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minacce

Claudio che fa i nomi

claudio_favaPuò piacere o non può piacere ma Claudio Fava è una delle più belle menti dell’antimafia in Italia: studia, invita allo studio, analizza senza ego o sicumera, discute con curiosità e intelligenza, non ha mai bisogno di alzare i toni o risarcirsi con vendette personali. In più Claudio Fava è una gran penna: densa, umanissima e con grande memoria. In Commissione Antimafia una presenza come la sua può solo farci bene (nonostante il resto) e al di là delle posizioni politiche non si può non riconoscergli l’abitudine di fare nomi e cognomi.

Per questo non stupisce che più di qualche mafioso sia infastidito da lui e per questo non colpisce che (ancora una volta, nella sua già lunga carriera intellettuale) arrivino le minacce.

A Claudio un abbraccio (che è soprattutto per noi) di continuare a distinguersi e non sentirsi solo in quel pantano.

RadioMafiopoli 19a puntata: l’assurda intervista in cui Lucia Riina parla della sua famiglia come di “una favola”

Schermata 2014-02-04 alle 11.04.08Parliamo della deplorevole intervista pubblicata da Panorma in cui Lucia Riina ha l’occasione di dirci che la sua infanzia è passata in una famiglia da favola ed è fiera del cognome che porta. Scopriamo una sorpresa del suo sito che utilizza la parola “mafia” per portarsi visite e ascoltiamo Christian Abbondanza sulle minacce ricevute in tribunale.

Da vedere e condividere, se volete.

Finalmente un’indagine per favoreggiamento musicale alla ‘ndrangheta

malavita_MGzoomLa notizia dell’indagine aperta nei confronti di Francesco Sbano e Demetrio Siclari (cantori della criminalità organizzata con film e canzoni) è una buona notizia che potrebbe portare risultati e futuri inattesi. Mi è capitato spesso, qui e negli incontri, di chiedere una “sommossa civile” al reato di “favoreggiamento culturale” alle mafie in ogni sua forma. Abbiamo tollerato di tutto in nome della satira, della documentazione e quant’altro proprio mentre assistevamo a terribili apologie. Ora osserviamo con attenzione come andrà a finire. E parlarne. La notizia è riportata dal Corriere della Sera:

Dalla Germania, dove hanno un successo incredibile, un cantante e un manager sono volati a Reggio Calabria, hanno noleggiato in aeroporto la macchina più vistosa che c’era, hanno puntato il laboratorio, ospitato dal Museo della ‘ndrangheta, e giù offese e minacce. Un avvertimento mafioso. Un’azione intimidatoria. I due sono stati indagati. E per la prima volta una Procura, quella di Reggio Calabria, metterà occhi e mani dentro un fenomeno di business, spettacolo e apologia, di messaggi in codice nascosti nei testi, di controllo del territorio. Le indagini potrebbero allargarsi e daranno fastidio alle cosche, che oramai consideravano questo tipo di musica sacra quanto la famiglia: e dunque inviolabile.

Gli indagati si chiamano Francesco Sbano e Demetrio Siclari. Hanno 50 e 62 anni. Uno cosentino, l’altro reggino. Il personaggio chiave è Sbano. Sulla ‘ndrangheta ha girato anche un film: «Uomini d’onore». Se le cosche esistono, è il messaggio in sintesi, è tutta colpa dello Stato assente. Sbano ha fatto i soldi vendendo canti di ‘ndrangheta e di mafia. Il titolo «Ammazzaru lu generali», sul generale dalla Chiesa, è roba sua. Vive, lavora e incassa in Germania. Quella Germania che, nonostante la colonizzazione silenziosa delle cosche e nonostante certi vistosi manifestarsi (la strage di Duisburg, nel 2007, sei morti ammazzati, il mondo intero che scopriva la ‘ndrangheta), continua a sorridere delle canzoni di malavita, perché a dire dei tedeschi sono melodie capaci di raccontare l’animo romantico della criminalità.

Appunto

Luigi Di Maio (M5S):

 

Minacce in aula

Comunque la si pensi le minacce (in un’Aula di Tribunale) rivolte a Christian Abbondanza oggi da Peppino Marcianò sono la testimonianza che la misura è colma e la responsabilità dell’antimafia evidentemente sfilacciata:

“Tu ridi perché io sono qui dentro e tu sei là fuori. Ma se fossi fuori, non rideresti più”. Dalla gabbia dell’aula Trifuoggi del tribunale di Imperia, dove si sta svolgendo il processo per ‘ndrangheta “La Svolta”, Vincenzo Marcianò, figlio del presunto di boss di VentimigliaPeppino, non rinuncia a minacciare (guarda l’intervista a Peppino Marcianò nel video di ilfattoquotidiano.it). Vittima dell’intimidazione è Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità di Genova, che assisteva all’udienza in prima fila. L’episodio si è poi ripetuto nel pomeriggio, poco prima che gli imputati decidessero di abbandonare l’aula come forma di “rispetto” e “in solidarietà” con Peppino Marcianò che, a 81 anni, non si è sentito bene e – per la seconda volta in due giorni – ha lasciato il processo.

Aspettando di essere tradotto fuori dalla gabbia con il padre in sedia a rotelle, Vincenzo si è rivolto ad Abbondanza apostrofandolo per due volte “pezzo di merda” e indicando le sbarre che lo separavano da lui. Le minacce sono state prese seriamente dagli agenti in servizio presso il tribunale, che hanno invitato l’attivista della Casa della Legalità a sporgere denuncia. Questo anche per li clima di tensione che si respira nel procedimento che vede 36 persone alla sbarra e che potrebbe arrivare a sancire per la prima volta la presenza della ‘ndrangheta in Liguria. Lo stesso pm della Dda, Giovanni Arena, che sta conducendo l’accusa, è stato posto sotto protezione dopo che alcuni imputati si sono lasciati andare a frasi ingiuriose e di tono minaccioso durante una delle ultime udienze.

Non è stato questo il primo avvertimento ricevuto dal pm. Già a luglio scorso, il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, lo aveva avvertito: “Lei dottor Arena è a rischio. La ’ndrangheta, quando vi saranno delle sentenze o delle conflsche di beni, gliela farà pagare. Non aspettate che succeda perchè poi sará tardi. Non necessariamente agiscono con criminali ma il più delle volte tramite persone insospettabili che vengono definite “corpo riservato”» Quelle di oggi non sono state le prime minacce neanche per Abbondanza, il cui nome ricorre più volte nelle intercettazioni dell’inchiesta La Svolta, profferito dagli imputati.

Dalle carte dell’indagine, infatti emerge che Peppino Marcianò era molto attento alla stampa e a quanto veniva pubblicato. Soprattutto da “quel cornuto di Ventimiglia (il blogger Marco Ballestra ndr) e Savona” (Abbondanza ndr). “Dovrebberlo aspettarlo e non lo devono ammazzare, ma gli devono tagliare la faccia, perché sta facendo troppi problem” si lascia scappare una volta Marcianò, mentre il figlio Vincenzo, l’autore delle ultime minacce, puntualizza “che secondo lui sarebbe da chiudere in qualche strada di campagna e sparargli alle gambe come avvertimento, e che comunque, se fosse capitato a lui di essere bersagliato a quell modo, lo avrebbe ammazzato”.

Chissà che qualcuno non rifletta. Perché queste certo non sono minacce che si possano inventare. O no?

La scuola in risposta ai proiettili

Succede a Cetraro (Cosenza):

Non si era mai visto un sindaco rispondere ad una intimidazione mafiosa – un proiettile e una cartuccia caricata a pallettoni inviati a casa sua – ponendo la scuola al centro di un consiglio comunale aperto e pieno di studenti. E’ successo a Cetraro, in provincia di Cosenza. Il sindaco si chiama Giuseppe Aieta. Un raro gesto di educazione civica, il suo, in un Paese che va a rotoli. Un gesto di coraggio, di classe, di politica, che non è rimbombato come avrebbe dovuto, sui tavoli romani.

In una Italia dove la politica nazionale non sa riconoscere gesti come questi, e continua a tenere gli occhi bassi sulle beghe di partito, la risposta di Aieta rimbomba nel mondo della scuola. Risuona nella parte pulita dell’Italia che resiste, nonostante tutto. Perché ha dimostrato con i fatti, che la scuola è l’unica possibile risposta alla violenza mafiosa. E presto inaugurerà, con orgoglio, un nuovo liceo artistico, “perché l’arte è vita mentre la violenza è morte“.

Dopo il “fattaccio”, non ha lasciato dichiarazioni ai giornali o alle tv. Ha postato sul suo profilo Facebook una frase lapidaria: “Indietro non si torna. Nessuno fermerà il cambiamento“. Ha aspettato di essere in consiglio comunale per parlare al suo paese, indirizzandosi agli studenti, per dare un messaggio chiaro: “Quello che mi preoccupa davvero è la dispersione scolastica che aumenta di giorno in giorno: è questa la battaglia che bisogna combattere. Lasciare la scuola significa rinforzare le fila di chi non vuole che questo paese cresca. Non abbiate paura. Se qualcuno ha pensato di intimidirmi ha sbagliato indirizzo“.

Eccoli gli studenti, tutti in piedi con i loro professori, in consiglio comunale. Sono lì che ascoltano, immobili, assorti, il loro sindaco che a testa alta e schiena dritta, li rassicura e li esorta a sorridere al futuro. Magari per qualcuno di loro è la prima volta nella sala del consiglio, mentre sulla testa dei consiglieri scorre la scritta “Indietro non si torna“… forse qualcuno avrà anche pensato a quel conoscente o a quel parente che seduto sul motorino al buio di un angolo di strada gli ha offerto un guadagno facile.. due immagini opposte.. e magari qualcuno in quel momento avrà anche operato una scelta: tra la luce e il buio.

L’articolo completo è qui. Grazie a @luis_webadvisor per la segnalazione.

Ancora minacce, questa volta tocca a Pietro Nardiello

minacce-nardiello-300x225Pietro Nardiello è giornalista, scrittore, collaboratore di Articolo21 e tante altre cose. Uno che in Campania si fa sentire e lavora “sul campo”. Ha ritrovato la sua auto danneggiata con un cartello che non ha bisogno di interpretazioni soprattutto per chi conosce la sua storia e il suo impegno. Ad Articolo21 ha dichiarato:

“Ho denunciato l’accaduto al Commissariato di Chiaiano  che poi provvederà a informare anche la Digos. In questa zona avevo subito in passato qualche piccolo dispetto all’auto, ma niente di che, anche se poi qualcuno non mi stima molto per quello che scrivo…”

Questo atto segue alcuni segnali che inducono a leggere una escalation di intimidazioni. Augurandoci e augurandogli che questa sia l’ultima gli mando un abbraccio da qui.

Minacciato e picchiato a Librino

Ieri mattina intorno alle 10:30 a Librino, il grande quartiere-ghetto alla periferia di Catania,  un nostro collaboratore che stava scattando delle foto al Palazzo di Cemento è stato circondato da sei uomini, minacciato con un’arma e picchiato. Gli hanno rotto un dente. Hanno fatto i nomi dei suoi familiari, su cui sembravano molto bene informati.

Luciano Bruno (un suo articolo, due anni fa, ha aperto il primo numero di questa nuova serie dei Siciliani) è di Librino e più volte ha pubblicato articoli sulla drammatica situazione di questo quartiere, abbandonato e lasciato in mano alla mafia. E’ autore fra l’altro di un pezzo teatrale di denuncia sul dramma di Librino, che è stato portato in giro in varie città d’Italia.

Invitiamo tutti alla massima solidarietà verso Luciano e alla massima attenzione e vigilanza su Librino.

Riccardo Orioles

I Siciliani

Vale la pena anche buttare un occhio ai commenti sotto l’articolo. Per farsi un’idea.

Di fronte a tutto questo non rispondo nemmeno

ninodimatteoPerdoni la domanda scomoda, ma c’è chi ipotizza che tutta la vicenda e il clamore mediatico che ha sollevato siano strumentali, addirittura volute.
“Lo pensino pure, sulle pelle degli altri è facile. Quando verranno depositate le trascrizioni delle frasi di Riina, ascolteranno le sue parole e guarderanno il video capiranno tutto”.

C’è allora un tentativo di delegittimare il suo, il vostro lavoro?
“Non mi sorprendo più nulla. C’è sempre chi, di fronte ai proiettili, parla di auto-minacce. Persino ai tempi di Giovanni Falcone è andata così. Di fronte a tutto questo non rispondo nemmeno, non degno di considerazione chi insinua senza conoscere. Non mi sorprendo. È una storia che si ripete da sempre. Stavolta, però, si dovranno scontrare con il video e la voce di Totò Riina. Ritengo che ci sia, proprio nell’ottica di delegittimare determinati tipi di indagini, un tentativo di non valutare i fatti, persino di ribaltarli”.

Un’intervista a cuore aperto di Nino Di Matteo, l’innominabile per la politica e pure qualche “antimafioso”.

«Se mi torcono un capello, questa volta c’è la prova»: parla Nino Di Matteo

MAFIA: DI MATTEO A SIT-IN, GRAZIE PER VOSTRA PASSIONE CIVILESe l’aspettava un’esistenza difficile. Solleva lo sguardo dalle carte, esita un attimo: «Sapevo a cosa andavo incontro quando ho cominciato a fare il magistrato, il lavoro che volevo fare: il pm, non il giudice. A Palermo avevano già ucciso molti colleghi, c’era già stato Capaci, via D’Amelio, ma non credevo che si potessero ripresentare momenti così».

Mai era accaduto – neanche ai tempi del maxi processo a Cosa Nostra – che un pm non potesse andare in udienza «per motivi di sicurezza», come è capitato la settimana scorsa. Volevano portarcelo con un blindato a Milano, tipo quelli che il nostro esercito usa in scenari di guerra come l’Afghanistan e l’Irak. Troppo pericoloso spostarsi. Troppo pericoloso restare anche a Palermo per Di Matteo.

Non va più a nuotare alle 7 del mattino. Non va più alla “Favorita”, alle partite. Ogni tanto i suoi «angeli custodi» lo trascinano in qualche caserma – sempre diversa – dove si fa mezz’ora di jogging. Ha sempre dietro uomini armati.

Un confidente ha appena svelato «che è arrivato l’esplosivo » anche per lui. Era accaduto
nell’estate del 1992, quando qualcun altro aveva annunciato il tritolo per Paolo Borsellino. Tutto come vent’anni fa? «No, c’è una differenza importante: allora c’era solo il silenzio intorno a Paolo, oggi ci sono tantissimi italiani che stanno dalla nostra parte, semmai stridono certi silenzi istituzionali se confrontati alla solidarietà dei cittadini, delle persone senza nome che mi scrivono».

I silenzi dei Palazzi. Tanti. Il capo dei capi della mafia vuole ucciderlo e, al di là dei comunicati ufficiali e di circostanza – a parte il comitato di ordine pubblico e sicurezza convocato dal ministro Alfano a Palermo e le sue dichiarazioni di ieri – Roma sembra lontana, indifferente alla sorte di un magistrato stretto in una morsa, fra il delirio del capo dei Corleonesi e invisibili personaggi scivolati fra le pieghe delle indagini della trattativa.

Perfino la ministra di Grazia e Giustizia Cancellieri, l’amica dei Ligresti, ha mostrato un certo distacco. Prima ha detto che la sua amministrazione era all’oscuro di ogni piano omicida di Riina (eppure gli operativi del Dap, di solito sono anche troppo informati), poi ha «espresso vicinanza ai magistrati» mentre qualcuno in giro per l’Italia già metteva in giro le solite voci infami. Non è vero niente, quali minacce ha avuto mai Di Matteo? L’avevano fatto con Falcone, all’Addaura.

Colpiscono le parole di Nino Di Matteo nella sua intervista con Attilio Bolzoni di Repubblica. E, mi viene da dire, c’è la prova anche di chi continua a stare zitto o ad essere delatore fiancheggiatore.