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‘ndrnagheta

A proposito di ISIS, musica e teatro e cultura.

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Era successo con Khaled al Assad, il rinomato archeologo barbaramente ucciso. Era successo anche con la sparatoria al Museo del Bardo a Tunisi. E poi al Bataclan, la “sala da spettacolo” che è al centro della cronaca di queste ore. Il terrorismo teme la bellezza, il terrorismo ha bisogno di una massa stolida che non sia capace di elaborare soluzioni, alternativa, in una parola sola: cultura.

E chissà se davvero non succederà anche che ci renderemo conto di quanto passi anche da lì, da una concezione di passatempo “etico” oltre che spassoso, dal ruolo così importante delle parole recitate, cantate o scritte. Mi dico: chissà se ci riusciremo anche noi, oltre che loro, a capire quanto sia potente la cultura.

Due parole su don Memè

Sull’inchino della madonna a Oppido Mamertina si continua a parlare troppo poco di quella sfacciata e desolante figura che è il parroco, Don Memè. Un articolo di Paolo Pollicchieni chiarisce il punto:

donmemèNoi non ci crediamo e soprattutto non crediamo alla sorpresa di monsignor Milito. Sa bene, il vescovo di Oppido, che in quella diocesi già altri e più gravi segnali si erano colti grazie all’operato di “don Memè”, storico parroco di Rosarno che non ha esitato a deporre in un tribunale della Repubblica in difesa di quei boss mafiosi che Papa Francesco ha inteso, invece, scomunicare.
Quando il caso scoppiò, monsignor Milito fece visita a don Memè e gli diede solidarietà. Davanti ai giudici, nel luglio dello scorso anno, il prete si era accomodato per dire: «Penso che Rosarno sia stato messo in una cattiva luce, non so da chi (…), è stato chiusa la sede scout per mafia, e siamo stati… siamo passati per razzisti, per cattivi contro i negri, c’è stata una serie di cose che hanno buttato fango su Rosarno e sui rosarnesi, e molti stanno pagando innocentemente penso».
Tra gli “innocenti” sotto processo don Memè colloca: «Francesco Pesce un mio amico, Domenico Varrà un gran gentiluomo e Franco Rao una brava persona». Tanto da indurre il presidente del Tribunale a chiedere: «Ma Rosarno quindi è un’isola felice ci sta facendo capire, don Ascone?».
Certo che è un’isola felice per don Memè che lì è parroco da ben trent’anni e in questi trent’anni ha visto piovere morti e dilagare corruzione. E che la Rosarno di don Memè sia un’ “isola felice” lo dimostra la devozione della famiglia Pesce che si è fatta carico di climatizzare la chiesa, probabilmente l’unica casa del Signore dove si può pregare senza sudare, grazie ai potenti condizionatori installati dagli “amici” della famiglia Pesce e della famiglia Rao.
È l’uomo che conosce la gratitudine il parroco di Rosarno, così dieci mesi dopo la sua deposizione in favore dei boss, torna a indignarsi per difendere i bravi ragazzi rosarnesi dal fango mediatico. Nel marzo scorso, infatti, la trasmissione televisiva “Le Iene” si occupa di Rosarno, dei Pesce, del porto di Gioia Tauro e della cocaina che vi transita. In questo contesto chiede il parere di don Memè. Eccolo: «Rosarno non è un paese mafioso (…) È tutto falso che il sindaco sia stato minacciato con una lettera arrivata dal carcere (…) Quello che mi tocca dire purtroppo è che quando ci sono dei sindaci di sinistra sono protetti dai giudici; quando ci sono sindaci di centrodestra non sono protetti dai giudici, anzi…».
Insomma colpa dei giornalisti e dei giudici, comunisti entrambi. Poco importa se nel frattempo l’amico Rocco Pesce incassa una condanna ad altri cinque anni per una lettera di minacce spedita dal carcere al sindaco Elisabetta Tripodi su carta intestata del Comune. Ma il meglio don Memè lo deve ancora dare, ed infatti davanti alle telecamere aggiunge: «Tanta gente a Rosarno si appoggia alla mafia per necessità. Io non ce l’ho con la mafia che purtroppo dà lavoro, ce l’ho con lo Stato che il lavoro non lo dà». Infine, riferendosi a don Ciotti, che ricordiamo è l’ispiratore e fondatore dell’associazione Libera che nella Piana di Rosarno è molto presente e si occupa di far lavorare giovani disoccupati nei terreni sequestrati ai mafiosi, don Memè afferma: «Non è un parroco, lavoro non ne ha, ha voluto prendere questa bandiera lotta alla mafia e questo lavoro. Per combattere la mafia basta essere preti, non delle guardie della polizia, questa è propaganda».
Non ci pare che questo argomentare sia in linea con l’insegnamento di Papa Francesco. Monsignor Milito però fin qui non ha battuto ciglio, probabilmente avrebbe potuto continuare a farlo anche dopo l’omaggio dei portatori della Madonna al boss Mazzagatti.
Solo che nel frattempo in quel di Cassano…

P.S. Per completezza di cronaca, va detto che don Memè con la sua testimonianza non ha portato grande giovamento agli “amici”: Francesco Pesce è stato condannato a 12 anni di reclusione; Franco Rao a 16 anni e altri 16 anni e quattro mesi sono stati inflitti a Domenico Varrà. Eppure in quel processo (“All Inside”) ben 21 imputati sono stati assolti, insomma questi giudici «comunisti»…

Il saccheggio di Roma

Ancora sequestri di esercizi commerciali nel centro di Roma riconducibili alla ‘ndrangheta. Gli uomini della Dia hanno messo i sigilli a diversi beni immobili e società operanti nell’edilizia sia nel Lazio che in Calabria. Colpiti anche esercizi commerciali nel cuore della Capitale come il Caffè Fiume, famoso bar nei pressi di via Veneto. L’antimafia ha inoltre sequestrato autovetture di lusso e una concessionaria di auto a Vibo Valentia, oltre a terreni per un valore complessivo di oltre 7 milioni di euro.

Le indagini si sono concentrate su Saverio Razionale, considerato dagli investigatori “elemento di vertice della cosca Fiarè-Razionale, alleata a quella dei Mancuso di Limbadi, nel territorio di Vibo Valentia”. Razionale, 53enne di San Gregorio d’Ippona, è salito al vertice della cosca negli anni 80 dopo l’attentato in cui perse la vita a Pizzo (Vv) il precedente capo cosca Giuseppe Gasparro detto “Pino u gatto”. Dopo l’agguato Razionale era divenuto un punto di riferimento per tutte le attività dell’organizzazione: dalle estorsioni, all’usura, al riciclaggio, “oltre a essere coinvolto in alcuni gravi fatti di sangue accaduti nel territorio”. Trasferitosi a Roma nel 2005, dopo il suo arresto e la successiva scarcerazione, era riuscito a dar vita, nella Capitale, a una rete criminale specializzata nel reinvestimento di capitali illeciti in beni immobili e attività commerciali. Inoltre – secondo gli investigatori – la rete di razionale “è riuscita a infiltrarsi negli appalti tramite società di comodo”.

Mentre nella provincia di Reggio Calabria i finanzieri del Comando provinciale e dello Scico di Roma hanno sequestrato beni per 420 milioni di euro riconducibili a 40 esponenti delle cosche radicate nel reggino. Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno portato alla luce il forte squilibrio tra i redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale registrato, negli ultimi 15 anni, dalle 40 persone coinvolte nella maxi operazione.

(via)

A proposito di Letta, diritti e olimpiadi

Vale la pena leggere l’intervista a Ivan Scalfarotto e Anna Paola Concia:

SCALFAROTTO: “Nascondersi dietro l’Onu è veramente ridicolo. Se fai la lista di chi va e di chi non va a Sochi, il risultato è solo imbarazzante. A Merkel, Obama, Cameron e Hollande non è bastata la presenza di Ban Ki-moon”.

CONCIA: “Rimango senza parole. Non c’è proprio bisogno di nasconderci dietro qualcuno. Quello che conta è che il premier italiano va allo show di Putin e i capi di Stato delle principali democrazie del mondo invece se ne restano a casa. Il resto, lo ripeto, sono giustificazioni inconsistenti e tardive”.

La trovate qui.

L’ex assessore Zambetti va a processo

zambetti_manifesto-anteprima-600x529-781792Processo per Domenico Zambetti, l’ex assessore regionale della Lombardia accusato di aver ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Il gup di Milano Andrea Ghinetti ha rinviato a giudizio l’ex politico con delega alla casa della giunta guidata da Roberto Formigoni e altre 8 persone nell’ambito delle indagini sull’infiltrazione della ‘ndrangheta in Lombardia. Il processo partirà il prossimo 8 maggio davanti alla prima corte d’assise.
Tra i rinviati a giudizio ci sono Eugenio Costantino, il presunto boss ritenuto dagli inquirenti uno dei principali referenti dell’ex assessore, l’ex sindaco di Sedriano, il comune dell’hinterland milanese sciolto per mafia, Alfredo Celeste, il chirurgo Marco Silvio Scalambra e Ambrogio Crespi, il fratello di Luigi, l’ex sondaggista di Silvio Berlusconi.

Il giudice ha inoltre condannato con rito abbreviato 12 imputati a pene che vanno dai 14 anni e 8 mesi ai 2 anni e 8 mesi di carcere. Inoltre ha accolto la richiesta di patteggiamento di un altro imputato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, e ha assolto una persona e ha stralciato alcune posizioni dichiarandosi incompetente e trasmettendo gli atti al tribunale di Cremona.

I reati contestati a vario titolo sono associazione per delinquere di stampo mafiosoestorsione esequestro di persona. Zambetti è accusato di voto di scambio con i boss.  L’assessore avrebbe pagato 50 euro a voto i “pacchetti” di preferenze offerti dalla criminalità organizzata calabrese nella regione del Nord. Alle elezioni regionali del 2010, Zambetti aveva conquistato oltre 11mila consensi, risultando così tra i più votati. Ma per ottenere il risultato si sarebbe rivolto a ‘portavoce’ dei clan calabresi, pagandogli in varie rate circa 200mila euro.