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minacce

La donna che morse il cane

Nella prefazione del libro, Alberto Spampinato, direttore dell’associazione Ossigeno per l’informazione, mette l’accento sui rischi e le difficoltà che devono superare i giornalisti “per riferire le notizie più importanti: quelle che nascono in periferia, lontano dalle redazioni dei grandi giornali, e riguardano fatti di mafia, corruzione, malaffare, uso distorto dei soldi pubblici”. Proprio intorno alle redazioni di giornali locali si intrecciano le tre storie dell’e-book. “I giornali locali sono quelli che subiscono maggiormente le minacce e i tentativi di intimidazione, perché raccontano il territorio così come lo vedono”, dice Adinolfi. “Nei giornali locali fare il giornalista è ancora più difficile perché ti trovi ogni giorno a contatto con le persone di cui scrivi”. Adinolfi racconta la sua giornata con Marilena Natale in giro per Casal di Principe: “Entrando in un bar poteva capitare di trovarsi di fronte a un personaggio di cui aveva parlato in un articolo il giorno precedente”.
“I media nazionali dovrebbero attingere dai giornali locali, non lasciarli soli e aiutarli a non essere dimenticati quando accadono queste minacce”, dice. “Spesso c’è la solidarietà del momento ma poi il giornalista si trova a essere solo e a incontrare per strada la persona che l’ha picchiato o minacciato”.

La donna che morse il cane. Storie di croniste minacciate di Gerardo Adinolfi è il libro di tre storie di croniste minacciate: Rosaria Capacchione, Marilena Natale e Marilù Mastrogiovanni. Madri, mogli, figlie, fidanzate. Donne che hanno la sola colpa di aver raccontato con lucidità i fatti e le contraddizioni della loro terra. Ed è un libro importante per non perdere il ‘realismo’ sull’informazione antimafia in Italia. Che è molto più presente di quanto spesso si insista a credere (e far credere) e ha l’odore della minaccia abituale. Ecco, se riuscissimo una volta per tutte a subire meno la fascinazione del pericolo e lo studiassimo come fenomeno da sconfiggere, forse perderemmo un po’ di poesia ma potremo costruire meccanismi di solidarietà difensiva. Militare, istituzionale, civica. Anche perché i dati per le analisi e il dibattito ci sono tutti: l’Osservatorio sui giornalisti minacciati diretto dall’amico Alberto Spampinato da anni monitora gli episodi. E chiede misura e responsabilità. Oltre alla notizia.

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Intervista per Byoblu: un incidente a sera tarda può capitare a tutti

Una mia intervista per Byoblu.

di Valerio Valentini
“Attore, scrittore, regista e politico italiano, nato a Milano il 26 giugno 1977”. C’è scritto più o meno così sulla prima riga della pagina di Wikipedia dedicata a Giulio Cavalli. Non c’è scritto che vive sotto scorta da 4 anni. Oggi ha particolarmente bisogno di non essere lasciato solo. L’ho intervistato per il blog.

“Possiamo anche non interessarci degli ‘ndranghetisti, ma loro sicuramente si interesseranno di noi”. Più volte ti ho sentito ripetere questa frase: che significato ha avuto nella tua esperienza di uomo e di artista?

Noi dobbiamo riuscire a sgretolare il muro dell’indifferenza. E per farlo credo che l’impegno sia quello di stimolare e allenare il muscolo della curiosità collettiva. Accendere l’acquolina in bocca sul tema mafie e antimafia anche alla “signora Maria” sotto casa, al bar, dal panettiere. Perché gli uomini di ‘ndrangheta conoscono e studiano le mozioni o gli ordini del giorno o i PGT (piano di governo del territorio, ndr) dei piccoli comuni più attentamente degli onesti? Perché utilizzano gli spazi lasciati liberi dalle collusioni, certo, e dall’inettitudine civica. Quindi interessiamoci di loro perché inevitabilmente loro si interessano di noi, per favore. Questo è il richiamo.

Un regista lombardo che denuncia la ‘ndrangheta: all’inizio qualcuno pensava a uno scherzo, dal momento che nella coscienza popolare la mafia calabrese era una faccenda del Sud. Eppure è dal 1979 che la ‘ndrangheta ammazza affiliati ribelli nei ristoranti del milanese come se si trattasse di gangster di Chicago, e nel decennio 1973-1983 furono più di cento i sequestri effettuati dalla criminalità organizzata in Lombardia. Perché, secondo te, c’è voluto tanto per comprendere che la mafia era arrivata anche al nord?

Per una questione politica e culturale. Politicamente, l’atteggiamento degli ultimi anni più in voga era il negazionismo a tutti i costi. La politica lombarda (almeno quella imperante) è vissuta sulla retorica dell’eccellenza in tutti i campi. La Lombardia come punto più alto dell’imprenditoria, della sanità, dell’organizzazione e della sicurezza. Riconoscere il problema delle mafie in fondo costringeva gli amministratori a rivedere dalle fondamenta il proprio “teorema lombardo”. Dal punto di vista culturale la Lombardia è la culla del federalismo. Ma non solo il federalismo bieco e secessionista della Lega quanto più un federalismo delle responsabilità per cui siamo tranquilli se la nostra città è tranquilla o addirittura ci basta che il nostro quartiere sia in sicurezza. Perso quindi il dovere di solidarietà evidentemente si sono create le pieghe culturali per un tranquillo pascolo delle famiglie mafiose. Anzi, negli ultimi vent’anni ci hanno fatto credere che la solidarietà (soprattutto qui in Lombardia) è un vezzo umanitario che non possiamo permetterci, una debolezza che mette a rischio i nostri figli. E così la vera secessione è stato l’egoismo civile.

Dal 2008 vivi sotto scorta: evidentemente un’esperienza molto difficile. Eppure, recentemente, è accaduto qualcosa che ha peggiorato di molto la tua situazione. Vuoi raccontarci cos’è successo?

Ho spiegato tutto nel mio blog. In realtà di minacce me ne arrivano molte e molto spesso personalmente. Ora, però, ci sono dei nomi e dei cognomi dichiarati apertamente in un video. Quindi c’è un reato chiaro: o minacce, o calunnia e procurato allarme. E soprattutto c’è da chiedersi cosa possa spingere un imprenditore a rilasciare un’intervista così disperata e disperante. Mi auguro che le istituzioni diano la risposta.

“Gliela faremo pagare, ma senza fretta. Un anno o dieci anni non è un problema”: più o meno in questo termini è stata formulata la minaccia nei tuoi confronti. Come va interpretata questa micidiale “pazienza” della ‘ndrangheta?

È la frase che più di tutte mi ha colpito e ha colpito alcuni investigatori con cui ho avuto modo di parlare in questo giorni. Se Gasparetto (l’imprenditore che ha lanciato l’allarme, ndr) avesse voluto cercare uno scoop avrebbe potuto favoleggiare di un attentato in pompa magna; invece il non avere fretta (ricordo in una telefonata qualcuno che, parlando di me, disse “un incidente a sera tarda può capitare a tutti”) è nel DNA delle ‘ndrine. Poco rumore. È finita l’era dei gesti eclatanti: conta solo il risultato.

Concretamente, da oggi come cambia (se cambia) la tua vita dopo quest’ulteriore esplicita minaccia?

Credo che i dispositivi della mia sicurezza rientrino in un patto tra me, la mia famiglia e lo Stato. Non amo mai parlarne e sentirne parlare.

Vivendo sulla tua pelle quest’esperienza, ti senti di indicare qualche provvedimento che ritieni opportuno le istituzioni prendano per migliorare le condizioni di collaboratori di giustizia, scrittori e giornalisti minacciati dalla mafia?

Difendere chi si espone è il modo migliore per lo Stato di dimostrarsi credibile. Non sempre ne è stato all’altezza.

In più occasioni hai affermato che il tuo impegno politico (consigliere regionale dal 2010 nelle file dell’IDV, poi passato a Sel) è in qualche modo complementare all’impegno di regista. Ti sei immediatamente impegnato per fondare “Expo No Crime”, l’ente interistituzionale che si occupa di vigilare sul rispetto della legalità in occasione della grande esposizione universale che si svolgerà a Milano. Quale minaccia rappresenta l’Expo 2015 in termini di infiltrazioni mafiose? E quali misure ritieni opportuno applicare per limitarle al massimo?

Hanno scritto un documento importante pochi giorni fa a Milano: il comitato presieduto da Dalla Chiesa direi che ha scritto un “bigino dell’antimafia” che porta soluzioni fattibili e concrete. Poi le leggi bisogna scriverle, usarle e osarle. Al di là delle leggi però la domanda vera è: abbiamo una classe dirigente con lo spessore etico e morale per affrontare la sfida EXPO?

Il tuo coraggio, la tua caparbietà, appaiono eroici. Eppure Giovanni Falcone diceva che non è con l’eroismo degli inermi cittadini che si può sconfiggere la mafia, ma con l’impegno costante delle forze migliori delle istituzioni. Cosa dobbiamo pretendere che faccia lo Stato, per vincere questa battaglia che tu hai deciso di combattere?

Niente eroismi. Ognuno faccia la propria parte. Senza indifferenti. L’articolo 4 della Costituzione: Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Nicola Gratteri, magistrato di Reggio Calabria da vent’anni in prima linea contro la ‘ndrangheta, sostiene che è nella scuola che si può vincere questa battaglia. E tu hai scelto l’arte per combatterla. Fa davvero così paura la cultura ai boss?

Io non credo che si vinca solo con la parola. Ma sicuramente la cultura svolge un ruolo importante: nell’alfabetizzazione della mafia, nell’educazione all’antimafia, nella costruzione di una lettura collettiva del fenomeno. E la scuola è il luogo che ha questo dovere perché, non dimentichiamolo, dovrebbe essere lo Stato ad assumersene l’onere. Non attori e scrittori.

E tutti noi, semplici cittadini troppo spesso abituati – anche noi – a demandare agli altri il compito di essere eroi, cosa possiamo fare?

Convincerci che è una battaglia bellissima. Difendere la propria terra nel senso più intenso della parola, creare una rete solidale che sia un’associazione civica di stampo costituzionale.

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Mi hanno promesso la morte, dicono.

Ieri sera ho avuto modo di vedere la testimonianza di Adamo Gasparetto dal sito dell’associazione Sos Racket e Usura e leggere l’articolo a corredo dei video.

Voglio essere chiaro: ho condiviso molte delle battaglie di Frediano Manzi che hanno poi avuto evidenti riscontri investigativi (perché qualcuno finge di dimenticarsele: l’arresto del Prefetto Ferrigno, la vicenda delle case popolari e della signora “Gabetti” e altre, basta cercare in rete). Non ho condiviso alcuni atteggiamenti di Frediano e altre storie. E l’ho fatto non attraverso la delazione sotto voce ma in Procura. Pur conoscendo le difficoltà umane che possono avere alimentato la dissennatezza di alcuni suoi gesti. Ma queste sono cose che qui, ora, non c’entrano se non per il poco spazio di metterle come inciso per evitare che qualcuno mi riproponga una storia che conosco fin troppo bene.

Così come ho conosciuto Adamo Gasparetto. Mi ha raccontato la sua odissea lavorativa e come si sia ritrovato praticamente fallito per amicizie sbagliate. Non sta a me sindacare l’attendibilità. Certo Gasparetto conosceva molto bene la geografia criminale della periferia milanese. Conosceva i nomi, i cognomi e non solo. E anche questo nostro colloquio è stato depositato in Procura che, lo apprendo dal video, non ha ancora ritenuto di convocarlo. Questa l’introduzione.

Gasparetto mi aveva raccontato della promessa di morte di Vincenzo Mandalari nei miei confronti, nei suoi e altri. Non mi aveva voluto specificare i nomi del tramite e altri particolari. Potrà sembrare strano (faccio fatica a raccontarlo anche alle persone più vicine) ma di avvertimenti ne arrivano molti. Troppi, certo. Ma ci si abitua a tutto. Quest’anno abbiamo deciso di evitare che si parlasse delle minacce arrivate. Di tenerle il più possibile tra noi, i carabinieri che mi tutelano da tempo e la Prefettura che si occupa di tutte le valutazioni del caso. So molti dei nomi che stanno dietro ai segnali di sorta. Purtroppo con qualcuno ho avuto modo di avere scambi diretti. Faccia a faccia, come in quei brutti film di para-mafia che tiravano alla tele fino a qualche anno fa.
Ma, l’ho sempre detto, non mi piace la spettacolarizzazione di scorte e minacce, non riesco a non viverla come un dolore troppo intimo per essere prostituito ciclicamente alla notizia e mi sento sempre irrispettoso verso i tanti in prima linea che non hanno luce e (troppo spesso) nemmeno l’adeguata protezione: penso ai testimoni di giustizia e molti altri con cui ho l’onore di condividere amicizie e collaborazioni.

In questo video, però, ci sono luoghi, date, nomi e cognomi. E una frase sinistra che è nel DNA delle ‘ndrine: “farla pagare, senza fretta, un anno, due anni, dieci anni, non è un problema”.
E c’è il chiaro riferimento ad un’intervista che a volto coperto abbiamo fatto ad Adamo Gasparetto. Tra gli intervistatori c’ero anch’io. E nessuno, certo, avrebbe pensato che potessero riconoscerci con questa facilità. Questa volta Adamo Gasparetto ha deciso (finalmente) di parlare chiaro:

Penso che a questo punto sia il caso di chiedere un riscontro a queste parole. Mica per essere tranquillizzato: ormai la paura è un fischio cronico all’orecchio. Riesco a leggere, scrivere, grattarmi e sbagliare comunque con molta naturalezza. E purtroppo il mio mondo è pieno di tanti piccoli Mandalari. Cambia il cognome, l’accento, qualche volta la professione, ma in fondo si assomigliano tutti per la banalità criminale e l’animalità delle minacce.
Ma confido nelle istituzioni perché le responsabilità raccontate in questo video vengano accertate.
Perché è una signora che merita rispetto, anche la paura.

Non ho nemmeno le parole

Per immaginare le ore di Giulio Tamburini, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mantova, impegnato anche come distaccato per la DDA di Brescia.
Per la bomba scoppiata vicino alla sua abitazione. Lo spavento. La notte. Il dolore. La famiglia da proteggere oltre all’ordinarietà non facile della vita.
A Mantova. Dove già parlarne è già troppo disturbo.
Solo un abbraccio solidale. A tutta la sua famiglia.

Con Sonia Alfano

(OMNIMILANO) Milano, 05 GIU – “Esprimo alla Presidente della Commissione antimafia europea Sonia Alfano tutta la mia solidarietà e profonda preoccupazione per le recenti intimidazioni a suo carico di cui la stampa ha dato notizia. Sono vicino a Sonia anche e soprattutto per l’amicizia che ci lega. Sappia che la sua battaglia è la battaglia di tanti cittadini, nell’augurio che le autorità competenti provvedano il prima possibile a garantirne la sicurezza”. Lo afferma Giulio Cavalli, consigliere regionale Sinistra Ecologia Libertà.

Le minacce, i Cosco e Lea Garofalo: il dito e la luna

Voglio spendere un secondo per ringraziarvi tutti. Per la vicinanza di Nichi, Giuliano, Chiara, Stefano, Pippo, Sonia e tutti gli altri rappresentanti delle istituzioni. Ora raccogliamo le idee e ripartiamo con il nostro lavoro cercando sempre di essere seri e con impegno ordinario. Ci fermiamo per raccogliere i pezzi perché questi ultimi mesi sono stati i più difficili di questi anni anomali. Non guardiamo il dito: il processo Garofalo è stato coltivato dai tanti giovani della Milano migliore. Godiamoci la luna. Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato un evento pubblico grazie a molti giovani. Per ora, quello che mi sentivo in dovere di dire l’ha scritto bene Il Fatto Quotidiano nell’intervista che incollo qui. Buone giornate.

Le minacce dai Cosco prima degli ergastoli Cavalli: “La città non può più tollerare”

I fratelli accusati di aver ucciso e sciolto nell’acido Lea Garofalo poco prima del verdetto hanno gridato allo scrittore e attore: “Perché scrivi che siamo mafiosi? Sei un cornuto e un infame”. Lui risponde: “Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato a un evento pubblico grazie a molti giovani”

“In gioco non c’è la solidarietà a me, ma capire che una città  può farsi carico di un processo. Questo è successo in questo processo grazie ad alcuni giovani e di questo dobbiamo ringraziarli. Dall’altra parte c’è un atteggiamento di impunità che questa città non può più tollerare”. Le minacce e gli insulti ricevuti da Carlo Cosco, pochi minuti prima che questi fosse condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna, non intaccano neanche un po’ il pensiero di Giulio Cavalli. L’attore, scrittore e consigliere regionale di Sinistra e Libertà in Lombardia, ieri si è presentato in tribunale a Milano per ascoltare il verdetto. Oltre a lui il presidente di “Libera”, don Luigi Ciotti e del sociologo Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia e che da trent’anni denuncia la presenza dei clan al nord. Ma anche i giovani ai quali si riferisce Cavalli: i ragazzi di Libera che hanno spesso seguito le udienze del processo e gli studenti universitari di Dalla Chiesa.

Cosco e gli altri 5 imputati (poi tutti condannati all’ergastolo) lo hanno riconosciuto attraverso le sbarre delle gabbie dove erano chiusi in attesa del verdetto che li ha ritenuti colpevoli di aver torturato, ucciso e sciolto nell’acido una donna di 35 anni, Lea Garofalo, perché collaborava con la giustizia. In particolare è stato proprio Carlo Cosco, ex compagno della Garofalo, a realizzare che fosse Cavalli. Così ha rotto il silenzio del tribunale: “Perché scrivi sui libri che siamo mafiosi?” ha gridato. Poi la risposta, data però da uno dei fratelli di Cosco, pure lui a processo e pure lui condannato: “Scrivi perché sei un cornuto e un infame”. ”Io non l’avevo nemmeno capito cosa stava gridando – racconta Cavalli – Me l’ha detto la scorta. Ha urlato anche a Nando, anche se senza minacce”. “Mi ha colpito – continua – che sia stato proprio Cosco a fare una cosa del genere, perché è sempre stato il “gestore” della cella, ha sempre ricoperto questa funzione di capo, anche nella postura. Lo ha fatto anche ieri, tra l’altro cinque minuti prima di essere condannato all’egastolo”.

Quindi, lasciando perdere la solidarietà, “l’aspetto da sottolineare è l’atteggiamento di impunità di queste persone – spiega – che pensano, con un’aula piena di forze dell’ordine e quasi davanti a in giudice, di fare una cosa del genere. A livello personale, poi, ho scritto di Cosco, ma ho scritto anche di molti altri. In effetti ho trovato curioso che mi abbia riconosciuto subito, ma può essere legato al fatto che sono stato il promotore della borsa di studio per Denise”.

Denise Cosco è la figlia di Carlo Cosco e Lea Garofalo: nel processo concluso ieri si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento di 200mila euro. Regione Lombardia sosterrà le spese per gli studi di Denise dopo l’approvazione della mozione approvata in consiglio dopo essere stata presentata proprio da Cavalli.

A lui oggi sono arrivate le parole di sostegno di Nichi Vendola, il leader del suo partito: “Caro Giulio, stiano tranquilli i vigliacchi che dopo aver ucciso in modo bestiale e sciolta nell’acido Lea Garofalo, ora se la prendono con te minacciandoti ed insultandoti pesantemente”. “Lo devono sapere chiaramente questi vigliacchi che non sei solo – prosegue Vendola – Le persone oneste, del Nord e del Sud che in questi anni hanno lottato e lottano contro le mafie, sono una moltitudine immensa. Che nessuno di questi vigliacchi si permetta di alzare la voce o un solo dito. Sono certo che le istituzioni del nostro Paese impediranno ulteriori minacce nei tuoi confronti. Nella lotta alla criminalità organizzata e alle mafie lo Stato non può abbassare la guardia: nelle settimane scorseGiovanni Tizian, ieri Giulio Cavalli, e insieme a loro tanti altri giornalisti minacciati quotidianamente. Non possiamo permettere questo stato di cose. Ci auguriamo che dal ministero dell’Interno e dall’intero governo venga un impulso maggiore. A Giulio l’abbraccio piu’ fraterno di tutti i compagni e le compagne di Sinistra Ecologia Libertà”. Al consigliere e scrittore anche il messaggio dei blogger di enricoberlinguer.it: “Siamo tutti cornuti e infami”.

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia definisce l’accaduto “vile e vergognoso”. “A Giulio – continua – la mia solidarietà per un attacco di stampo mafioso da parte di chi sa che, a Milano, la violenza criminale è stata sconfitta e che, nè adesso nè in futuro, potrà avere spazio alcuno e per questo è ancora più bramosa di vendetta nei confronti di chi tutti i giorni combatte la criminalità. Giulio non ha mai smesso di denunciare le infiltrazioni mafiose anche al Nord”. “Attacco mafioso violento e inqualificabile” dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. “Le minacce contro di lui – aggiunge – sono vergognose e devono essere stigmatizzate con forza da tutti”.

Cavalli incassa il sostegno, ma riporta al nodo vero della questione: “Sul processo Cosco è stato fatto un lavoro straordinario dei giovani e di Libera grazie al quale un processo che altrimenti sarebbe stato celebrato come per un fatto privato sia diventato un evento pubblico, di un’intera città. Di questo dobbiamo ringraziare questi giovani”.

No. Non mi fermo

In queste ultime settimane mi sono arrivati ‘segnali’ crescenti non propriamente amichevoli, curiosamente collegabili con alcune notizie, gare d’appalto e una strana attenzione su miei interventi circa personaggi poco raccomandabili uniti da comunione d’interessi, appartenenza e tutti quasi concittadini tra loro. Non mi è mai piaciuto e non mi piace alimentare questa banale litanìa di minacce e scortati ma questa volta (tanto ormai ci abbiamo fatto il callo) non posso non notare come l’impunità di alcuni personaggi in Lombardia (riferibili in modi e gradi diversi a storiche famiglie mafiose) stia non solo nell’infilarsi tra le pieghe della politica e dell’imprenditoria, delle istituzioni e, perché no, di pezzi della società civile ma soprattutto nell’arrogante sfrontatezza con cui esprimono il proprio dissenso (diciamo così, va). E allora l’allarme sta nella terribile sensazione che loro confidino in una protezione “sociale” molto più vasta di quella garantita da questo o quel rappresentante istituzionale. Un virus che si nutre soprattutto della pavidità dei territori e che forse troppo spesso abbiamo voluto comodamente relegare a questo o quel boss, questo o quel politico, questo o quel settore imprenditoriale, dimenticando come l’indifferenza del cittadino sia l’inconsapevole alleato migliore. Ho sempre preso tutto con il sorriso (che, vi avviso, non si è per niente spento) ma con un’affezionata serietà; e qualsiasi sia il senso di questi ultimi giorni (e noi qualche idea sul senso ce l’abbiamo) continuo sereno il mio lavoro (e continuano i miei collaboratori) con la lampadina accesa forse per una buona strada.

Pochi anni fa sarebbe stato impensabile vedere una Lombardia così ricca di fremiti, comitati e energie sul tema delle mafie (prima erano inesistenti, poi infiltrate e ora convergenti, finalmente) e non credano (loro) che la paura sia un’arma ancora vincente. Siamo tanti, troppi per essere identificabili come portatori unici di un’inarrestabile voglia di presidiare con stampo antimafioso. E la tutela è tutta in questa moltitudine.

No. Non mi fermo. Non mi interessano i consigli (chiamiamoli così, va) e le ‘timidezze’ (chiamiamole così, va) di qualcuno. Abbiamo troppe cose da fare, progetti da realizzare, curiosità da soddisfare e storie da raccontare per perdere un secondo di più di quelli che servono per scrivere questo post.

Don Ennio, i maiali sono loro

Vittima degli atti intimidatori è un prete, don Ennio Stamile. Un parroco che negli anni non s’è mai sottratto al suo dovere morale di combattere la criminalità, in un paese dove la ‘ndrangheta esiste e non si nasconde. Don Ennio per un periodo è stato anche presidente dell’Osservatorio sulla Legalità, e ha promosso numerose iniziative di sensibilizzazione, cercando di coinvolgere soprattutto i giovani. Lui, come Paolo Borsellino, è convinto che la lotta alla mafia sia soprattutto un fenomeno culturale. E anche per questo nelle sue omelie sa alzare la voce, quando serve. Lo aveva fatto nelle ultime settimane, ad esempio, perché a Cetraro è tornata quell’aria pesante che si respirava negli anni Ottanta. Erano gli anni in cui un consigliere comunale del Pci di nome Giannino Losardo denunciava l’avanzare incontrastato della ‘ndrangheta sul territorio. Lo freddarono, il primo giorno dell’estate 1980. Erano anni bui, di faide e paure, in cui l’omertà la faceva da padrona. Per questo nelle sue ultime prediche, don Ennio, aveva esortato i fedeli a denunciare a non essere omertosi. Un messaggio che non deve essere piaciuto a tutti. Tanto che una settimana fa ignoti gli avevano sfregiato l’automobile. Proprio dopo questo episodio l’uomo aveva ribadito con forza il suo impegno per la legalità e la sua preoccupazione per la recrudescenza del crimine in paese. Poi due sere fa, tornando a casa da un incontro con un’associazione, don Ennio ha trovato sul pianerottolo una testa di maiale mozzata. In bocca un pezzo di stoffa, come un bavaglio. Qualcuno vuole che don Ennio taccia.

LA STAMPA: 3 domande a Giulio Cavalli

LA STAMPA intervista Giulio Cavalli sul rapporto di Avviso Pubblico “Amministratori sotto tiro”

«Infiltrazioni anche al Nord ma c’è paura a denunciarle» 3 domande a Giulio Cavalli, attore, scrittore e consigliere regionale lombardo

MARCO BRESOLIN

MILANO

Nemmeno un atto intimidatorio verso gli amministratori lombardi o piemontesi. Eppure le infiltrazioni mafiose al Nord ci sono. Una situazione che l’attore e scrittore milanese Giulio Cavalli conosce molto bene. Consigliere regionale dal 2010, al Pirellone va con la scorta a causa delle numerose minacce subite.

È possibile che al Nord nessun politico locale sia mai stato minacciato?

«Se un fatto non viene denunciato non è detto che non si sia mai verificato. E in Lombardia c’è molta paura a denunciare. Ci si sente soli».

Oppure i criminali non hanno bisogno di arrivare ad atti intimidatori per «convincere» i loro interlocutori politici …

«Chiaro, la minaccia è l’ultima di una serie di pressioni politiche o di ritorsioni economiche. A volte, magari, basta una stretta di mano …»

Da questo punto di vista. qual è la differenza tra gli amministratori del Nord e quelli del Sud?

«Al Sud è più netta la distinzione tra chi sta di qua e chi sta di là. Al Nord c’è meno voglia di prendere una posizione. C’è una zona grigia in cui è molto facile infiltrarsi. Anche perché quelle che dovrebbero essere le sentinelle ci hanno sempre tranquillizzato con un negazionismo bugiardo».

LA STAMPA Data 12-12-2011 Pagina 10 

Io sono Pino Maniaci

“Viva la mafia, Pino Telejato sei lo schifo della terra”, “Maniaci sei un figlio di puttana” e una bara disegnata accanto.

Scritte sui muri di Partinico. Lo racconta entrando nel cuore Pietro Orsatti e lo raccontano le agenzie di stampa. Ed è la notizia che arriva da Partinico e ciclicamente si ripete. E ciclicamente noi gli vogliamo stare vicini. Perché se non avessi avuto l’onore di conoscere Pino forse oggi io fare un altro mestiere.

In un’intervista di ieri Pino ci insegna: “Io dico sempre che la mia scorta migliore sono i cittadini onesti di Partinico”. Io dico che la scorta migliore di Pino sono tutti i cittadini onesti, anche fuori da Partinico. Tutti quelli che per Pino non si stancheranno mai di alzare la voce.

Intanto potete visitare il sito della sua emittente televisiva Telejato (per annusare un po’ di sano giornalismo non servile) e non lasciarlo sentire solo. Perchè le minacce sono sui muri ma la sua battaglia è nella gente. E non si è mai vista la gente arrendersi ai muri.

Intanto rileggevo il mio post di ‘qualche minaccia fa’ e lo rimetto qui. Identico. A testa alta come Pino.

Pino è un Don Quijote  ma i mulini sono cambiati come cambiano i tempi: hanno facce, mani, testa, voce, ferro in tasca, soldi in borsa e avvocati. avvocati bravi, pagati bene. Il mulino che gli è rimasto più di traverso è la Distilleria Bertolino: una distilleria che inquina come vomito di Polifemo sopra Partinico.

Pino è come il calcare, ostinato fino ad indurirsi tanto da fargli male. Di quelli che sorseggiano il gusto di “battersi” come all’inizio di un aperitivo che probabilmente finirà male. Pino appena fuori dal cancello della Bertolino, a fotografarlo dall’alto, è piccolo come un tombino.

Pino è un rubinetto rotto: lavora per erosione, ai fianchi e alle spalle con una televisione larga come un cesso ma che suona martellate di artigianato fino e continuo.

Pino è un immoderabile: nel dubbio getta l’amo ma sempre con la sua faccia in mano.

Pino è la zucca di Cenerentola: si veste sguincio da cerimonia ma non si appiattisce al diktat del valzer della moderocrazìa.

Pino è mezzo nei guai, per una condanna che aggiunta alle altre lo fa arrivare lungo. Ma nei guai ci nuota bene. Perché a mare ci buttiamo in tanti che, poco poco, organizziamo un quadrangolare di pallanuoto.

Perché a raccogliere palle in rete ci abbiamo fatto il callo, ma siamo forti nel contropiede.