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nazione indiana

Le botte in piazza

Schermata 2015-09-27 alle 08.42.20Gli amici di Nazione Indiana pubblicano uno stralcio di ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘.

La mattina presto. Per Michele può esserci il caldo più unto, il freddo più buio o la pioggia più fitta, ma il mattino va rispettato: l’alba è l’inizio. Cose semplici. Sono due anni che la scuola è finita e tutto il giorno ha già la forma del callo sulle mani, che ti sfregano ruvide la faccia quando ti lavi.

Lavorare rende liberi.

Michele era stato studente diligente e poco curioso, ma questa cosa del lavoro e della libertà non gli era mai andata giù. I vecchi dicono: “Tocca per farsi una famiglia ed essere una persona per bene”, ma la libertà proprio non c’entra. Ci sono città del mondo in cui il lavoro è un canale che bisogna navigare per stare a galla e sopravvivere, mentre qui a Mondragone si lavora per non dovere niente a nessuno e perché nessuno ti debba niente, per questo Michele ama la fatica: la fatica infatti ha una faccia sola, è meccanica senza viti, acido lattico senza sentimento. La fatica non ha bisogno di merletti. Sono le sei e Michele si alza come si alza il mattino: sale in fretta per scaldarsi.

«Si fatica principalmente per non sentire tutto il resto» dice sempre quello scemo di Massimiliano.

Caffè amaro. Le scarpe che si scollano. Una camicia spessa come pelo di topo, a quadrettoni, con i gomiti quasi trasparenti. Guardandosi allo specchio si osserva. Non è un bel vedere, no, ma tutta questa stoffa è l’armatura per la fatica al magazzino. La porticina del cortile di casa cigola come il portone di un castello abbandonato. Fuori, Mondragone è odore di caglio e case che si sbriciolano.

«Buongiorno e ben alzato, Michè!» La signora di fronte sta già bollendo la salsa. È cieca e sorda come la salsa ma saluta da orologio svizzero tutte le mattine alla stessa ora.

Lui risponde, anzi ci prova. Meglio, alza la mano e scatta con la testa, gli viene male: cade come da un lato, inciampa, sorride, rialza la mano, ride, no forse non se ne è nemmeno accorta e allora stinge il sorriso e niente, come se non fosse successo niente. «’Ngiorno.» Che fatica.

Mentre la strada scende vuota verso lo stop Michele prova a ripensare alla serata appena passata e a quelle voci che lo rivolevano in piedi: non è facile portare addosso le botte a mezza faccia facendo finta di essere elegante, tu che elegante poi non lo sei stato nemmeno al battesimo o alla comunione.

Erano in tre e Michele li aveva notati già da giorni per quelle smorfie da guappi che qui vengono ammaestrati in serie, seduti arrampicati sul muretto in piazza. Ieri sera erano nella solita posa, di quelli che vorrebbero essere falchi ma sono solo una nidiata di avvoltoi. Ieri aveva anche deciso di bersi una bottiglia in compagnia e festeggiare l’assunzione che era diventata ufficiale per tutti, al magazzino. Adulti a tempo indeterminato con il libretto di lavoro in tasca. Ci avevano promesso anche un po’ di malattia e ferie, non proprio tutte quelle che c’erano scritte nel contratto – che per sicurezza avevano fatto leggere a Giulio, che si era trasferito su a Milano e aveva imparato l’italiano meglio di come si impara un po’ sgarruppato nella scuola di Mondragone, e anche Giulio aveva esultato per un contratto che in fondo anche a parole era simile a quello che c’era scritto. Per questo avevano deciso di prendersi il vino, mica quello più buono, ma la qualità subito sotto, ben distante dal vino schifoso e lunghissimo che si bevevano di solito a pranzo. La locanda li conosceva per nome e cognome e si era fidata anche a dargli quattro bicchieri di vetro da portare fino in mezzo alla piazza con la bottiglia impolverata, perché c’è da fidarsi di Michele e quegli altri colleghi suoi, che non creano mai problemi.

Stavano appena stappando il tappo a vite come quello della spuma e ridevano pensando che poi magari un giorno qualcuno sarebbe diventato capoturno, poi magari un giorno, ridevano, avrebbe comprato un vino con il tappo quello vero.

Era stato un attimo e gli altri tre guappi erano già in mezzo. Dammi. No. Forza, dài qua. Ma che vuoi. Festeggiamo anche noi. Facciamo da soli grazie. Lo decidiamo noi chi festeggia qui in piazza. Non ci penso nemmeno…

Ed è stata subito una paranza di botte che facevano più rumore dei bicchieri che rotolavano sui sassi. Tonfi secchi sulle parti molli e il fruscio dei rami secchi quando si pestano con le scarpe, solo che questi erano in faccia, sulla mandibola e sotto gli occhi. Roba forte.

(continua qui)

Nella pattumiera della Storia

“Noi sogniamo un paese in cui ci sia giustizia sociale e loro sognano un paese in cui portare avanti i loro interessi personali. Il nostro sogno è un paese in cui ci siano sicurezza e libertà e il loro sogno è una nazione governata dalle forze dell’ordine. Il nostro sogno è la dignità umana, il loro i tribunali militari che processano i civili. Il nostro sogno è un paese governato da persone corrette e preparate, il loro è un paese governato da generali. Il nostro sogno è nato negli anni ’70, ’80 e ’90. Il loro è nato negli anni ’30. Il nostro sogno diventerà realtà, il loro finirà nella pattumiera della Storia”. 
Farida, classe 1992, è poco più di una bambina. Il 21 novembre, mentre in piazza Tahrir è in atto una carneficina, posta questo messaggio su Facebook. Scrive dalla piazza, dove si trova con tutta la sua famiglia, e in quelle poche righe riesce a condensare lo spirito e gli ideali dei “ragazzi di Tahrir” impegnati a scrivere una nuova pagina in quella che è la Storia della loro rivoluzione. Barbara Teresi su Nazione Indiana.

Letteratura, diritti, legalità: dal web all’incontro reale

IL BLOG LETTERARIO «NAZIONE INDIANA» ORGANIZZA UNA «TRE GIORNI» ALL’ARCI BELLEZZA

Letture, spettacoli, incontri con gli scrittori su filosofia, storia, poesia, viaggi. Con Giulio Cavalli

Una festa reale per una comunità virtuale di lettori, intellettuali e artisti: è quella del blog letterario Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com, raccoglie note firme, da Roberto Saviano a Gianni Biondillo) che, per tre giorni, da venerdì 17 a domenica 19, proporrà all’Arci Bellezza incontri aperti al pubblico con scrittori, poeti e critici, da Helena Janeczek a Giancarlo Majorino, da Igiaba Scego ad Andrea Cortellessa. «L’abbiamo chiamata festa – spiega Gianni Biondillo – e infatti non sarà né un festival né un “evento”, ma un momento di incontro molto “easy”, rilassato, tra autori, lettori, commentatori, pubblico, perché la letteratura non è una cosa “barbosa”, anzi. Riproporremo dal vivo i temi del sito, narrazione e storia, politica e legalità, viaggi e storie di viaggio, poesia e filosofia».

Si comincia venerdì 17 con l’incontro «Scrittura e conoscenza», reading poetico e dibattito con Andrea Inglese, Giancarlo Majorino, Milli Graffi, Franco Buffoni e Italo Testa (ore 17.30), mentre alle 21.30 si parla di lingua madre con Igiaba Scego e Azra Nuhfendic, per chiudere con lo spettacolo «Patrioska» di Francesco Forlani. Sabato 18 si apre alle ore 11.30 sul tema del viaggio con Filippo Tuena e Francesca Matteoni; alle ore 17 si parla di diritti civili con Franco Buffoni e Helena Janeczek; alle 18.30 di narrazione con Andrea Cortellessa e Bruno Pischedda; si chiude con «Le storie in musica» di Alessio Lega e Marco Rovelli (ore 21.30).

Tra gli incontri di domenica, da citare quello su libri e new media con Alessandra Casella (ore 11), e quello sulla legalità con Giuseppe Catozzella e Giulio Cavalli (ore 18). Chiuderà la serata, alle 21.30, un concerto di «cantautrici indipendenti ». Per i tre giorni della festa saranno in mostra le immagini del fotoreporter Alessandro Gandolfi riprese in Ciad nei campi profughi di Moundou e a Goz Beida. E saranno esposti i quadri dell’artista Gianluca Sbrana. Per i più piccoli, sabato pomeriggio il laboratorio di scrittura e domenica pomeriggio il laboratorio d’arte.

Nazione Indiana. 17-19 giugno. Circolo Arci Bellezza. Via Bellezza 16. Ingresso libero con tessera Arci. www.arcibellezza.it.

 

http://milano.corriere.it/milano/notizie/arte_e_cultura/11_giugno_10/web-libri-che-festa-190839142538.shtml