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A Salvini è stato impedito di tenere un comizio? No, è lui che ha provocato i contestatori

Ieri c’è stata una mezza apparizione di Matteo Salvini a Mondragone, contestato da praticamente tutti tranne quelli che ha chirurgicamente ripreso mentre chiedevano un selfie per intossicare la narrazione della giornata, e Roberto Giachetti, deputato di Italia Viva sempre pronto a trollare per farsi notare, ha scritto sul suo Twitter: “Sarà un ciarlatano, un provocatore, un cazzaro. Ma non esiste al mondo che in un paese democratico ad un esponente politico (per di più il segretario del maggiore partito italiano) venga impedito di fare un’iniziativa politica”.

Curioso come San Tommaso sono andato a cercarmi i video che riprendono il comizio di Matteo Salvini per capire cosa possa essere successo perché il leader della Lega sia addirittura stato costretto a interrompere il suo comizio. È un’esperienza rivelatrice, provateci anche voi. Partiamo dal presupposto che su Mondragone si sta vivendo l’esplosione di una difficoltà endemica che parte dal lontano, semplicemente appuntita dalla pandemia e che fa rima con la povertà di molti abitanti e con le disastrose situazioni lavorative. A Mondragone si è accesa una guerra tra disperazione e andare a lucrare sul contesto per farsi notare è di per sé una bassa provocazione: a Mondragone i politici, tutti i politici, dovrebbero andarci per chiedere scusa e poi dovrebbero semplicemente fare, nei luoghi preposti, fare.

Matteo Salvini invece è arrivato a Mondragone con il suo solito copione di chi elogia le bellezze italiane senza dare sensazione di conoscerne i problemi e ha cominciato a accendere gli animi contro “i rom” (riferendosi alle famiglie di bulgari sfruttati da italianissimi imprenditori delle campagna casertane) e ha poi risposto alle contestazioni (che sono legittime, in democrazia) prima con le offese (“balordi”, “gente da centri sociali”) e poi addirittura invitandoli a lanciare ancora più acqua verso di lui (“così mi rinfresco che fa caldo”) finendo addirittura per accusare i contestatori di essere contigui alla camorra.

Vale la pena vedere un leader di partito comportarsi come un semplice provocatore. Vale la pena vedere le forze dell’ordine caricare su gente che alza le braccia e fa segno di allontanarsi volontariamente. Vale la pena mettere a confronto la serietà con cui si approccia la politica con la muscolosità di chi cerca lo scontro per farla diventare notizia. Vale la pena, prima di ogni valutazione.

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Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano

Alla fine è arrivata alla disperazione. La miscela perfetta della pandemia: gli invisibili stranieri che lavorano nei campi di Mondragone (sfruttati da italianissimi sfruttatori), gli italiani che vivono nella povertà e che hanno bisogno di trovare il nemico di fianco al proprio pianerottolo per avere la soluzione facile senza rendersi conto che non è una soluzione, la politica che banchetta sul disagio come continua a fare da anni e perfino il presidente campano che ora si ritrova a affrontare un’emergenza vera, qualcosa di endemico, qualcosa che ha radici profonde nel tempo e nei modi e che è molto di più di una semplice emergenza sanitaria.

Mondragone era malata già prima del Coronavirus, Mondragone, come molte parti d’Italia, è una di quelle zone dove la politica è riuscita a instillare la guerra tra disperati, gente invisibile che lavora nei campi per qualche spicciolo e poi rientra in case che sono casermoni dormitori dove la socialità sta solo nello sprofondare nel letto farciti di fatica, con un futuro immaginabile che non è più lungo del giorno successivo in cui ci sarà da cavarsela ancora. Lo schema facile facile disegnato dallo zotico razzismo di chi è incapace di fare i conti con la complessità è semplice, ripetuto, sempre lo stesso: arrivano i bulgari a infettarci, arrivano i bulgari a non rispettare le ordinanze ed è colpa dei bulgari se noi perdiamo il lavoro. La parola bulgari la potete tranquillamente sostituire con una nazionalità qualsiasi, l’importante è che siano altro rispetto a noi e così il giochino fila liscio liscio.

Nessuno che riesce a ricordare gli arresti e le denunce di imprenditori casertani (e lì, dalle parti di Latina) che i bulgari li importano a chili, famiglie con anche figli minori che diventano forza lavoro, per pagarli 2 euro all’ora e per lucrare su persone che non sono persone ma sono solo le loro braccia e la fatica che riescono a spremere in una giornata di lavoro. Mondragone è il grido d’allarme degli invisibili che sono rimasti con il collo schiacciato sotto la scarpa della pandemia e di questo mondo del lavoro che è appeso a un filo, fottendosene delle leggi e delle regole, dove basta rinchiudersi in casa per qualche settimana per fare la fame, la fame vera, la fame che andrebbe trattata per tutta la vita e per tutte le vite che ha intorno e che invece la nostra bassa politica tratta come fenomeno passeggero, giusto il tempo per coltivare rabbia e sperare di raccogliere una manciata di voti. Ora è Mondragone, è solo l’inizio.

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Com’è bella Mondragone che abbraccia i Landa

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Se non ci siete stati non si riesce a raccontare ma avreste dovuto com’era bella Mondragone che abbracciava con gli occhi, con l’ascolto, con il battere di mani e con il cuore i figli di Michele Landa, che stavano seduto seminascosti tra le prime file di una sala strapiena come se all’improvviso la memoria fosse diventata davvero pop.

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ è arrivato a Mondragone, o forse ci è tornato visto che proprio da lì nasce la storia di Michele Landa, guardia giurata prossima alla pensione con un culto per la famiglia e per la libertà. Presentare il romanzo a Mondragone non significava banalmente raccontare un libro, presentare il romanzo a Mondragone era solo il pretesto perché la città guardasse negli occhi Angela Landa e i suoi fratelli e vedere l’effetto che fa.

E l’effetto, davvero, è stato quello di una storia che si è fatta viva, presente, comune.

Io, nel mio piccolo posso solo ringraziare il lavoro meraviglioso di insegnanti, cittadini e di Libera che hanno organizzato un abbraccio così rumoroso.

Ora si riparte.