La farmacia dei poveri
La chiamano così, L’India, con i suoi diciassette miliardi di euro di fatturato annuo della propria industria farmaceutica. Le luci su questo connubio poco conosciuto tra produttività, salute e India (appunto) si sono accese in questi ultimi giorni dopo la sentenza storica con cui la Corte Suprema di New Delhi ha respinto un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anti cancro attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane (Glivec) e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una «invenzione», ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Si tratterebbe insomma di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata da “big pharma” per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto. L’atteso verdetto del massimo organo giudiziario permetterà ai gruppi farmaceutici indiani come Cipla e Rambaxy di continuare a produrre la versione generica del medicinale usato per trattare una rara forma di leucemia.
Secondo molti attivisti per i diritti umani la causa della Novartis vorrebbe privare molte persone di farmaci che non sarebbero altrimenti accessibili a molti, dall’altra parte le grandi industrie farmaceutiche rivendicano la protezione dei brevetti e degli investimenti nella ricerca. La verità in dispute come questa si frastaglia tra l’imprenditoria, il mercato e il valore solidale della vita. Sono gli intrecci che si annodano quando si parla di sanità dove l’imprenditore rivendica di potere essere impresa nel settore delle vite come per i pomodori, gli arredamenti o le automobili senza limiti di etica e solidarietà. Come se il mio meccanico con il mio motorino abbia un dovere morale identico al pediatra con la malattia di un mio figlio. E’ la transuamnza incontrollata e incontrollabile del Marchionnismo in tutti i campi: salute inclusa. E mentre i tribunali provano a parare il colpo alla fine la comunità internazionale finge di non capire che la propria latitanza sulla disposizione di nuove regole continua ad avere un costo sociale altissimo e relega una questione morale ai professionisti del marketing e del bilancio.
E questo succede in India, vero, ma in fondo l’India è molto più vicina di quanto pensiamo se ricordassimo un minuto soltanto le vicende della Clinica Santa Rita in Lombardia o gli innumerevoli casi di aziende ospedaliere gestite da mercatari che farebbero impallidire Ippocrate e i suoi.
E sarebbe bello che l’Italia partisse da qui per ricostruirsi una credibilità internazionale che non stia a farneticare solo di saggi, spread e alchimie di governo. Sarebbe bello davvero essere gli innovatori di un’etica farmaceutica comunitaria.