Noi ci preoccupavamo di Formigoni
E invece anche il Governo Nazionale esibisce una strana idea di Sanità.
Poi mi è venuto in mente che è al governo, Formigoni e il suo partito. Già.
E invece anche il Governo Nazionale esibisce una strana idea di Sanità.
Poi mi è venuto in mente che è al governo, Formigoni e il suo partito. Già.
Oggi vale la pena leggere Luca Sofri:
Magari mi invento dei pezzi, ma ripeto, mi pare una storia emozionante ma fuorviante. Era più furbo evitare, e fargli trovare lavoro altrove che non dal primo collegabile alla tua famiglia, certo. Ma il problema è un altro, se spostiamo le telecamere dal figlio e torniamo sull’edificio del ministero delle Infrastrutture in via Nomentana: è che quell’amico di famiglia abbia ricevuto in questi anni decine di incarichi preziosi e importantissimi dal ministero. E che il ministro Lupi abbia avallato decisioni che hanno reso al suo amico milioni, e che – se fossero dimostrate le accuse penali – abbia omesso il minimo controllo su un sistema di corruzione di cui erano responsabili, nel suo ministero, il suo più importante dirigente e il suo amico costruttore.
C’è una sola cosa che Lupi può dire per non dimettersi: «Sono convinto che queste accuse contro Incalza e Perotti siano completamente false, perché la mia vicinanza professionale e personale ad ambedue mi fa escludere completamente che possano essere vere; e se lo fossero lo saprei e dovrei dimettermi; e se non lo sapessi, sarei colpevole di inettitudine nel mio ruolo di ministro e dovrei dimettermi». Se Lupi è disposto a dire questa cosa guardando tutti negli occhi e ad affrontarne l’eventuale smentita, la dica.
Se no, ci si dimette.
Il resto è qui.
Ha un bel dire il Sottosegretario Delrio che “è troppo presto per esprimere giudizi sulle intercettazioni” che stanno nell’ordinanza di arresto dell’onnipresente Ercole Incalza, colui che ha attraversato in questi ultimi anni tutte le “Grandi Opere” e tutti i governi e i loro contrari. Ha un gran fegato anche Matteo Renzi che, dopo averci abbindolato con la narrazione ottimistica di un Expo che sarà pronto in tempo e che ha tenuto lontano il malaffare (ha detto proprio così, andate a riascoltarvi la conferenza stampa) oggi riserva all’indagine (e agli arresti) qualche battuta scanzonata. E giuro che se fosse stato Berlusconi ad avere fortemente voluto come Ministro un ciellino dichiarato come Maurizio Lupi e se fosse stato Berlusconi a sorridere alle telecamere dicendo “basta scoop, per oggi” avremmo avuto lenzuolate di sdegno editoriale di tutti i pensatori politici prima così antiberlusconiani e oggi improvvisamente illuminati sulla strada del renzismo.
Eppure, caro Renzi e caro Delrio, gli arresti di oggi sono un fatto politico perché è un fatto politico che un dirigente di così lungo corso (e ombre) fosse ancora saldo in quel posto di responsabilità nonostante il gran parlare di rottamazione, è un fatto politico che il Ministro Lupi comunque non sia per natura compatibile con il “nuovismo” raccontato dal renzismo ed è un fatto fortissimamente politico che la reazione d’istinto di questo Governo sia la stessa, identica, triste e desolante di quegli altri chiedendo subito di avere pazienza e delegando alla magistratura i giudizi politici (sempre pronti poi a sputtanarla nel caso di una sentenza sfavorevole).
La vera mancanza di cambiamento “di verso” sta proprio tutta qui, nella stanca ripetizione degli stessi vizi comportamentali e nella stessa lurida codardia sotto le mentite spoglie del garantismo: questo è il fallimento, oggi. Perché possiamo certamente discutere sulle diverse visioni delle riforme (e questo Paese ha bisogno di forze realmente riformiste), possiamo certificare che questo Governo è dalla parte di alcuni e insindacabilmente non protegge i diritti di altri (anche questo ci è costato, sia chiaro, con le macerie di una sinistra piallata) ma il perseverare di certi atteggiamenti che si ostinano a puntare sulla “cricca” come modello di comando è la ferita più profonda; Renzi lo sa, sicuro, tra le sue molteplici “antenne” del proprio gradimento elettorale. E leggendo anche semplicemente il “modo” in cui si parlano al telefono le punte più alte della classe dirigente di questo Paese (quelle che gestiscono milioni di euro come se fosse propri e non pubblici) non si può non pensare a Renzi che critica i pessimisti su Expo così tanto simile al Formigoni che tranquillizzava tutti su Don Verzè e il San Raffaele: non c’è differenza, entrambi a sostenere l’insostenibile semplicemente dall’alto della propria posizione (precaria, eh).
E allora davvero sarebbe “cambiato verso” se oggi un Sottosegretario qualsiasi al posto di andare in televisione a tranquillizzare cittadini incazzati più che preoccupati avesse alzato la mano e avesse detto “oh no, sta capitando anche a noi e allora per dimostare le differenze reagiamo con durezza, esagerando piuttosto nell’eccesso di difesa di questo Governo piuttosto che degli indagati.
E invece niente. Niente. Ma questa costerà, c’è da crederci.
Guardate questa foto:
Vedere insieme Roberto Maroni, Maurizio Lupi, Matteo Renzi con alle loro spalle (che spingono per potere apparire in foto) i consiglieri regionali Mario Barboni (PD) e Mauro Parolini (NCD) può dare il polso dell’asservimento politico alla retorica delle “grandi opere”. In questo caso si tratta della BreBeMi ma il meccanismo è applicabile a qualsiasi altra opera. Ora provate a chiedervi: se l’avesse fatto Berlusconi?
Per informazioni sulle bugie (e l’inutilità) di BreBeMi potete leggere Luca Martinelli qui:
Chi avesse avuto la pazienza di ascoltare gli interventi di Roberto Maroni, Maurizio Lupi e Matteo Renzi alla cerimonia di inaugurazione della BreBeMI, avrà provato l’incredibile sensazione di “vivere dentro uno spot”, l’affresco molto romanzato di un Paese “in movimento”, in auto (come sempre).
Ci può stare, perché era -in fondo- la passerella per celebrare “la Grande Opera”, e spargere un po’ di ottimismo o anche intorno ad Expo, cui l’autostrada tra Brescia e Melzo sarebbe collegata.
Dispiace però (ri)leggere oggi sui quotidiano le banalità e la false informazioni gettate nell’arena dalla politica, per cui vale la pena puntualizzarne almeno alcune.
È falso che la BreBeMi rappresenti in esempio di concorrenza per le autostrade lombarde. Non esiste la “concorrenza” sulla rete autostradale, affidate in concessione ad un unico soggetto. A meno di non considerare “concorrenti” due infrastrutture che corrono parallele (in questo caso la nuova A35 e la A4), ma probabilmente -prendendo in considerazione il consumo di suolo legato alle opere viarie e complementari- questa “concorrenza” avrebbe un costi sociale ed ambientale troppo elevato.
La concorrenza, semmai, avrebbe dovuto caratterizzare la fase dei lavori per realizzare l’opera, ma per le autostrade realizzate in project financing il fastidioso meccanismo delle gare d’appalto e del “vinca la migliore offerta” sono cancellate. Per questo tra i soci del concessionario ci sono grandi imprese di costruzioni, che hanno potuto anche svolgere direttamente e senza alcuna procedura competitiva i lavori, il cui costo è di circa 1,6 miliardi di euro (cui andrebbero aggiunti, per calcolare il costo complessivo dell’opera, almeno 800 milioni di euro di interessi sui debiti contratti per realizzare l’investimento).
È falso anche, come ripetuto anche ieri, che la BreBeMi sia la prima autostrada realizzata facendo ricorso solo a capitale privato. Lo è già di fatto, perché le “banche” che hanno garantito il project financing si chiamano Cassa depositi e prestiti (controllato all’80% dal ministero del Tesoro) e Banca europea degli investimenti (di proprietà dei Paesi dell’UE, comprese l’Italia). Come se non bastasse, però, come ieri ha ricordato Roberto Maroni l’opera è in attesa di una decisione del CIPE (“di una firmetta di Padoan”, ha specificato ieri il presidente di Regione Lombardia) relativa alla defiscalizzazione dell’opera, cioè di un finanziamento indiretto da parte dello Stato, che non incasserà IVA, IRES, IRAP dal concessionario per una cifra, pare, intorno al mezzo miliardo di euro.
Vale la pena aggiungere che la defiscalizzazione è possibile, per legge, solo per opere il cui piano economico e finanziario sia insostenibile: significa, in pratica, che il traffico atteso sulla BreBeMi, i numero usati per giustificare l’opera, non ci sono, che il concessionario rischia il collasso.
Infine, aprite Google Maps. Scrivete Pozzuolo Martesana, e vedrete l’anello degli svincoli dell’A35 in mezzo ai campi. Poi cercate il grande pesce -il sito EXPO- a Nord-ovest di Milano, tra l’A4 e l’A8 (scrivere via Roserio, Milano, per inquadrarlo): chi di voi sarebbe pronto a scommettere che il primo luogo individuato sia il punto d’arrivo di una infrastruttura pensata per arrivare nel secondo? In mezzo c’è Milano. Per arrivare al sito di Expo, dall’A35, si torna sulla A4…
In scena anche quest’anno (come tutti gli anni) a Rimini con il grande meeting di Comunione e Liberazione: uno dei totem del consociativismo che sembra intoccabile per non turbare le acque della politica, dell’economia, di Regione Lombardia, della sanità privata e naturalmente del signore (quello minuscolo venerato solo in preziosissimi crocifissi affissi). I professori della società orizzontale che poi non sa resistere al fascino verticale del potere politico (lo scrive oggi Di Vico sul Corriere) mentre coopta adepti e affari come una holding qualsiasi ma questa sì unta dal Signore.
Io non so fino a quando perderemo abbindolati contro questo cristo elettorale che viene crocifisso da una solidarietà solo tra sodali come nei clan meno etici e soprattutto non so fino a quando non avremo il coraggio di dirci laici almeno per il rispetto degli insegnamenti cristiani esposti come gadget dai mercanti del tempio. CL è, in Lombardia, la crosta che ha narcotizzato il merito e la trasparenza immolando Formigoni come presunto traditore dopo diciotto anni (18) di servilismo al guinzaglio. E poco conta che oggi il Celeste sia il pupazzetto lamentoso dell’anno; Letta e Lupi firmano le larghe intese come vangelo e ci condannano tutti ad essere streghe per il nostro voler essere di parte.
Siamo strani noi, ostinatamente non devoti al macchiavellismo cattolico scambiato per politica e fede. Sempre così laici da irretirsi per qualche condannato prescritto da Dio e noi che non ne eravamo computamente informati.
Ė invece passato quasi inosservato un emendamento introdotto dal Senato al testo governativo che consente a Regioni e province autonome di approvare con proprie leggi e regolamenti disposizioni derogatorie al D.M. n. 1444/68, dettando “disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attivitá collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali.”
Nonostante la forma circonvoluta e imprecisa, ė tuttavia molto chiaro l’obiettivo perseguito: si tratta dell’ennesimo e forse definitivo tentativo di sopprimere le conquiste ottenute alla fine degli anni Sessanta in tema di spazi pubblici minimi e distanze tra gli edifici (18 mq/abitante, distanza pari all’altezza degli edifici, con un minimo di 10 metri tra pareti finestrate), dopo i guasti della stagione liberista degli anni Cinquanta conclusasi con il massacro di molte delle nostre città da parte della speculazione edilizia e infine con il tragico episodio della frana di Agrigento.
Con la pretesa delle incombenti difficoltà economiche del settore edilizio, vedremo così vanificarsi non solo la stagione che tra il 1975 e il 1990 aveva visto molte Regioni rafforzare quelle conquiste, con la prescrizione di dotazioni pubbliche superiori a quelle minime nazionali, attestate attorno a 24-28 mq/abitante in sintonia con le tendenze europee, ma verrà meno anche il plafond minimo garantito dalle norme nazionali, che nemmeno regioni così selvaggiamente deregolatrici come la Lombardia erano sinora riuscite a sfondare completamente.
Non sorprende che a condurre questo attacco sia stato l’attuale ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi che come assessore al Comune di Milano prima e parlamentare FI e PdL poi – spesso in combutta con il parlamentare milanese Pierluigi Mantini della Margherita, in una sorta di premonizione delle larghe intese – nelle scorse legislature aveva portato avanti proposte di impronta filo-liberista che equiparavano interessi pubblici e privati, fortunatamente mai giunte a definitiva approvazione.
Ma qualcuno si era accorto di quello che scrive Sergio Brenna qui?