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michela murgia

Bellezza: che figuraccia di festival

È in programma a Verona dall’11 al 19 settembre il Festival della Bellezza  di cui stanno parlando un po’ tutti in queste ore. L’organizzazione è riuscita a compiere un piccolo capolavoro: per parlare di eros e bellezza ha pensato giustamente di invitare solo maschi, tutti maschi. Evidentemente, come troppo spesso accade da noi, si ritiene che non ci sia una donna in grado di parlare dell’argomento. Riuscire a infilare 24 oratori per parlare di bellezza e eros tutti di sesso maschile richiede un certo sforzo, effettivamente (l’unica donna, Gloria Campaner, accompagna al pianoforte l’intervento di Alessandro Baricco).

Giustamente ieri Michela Murgia si chiedeva se gli invitati non avessero nulla da eccepire, se non sia il caso di cominciare a prendersi la responsabilità di dare uno sguardo al programma prima di accettare un invito (lo fece qualche tempo fa il ministro Provenzano, che infatti declinò). Del resto i dati ufficiali dicono che nei festival italiani la presenza femminile si attesta intorno al 15%. E non è roba di cui andare fieri.

Ma non è tutto. L’organizzazione del festival ha cercato di difendersi dicendo che le “molte figure femminili” che erano state invitate “non se la sono sentita di intervenire in un periodo difficile, in un contesto particolare come l’arena di Verona”. Capito? Le donne si sono impaurite, evidentemente.

Ma non è tutto. Guardando i programmi degli ultimi anni si scopre che dal 2014 solo otto donne sono salite sul palco dell’Arena e del teatro romano di Verona per partecipare alla rassegna.

Ma non è tutto. L’anno scorso in un’intervista Alcide Marchioro, direttore artistico del Festival della Bellezza, rispondeva alle critiche sulla poca presenza femminile (già l’anno scorso, eh) diceva: “è più complesso con le figure di donne intellettuali. Trovare le persone adatte a sostenere un palcoscenico davanti a quasi duemila persone non è facile: il pubblico deve sentirsi coinvolto e il protagonista deve essere a suo agio”. Alla grande.

Ma non è tutto. L’immagine usata per pubblicizzare il festival è una donna (per la precisione una bambina) e l’artista autrice dell’opera, Maggie Taylor, ha espresso tutta la sua indignazione per quell’immagine che è stata usata senza il suo consenso aggiungendo di esser stata sconvolta dalla scelta di utilizzare una bambina, dato che quest’anno il tema della rassegna sarà l’eros.

Beh, alla grande direi, no? La misoginia ha radici profonde, in giro un po’ dappertutto, difficili da sradicare.

Buon giovedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

E se la smettessimo con i fallocrati?

Per lo psichiatra Raffaele Morelli «se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi». È ora che opinioni del genere non abbiano più spazio sui media

Della storia probabilmente avete già letto e sentito parlare comunque vale la pena ripeterla per bene: lo psichiatra Raffaele Morelli è uno di quelli che imperversano un po’ dappertutto, sui giornali e per radio e per televisioni, a spiegarci cosa sia l’amore e cosa siamo noi. Niente di male se non fosse che le sue tesi (o addirittura ipotesi) ogni tanto possono non piacere ai suoi ascoltatori.

In particolare Morelli ha spiegato che «se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi», secondo il vecchio schema per cui le donne esistono solo in funzione degli uomini e per cui le donne debbano continuamente cercare nell’approvazione degli uomini la propria realizzazione. Per carità, niente di nuovo sotto al sole e niente di terribilmente più grave del tanto maschilismo e del tanto patriarcato che siamo abituati a vedere.

Il fatto è che le donne, forse Morelli non lo sa, ascoltano e decidono di dire la loro così accade che il celebre psichiatra (celebre per esposizione mediatica) venga incalzato da Michela Murgia, ospite della trasmissione Tg Zero di Radio Capital e dopo averci detto che le bambine devono giocare con le bambole per conservare la loro “radice femminile” (frase che potrebbe dire un maschilista ignorante medio, senza bisogno di nessuna laurea) si è incazzato con Michela Murgia (guarda caso, una donna) con un bel «zitta e ascolta!» prima di interrompere la telefonata!

Uno psichiatra che perde le staffe fa già ridere così, come intristisce un clown che non riesce a fare ridere, ma la riflessione più ampia è che non si capisce come questa gente finisca in televisione, questi che non hanno un pensiero più alto di uno scambio di battute da bar, e continuino a essere intervistati in ogni dove.

Ora, in tutto questo, ciò che esce osservato e raccontato a tutti è ciò a cui Morelli tiene più di tutti: il suo piccolo ego. Chissà che non abbia bisogno di un buon psicologo, un po’ più moderno di lui, per provare a elaborare la sua fallocrazia.

Buon venerdì.

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Michela Murgia: «voterò NO perché da cittadina mi ripugna il pensiero di fondo che si annida nel cuore stesso della riforma»

Appena ho letto la riforma della costituzione presentata dalla ministra Boschi, ho deciso che avrei votato NO. Al di là delle singole modifiche, i cui pasticci nella teoria e le cui conseguenze nella pratica sono state indicate già dai migliori costituzionalisti, voterò NO perché da cittadina mi ripugna il pensiero di fondo che si annida nel cuore stesso della riforma: che la governabilità (o stabilità) sia un valore inversamente proporzionale alla partecipazione. Rendendo il senato ineleggibile, triplicando le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare, abbassando il quorum solo se aumentano del 60% le firme per i referendum abrogativi e inserendo la clausola di supremazia, il governo Renzi ci sta dicendo: “più diventa difficile per i cittadini partecipare alle decisioni e meno sono gli organismi di loro rappresentanza, meglio governiamo”.

Chi accusa la proposta di riforma di avere elementi di autoritarismo non sbaglia: se passasse, la riforma consentirebbe al governo di intestarsi un potere enorme a ogni elezione grazie a un ipertrofico premio di maggioranza, e per tutta la legislatura non doversi confrontare più non solo con opportuni contropoteri interni alle istituzioni, ma molto meno anche con i cittadini. Attualmente abbiamo molti modi legittimi di intervenire sull’azione di governo, non solo quello di votare i nostri rappresentanti; ma la modifica del Titolo V – che regola le competenze tra stato e regioni – interverrà pesantemente anche sulla capacità dei movimenti popolari di fare pressione sui propri amministratori, che davanti alle proteste allargheranno le braccia e diranno: non dipende più da noi.

(continua su Left qui)

La minoranza dei giovani

I giovani. Ne hanno parlato tutti, ricordate durante le primarie e mentre cresceva l’astro di Matteo Renzi? Giovani dappertutto, pareva di essere nell’ultima scena di un’apocalisse generazionale in cui il merito e la freschezza avrebbero vinto su tutto. Se c’è stato un politico che ha parlato di giovani è l’attuale Presidente del Consiglio. Eppure i giovani, in Italia, sono una minoranza rumorosa che le statistiche continuano a vedere in numerico declino, generazioni contate in termini di produttività e di previdenza prevista o che farciscono gli allarmi occupazionali. Sui giovani oggi scrive bene Michela Murgia che ci invita a pensarci tornando un po’ più umani, come piace a noi:

Un paese incapace di mettere in relazione la scuola propria delle istituzioni con la scuola impropria dei saperi e dei valori sociali può sviluppare al massimo le reti del familismo amorale, quello dove le risorse e le regole sono messe a servizio dei miei figli, privilegiati senza merito di cui non a caso sono pieni i luoghi di comando d’Italia, a qualunque livello.

Gli incubatori d’impresa sono importanti e se ne parla tanto e giustamente, ma non ci bastano: non esistono solo le imprese. Prima delle imprese ci sono le persone, che vanno messe in grado di progettarsi. Prima dello start up, c’è il live-up. Ci occorrono incubatori di cuori, di anime, di speranze, di coraggio, luoghi in cui possano essere trasmessi quei saperi non produttivi che fanno di noi persone libere, cittadini responsabili e consapevoli. La sfida dei vecchi di oggi è trovare modi liberi per mettersi a servizio degli adulti di domani.

Il pezzo è qui.

Solo l’inizio di Michela

Ho voluto aspettare ad esprimermi sul risultato di Sardegna Possibile (la coalizione giurata da Michela Murgia che si è presentata alle ultime regionali) perché volevo approfondire con alcuni amici sardi e aspettare l’analisi di Michela. Ritenere il 10% dei voti (vero anche con un’astensione altissima) un fallimento politico (tra l’altro con una legge elettorale porcata dell’isola sarda che lascia senza rappresentanza settantaseimila sardi) è ingiusto e miope. E infatti Michela nel suo blog valuta punto per punto lo spessore del risultato e, al solito, chiude con un’affermazione così poco frequente tra i nostri politici:

Il co­mi­ta­to po­li­ti­co che ha gui­da­to il per­cor­so di co­sti­tu­zio­ne e l’av­ven­tu­ra elet­to­ra­le di Sar­de­gna Pos­si­bi­le si riu­ni­sce do­ma­ni ad Ori­sta­no per chiu­de­re la fase delle urne e di­chia­ra­re de­fi­ni­ti­va­men­te aper­ta quel­la suc­ces­si­va, che ci vedrà pre­sen­ti e pro­ta­go­ni­sti nei ter­ri­to­ri come ab­bia­mo di­mo­stra­to di saper es­se­re in que­sti mesi. Io re­ste­rò dove ho pro­mes­so di es­se­re: alla guida di que­sto pro­ces­so. Ho ri­fiu­ta­to in que­sti gior­ni le of­fer­te di can­di­da­tu­ra alle eu­ro­pee in due liste dif­fe­ren­ti, una delle quali è la lista Tsi­pras, ispi­ra­ta alla vi­sio­ne e al­l’o­pe­ra­to del gio­va­ne lea­der greco del par­ti­to Sy­ri­za. L’ho fatto per­chè la mia mi­li­tan­za in Pro­gres mi ha con­fer­ma­to il va­lo­re delle lea­der­ship col­let­ti­ve e per que­sto ri­ten­go che ver­ti­ca­liz­za­re l’e­spe­rien­za di Sar­de­gna Pos­si­bi­le sulla mia per­so­na sia con­tra­rio allo spi­ri­to con cui io stes­sa mi sono messa a ser­vi­zio. L’o­riz­zon­te pri­ma­rio della mia azio­ne po­li­ti­ca resta la Sar­de­gna, la fi­du­cia di 76­mi­la sardi e la mi­li­tan­za delle cen­ti­na­ia di vo­lon­ta­ri che in que­sti mesi si sono sen­ti­ti parte di un sogno e ora vo­glio­no ve­der­lo di­ven­ta­re real­tà.
Loro ci sono e ci sono anche io.
La pros­si­ma tappa sono i co­mu­ni.

Un endorsement per la Sardegna

Murgia-Left-800x597Ne scriverò ancora di sicuro perché sto leggendo il libro della più bella campagna elettorale per chiunque abbia una visione di politica come cultura e perché lei è un’amica a cui auguro tutto il bene possibile in ogni campo si ritrovi: la #sardegnapossibile di Michela Murgia è una campagna elettorale di ascolto, pensiero, coesione culturale e politica alta. Non so perché le elezioni regionali dell’isola più bella d’Italia debbano passare così silenziose rispetto ad ogni ruttino provenga dalle segreterie romane ma ancora una volta (era successo per Renato Accorinti a Messina) i partiti sembrano non riuscire ad uscire dal fango dei soliti tatticismi e un gruppo di cittadini invece si sta mettendo in gioco in un campo difficile come quello delle elezioni. L’idea di cultura che propone Michela, ad esempio, dovrebbe essere un manifesto nazionale e non solo relegato alla possibile Sardegna.

Qualcuno negli ultimi giorni scrive che non ci si può permettere in Sardegna di votare la Murgia per non consegnare la regione alle destre: bene Michela, è il segnale migliore per capire che la campagna funziona.

Il #femminicidio e la strada breve della sicurezza

Insomma alla fine hanno licenziato un decreto sicurezza (con annessi provvedimenti NO TAV e altre regalìe del genere) e per rivendercelo come un atto umanitario l’hanno chiamato ‘decreto femminicidio’: come se ci rubassero in casa chiamandola ‘perlustrazione di sicurezza’, una cosa del genere.

Ci sono momenti in cui la politica chiaramente perde. Perde quando si arrocca su se stessa, perde quando si gingilla in discussioni che non interessano a nessuno tranne che a quelli che discutono e perde rovinosamente ogni volta che semplifica, banalizza e spottizza (è un neologismo, lo so, non esiste, ma rende benissimo l’idea) un tema su cui si stanno spendendo le più belle menti e si sono accesi dibattiti finalmente spessi.

Già si è voluto trasformare un tema che (secondo i più stupidi) trattava “di femmine” in un tema (esagerando in idiozia) “da femmine” come si faceva alle elementari, ma questo decreto legge ha più di un punto di debolezza, come scrive Loredana Lipperini:

No, non mi piace. Parlo del decreto legge sul femminicidio così come è stato raccontato. Premetto che non ho avuto modo di studiarlo nei dettagli, e che la sensazione che ho è che la ex ministra Idem avesse un’idea molto diversa (altrimenti, perché convocare le associazioni che si battono contro la violenza, giusto qualche settimana prima di essere messa alla gogna e costretta a farsi da parte?).
Non mi piace perché è un decreto repressivo. E molte di noi hanno detto e ripetuto che nessuna repressione e nessun giro di vite porterà a risultati se non si insiste sulla prevenzione. Scuola. Formazione degli educatori. Libri di testo delle elementari. Educazione al genere, all’affettività, alla sessualità. Da subito. Di questo non si parla.
Non mi piace perché non si parla di centri antiviolenza, e tantomeno della loro moltiplicazione e finanziamento, da quanto è dato almeno capire. Non si  parla di centri di ascolto per uomini abusanti. Non si cerca di capire, formare e prevenire, ma si  pigia sul pedale della guerra fra i sessi, fornendo a chi ancora sputa la parola femminicidio come una caramella mal masticata ottimi argomenti per parlare di espediente securitario.
Non mi piace perché glissa sugli strumenti fondamentali: un osservatorio che monitori i femminicidi, dicendoci quanti sono e come avvengono. Fin qui, le indagini statistiche, come detto centinaia di volte, sono incomplete e generiche.
Non mi piace perché, come ha dichiarato Michela Murgia, la non revocabilità della querela “è una grande responsabilità che lo Stato si assume perché chi impedisce alla vittima di revocare la denuncia deve poter garantire che l’inasprimento degli abusi non ci sarà. O che se ci sarà, la donna verrà protetta. Lo dico perché nella stragrande maggioranza dei casi dal momento della querela le cose per chi ha subito violenze cominciano a peggiorare”. Non solo, aggiunge Michela, “io ho sempre creduto che una donna debba avere la libertà di decidere se vuole o meno denunciare. Per questo non sono molto d’accordo con la procedibilità d’ufficio che prevede anche che possa essere il pronto soccorso a inviare una segnalazione a polizia e carabinieri. Questo vale ancora di più oggi: se una donna, a un certo punto, non se la sente di continuare l’iter processuale, deve poter fare un passo indietro. Non è giusto trasferire questo diritto alle forze dell’ordine. È un’ulteriore sottrazione che si fa a chi di violenze già ne ha subite parecchie”.