RadioMafiopoli 16a Puntata: “Ma davvero credete che Riina usi la parola ‘eclatante’?”
Ma davvero nessuno osa chiedere di queste cicliche minacce?
Ma davvero nessuno osa chiedere di queste cicliche minacce?
Succede davvero, per sbaglio. Ne parla qui Linkiesta.
Ma soprattutto è Luigi Bonaventura. Sì avete letto bene: quel Luigi Bonaventura che ha dato il via all’inchiesta sul presunto progetto di morte ai miei danni. Ora vorrei sapere anche da voi come vi sentireste in un momento così.
Dopo sette anni però un database non aggiornato della questura di Brescia porta la polizia ad arrestare per errore Luigi Bonaventura, salito a Brescia per partecipare ad un convegno promosso dalla locale università. Una volta in albergo arrivano i poliziotti, che in base ai dati del sistema della questura, ritengono Bonaventura latitante da dieci anni: effettivamente, nel 2003, Luigi Bonaventura, era stato latitante, per un mese, per essersi reso irreperibile. Da lì la segnalazione che ha portato al “quasi arresto” avvenuto il 6 dicembre scorso. Determinante è stata la telefonata di un magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro che ha scongiurato l’arresto del collaboratore di giustizia, che per altro ha un attivissimo profilo Facebook. Cosa sconveniente, fosse stato latitante. Tuttavia non tutti gli apparati dello Stato erano a conoscenza dello status di collaboratore di Bonaventura.
Mi ero ripromesso di non parlarne più ma disattendo la promessa per una piccola (per niente) nota di servizio.
Le indagini sulle dichiarazioni del pentito di Luigi Bonaventura sono tutt’ora in corso e non mi sembra opportuno parlarne, certo, se non per le persone che in questa indagine sono coinvolte. I testi ascoltati in questi ultimi mesi (che si sono allargati anche ad altri collaboratori di giustizia) stanno rilasciando dichiarazioni che inevitabilmente determineranno anche il loro futuro: se verranno riconosciuti credibili e riscontrati avranno il peso di essersi esposti su un campo politico mafioso di proporzioni importanti e invece se saranno riconosciuti bugiardi inevitabilmente avranno ripercussioni nel loro programma di protezione. Comunque la si voglia vedere c’è poco da scherzare (e filosofeggiare, eh) sugli esiti dell’indagine.
Luigi Bonaventura, al momento, è in una località protetta che tutti conoscono, celato dietro un falso nome a cui non corrispondono tutti i documenti necessari e con la propria famiglia che deve percorrere curve di minacce e intoppi burocratici.
La sua sicurezza in questo momento è indispensabile, per lui e per chi vicino a lui è chiamato a testimoniare. Su questo non posso fare silenzio. Sul resto, invece, a indagini concluse avrò molto da dire. Molto.
“Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire”. Totò Riina era furibondo qualche giorno fa, dopo l’ultima udienza del processo che sta scandagliando i segreti del dialogo fra Stato e mafia. “Quelli lì devono morire, fosse l’ultima cosa che faccio”, ha urlato il capo di Cosa nostra a un compagno di carcere, e le minacce non sono sfuggite a un agente della polizia penitenziaria.
Nino Di Matteo è ancora sotto minaccia, in continuazione, mentre il processo sulla trattativa si svolge con ali politiche starnazzanti e i magistrati coinvolti rischiano di rimanere soli. Qualcuno dice che Di Matteo dovrebbe forse essere trasferito in località protetta insieme alla famiglia senza pensare che sarebbe un segnale desolante e triste per lo Stato. La solitudine istituzionale è il miglior modo per uccidere e non voglio nemmeno pensare che gli ordini di Riina ‘U Curtu possano ancora valere qualcosa e andare a segno. Forse qualcuno non se ne rende conto ma su Di Matteo si gioca la credibilità lasciata in eredità da Falcone e Borsellino. A Nino e alla sua famiglia va il mio abbraccio più largo e stretto che sia mai riuscito a fare.
L’antimafia, invece, spesso dimentica che prima di combattere il nemico esterno, bisogna imparare a combattere contro i sentimenti bassi, le disgregazioni, le delegittimazioni e l’isolamento che la infetta all’interno.
Vale la pena leggere Massimiliano Perna, oggi, qui.
Sarà che ogni tanto credo si debba essere rissosi e maleducati, nel senso molto terso della buona educazione tutta democristiana che vorrebbero imporci. Sarà che ho sempre voluto bene ai ragazzi della Rete Antimafia della Provincia di Brescia perché come tante altre associazioni antimafia è stata osteggiata sul nascere (anche da “altissimi” antimafiosi) per la loro bella abitudine di fare nomi e cognomi e di sfanculare mafiosi di centrodestra e di centrosinistra, ma questo loro post me lo stampo, lo piego e lo tengo in tasca con affetto, nonostante le troppe parolacce:
Io sono nato e cresciuto a Brescia, e a Brescia c’é la mafia. E se la mafia in Lombardia non si é impossessata della regione, se comunque abbiamo un barlume di civiltà e di speranza è grazie ad un gruppo di persone che si é opposto.
Lo sapete perché queste persone mi mettono in crisi? Perché non sono dei Santi, sono fatti di carne e di ossa esattamente come me. Hanno dei pregi e sicuramente dei difetti, esattamente come me. Io spesso incontro gente che è sotto scorta perché è nel mirino della mafia, e può capitare che queste persone siano egocentriche, paranoiche, orgogliose, vanitose, fissate con il sesso, testarde, ritardatarie, egoiste, presuntuose, ingrate, stronze. Insomma può capitare che abbiano tutti o qualcuno dei difetti che posso avere io. Ed è questo quello che mi mette in crisi: che sono esattamente come me, che quello che hanno fatto loro potrei farlo anche io. Quanto farebbe bene alla mia coscienza se fossero dei Santi del Paradiso, ma nonostante siano come me, loro sono quelli che fanno il lavoro sporco al posto mio.
Pensare che una persona in prima fila nel combattere la mafia debba necessariamente anche avere il carattere di San Francesco forse è da ingenui. Se un giornalista scrive di mafia io non mi chiedo perchè scriva di mafia, non mi chiedo se così abbia avuto più successo con le ragazze, non mi chiedo se così si sia arricchito, io mi chiedo se quello che scrive sia vero, mi chiedo se quello che scrive dia fastidio alla mafia, mi chiedo se leggendolo la mia conoscenza e la mia coscienza siano migliorate.
Io mi sono rotto i coglioni di aspettare che una persona venga ammazzata prima di rivalutarla. Sarò ingenuo, ma ho visto troppa gente a casa mia disprezzata in vita ed apprezzata in morte, e così, ingenuamente, sosterró tutti coloro che sostengono che la mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corona unita e la stidda debbano essere non tollerate, ma sconfitte, e per fare questo mettono in gioco la loro vita. E le ascolterò anche se eventualmente saranno egocentriche, paranoiche, orgogliose, vanitose, fissate con il sesso, testarde, ritardatarie, egoiste, presuntuose, ingrate o stronze.
E’ tutto qui.
Rosario Rocca è sindaco di Benestare, piccolo paesino della Locride. Rosario si è ritrovato, alle cinque di questa mattina, con la denuncia appena timbrata in caserma dove viene descritto l’incendio della propria auto. Nelle scorse settimane l’auto bruciata invece era stata quella della sorella. Decine di minacce, più o meno velate, che l’hanno portato a desistere e scrivere una lettera che non è la sua resa, è la nostra sconfitta:
Mi sta piovendo addosso di tutto. Teniamo botta, per carità, ma sto ascoltando tutti (anche i più infimi) mentre aspetto che ascoltino il pentito Bonaventura. Non mi interessa né una scorta potenziata (“perché vuole fare il Saviano”, ha detto qualcuno senza sapere che so) e non mi interessa fare la vittima (mio dio, sono felicissimo e ho una vita che mi ripaga più di quanto merito senza bisogno di vittimismo). Nei prossimi giorni convocherò una conferenza stampa per dire quello che penso, in poche parole.
Ma una cosa una la voglio chiarire per chi ritaglia la rassegna stampa (con la testa china): Luigi Bonaventura ha parlato di un’opera di delegittimazione che qualche ufficiale (maschile/femminile) sta appoggiando con telefonate interurbane e, se Bonaventura sarà riscontrato, ne dovrà pagare le conseguenze. La maldicenza mentre un pentito parla di maldicenze è un rischio che determina responsabilità.
Sono disinteressato a codazzi di scorte ma interessatissimo agli ebeti. Anche istituzionali.
Mi vedono in bilico camminando un piede davanti all’altro su (dicono) una sottile linea rossa. Ma abbiamo i piedi saldi e le idee chiare comunque su un assetto che vorrebbe cercare l’equilibrio eppure ha un granello fastidiosissimo tra gli ingranaggi.
Chiuderemo il cerchio con tutto il tempo che serve. Non siamo zitti, siamo impegnati.