governatore con amici, appellandosi alla «privacy dei clienti». Dunque non si può escludere che Formigoni abbia rinunciato al viaggio all’ultimo minuto, all’insaputa del commercialista che pagava. Ma di certo Ponzoni ha organizzato la vacanza per lui e ha scaricato il conto da 2.143 dollari a notte su una società in bancarotta, a cui nessuno ha mai restituito i soldi. E le soprese non finiscono qui. Fonti vicinissime all’ex assessore confermano a “l’Espresso” che «Ponzoni e Formigoni hanno fatto molte vacanze insieme». L’ultima nel dicembre 2011: poco prima dell’arresto, Ponzoni avrebbe passato «il ponte di Sant’Ambrogio a Saint Moritz insieme a Formigoni e a Massimo Guarischi», l’ex consigliere regionale del Pdl condannato per tangenti sulle alluvioni.

Se per la villa alle Antille è provato documentalmente solo lo stanziamento (e il danno ai creditori di Ponzoni), un altro prezioso regalo è ora confermato dallo stesso ex assessore. Il solito Pennati rivelò di aver dovuto comprare «un vaso da 10 mila euro», sempre a spese di una società fallita, «donato a Formigoni per il Natale 2006» e coperto «con una fattura fuorviante». Ora Ponzoni, in una memoria ai pm, ammette che in effetti «quell’importo fu da me utilizzato per un regalo per il presidente Formigoni». Pennati ricorda che fu «un certo Willy, segretario del governatore, a indicare a Ponzoni, in una cristalleria di Varedo, quale oggetto Formigoni poteva gradire».

Il catalogo dei resort a sbafo

I regali di Piero Daccò, per un valore stimato dai pm milanesi in 7,8 milioni di euro, sono soltanto l’ultimo capitolo di una lunga storia di benefici ricevuti dal governatore lombardo (e dagli amici più fidati) nella sua carriera politica.

VILLA SMALTIMENTO. Formigoni è ancora un europarlamentare come tanti quando la Guardia di Finanza, indagando sul fallimento di una società lombarda di rifiuti tossici, la Nord Italia Tbi, trova quattro fatture per «spese di rappresentanza anomale»: tra l’88 e il ’92 l’azienda indebitata pagava gli affitti estivi di una villa da sogno in Costa Smeralda. Cinque camere, quattro bagni e 5 mila metri di giardino a Punta Lada. Ospite non pagante, Formigoni.

PETROLIO A VELA. Eletto presidente lombardo nel ’95, Formigoni si batte contro l’embargo all’Iraq «per motivi umanitari». Nel 2004, dopo l’invasione americana, si scopre che il regime di Saddam aveva assegnato fiumi di petrolio alla Cogep, una società italiana «segnalata da Formigoni». Mentre il rappresentante del governatore, il ciellino Marco De Petro, ha incassato tangenti per «tre centesimi al barile» su conti esteri: condannato in primo grado, beneficia in appello della prescrizione. Formigoni non viene indagato: la Procura accerta solo che ha una barca a vela in comproprietà con De Petro.

CIELLINI IN SVIZZERA. La stessa inchiesta “Oil for food” fa scoprire altri conti elvetici con almeno 879 mila dollari versati dall’Alenia (Finmeccanica). I conti risultano intestati ad Alberto Perego, che vive da anni con Formigoni in una casa-comunità dei Memores Domini. Perego nega tutto, ma è smentito dalle rogatorie bancarie: all’inizio di quest’anno viene condannato in primo grado per falsa testimonianza.

IL TESORO DELLA SANITÀ. Il lobbista Piero Daccò e l’ex assessore ciellino Antonio Simone vengono arrestati con l’accusa di aver incassato oltre 80 milioni all’estero tramite fatture false: soldi versati dalle fondazioni Maugeri e San Raffaele per aumentare i rimborsi pubblici della Regione. Il governatore viene indagato per corruzione quando la Gdf scopre che Daccò, con quei fondi neri, ha pagato a Formigoni benefit per almeno 7,8 milioni: tre yacht costati 4,5 milioni, vacanze esotiche per 800 mila euro, ristoranti di lusso e l’acquisto sottocosto di una villa in Sardegna intestata al coindagato Perego. Formigoni si dichiara vittima di accuse false, ma per ora rifiuta di farsi interrogare dai pm.

20120810-142747.jpg

Questa non è la Lombardia: tutti gli indagati

Non è l’immagine della regione che dovrebbe rappresentare:

Daniele Belotti (Lega Nord) è indagato per una vicenda di tifo violento verificatasi a Bergamo l’8 febbraio 2011. E’ ritenuto l’anello di congiunzione tra le istituzioni e la tifoseria; deve rispondere di concorso in associazione per delinquere.

Monca Rizzi (Lega Nord), indagata a Brescia per presunti dossieraggi nei confronti di avversariall’interno del Carroccio, si è dimesso il 16 aprile 2012.

Davide Boni (Lega Nord) il 6 marzo 2012 il presidente del consiglio regionale lombardo viene indagato per corruzione per un totale di circa un milione di euro, soldi che potrebbero essere finiti nelle casse del partito di Umberto Bossi. L’indagine si concentra su presunte tangenti in campo urbanistico.

Renzo Bossi (Lega Nord) indagato a Milano per truffa ai danni dello Stato nell’inchiesta sui fondi della Lega, con il padre Umberto e il fratello Riccardo il 16 maggio 2012. 

Nicole Minetti (Pdl) il consigliere regionale è indagata insieme a Lele Mora ed Emilio Fede per induzione e favoreggiamento della prostituzione nella vicenda di Ruby. L’iscrizione nel registro avviene il 15 gennaio 2010.

Gianluca Rinaldin (Pdl) il 16 aprile 201o viene iscritto nel registro degli indagati per corruzione, truffa aggravata, finanziamento illecito ai partiti e falso. L’inchiesta riguarda presunte tangenti nel settore turistico del lago di Como. L’indagine era stata ribattezza la “Tangentopoli lariana”.

Massimo Ponzoni (Pdl) il 19 settembre 2011 l’ex assessore regionale all’Ambiente é indagato per bancarotta e poi per corruzione, nonché coinvolto nella maxi-operazione Infinito contro la ‘ndrangheta. Arrestato.

Franco Nicoli Cristiani (Pdl), ex vicepresidente del Consiglio regionale lombardo, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta per una presunta tangente da 100 mila euro. Le indagini hanno portato anche al sequestro di alcuni cantieri della Brebemi in territorio di Milano e Bergamo. Le manette scattano il 30 novembre 2011.

Angelo Giammario (Pdl) il 14 marzo 2012 riceve la visita dei carabinieri che indagano il consigliere per l’ipotesi di corruzione e finanziamento illecito dei partiti. La vicenda in questione è legata agli appalti per il verde pubblico, soprattutto tra Milano e la Brianza.

 Romano La Russa (Pdl)l’assessore alla sicurezza della regione Lombardia e fratello dell’ex ministro alla Difesa viene indagato il 19 marzo 2012 per finanziamento illecito ai partiti nell’ambito dell’inchiesta sul caso Aler.

Roberto Formigoni (Pdl) presidente della Regione Lombardia è stato iscritto nel registro degli indagati il 23 giugno 2012, nell’inchiesta della Procura di Milano sui 70 milioni di euro che il polo privato della sanità Fondazione Maugeri ha pagato negli anni al consulente-mediatore Pierangelo Daccò.

Filippo Penati (Pd) è indagato dal 20 luglio 2011, per presunte tangenti per gli appalti dell’area Falck, si è dimesso dalla sua carica nel Consiglio regionale della Lombardia, dove era vicepresidente, mai da consigliere.

Alessandra Massei ex dirigente alla Programmazione sanitaria è indagata il 7 giugno 2012 per la vicenda giudiziaria che ruota intorno alla fondazione Maugeri.

Carlo Lucchina il direttore generale dell’assessorato alla Sanità compare il 14 giugno 2012 come indagato, perché accusato di turbativa d’asta su finanziamenti regionali, stanziati e in alcuni casi già erogati dalla Regione Lombardia, nell’ambito degli accordi stipulati tra aziende private.

Il nuovo arrivato nel Consiglio Regionale della Lombardia: Antonio Romeo

E’ Antonio Romeo, ex sindaco di Limbiate. Sostituisce Massimo Ponzoni che è decaduto (mentre si trova ancora in carcere) e che nelle carte dell’inchiesta Infinito viene definito “capitale sociale della ‘ndrangheta”. Sembrerebbe una buona notizia, direte voi. Ecco due righe ben scritte da Il Fatto Quotidiano sul nuovo arrivo:

In favore di Romeo, non indagato, si registra persino una dichiarazione pubblica di voto espressa da Natale Moscato, grosso imprenditore edile di Desio, la cittadina brianzola culla del potere di Ponzoni. Natale Moscato è orignario di Melito Porto Salvo ed è imparentato con la famiglia Iamonte, storica cosca di ‘ndrangheta egemeone nel paese del reggino. Già assessore comunale all’urbanistica per il Psi, fu arrestato per associazione mafiosa nel 1994 e pi assolto. La famiglia Moscato continua a essere citata nei rapporti investigativi sulla criminalità calabrese in Lombardia, e Annunziato, il fratello di Natale, figurava tra i presunti boss da arrestare nell’inchiesta Infinito del luglio 2010, ma era deceduto prima del blitz. In un’intervista al Giornale di Desio del 17 agosto di quello stesso anno, dove nega ogni coinvolgimento con la criminalità, Natale Moscato dice la sua sulle elezioni regionali lombarde svoltesi in primavera: “Massimo Ponzoni non è mai stato presente a Desio né in Brianza e gli stessi brianzoli l’hanno punito. Io non ho fatto la campagna elettorale per nessuno, ma come sa ho una famiglia numerosa e tutti noi alle Regionali abbiamo votato per Antonio Romeo, un sindaco che al suo paese, a Limbiate, è stato premiato con tremila voti. Evidentemente fa bene il suo lavoro e, lui sì, merita la mia stima: Ponzoni non avrebbe neanche dovuto essere eletto”.

Un accenno a questi movimenti elettorali si trova nelle intercettazioni dell’inchiesta monzese condotta dai pm Walter Mapelli (lo stesso che ha inquisito per corruzione il dirigente del Pd Filippo Penati), Giordano Baggio e Donata Costa. Uno sconosciuto parla con Franco Riva, un altro amministratore del Pdl arrestato, spiegando: “Mi hanno detto a Cesano chi ha votato quello di Limbiate, tutto il clan Moscato… Soliman e gli altri tre consiglieri, Giacomini, Mandin… il clan Moscato”. Limbiate è la città dove Romeo era sindaco, ma aveva deciso di dimettersi per tentare la strada del Pirellone. Riva risponde: “Il Ponz mi ha detto che è contento di essersi tolto da quel giro lì”. Ora i destini si intrecciano di nuovo: il candidato preferito dalla famiglia Moscato rischia di entrare in consiglio regionale al posto del “Ponz”. Romeo non è indagato né accusato di nulla, ma anche questa vicenda potrebbe diventare molto imbarazzante per il presidente Formigoni, in caso di sostituzione.

E siccome (fidatevi) ne parleremo a lungo cominciate a tenere da parte questo post.

Più che le dimissioni, lo scioglimento

Sembra passato un secolo da quando il Presidente del Consiglio Regionale Davide Boni minacciava querela nei miei confronti per avere detto in studio da Gad Lerner che alcuni personaggi del Consiglio avevano ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Erano gli stessi giorni in cui Formigoni dava del ‘drogato’ a Vendola che aveva ribadito il concetto e lo stesso tempo in cui Ponzoni mi ha avvicinato per riferirmi che mi “sbagliavo di grosso, le indagini sono state prorogate quindi non hanno trovato nulla di consistente” (ma lo sappiamo, nel PDL più la giustizia si allunga e più intravedono la luce della vittoria).
Oggi Ponzoni è in carcere, la ‘ndrangheta ha perso il proprio “capitale sociale” (ma l’aveva già mollato da tempo, sulla puzza di politicamente morto le mafie hanno sempre avuto l’occhio lungo) e a pensarci bene il ‘drogato’ è sempre da quelle parti.
Oggi i giornali titolano con articoli che sono gli stessi di un’era fa, scrivono di abitudini brianzole che sono state denunciate e raccontate nei circoli, nei libri e tra i comitati; e una Lombardia alle prese con il San Raffaele (e Santa Rita) nella sanità, con l’affare Nicoli Cristiani (dirigente dell’Arpa incluso) nel mondo delle discariche e dell’ambiente, con il caso Minetti nel campo etico della paraprostituzione, con un listino presentato con firme false e il “sistema Sesto” come ombra nel candidato presidente dell’opposizione è una Lombardia che ha svenduto la credibilità arroccata in autodifesa. Formigoni parla di ‘caso personale’. E forse ha ragione. Suo e in ricaduta di ogni cittadino lombardo.
Perché se non è stata la politica a scegliere allora piuttosto che le dimissioni in Regione Lombardia sarebbe il caso di parlare di scioglimento. Per il bene di tutti. Quello comune. Appunto.

Sull’arresto di Ponzoni. A caldo.

Quando hanno arrestato Ponzoni mi sono chiesto “per cosa?”. C’era l’imbarazzo per la scelta. La verità è che noi dobbiamo andare con la giacca per salvare l’onore del consiglio regionale: Boni e Formigoni sono ormai scollegati dal resto del mondo. Dal punto di vista etico, la classe dirigente nominata dal centrodestra ha sonoramente fallito. Le inchieste lo dimostrano. Chiederò le dimissioni di Formigoni, della giunta e dell’ufficio di presidenza. Aspettiamo che nell’ufficio di presidenza ci sia il turnover di tutti i consiglieri regionali del Pdl? E ovviamente lo farò indossando una felpa.

Ponzoni si dimetta

Dichiarazione di Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli,

consiglieri regionali Sinistra Ecologia Libertà

“Apprendiamo oggi che le indagini a carico del segretario della Presidenza del Consiglio Massimo Ponzoni sono state prorogate e si ampliano arrivando ora a coinvolgere anche il vicepresidente della provincia di Monza e Brianza, Antonino Brambilla, e l’ex-assessore Rosario Perri, chiamato in causa alcuni mesi fa nelle carte della maxi-operazione contro la ‘ndrangheta.

E’ da oltre un anno che pesa su Ponzoni l’accusa di corruzione, mentre i magistrati negli atti di Infinito lo definiscono ‘capitale sociale dell’organizzazione criminale’.

La sua permanenza nell’Ufficio di presidenza è un oltraggio al ruolo di garanzia che gli è proprio e al prestigio dell’istituzione. E il punto non è più rinviabile. Ponzoni faccia finalmente il dovuto passo indietro”.

 

Milano, 28 luglio 2011

Ponzoni, sempre lui

Indagato per la milionesima volta. Con compagnie eccellenti: l’ex sindaco di Giussano Franco Riva e l’ex assessore provinciale Rosario Perri, dimessosi dall’incarico un anno fa sulla scia delle intercettazioni dell’operazione “Infinito” che ha sgominato le cosche della ‘Ndrangheta nel nostro territorio. Nell’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore della Repubblica cittadina Giordano Baggio, altri indagati, tra i quali due imprenditori brianzoli e due funzionari della Regione Lombardia. Intanto lui, Massimo Ponzoni, rimane seduto nella poltrona di fianco a quella abbandonata ufficialmente questa mattina da Filippo Penati. E la Regione Lombardia sembra sempre di più un’oligarchia criminale.