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La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: proprio come Gino Strada

La Calabria ha bisogno di qualcuno senza scopi di lucro: come Gino Strada

Non va proprio giù ai leghisti della Calabria l’ipotesi (che per ora rimane solo un’ipotesi) di Gino Strada commissario straordinario della sanità regionale. Ci mette il carico il presidente ad interim Nino Spirlì, uno che in poche settimane è riuscito nella mirabile impresa di mostrarsi in tutta la sua inadeguatezza, dopo la morte della presidente Jole Santelli, che sul fondatore di Emergency dice: “Gino Strada? Ma cosa c’entra, dobbiamo scavare pozzi? Non abbiamo bisogno di medici missionari africani”. Peccato che Gino Strada non si occupi di pozzi, ma sia un medico chirurgo che è stimato in tutto il mondo, uno che, per dire, ha lavorato nelle università di Stanford e di Pittsburgh e che ha lavorato nel più importante ospedale del Regno Unito (l’Harefield Hospital).

Semplicemente Gino Strada si è innamorato delle vittime della guerra quando ha visto con i suoi occhi quegli orrori e si è dedicato tutta la vita alla cura delle persone senza nessuno scopo di lucro. Che sarebbe, a pensarci bene, proprio quello di cui la Calabria avrebbe bisogno, se ci pensate. Ma su Gino Strada si è espresso anche Domenico Furgiuele che ieri a Montecitorio ha dichiarato: “Nominare un ulteriore commissario rispetto a quello che è stato nominato nel primo governo Conte, con la paventata nomina di Gino Strada, suggerito anche dal movimento delle Sardine, porta soltanto a problemi di ordine pubblico”. Ha parlato proprio di ordine pubblico. Anzi, ha aggiunto: “Volete che scoppino i moti? Accomodatevi, ci saranno i moti della Calabria 2020”.

Domenico Furgiuele è lo stesso deputato di Lamezia Terme indagato dalla Dda di Reggio Calabria per concorso in turbativa d’asta. Domenico Furgiuele e altri imprenditori, infatti, nel maggio 2015, secondo l’accusa, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e “con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara d’appalto” indetta dal Comune di Polistena per la realizzazione di un eliporto a supporto dell’ospedale”. In particolare il deputato del Carroccio, legale rappresentante della Terina Costruzioni, avrebbe messo “a disposizione” la sua società “per la presentazione di un’offerta concordata con le altre imprese partecipanti al cartello, al fine di condizionare il risultato della gara in loro favore”. L’inchiesta “Waterfront” in cui risulta indagato Furgiuele ha portato all’arresto di 63 persone tra cui 11 funzionari pubblici e al sequestro di beni per 103 milioni di euro.

Ce ne sarebbero mille di motivi per i moti della Calabria 2020. E forse ci tornerebbe utile, un Gino Strada.

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L’articolo proviene da TPI.it qui

Calabria, il Governo non usi Gino Strada per nascondere i suoi vergognosi errori

Povera Calabria. Povera terra che ostinatamente prova a sopravvivere a una classe dirigente che si occupa soprattutto di essere diligente con i propri padroni piuttosto che con i propri compiti, una terra in cui spesso ciò che è Stato si rivela essere un ostacolo per incompetenza, per tradimento di valori e per servilismo. La Calabria in questi giorni occupa le pagine dei giornali per l’incredibile sequela di figuracce che arrivano da un piano importante, l’ufficio del “commissario straordinario” alla Sanità che dovrebbe essere, per nome e per ruolo, la figura di garanzia in un momento buio che attraversa il mondo.

E invece prima c’è la pessima commedia del generale Saverio Cotticelli, quello che scopre durante un’intervista di essere lui a dover preparare il piano anti-Covid che in Calabria continua a mancare e che poi giusto per peggiorare la sua situazione si inventa un’ospitata da Massimo Giletti per farci sapere che “non era lui”, che forse era “stato drogato” e che non si riconosceva nelle sue stesse azioni. Qui siamo a livelli di insaputismo che supera ogni fantasia.

Poi arriva Giuseppe Zuccatelli, il Governo corre (male) ai ripari e decide di nominare un manager sanitario che in Calabria non ha certo collezionato grandi successi (durante la prima ondata lo scandalo della Rosa di Villa Torano è finita in un’inchiesta ancora in corso) e che sembra avere come merito quello di un’appartenenza politica spiccatissima nelle fila di Leu, con cui si è candidato riuscendo a prendere più o meno i voti di un rappresentante di classe.

È bastato grattare un po’ la superficie per scoprire il nuovo commissario calabrese esprimere fantasiose teorie su mascherine che non servono, sul virus che si prende solo baciandosi per almeno 15 minuti e altre bischerate che l’hanno fatto scaricare persino dal suo compagno di partito Nicola Fratoianni.

Ora gira l’idea di Gino Strada. Ma attenzione: come sub commissario. In sostanza si torna sul nome di chi per il M5S era un papabile presidente della Repubblica e che poi è diventato uno degli amici dei “taxi del mare”. E cosa vorrebbero fare di lui? Nominarlo alle dipendenze di Zuccatelli per lavarsi la faccia e ripulire un po’ tutta questa lordura. E la cosa fa un certo senso: credere che una personalità come Gino Strada possa fare da secondo a Zuccatelli significa avere un’idea distorta del merito e un’impenitente attaccamento ai propri errori. Quindi siamo sicuri che nessuno potrebbe avanzare una proposta così offensiva. Vero? Sì?

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«Infiltrazioni di mafia e massoneria»: saltano le elezioni a Castelvetrano

(ne scrive Claudio Del Frate per il Corriere della Sera)

La presidente della commissione antimafia Rosi Bindi nel luglio del 2016 aveva emesso un giudizio lapidario: «Castelvetrano non può permettersi di avere tre assessori iscritti alla massoneria». La relazione della commissione, ma non solo quella ha avuto il suo effetto e ora il ministro dell’interno Minniti ha firmato il decreto che scioglie per infiltrazioni mafiose il comune siciliano in provincia di Trapani, «patria» del superlatitante Matteo Messina Denaro. Il provvedimento arriva ad appena quattro giorni dalle elezioni che avrebbero dovuto rinnovare il consiglio comunale di Castelvetrano. Urne e seggi rimarranno dunque chiusi e per il comune si prolungherà il periodo di gestione commissariale: sindaco e giunta erano infatti già decaduti in seguito alle dimissioni di quasi tutti i consiglieri.

Il consigliere che difendeva il superlatitante

«Castelvetrano non è un comune come tutti gli altri» aveva detto sempre Rosi Bindi in occasione della disamina dell’anno scorso. E in effetti la situazione messa in rilievo dall’ispezione ministeriale sembra appartenere a un altro mondo . li inviati del Viminale, affiancati da rappresentanti delle forze dell’ordine erano stati incaricati di indagare«l’eventuale sussistenza di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso dell’amministrazione comunale», ossia, «forme di condizionamento tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità della stessa». Legami che evidentemente sono stati ritenuti sussistenti. D’altronde l’unica anomalia di Castelvetrano non è costituita soltanto dall’essere il «fortino» dell’ultimo padrino di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. Qui un consigliere comunale, intercettato al telefono, Calogero Giambalvo , esprimeva stima nei confronti del superlatitante; arrestato e poi assolto nell’ambito di un’inchiesta per favoreggiamento nei confronti del boss, era tornato a sedere sui banchi del consiglio. Fatto che aveva provocato le dimissioni di 27 consiglieri su 30 in segno di protesta.

Logge e affari: le parole del prefetto

L’altro aspetto su cui si è concentrata l’indagine sono i rapporti tra criminalità e massoneria. «E’ un intreccio oggetto di inchieste giudiziarie – aveva detto il prefetto di Trapani Giuseppe Priolo alla commissione parlamentare antimafia – e di altrettanto vasta storiografia e inchieste giornalistiche. In questa sede non posso valutare, se non in termini di supposizioni, ovvero di ragionevoli presunzioni, la possibile comunanza di interessi tra organizzazioni, quella massonica e quella mafiosa, che fanno della segretezza una regola rigida inderogabile». I vertici del Grande Oriente hanno sempre respinto con forza collusioni da parte loro con la mafia, sottolineando che i loro ideali sono all’opposto di quelli di Cosa Nostra. «ma tali dichiarazioni – ha aggiunto il prefetto di Trapani – sono state poi contraddette dal rifiuto di fornire gli elenchi degli iscritti alle logge».

Massoneria, Vaticano e Cassazione: quanti amici ha il boss Nicolino Grande Aracri

nicolinoMassoneriaVaticano e Cassazione. Il boss Nicolino Grande Aracri riusciva ad aprire porte che la ‘ndrangheta di Cutro, paese in provincia di Crotone, neanche immaginava. Quanto scritto nel decreto di fermo emesso dalla Direzione distrettuale di Catanzaro lascia intendere che i 46 arresti di ieri, nell’ambito dell’inchiesta “Aemilia” che in Emilia Romagna ha portato in carcere altre 117 persone, sono solo l’inizio di un’indagine che rischia di svelare retroscena impensabili per chi crede che le cosche mafiose siano solo un’accozzaglia di uomini con la coppola e la lupara.

Non è un caso, infatti, che quando è stato arrestato Nicolino Grande Aracri, il cui clan è egemone anche in Emilia, i carabinieri hanno sequestrato anche una spada simbolo dei cavalieri di Malta. La Procura ha messo le manette ai polsi anche a un noto imprenditore di legnami, Salvatore Scarpino detto “Turuzzo”, affiliato alla ‘ndrangheta ma soprattuto, secondo i magistrati, si tratta di un uomo che “per conto della consorteria cutrese si impegna in operazioni finanziarie e bancarie, e mantiene contatti diretti e frequenti con il capo locale Grande Aracri Nicolino”, ponendosi “da intermediario tra questi e altri soggetti estranei all’associazione al fine di consentire l’avvicinamento a settori istituzionali anche per il tramite di ordini massonici e cavalierati”.

È lo stesso Scaprino che, intercettato, spiega l’importanza del rapporto tra boss e massoni: “Ho un problema, per esempio, lo vedi per esempio ho un problema su Roma, qualsiasi tipo di problema… Gli dico io ho questo problema. Loro hanno il dovere … siccome è una massoneria, siamo. Cioè uno, quando uno di noi ha un problema, si devono mettere a disposizione… E devono risolverlo il problema”. Ecco perché – scrivono i magistrati – “le indagini hanno portato alla luce un allarmante aspetto relativo al livello di relazioni, sociali ed istituzionali, che l’organizzazione criminale è in grado di tessere per le necessità ed i fini della stessa”.

In sostanza, grazie alla massoneria, alcuni soggetti pur se non affiliati alla ‘ndrangheta sono in grado di assicurare al sodalizio entrature nelle sedi istituzionali più disparate come quelle della Chiesa e della magistratura, per garantire, – è scritto nel provvedimento di fermo – “’pressioni’ e capacità di intervento circa le vicende processuali degli affiliati”.

Il troncone calabrese dell’inchiesta “Aemilia”, infatti, ha svelato la capacità del boss Nicolino Grande Aracri di muoversi con facilità nei corridoi del Vaticano e, addirittura, di arrivare fin dentro le stanze della Suprema Corte di Cassazione.

Secondo la Procura, infatti, la cosca di Cutro ha cercato di aggiustare un processo a Roma per far annullare la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro che aveva confermato l’arresto per Giovanni Abramo, cognato del boss Grande Aracri. Quella sentenza è stata annullata con rinvio dalla Cassazione ma la Dda non è riuscita ad accertare il coinvolgimento di un magistrato. È stato arrestato però, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, Benedetto Stranieri, un ex maresciallo dei carabinieri diventato avvocato, il quale avrebbe avvicinato “soggetti – scrivono i pm – gravitanti in ambienti giudiziari della Corte di Cassazione, anche remunerandoli, al fine di ottenere decisioni giudiziarie favorevoli ad Abramo Giovanni”.

Qualcosa si inceppa e i telefoni iniziano a fornire elementi utili agli inquirenti che sospettano ci sia stato quantomeno un tentativo di corruzione. Dopo la sentenza favorevole, infatti, la cosca non avrebbe ricompensato gli avvocati Benedetto e Lucia Stranieri. Proprio quest’ultima, intercettata, si sfoga con il fratello: “Io ho fatto figure di merda con l’avvocato di là… figure di merda con questo qua… figure di merda con il giudice perché ho detto che è parente mio”.

Dai contatti di alcuni esponenti del sodalizio, inoltre, è emersa la figura di tale Grazia Veloce, una giornalista residente a Pomezia, “soggetto asseritamente molto vicino a personalità di rilievo del Vaticano e della politica italiana”. È lei che presenta l’avvocato Stranieri al boss Nicolino Grande Aracri il quale, nel corso di una conversazione, vantava i suoi buoni contatti nella capitale: “Noi a Roma abbiamo buone… buone amicizie… buone strade”.

Una di queste porta in Vaticano ed è stata intrapresa dalla cosca di Cutro per tentare di far trasferire sempre Giovanni Abramo (detenuto per associazione mafiosa e omicidio) dal carcere di Sulmona a quello di Siano, a Catanzaro, in modo da stare più vicino alla famiglia. Un tentativo che non riesce, ma che consente ai magistrati di verificare la capacità della consorteria di Cutro di infiltrarsi nel mondo ecclesiastico.

Nicolino Grande Aracri si era rivolto all’amica giornalista in stretto contatto con il monsignore Maurizio Costantini, nunzio apostolico e, nel 1995, “cappellano di sua Santità”. Un prelato, non indagato, che sarebbe capace di smuovere cardinali su richiesta di Grazia Veloce la quale avrebbe favorito il boss (come risulta da alcune conversazioni) anche per alcuni “investimenti ed affari in Montenegro”.

La giornalista e il monsignore si sentono e i carabinieri annotano le loro conversazioni, così come quelle intrattenute con la moglie dell’affiliato che doveva essere trasferito di carcere. L’incontro in Vaticano avviene e Grazia Veloce (intercettata dai carabinieri) lo comunica subito ai parenti del detenuto: “Il nostro piccolo Giovanni tra una settimana starà vicino casa sua”. Il monsignore manda i saluti alla moglie di Abramo: “Ha detto che è stata generosa e splendida. Gli ha lasciato 500 euro che lui ha preso volentieri per i suoi poveri”.

(clic)

La massoneria va al voto

Con l’ombra della ‘ndrangheta:

Massimo Bianchi è definito da qualcuno dentro le logge “candidato di disturbo”: ha fatto una campagna elettorale d’opposizione alla gestione Raffi, dopo essere stato però per 15 anni il suo numero due, come Gran Maestro Aggiunto. Gli oppositori della passata gestione faranno dunque confluire i voti sul notaio messinese Silverio Magno. C’è chi, dentro il Grande Oriente, mostra preoccupazioni per il pericolo di infiltrazioni mafiose. Tra questi, l’avvocato calabrese Amerigo Minnicelli, che già nel 2012 segnalava che molti tra gli indagati e gli arrestati in Calabria per mafia e corruzione erano appartenenti al Goi. Per tutta risposta, è stato accusato di fomentare una campagna denigratoria contro la massoneria ed è stato espulso dal Grande Oriente. Un anno dopo, lo stesso Raffi ha dovuto evidentemente prendere atto che il problema era reale, tanto che ha provveduto a sospendere la Loggia Verduci, nella Locride, proprio per infiltrazioni mafiose. Oggi Minnicelli solleva di nuovo il problema. Delle tre regioni ad alta presenza massonica – Piemonte, Toscana e Calabria – quest’ultima ha ben 2 mila iscritti, di cui circa 1.500 Maestri votanti. Minnicelli calcola che si può risultare eletti con 4-5 mila voti validi. I massoni calabresi sono dunque determinanti: lo furono alle ultime elezioni, quando Raffi vinse grazie ai mille voti ricevuti in Calabria, che gli permisero di superare per una manciata di voti (meno di 400) il suo sfidante Natale Di Luca. Ma per sapere quale sarà il futuro della massoneria italiana dovremo aspettare l’equinozio di primavera.

L’articolo di Gianni Barbacetto.

Mafia messinese dentro EXPO

expo-internaDopo gli allarmi, le conferme. L’Expo si ritrova in casa un’azienda sospettata di avere rapporti poco chiari con uomini legati a Cosa nostra. Risultato: la Prefettura di Milano ha emesso un’interdittiva per la Ventura spa di Furnari, paese non lontano da Barcellona Pozzo di Gotto. Mafia messinese, dunque, da sempre alimentata da un brutto impasto tra criminalità, massoneria e grigi settori della buona borghesia locale. La ditta ha un’importante sede milanese nel comune di Pieve Emanuele.

Attualmente la società siciliana fa parte di un’associazione temporanea d’impresa che si è aggiudicata l’appalto fino ad ora più goloso di Expo, vale a dire la costruzione della cosiddetta piastra sulla quale sorgeranno gli edifici dell’esposizione. Il tesoretto ammonta a 165 milioni e 130mila euro, portato a casa con un ribasso del 43%. Una percentuale pazzesca che ha fatto drizzare le antenne della procura di Milano. A tirare il gruppo è la veneta Mantovani, come venete sono la Silev e la Coveco, dopodiché c’è la romana Socostramo e quindi la Ventura, società quest’ultima iscritta alla Compagnia delle opere, il braccio finanziario del movimento cattolico Comunione liberazione.

All’azienda, seguendo una prassi ormai consolidata, verrà sospeso il certificato antimafia e dunque anche la possibilità di operare per Expo. Sospensione, si badi, che sulla carta può essere temporanea, visto che l’interdittiva può essere impugnata davanti al Tar. Così come fece la milanese Edil Bianchi, colosso del cemento al quale nel 2008 il Prefetto tolse la possibilità di operare dopo che le indagini certificarno l’affidamento di diversi subappalti a ditte calabresi in odore di ‘ndrangheta. Una decisione che fu però ribaltata dal Tribunale amministrativo che rimise in moto i camion della società. Questo per dire che, naturalmente, la scelta del Prefetto non qualifica la Ventura spa come ditta mafiosa, ma solo indica un sospetto ed evidenzia un rischio d’infiltrazione.

Un rischio che va cercato nelle carte dell’indagine Gotha tre, la maxi-operazione del Ros che nel luglio scorso ha portato in carcere dodici persone, tra cui l’avvocato Rosario Cattafi, oggi pentito e ritenuto uno degli uomini chiave per svelare finalmente i segreti della trattativa Stato-mafia. La Dia e il prefetto di Milano, però, non si sono spinti così in alto. Molto più banalmente, analizzando tutte le carte di quell’indagine, hanno incrociato più volte il nome della ditta Ventura. Ditta che, va detto, non sarà mai coinvolta penalmente in quell’operazione. A inguaiare gli imprenditori saranno,però, le dichiarazioni di alcuni testimoni verbalizzate dagli investigatori. Saranno loro, infatti, a coinvolgere la Ventura nel giro delle imprese collegate ai boss e alla grande spartizione degli appalti pubblici in tutto il Messinese.

Protagonista e puparo del gioco è Salvatore Sam Di Salvo, origini canadesi, ma curriculum (mafioso) tutto messinese. E’ lui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ad avere i rapporti con i Ventura. E così si scopre che nel 2003, durante una perquisizione in casa di Di Salvo i magistrati trovano una serie di certificati Soa, alcuni intestati alla ditta Ventura. Ma agli atti viene messo anche altro: e cioè la partecipazione della ventura a un consorzio temporaneo di imprese composto da ditte tutte (o quasi) riconducibili ai Ventura.

Racconta, invece, l’imprenditore Maurizio Marchetta: “Salvatore Di Salvo mi ha invitato, tra il fine 2002 ed i primi mesi del 2003 (…) a partecipare ad una riunione presso gli uffici dell’impresa Ventura Giuseppe. A questa riunione (…) Aquilla e Di Salvo (…) dicevano di voler organizzare in maniera più attenta, cioè più precisa, le turbative delle aste. Loro volevano coinvolgere Ventura e Scirocco per le sue conoscenze di altri imprenditori siciliani e del Nord. Infatti a loro interessava raccogliere un numero maggiore di offerte per condurre la turbativa con minimi margini di errore ed aggiudicarsi con maggiore certezza gli appalti di loro interesse (…) Sia io che Pippo Ventura abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alla riuscita di questa organizzazione delle turbative”.

Nel dicembre 2012, un’inchiesta dell’Espresso aveva già messo in luce i rapporti opachi della Ventura con i professionisti dei clan. All’epoca, il numero del settimanale uscì il 6 dicembre, i vertici di Ventura risposero con un secco comunicato stampa dove si precisava “che non risulta coinvolgimento alcuno e ad alcun titolo di suoi soci o amministratori nelle indagini condotte dalle Procure della Repubblica evidenziate; come d’altro canto certificato da tutti gli organismi deputati allo scrutinio dei rigidi requisiti richiesti per l’aggiudicazione di gare d’appalto di tale rilevanza”. Una rigidità nel controllo, rivendicata nei giorni successivi, dalla stessa società che gestisce Expo 2015. Anche in quel caso si fece appello agli alti livelli di controllo. Conclusione: pochi giorni fa la decisione del Prefetto di escludere la Ventura per sospetti legami con i clan.

(di Davide Milosa da Il Fatto Quotidiano)