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Messianismo, ancora

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi inizia oggi il suo giro di consultazioni. Le premesse non sono facili e questo è un punto politico, ci torneremo, ma ciò che conta che ad oggi Draghi l’abbiamo visto arrivare ai vari incontri istituzionali (i presidenti della Camera e del Senato e il presidente del Consiglio uscente), l’abbiamo ascoltato per qualche manciata di secondi in conferenza stampa mentre comunicava di accettare l’incarico con riserva e ne abbiamo potuto osservare l’eleganza del completo e la fulminante capacità di indossare correttamente la mascherina sopra al naso. Oggi inizierà a “fare politica”, oggi.

Eppure fin dalle prime ore di ieri mattina in Italia è scoppiato il messianismo e ancora una volta abbiamo assistito allo sport preferito di certa classe dirigente e di certo mondo dell’informazione: genuflettersi al prossimo leader, anche se ancora con riserva, e affidare a lui tutti i nostri vizi e le nostre fobie come se fosse uno psicoterapeuta e soprattutto comportarsi nel modo che abbiamo sempre criticato ai nostri avversari. Quelli che volevano il programma stampato con tutte le specifiche e i progetti declinati in centinaia di pagine ieri sono diventati barzotti per pochi secondi di discorso di circostanza: “ha sorriso!”, dicono, e in quel sorriso ci stanno infilando in queste ore tutto un ripieno di considerazioni politiche e finanche antropologiche, perfino il fatto che Draghi abbia sbagliato il lato dell’uscita dopo l’incontro con i giornalisti è diventato “un errore che lo rende più umano” come ha avuto il coraggio di scrivere qualcuno. Se fosse stato un avversario politico fino a due giorni fa ci avrebbero fatto un meme con una bella frase da sfottò. Poi ci sono quelli che per mesi ci hanno detto che “contano i fatti” e invece ora strepitano sul fatto che non dare la fiducia a Draghi sarebbe un sacrilegio: non si sa ancora un’idea che sia una di come Draghi abbia intenzione di portarci fuori dalla palude, sono gli stessi che ripetevano il ritornello del “contano le idee non le persone” e oggi si sono inzerbinati alle persone. Perché in fondo ciò che conta è l’atavica e feroce pulsione di gioire nella speranza della sparizione degli avversari, solo quella, solo per quello, un movimento di stomaco come il populismo che dicono di combattere.

In mancanza di temi veri la stampa ieri ha intervistato un centinaio di compagni di classe di Mario Draghi, un autorevole quotidiano che vorrebbe darci lezioni di giornalismo misurato ha scritto un lungo articolo su Mario “alunno brillante che non rinunciava alle battaglie con i cannoli e agli assalti ai prof con le pistole a riso”, Giancarlo Magalli è diventato un testimonial d’eccezione (come Salvini quando riporta le parole di Red Ronnie sul Recovery Fund), ovviamente ci si è buttati a pesce sulla moglie come curioso oggetto ornamentale da raccontare in tutti i suoi angoli d’osservazione. Agiografie dappertutto come se piovesse. Occhi puntati sui mercati come se fossero i giudici supremi della politica (perché è così che piace a molti di loro). Le agenzie di stampa battono convulse: “#Governo, look istituzionale per #Draghi”. Se lo aspettavano in braghette corte e anello al naso, probabilmente. Evviva, evviva. Dovremmo essere felici perché Draghi ha intenzione di relazionarsi con “rispetto” al Parlamento, evviva evviva. Anzi i più sfegatati invitano addirittura Draghi a “spazzare via tutti gli incompetenti in Parlamento”, qualcuno dice che dovrebbe “metterli a cuccia” e dire “faccio io”. Un delirio di incompetenza politica e di miseria istituzionale di un popolo perdutamente innamorato dell’uomo solo al comando, quello che da solo dovrebbe salvare l’Italia e che poi nel caso torna utilissimo da odiare in fretta e furia. Quelli che contestavano i “pieni poteri” che reclamava Salvini oggi vorrebbero un DPCM per affidare “pieni poteri” a Draghi: l’uomo forte al comando è un’idea che ha sempre germi che non portano a nulla di buono. 

Solo che oggi si comincia a fare sul serio e torna in campo il Parlamento, la politica, i partiti. Il primo capolavoro è avere resuscitato Salvini che era scomparso e ora è l’ago della bilancia. Non mi pare davvero una buona notizia. Anche questa volta la possibilità che si possa lavorare per ricostruire un centrosinistra seppur sgangherato sembra andare in frantumi, sarà per la prossima. C’è da trovare una maggioranza in Parlamento con quello che c’è e quel Parlamento è l’espressione democratica di quello che siamo noi. Ora siamo alla luna di miele ma quando ci sarà da parlare di soldi finirà questa tregua fatata e si ricomincerà di nuovo. È un moto circolare: ieri era l’ora dell’inno a Renzi che ci ha liberato da Conte, che ci aveva liberato da Salvini, che ci aveva liberato da Gentiloni, che ci aveva liberato di Renzi. Sempre con la soddisfazione bassa di avere eliminato qualcuno. E vorrebbero essere costruttori.

Ah, per i tifosi che leggono senza intendere: questo non è un articolo di critica preventiva verso Draghi di cui, vale la pena ripetere, al momento non conosciamo le proposte. Questo è un articolo per un pezzo di mondo che chiede “serietà” agli avversari e poi infantilmente tratta la politica come un reality show, anche senza Casalino.

Buon giovedì.

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Primule e Arcuri

Nel bando per la realizzazione dei padiglioni a forma di primula pensati per la campagna di vaccinazione ci sono alcuni punti che sollevano critiche. Siamo sicuri di avere preso una decisione che abbia un senso e che risulti vantaggiosa?

Ve li ricordate i padiglioni a forma di primula che il prode turbocommissario Arcuri ha pensato per la campagna vaccinale contro la pandemia? Bene, ci siamo. Martedì 20 gennaio è stato pubblicato il bando per la realizzazione e ci sono alcuni punti interessanti da analizzare. Perché forse sarebbe il caso di essere curiosi prima per poi non pagare lo scotto dopo.

Una delle critiche più argomentate e che vale la pena riprendere è quella di Carlo Quintelli, docente di Ingegneria e architettura all’università degli studi di Parma, che in un post su Facebook ha analizzato tutti i dettagli del bando. Ripassiamoli. Scrive Quintelli:

«Il padiglione misura 315 mq e per realizzarne, trasportarne, allestirne 21 chiavi in mano arredi compresi in diverse parti d’Italia si danno 30 gg di tempo! E dove si richiede la riparazione degli impianti con intervento entro 30 minuti dalla chiamata! (da sottoporre all’attenzione della ricerca in logistica del Pentagono o di Amazon!). Delle due l’una verrebbe da pensare: o chi ha redatto il bando è totalmente ingenuo ed estraneo al settore o qualcuno ha già pronto tutto da inizio dicembre. Oppure succede come con i banchi per le scuole che sono andati quasi tutti fuori tempo di consegna contrattuale (e le penali?)». E in effetti verrebbe da chiedersi perché insistere pubblicando bandi che si sa che non possono essere rispettati per poi slittare il tutto. Almeno che non ci sia, anche dalle parti di un ruolo tecnico come è quello di Arcuri, troppa attenzione alla propaganda.

Poi, scrive Quintelli: «Il costo massimo è pari ad euro 1.300/mq + Iva ergo se Arcuri si limita ai 21 padiglioni (dimostrativi? sperimentali? promozionali? di fatto inutili ai fini della campagna vaccinale) staremo tra gli 8 e i 9 milioni di euro, ma se in un delirio di onnipotenza ne ordina 1.200 ci portiamo attorno al mezzo miliardo di euro (di soldi nostri)». Per avere un’idea dei costi, osserva Quintelli: «Ognuno di questi padiglioni potrà avere un costo massimo di euro 400.000 (+/- 20%) e a questa modica cifra è in grado di effettuare 6 vaccinazioni alla volta per la durata, compresa anamnesi, di 10/15 minuti a seconda dei soggetti. Ma diciamo pure 12 minuti per 6 postazioni = 30 vaccinazioni/ora per 10 ore = 300 x 90 gg (tre mesi), senza mancare un turno e con efficienza tayloristica, si vaccinano 27.000 persone, un piccolo centro da 30.000 abitanti, spendendo “solo” 10 volte tanto rispetto a un punto vaccini di analoga portata nella sala civica, in quella parrocchiale, nella palestra, sotto la tenda degli alpini e via dicendo…Per un centro da 100.000 abitanti il padiglione da quasi mezzo milione di euro li vaccina tutti ma gli ci vuole un anno (slow vaccination). La soluzione? Se ne acquistano tre, posizionati in tre diverse piazze e risolviamo spendendo la modica cifra di un milione e mezzo di euro. Ora capite perché il Commissario si riserva di ordinarne 1.200 se si pensa che abbiamo 103 città con più di 60.000 abitanti e diverse da oltre 200.000 più Roma e Milano. Che dire…capisco sempre di più le perplessità di certi paesi nel concederci il credito europeo».

E gli spazi? Ecco qua. Lo spiega Quintelli: «In ogni caso l’architettura è un’arte (tecne) dove la ratio è messa alla prova e allora non si spiegano quelle 16 persone in un’area di attesa di circa 40mq che funge anche da ingresso/uscita (non separate!), punto reception, disimpegno ai corridoi, dove tutti incrociano tutti ecc. ecc. Uno spazio oltretutto alto solo 2.70 (di tipo domestico) con volumi d’aria limitati e che andrà fortemente depressurizzato (con quali effetti?). Speriamo bene che non faccia da area di contaminazione….è stato certificata da qualcuno? Il resto degli ambienti è da sommergibile, 2,60 mt di profondità degli spazi per anamnesi e vaccinazione (idonei si dice a 4 persone tra operatori e pazienti/accompagnatori), corridoi da 1,40 mt, “sala attrezzata per reazioni avverse” da circa 9 mq (speriamo di non averne bisogno…) e dulcis in fundo, con una media di 50 persone sempre presenti nella primula, due soli bagni per i pazienti ed uno (evidentemente unisex) per gli operatori (confidiamo nei bar dei dintorni, se in zona gialla)».

Ora la domanda è una sola: siamo sicuri di avere preso una decisione che abbia un senso e che risulti vantaggiosa? Abbiamo il diritto di sapere? O come sempre aspettiamo la prossima conferenza stampa per sentire Arcuri non rispondere sul punto? Anche perché le vaccinazioni impattano sulla nostra vita molto di più delle beghe su cui si stanno sprecando tutti gli editoriali.

Buon giovedì.

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E gli amichetti di Trump?

Meloni e Salvini (e non solo loro) fischiettano facendo finta di niente, come se quello che è avvenuto negli Usa sia qualcosa che non li riguardi

Il giorno dopo l’assalto al Congresso Usa qui da noi si è assistito a un teatrino desolante ma significativo. Qualcosa che va raccontato perché se è vero che le violenze hanno un nome e un cognome, Donald Trump che istigato, lisciato e perfino ringraziato i manifestanti, è anche vero che gli amichetti di Trump, quelli che per 4 anni hanno fatto finta di non vedere questo tragico intercedere dello svilimento della democrazia che si professa la “più importante del mondo” sono desolanti nella loro vergogna.

Gli amichetti italiani di Trump fischiettano facendo finta di niente e intercedono come se quello che sia avvenuto negli Usa sia qualcosa che non li riguardi, sorridono alle telecamere parlando il più genericamente possibile e sperano di non essere visti mentre si infilano la testa sotto la sabbia.

Partiamo da un presupposto: gli accadimenti americani sono figli di un presidente che prima ha usato la rabbia e la violenza per racimolare voti, poi ha alimentato la rabbia e la violenza con un linguaggio e dei comportamenti della stessa pasta e rilanciando notizie false, poi l’ha condonata quando sono accaduti episodi condannabili nel suo Paese da parte dei suoi sostenitori, poi l’ha legittimata inventandosi nemici per giustificare i propri limiti di governo e infine l’ha istituzionalizzata cianciando di elezioni truccate senza nemmeno riuscire a raccogliere uno straccio di prova a supporto della sua tesi. Quelli hanno occupato i palazzi delle istituzioni perché si sentono loro stessi “istituzioni” sotto assedio. Era immaginabile che finisse così.

Ma in Italia? Giorgia Meloni lo scorso gennaio a proposito di Trump diceva che fosse «la ricetta che vogliamo portare in Italia». Ora che dice, al di là di quattro tweet sputati di circostanza in cui condanna la violenza dimenticandosi di nominare il violento? Matteo Salvini che diceva lo scorso 5 novembre «ha ragione Trump a chiedere controllino voto per voto, seggio per seggio e non escludo nulla. Vedrete che potranno esserci sorprese», che dice delle sorprese che ci sono state? Lui che diceva «vigileremo» che dice? Ma attenzione, non si tratta solo dei destrorsi che a Trump si rifanno in tutto e per tutto da anni. Che dice Di Battista, grande fan di Trump piuttosto che di «quelli golpista di Obama», come ebbe a dire? Davvero il presidente del consiglio Conte non riesce a infilare il nome di Trump nei suoi comunicati di preoccupazione? Vi ricordate Beppe Grillo che diceva che Trump e il M5s avessero “delle similitudini” celebrando l’elezione di Trump a presidente?

La leadership si misura anche nella capacità di fare i nomi e i cognomi. Non è difficile. «Trump ha responsabilità in quanto accaduto» ha detto ieri la Merkel. Perfino il presidente della Ligura Toti e il braccio destro di Giorgia Meloni ci sono riusciti. Dai, sforzatevi, su.

Buon venerdì.

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Le carceri diventano un vero e proprio inferno: detenuti contagiati e infreddoliti

La seconda ondata del virus si abbatte violenta sulle carceri e rende ancora più difficile la vita della popolazione carceraria registrando il cronico sovraffollamento oltre i limiti di guardia, un pesante aumento di positivi al Covid rispetto alla prima ondata e nuove misure coercitive ancora più stringenti in nome della sicurezza sanitaria mentre scompaiono del tutto le occasioni di socializzazione e vengono a mancare i servizi sanitari che da sempre sono affidati ai volontari, diminuiti drasticamente in questi mesi.

È il quadro drammatico che emerge da un documento elaborato dagli operatori dell’area Carcere della Caritas Ambrosiana sulla situazione degli istituti penitenziari di San Vittore, di Bollate e di Opera in Lombardia.

Secondo fonti della Caritas nei tre istituti sarebbero almeno 260 i positivi tra detenuti e lavoratori con una percentuale del 7,7% della popolazione carceraria. Numeri molto più alti di quelli della prima ondata e che solo in parte può essere spiegata con i trasferimenti delle persone contagiate dagli altri istituti della regione nei due Covid Hub allestiti nel frattempo a Bollate e San Vittore. Il tutto, ovviamente, a fronte di un sovraffollamento che conta 3.400 detenuti presenti con una capienza teorica di 2.923 posti. Nonostante la popolazione carcerari sia diminuita dell’8% rispetto a quella registrata l’inizio dell’anno la riorganizzazione degli spazi legata alla necessità di predisporre reparti sanitari per gli ammalati e per l’isolamento dei detenuti positivi al Covid-19 ha costretto molti reclusi a essere trasferiti in altri reparti e a condividere le proprie celle con più persone rispetto alla loro situazione precedente, soffiando su una tensione ormai sedimentata da mesi.

Ma la condizione di sovraffollamento è resa ancora più intollerabile dalla chiusura dei reparti, dei piani e in diversi casi anche delle celle. Nel suo documento la Caritas denuncia che soprattutto nel carcere di San Vittore c’è stata una significativa rinuncia all’applicazione della sorveglianza dinamica che prevedeva nei reparti di media e di bassa sicurezza che le celle restassero aperte almeno negli orari diurni migliorando sensibilmente la vivibilità degli istituti. Le occasioni di socialità hanno subito una brusca frenata anche a causa della chiusura di gran parte delle attività lavorative, delle attività culturali e ricreative e delle occasioni di sostegno psicologico e sociale che nei tre penitenziari erano garantite dalla presenza di operatori esterni all’amministrazione penitenziaria e di volontari. «Le attività scolastiche sono ferme e non è, a oggi, stata attivata alcuna forma di didattica a distanza, le attività trattamentali sono ridotte al lumicino», scrive la Caritas nel suo rapporto.

È un girone infernale: la mancata presenza di volontari ha influito pesantemente anche sulla distribuzione di indumenti e di prodotto per l’igiene personale (che l’amministrazione penitenziaria non riesce a garantire nemmeno nella misura prevista dalla legge). A farne le spese ovviamente sono i detenuti più indigenti e più fragili. A San Vittore ci sono detenuti che non hanno nemmeno abiti adatti per proteggersi dal freddo invernale. Persino l’accesso degli avvocati è fortemente limitato e l’impossibilità di svolgere i colloqui con i propri famigliari è resa ancora più intollerabile dalla limitazione (e in alcuni casi addirittura la sospensione) di poter ricevere i pacchi con indumenti, prodotti alimentari e altri beni. «Nonostante siano chiare – scrive la Caritas Ambrosiana – le esigenze sanitarie che, in carcere come fuori, suggeriscono di limitare le occasioni di contatto interpersonale, quel che più preoccupa è il protrarsi della durata di questo regime d’eccezione, con il blocco proprio di quelle attività che più di tutte assolvevano alla funzione rieducativa della pena stabilita dalla Costituzione e che dunque sono indispensabili per un corretto funzionamento del sistema penitenziario». Si attende che il ministro batta un colpo.

L’articolo Le carceri diventano un vero e proprio inferno: detenuti contagiati e infreddoliti proviene da Il Riformista.

Fonte

Qualcuno morirà, pazienza

La frase choc del presidente di Confindustria Macerata, secondo cui l’economia viene prima della vita delle persone, indica senza i soliti giri di parole ciò che pensa una buona fetta dell’imprenditoria italiana

Intervenendo all’evento “Made for Italy per la moda” l’imprenditore e presidente di Confindustria Macerata Domenico Guzzini ha detto, in uno stentato italiano: «Ci aspetta un Natale molto magro, stanno pensando di restringere ulteriormente. Questo significa andare a bloccare un retail che si stava rialzando per la seconda volta dalla crisi e lo stanno mettendo nuovamente in ginocchio. Io penso che le persone sono un po’ stanche e vorrebbero venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza. Così diventa una situazione impossibile, impossibile per tutti».

Insomma, se muore qualcuno, pazienza, dice Guzzini, riuscendo nella mirabile impresa di dire piatto piatto, senza i soliti giri di parole e senza troppe edulcorazioni quello che pensa una buona fetta dell’imprenditoria italiana. Tra salute e profitto il profitto vince, il profitto interessa, il profitto conta.

Inquietante anche il tentativo di difesa di Claudio Schiavoni, presidente di Confindustria Marche che dice testualmente: «Non scuso le affermazioni di Guzzini, ma dico che oggi anche gli imprenditori sono sotto stress perché, comunque, stiamo portando avanti la carretta, stiamo facendo di tutto e di più per tenere in piedi le nostre aziende e quindi, ripeto, non giustificando queste parole, dico che in momenti di tensione si possono anche dire cose che uno non pensa, magari anche preso dalla foga o inserito in un altro discorso». In sostanza questi imprenditori, poveretti, si fanno prendere dalla foga e inciampano sui morti. C’è da capirli, eh.

Ma alla domanda “come siamo potuti arrivare fino a qui?” c’è una risposta semplice semplice: accettando anche solo di mettere sullo stesso piano salute e profitto, perdendo il senso dell’indecenza di fronte a chiunque usi questa bilancia. Come se avessimo perso il senso della misura. E così nel momento in cui abbiamo accettato la contrapposizione tra le due cose abbiamo sdoganato le vittime collaterali del fatturato, quelli che in questi mesi sono andati in fabbrica, sui mezzi pubblici, nei supermercati. Abbiamo accettato che ci fossero vittime collaterali. Non è mostruoso?

Accade da anni e noi non siamo ancora riusciti a mettere in discussione il nocciolo del discorso. Che è un nocciolo sbagliato. E ci convincono che debba per forza andare così.

Buon mercoledì.

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Sorvegliata specialmente: Eddi Marcucci

Da marzo l’ex combattente nel conflitto dei curdi contro l’Isis è sottoposta a sorveglianza speciale. Con motivazioni inconsistenti e in virtù di una norma di dubbia costituzionalità

Siamo quasi a dicembre e Eddi Marcucci, 29 anni, continua a essere sottoposta a sorveglianza speciale dal mese di marzo. La “colpa” di Eddi (qui intervistata proprio sulle pagine di Left) è quella di avere combattuto per nove mesi nella battaglia dei curdi contro l’Isis, una guerra che sarebbe spettata a noi e che invece è stata celebrata nelle fasi iniziali e poi volutamente, consenzientemente dimenticata se non addirittura condannata. Eddi è partita nel 2017 per il Rojava con lo scopo di affiancare gli Ypj curde contro gli islamisti che controllavano il Nord della Siria.

Secondo il tribunale di Torino l’essere addestrata all’uso delle armi sarebbe un potenziale pericolo, non si sa bene per chi, e per questo le è stato ritirato il passaporto, ritirata la patente, imposto di stare nella sua abitazione dalle 21 alle 7 ed è obbligata a comunicare tutti i propri spostamenti. Entro Natale la Corte d’appello di Torino deciderà sul ricorso presentato da Marcucci contro la sorveglianza speciale. Le erano anche stati negati i social che ieri sono stati riattivati. Nessuna spiegazione sul perché siano stati tolti e nessuna spiegazione perché ora siano tornati indietro. Niente.

La sorveglianza speciale (eredità dei regi decreti dell’epoca fascista, quando veniva usata come strumento di repressione) è una misura che non viene presa come reazione a un reato commesso ma al fine di prevenire eventuali reati. Si basa sostanzialmente su una serie di indizi sul possibile reato senza nessun riscontro, rimanendo nel campo delle ipotesi. Si pongono ovviamente anche dei dubbi costituzionali su una misura così arbitraria (lo ha sottolineato anche nel 2017 la Corte europea dei diritti umani) che intacca la presunzione di innocenza e che comporta comunque afflizione. Sulla vicenda tra l’altro c’è un gran bel libro edito da People (Dove sei?) scritto da Roberta Lena, madre di Eddi.

Tra le limitazioni c’è anche il divieto di parlare in pubblico e di fare politica: in sostanza non può raccontare la propria storia e quello che le sta accadendo. Per questo vale la pena raccontarla. E per questo sarebbe il caso di sapere quali sarebbero gli “indizi” di questa misura così straordinaria. Anche perché se si tratta solo dell’essere stata addestrata a maneggiare armi allora ci sarebbe qualche milione di persone con un servizio militare alle spalle che andrebbero sorvegliati, subito, qui da noi. No?

Buon venerdì.

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Berlusconi, ancora, torna

Piccoli segnali di un riavvicinamento che continua a essere nell’aria: il provvedimento salva Mediaset è un emendamento confezionato su misura per l’azienda di Silvio Berlusconi, proprio come ai bei (brutti) tempi in cui l’azienda del leader di Forza Italia e il suo destino giudiziario erano il centro di tutta l’attività politica. L’ha firmata la senatrice del Pd Valeria Valente e poi quando è scoppiata la vicenda (poco, a dire la verità) il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli (badate bene, uno di quei grillini che Berlusconi lo vedevano come fumo negli occhi) ha dovuto ammettere di avere scritto lui la norma, anche se ha scaricato parte della “colpa” sul ministero dell’Economia guidato da Roberto Gualtieri. In sostanza lo scopo è quello di neutralizzare i voti di Vivendi, la holding azionista di Mediaset, per non disturbare la strategia aziendale della famiglia Berlusconi. Ben fatto.

Lui, Silvio, gioca a fare il moderato (e gli viene facile, di fianco a Meloni e Salvini) e punta all’empatia come ai vecchi tempi. Se notate nessuno ci dice che potrebbe essere “utile”, vorrebbero farci credere che sia diventato “inoffensivo” come se questo bastasse a cancellare tutti i disastri contro la democrazia che ci ha lasciato nei suoi anni di attivismo politico. È un moto basato su una sorta di “perdono” e che serve soprattutto ad avere i senatori che permettano di essere tranquilli con i numeri e aprire la trattativa sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Che nel bel mezzo dei morti, dei danni di certo populismo, della fame che attanaglia le persone, dell’incertezza, dei soldi che mancano per arrivare a fine mese, dei lavoratori che faticano a poter immaginare il proprio futuro, del paternalismo a quintali che ci viene riversato ogni giorno, si giochi per riavviarsi a Berlusconi curando gli interessi della sua azienda è qualcosa che avrebbe fatto strepitare gli strepitanti a lungo. Solo che in questo caso gli strepitanti sono suoi alleati e quindi si rimettono a cuccia mentre gli altri sono al governo. E Berlusconi, ancora, ritorna.

Buon lunedì.

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L’ultimo stadio del populismo: il risultato non ci piace? Ci inventiamo brogli e cancelliamo la democrazia

Il bamboccione, il vero bamboccione, è quel ragazzo attempato che guida una superpotenza mondiale e ieri è riuscito nella mirabile impresa di svolgere la peggiore conferenza stampa di questi ultimi anni in una cosiddetta democrazia. Il ragionamento di Trump, come tutti i ragionamenti semplici di chi è incapace di affrontare la complessità, è basico e feroce, come quello dei bamboccioni, e si srotola tutto nel ritenere il potere un proprietà privata che contiene tutto: presidenza, favor di popolo e persino la democrazia e tutti i suoi meccanismi.

I nuovi populisti, che ci auguriamo vengano spazzati via presto se basta un Biden per spodestarli, sono dalla parte del popolo solo se il popolo è dalla loro parte poiché si riempiono la parola della parola “patria”, ma l’unica patria che riconoscono sono loro stessi, perfino i propri elettori sono semplicemente un ingrediente fastidioso e detestabile che serve solo per raggiungere lo scopo. E così Trump che ci parla di “brogli alle elezioni” senza uno straccio di prova e che legge come voti utili solo i voti che riguardano se stesso sono l’ultimo stadio del populismo che ci ha infettato tutti, da parecchi anni, e che passa dalle più disparate e screanzate teorie che permettono di restare a galla (o di illudersi di restare a galla come nel caso di Trump) senza nemmeno assumersi l’onere della prova.

Trump sta disfacendo la credibilità degli Usa nel mondo senza nessun senso di responsabilità nei confronti dell’onore del suo Paese, quell’onore di cui si è riempito la bocca per tutti questi anni fingendo di parlare di Usa quando in fondo era solo una proiezione della propria identità. E siccome sono personaggi fragili, fragilissimi, riescono a misurarsi solo con la ricchezza e con il potere che hanno conquistato senza mai riuscire a fare i conti con un’eventuale sconfitta.

Un presidente Usa che viene perfino censurato dagli algoritmi social per le sue strampalate teorie senza né capo né coda è un bamboccione che ha già perso, è quello che grida dall’ultimo banco per farsi notare, è quello che dice “la palla è mia ora non si gioca più”, solo che lo fa nelle vesti di presidente di una superpotenza mondiale. Trump ha a disposizione tutti i mezzi per verificare e per raccontarci la regolarità delle elezioni: lo faccia, indaghi, porti i numeri, presenti i fatti. Ma no, non accadrà perché questi sono solo la loro narrazione, in sostanza non esistono e quando la narrazione si incaglia sanno solo svoltolare. Come bamboccioni.

Leggi anche: 1. Il golpe mediatico (con fanfara) di Trump / 2. Altro che trionfo di Biden. Ancora una volta sondaggi e opinionisti hanno toppato alla grande / 3. “Il voto in Usa ci dice che Trump non è un fenomeno passeggero”

ELEZIONI USA 2020: I REPORTAGE DI PIETRO GUASTAMACCHIA PER TPI DAGLI USA

  1. Viaggio nel Bronx: “Io, repubblicano italo-irlandese, voglio sconfiggere Ocasio-Cortez e il suo socialismo”
  2. “La polizia ci spara addosso, l’America capitalista ci sfrutta. Ora noi neri spacchiamo tutto”: reportage da Philadelphia
  3. Elezioni Usa, viaggio in Pennsylvania: “Qui ci si gioca tutto. Se Biden vince, sarà presidente”

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La nemesi di Salvini: quello che mangia in diretta tv contestato anche dai ristoratori

 

 

L’errore sta nel ritenerlo un politico, che ragiona da politico, che agisce da politico, mentre Matteo Salvini è solo un influencer, che infila delle serie ragguardevoli di stecche, che annusa il vento e che immagina la sua posizione semplicemente all’opposto rispetto alle decisioni del governo. Come se fare opposizione sia sbattere i piedi, dire no no no e ripetere che il pallone è suo e che alla fine non si gioca, se non si gioca come dice lui.

Così accade che, se lo spazio vuoto diventa quello dei No Mask o dei negazionisti, lui ci si butta subito dentro, analizzando i logaritmi dei social e proponendosi come padre adottivo di temi che infiammano la rete. Non è nemmeno un influencer, a pensarci bene, nemmeno quello: un influencer piazza un prodotto e invece Salvini non ha nemmeno il prodotto. Semplicemente cavalca qualcosa che già c’è sotto traccia e ci si siede sopra per covarlo con l’ambizione di rappresentarlo.

Così si ritrova, confidando nella memoria breve dei suoi elettori, a dire nel giro di qualche ora che non ci sarà nessuna seconda ondata e, quando l’ondata del virus arriva, cambia rotta accusando gli altri di essere irresponsabili, quella stessa irresponsabilità che ha vomitato per mesi. Un marchettaro dalle mille facce che, non avendo idea, deve per forza fotografarsi con i prodotti e con le idee degli altri fingendo che siano sue, come un avvoltoio sempre pronto a fiutare qualche nuovo malcontento per cavalcarlo senza nessun senso di responsabilità.

E le sue figuracce si moltiplicano, a dismisura. Negli ultimi giorni qualcuno sperava che almeno si nascondesse, che chiedesse scusa, che guardasse i numeri della “sua” Lombardia e che ci spiegasse per bene cosa stia avvenendo. E invece eccolo qui, ancora, che prova a dare lezioni mentre sta accadendo per l’ennesima volta l’esatto contrario di quello che aveva previsto.

Ma la parabola di Salvini si potrebbe spiegare con il suo rapporto con il cibo, quello è un manifesto perfetto: ha cominciato fotografando cibo tutti i giorni, si è fatto immortalare mentre sbaffava cibi italiani in nome del  patriottismo culinario e ieri, nel Paese dei cuochi, è riuscito perfino a farsi cacciare dai ristoratori.

Immaginate una Ferragni che viene rincorsa mentre le lanciano dietro le sue scarpe: potrebbe accadere? No, a un influencer no, ma a Salvini sì. E non se ne vergogna nemmeno un po’. Ma, in fondo, i cuochi che cacciano l’aspirante food blogger è l’ennesima fotografia di quello che Salvini vale.

Leggi anche: 1. Salvini contestato in piazza dai ristoratori: “Buffone, vai via!” | VIDEO / 2. Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura (di G. Cavalli) / 3. Mentre a Catania la terra torna a tremare Matteo Salvini pubblica un selfie in cui mangia pane e Nutella

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