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Grazie, Biden: dopo un anno orribile, in un solo giorno ci hai restituito la speranza nel futuro

Sono tempi magri per la politica questi, tempi in cui tocca esultare per essersi liberati di qualcuno rimanendo ancorati alla convinzione che non possa andare peggio di così e che per forza prima o poi, dopo avere toccato il fondo, si possa risalire. Però negli USA che finalmente si liberano di Trump, al di là dei lustrini per l’insediamento di Biden come nuovo presidente, arrivano anche 17 ordini esecutivi firmati nel primo giorno di presidenza Biden che già ci dicono qualcosa dello scenario futuro e che inducono all’ottimismo.

Per fronteggiare la pandemia, smettendola finalmente di lisciare complottisti e negazionisti vari, Biden ha creato il ruolo di Coordinatore della risposta alla Covid-19 che è stato affidato a Jeffrey D. Zients. È stato anche bloccato il ritiro degli USA dall’Organizzazione mondiale della sanità che Trump aveva accusato, ovviamente senza prove, di “cattiva gestione e insabbiamento della diffusione del coronavirus”.

È iniziato anche il percorso di reintegro degli USA negli accordi sul clima di Parigi, il più importante trattato ambientale degli ultimi anni, con l’impegno di contrastare il riscaldamento globale. Fermati invece i lavori dell’oleodotto Keystone XL, contestato dagli ambientalisti americani e che già Obama aveva bloccato durante la sua presidenza.

Smontati in poche ore anche tutti i provvedimenti razzisti di Trump che avevano fatto inorridire il mondo: è stato rafforzato il DACA (che serve per proteggere i bambini dalle espulsioni) e soprattutto cancellato il “travel ban” con cui si limitavano le concessioni dei visti per l’ingresso ai cittadini di alcuni Paesi africani a maggioranza musulmana. L’amministrazione Biden sta anche studiando delle forme di risarcimento per i cittadini che sono stati discriminati.

Ve lo ricordate la dispendiosissima (e inutile) costruzione del muro al confine con il Messico? Ecco, finalmente Biden ha messo la parola fine a quella farsa. Biden ha anche cancellato l’ordine di Trump che limitava (con l’intento di cancellarli) i corsi sulla diversità e sull’inclusione chiedendo invece la costituzione di un nuovo organo che si occupi di combattere la discriminazione all’interno delle organizzazioni federali.

A proposito di quelli che lavoreranno con lui, Biden ha stabilito anche alcune regole etiche con l’intento di “riguadagnare e conservare la fiducia nel governo”. Insomma, siamo solo all’inizio, ma molto di Trump si è già dissolto nelle prime 24 ore della nuova era americana. E questa è già una buona notizia: perché questi sono fatti, mica parole.

Leggi anche: 1. Biden è presidente, la buona America è tornata (di G. Gramaglia) / 2. Il primo discorso del presidente Biden: “Oggi è il giorno della democrazia” / 3. Il discorso d’addio di Trump: “Continuerò a combattere per voi, torneremo in un modo o nell’altro”

L’articolo proviene da TPI.it qui

Messico, hanno ucciso Isidoro Baldenegro López, il leader ambientalista vincitore del Goldman Prize che si batteva contro la deforestazione

Dopo anni di resistenza pacifica Isidro Baldenegro López, leader della popolazione indigena locale che cercava di fermare il disboscamento, è stato ucciso.

Isidro Baldenegro López amava la sua gente, la comunità degli indios messicani tarahumara, e amava le foreste della sua terra, e per questo è stato ucciso. Baldenegro, 51 anni, è stato ammazzato a colpi di arma da fuoco lo scorso 15 gennaio nel suo villaggio, Coloradas de la Viergen.

L’omicidio
Secondo le prime ricostruzioni l’attivista ambientale, che era da poco tornato nel suo villaggio per visitare uno zio dopo un lungo periodo di esilio forzato a causa delle numerose minacce contro di lui e la sua famiglia, è stato ucciso con sei colpi di pistola da un uomo poi identificato come Romero Rubio Martínez, ancora latitante.

Chi era l’uomo morto per le foreste e la giustizia
Isidro Baldenegro López era un contadino e leader della comunità degli indios tarahumara, ma sarebbe più corretto dire rarámuri, come si definiscono tra loro, che significa “colui che cammina bene”, in riferimento a uno dei tratti peculiari di questo popolo, la corsa. I rarámuri vivono in maniera tradizionale nell’aspro ambiente della Sierra Madre, dove si sono rifugiati dopo la colonizzazione spagnola, nella regione messicana del Chihuaua. Baldenegro ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti del suo popolo e delle antiche foreste della Sierra Madre, minacciate dalla deforestazione illegale e dai narcotrafficanti che coltivano piantagioni di marijuana sulle montagne disboscate. Taglialegna, allevatori e narcos hanno ormai distrutto quasi il 99 per cento delle foreste vetuste della regione, di fatto controllata dai violenti boss criminali locali. Baldenegro era perfettamente consapevole dei rischi che la sua missione comportava, quando era solo un ragazzo ha infatti assistito in prima persona all’assassinio di suo padre, ucciso proprio perché si oppose alla deforestazione. Eppure, nonostante le ripetute minacce di morte, Baldenegro ha scelto di rimanere e continuare difendere le foreste e i luoghi ancestrali che la sua comunità abitata da centinaia di anni.

Isidro Baldenegro López (left), 2005 Goldman Environmental Prize Winner, North America (Mexico), with elders of the Tarahumara community, Coloradas de la Virgen, Chihuahua, where he opposes illegal logging operations.

La lotta non violenta di Baldenegro
Nel 1993 Baldenegro istitutì un movimento di resistenza popolare non violenta per contrastare il disboscamento, ottenendo anche il sostegno di organizzazioni non governative locali e internazionali. Nel 2002, attraverso sit-in e marce pacifiche, spinse il governo a sospendere temporaneamente l’abbattimento di alberi nella zona. L’anno successivo mobilitò invece un immenso corteo di protesta, composto perlopiù da donne i cui mariti erano stati uccisi dai narcos, ottenendo uno speciale ordine del tribunale che vietava la deforestazione nella zona. Dopo questo successo, nel 2003, Baldenegro fu improvvisamente arrestato con l’accusa, in seguito rivelatasi falsa, di possesso di armi e droga. L’arresto contribuì comunque ad accrescere la popolarità di Baldenegro e a dare risalto alla sua lotta. I 15 mesi di carcere non piegarono l’uomo che subito dopo la scarcerazione fondò un’organizzazione di giustizia ambientale. Nel 2005 Baldanegro ha vinto il Goldman Environmental Prize, la più alta onorificenza che dal 1990 premia gli attivisti di tutto il mondo che si dedicano alla salvaguardia della natura, per la sua battaglia non violenta per proteggere le antiche foreste dal disboscamento.

Assassinato come Berta Cáceres
L’omicidio di Baldenegro riporta inevitabilmente alla mente quello di Berta Cáceres, leader del Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) che da anni si batteva per difendere i diritti della sua comunità e per proteggere le terre ancestrali del suo Paese dalla deforestazione e dallo sfruttamento, assassinata nel marzo 2016. Anche Berta Cáceres era stata insignita del Goldman Environmental Prize, Baldenegro è dunque il secondo premiato ucciso in meno di 12 mesi.
“Siamo profondamente addolorati per la morte di Isidro Baldenegro – ha commentato Susan R. Gelman, presidente della Goldman Environmental Foundation. – Chiediamo alle autorità di punire gli autori di questo insensato gesto di violenza e chiediamo alla comunità internazionale, che si è radunata in difesa di Isidro durante la sua prigionia nel 2003, di riunirsi ancora per onorare e proteggere la sua eredità”

Lo sterminio degli ambientalisti in America Latina
Questi due omicidi, i più noti ma non certo gli unici, ci ricordano i pericoli che devono affrontare gli attivisti ambientali in certe aree del pianeta. Secondo la ong britannica per la difesa dei diritti umani Global Witness, nel 2015 almeno 122 attivisti sono stati assassinati in America Latina durante il tentativo di proteggere le risorse naturali locali, minacciate dalla costruzione di dighe, miniere, località turistiche e dal disboscamento. Il 2015 è stato in assoluto l’anno più letale mai registrato per gli attivisti ambientali a livello globale, con almeno 185 morti. C’è qualcosa di donchisciottesco in queste persone che, armate solo del loro senso di giustizia, sfidano enormi multinazionali e organizzazioni criminali, eppure non sono dei visionari, sono semplicemente persone normali (con un coraggio straordinario) che vogliono vivere in pace, senza che il proprio ambiente venga distrutto. Siamo sicuri che la lotta pacifica di Baldenegro sarà fonte di ispirazione per tante persone che lottano per proteggere l’ambiente e i diritti dei popoli indigeni, augurandoci che i governi, troppo spesso complici di queste violenze, sappiano proteggere i loro cittadini consentendogli di esprimere il loro dissenso.

#MéxicoNosUrge, l’appello per fermare la violenza in Messico

Parte da LEFT l’appello che non si può non condividere:

ruben_espinosa_mexiconosurge-1024x683«Come giornalisti siamo in pericolo, non abbiamo protezioni minime ma, anche se in queste condizioni, aquí estamos, noi ci siamo, tenemos mucha fuerza, abbiamo molta forza, porque tenemos la verdad a nuestro lado, perché dalla nostra parte abbiamo la verità». Il fotogiornalista Rubén Espinosa Becerril il 12 giugno 2015 si rifugia da Veracruz a Città del Messico dopo essere stato minacciato da “persone non identificate”. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, viene assassinato con l’attivista sociale Nadia Vera, anche lei fuggita da Veracruz, e tre donne che vivevano nello stesso appartamento nella colonia Narvarte. Rubén continuava a denunciare come la libertà di stampa in Messico viene violentata quotidianamente, in particolare nello stato di Veracruz.

«In questi ultimi cinque anni, durante il governo del priista Javier Duarte de Ochoa sono stati assassinati 15 giornalisti, tutti gli omicidi sono rimasti impuniti. Veracruz è la culla della violenza contro i giornalisti», denunciava. Fino al 31 luglio, quando un gruppo armato irrompe nell’appartamento in cui viveva a Città del Messico. Un giorno qualunque, in un quartiere alto borghese, delle persone entrano in una casa e, dopo aver violentato l’attivista Nadia Vera, la studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e altre due donne che si trovavano con loro, Nicole Simon e Alejandra, uccidono tutti.
Dopo la strage, che ricorda le dittature argentine e cilene degli anni 70, la domanda centrale è perché li hanno uccisi. La giornalista indipendente Catalina Ruiz-Navarro, in uno degli editoriali più interessanti scritti in questo periodo, afferma: «Li hanno uccisi perché hanno potuto. Nella vita reale, non possiamo fare niente se non abbiamo l’opportunità di farlo, e questa opportunità in Messico è strutturale: l’ingiustizia è lo Stato. Una mancanza di protezione e impunità quasi assoluta: per questi li hanno uccisi».