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nicola zingaretti

Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste

Ogni giorno Matteo Salvini si sveglia e, dopo essersi fatto una bella foto moscia con Nutella o cibarie varie da spiattellare sui social, decide di sputare contro qualcuno. Capitan Vigliacco ha una predilezione per i deboli, per gli invisibili, per quelli che viene facile mettere nel sacchetto dell’umido delle priorità: lui è fatto così, debole con i forti ma fortissimo con i debolissimi, come nella migliore tradizione di quelli che simulano il pugno di ferro ma poi sono pronti a stringere mani piuttosto losche, se torna utile per il loro tornaconto personale.

Nel mattino di oggi, lunedì 12 aprile 2021, Salvini ha deciso di usare i detenuti come roncola per attaccare Nicola Zingaretti e Vincenzo De Luca (e quindi di sponda il Pd, con cui tra l’altro sta governando) e si è tuffato con la bava alla bocca a twittare: “Lazio e Campania vogliono vaccinare i detenuti prima di anziani e persone disabili. Roba da matti”.

Non perdete troppo tempo a cercare un qualsiasi spessore politico in questa critica, che sembra una frase sputazzata di spritz al bar. “Roba da matti”, “buon senso” o “padre di famiglia” sono i concetti elementari su cui Salvini si basa per esprimere qualsiasi concetto, la banalità è il suo marchio di fabbrica e ogni sua osservazione non punta a niente di più nobile degli sfinteri.

Però, nelle poche miserabili parole di quel tweet, c’è tutto il salvinismo nel suo splendore.

Il ritenere “gli altri” (come sono i carcerati oppure i neri oppure i gay oppure qualsiasi altro tipo che non rientri nel prototipo dell’omaccione italico medio) una categoria che non si deve mai permettere di avere nessuna esigenza, nessuna.

Lo scambiare l’autorevolezza per il tintinnare di manette che Salvini continua a fare annusare ai suoi sostenitori, nonostante diventi poi una pecora se a compiere i reati è qualche colletto bianco.

Il ritenere le carceri il percolato della società in cui rinchiudere tutti i problemi illudendosi (e illudendo) di risolverli.

In più, il prode Salvini, riesce anche a rimediare una delle sue proverbiali figure di palta che costellano la sua misera traiettoria politica, poiché in Lombardia e Veneto (Regioni che stanno al guinzaglio del leader leghista) le vaccinazioni in carcere sono già iniziate da un bel po’, con la differenza che in Lombardia intanto si dimenticano gli anziani.

E, a proposito di condannati (che lui chiamerebbe “criminali”), sarebbe da chiedere a Salvini allora cosa ne pensi del suo quasi suocero Denis Verdini, che proprio per un focolaio di Covid a Rebibbia a gennaio (90 contagi in pochi giorni tra i detenuti) è stato (giustamente) scarcerato. Ma non dirà niente, vedrete, niente.

Leggi anche: Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa (di Giulio Cavalli)

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L’eterno tafazzismo del centrosinistra: così l’alleanza Pd-M5S naufraga prima di nascere

Regola numero uno in politica: se decidi di parlare in pubblico di un accordo si presume che a quell’accordo intanto qualcuno ci stia lavorando, che ci siano presupposti che possano renderlo possibile e che ci sia volontà da entrambe le parti. E invece no, per la strana alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, un’alleanza annunciata e addirittura votata sulla piattaforma dei grillini, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere alle dichiarazioni addirittura di un presidente del Consiglio, del segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio e intanto dai territori arrivano solo rifiuti se non addirittura calci.

La candidata del M5S in Puglia risponde contrattaccando: “Mi hanno offerto poltrone e prestigio assicurato. Ma la nostra scelta deve essere più importante dei miei vantaggi personali e di quelli del premier”, dice, lasciando perfino intendere che l’accordo tra i due partiti su scala locale sarebbe solo il tentativo di prendere ossigeno nel governo nazionale. Non una gran figura, per niente.

Gian Mario Mercorelli, candidato grillino nelle Marche coinvolge perfino il gran capo dei 5 Stelle Vito Crimi dicendo: “Ho sentito Crimi, e non è in corso nessuna trattativa, né a Roma né qui sul territorio. Capisco le ragioni di Conte, è una posizione dovuta, ma è fuori tempo massimo. Un’entrata così a gamba tesa a 36 ore dalla presentazione delle liste non favorisce di certo l’equilibrio generale”.

Un dato è certo: il matrimonio non si farà e risultano perfino risibili i tentativi di chi preannuncia la richiesta agli elettori di fare voto disgiunto per riuscire comunque a convergere sui candidati presidenti del PD. Il matrimonio giallorosso fallisce ancora prima di essere celebrato e il PD incassa perfino gli strattoni del capo politico pentastellato Crimi, che dice di occuparsi “prima dei contenuti che dei contenitori”, liberando, di fatto, tutte le decisioni dei territori e dichiarando addirittura, in un’intervista proprio ieri al Corriere della Sera, che l’alleanza di cui si discute da giorni non è “alleanza strutturale” e che il voto su Rosseau si riferiva a “quattro Comuni che hanno presentato un progetto”. Proprio così.

E con il senno del poi viene da chiedersi a cosa sia servita tutta questa solfa, a cosa sia servito aprire un dibattito su un progetto che non aveva nessuna possibilità di realizzazione e soprattutto perché logorare i due partiti che sostengono il governo, in questo delicato momento in cui c’è un intero Paese da fare ripartire tra qualche settimana, con un’alleanza sui territori che nei fatti era apparsa subito irrealizzabile. Anche perché ammucchiarsi contro la destra, sperando che i voti si sommino come se gli elettori fossero immobili e acritici, non ha mai portato risultato. Ma qualcuno sembra non avere imparato la lezione.

Leggi anche: 1. Vito Crimi gela Conte: “No all’alleanza M5S-Pd. Il voto su Rousseau riguardava solo 4 Comuni” / 2. Regionali, in Puglia l’alleanza col Pd non piace ai Grillini. La candidata M5S: “Piuttosto tagliatemi la testa”/ 3. Pd-M5S, scoppia la pace in tribunale: “Stop alle cause che ci vedevano contrapposti, cambiato clima politico”. Renzi: “Io non le ritiro”

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Per la ricerca solo quando si è all’opposizione

Si può cambiare idea su un argomento politico rilevante, a seconda che si sia all’opposizione o al Governo? sembra proprio di sì, e abbiamo tanti esempi storici illustri. La storia italiana ce ne sta proponendo un altro in questi giorni, con il Partito democratico che tace sui tagli e le vessazioni operate dal governo, a guida democratica, sugli enti pubblici di ricerca e l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in particolare.Per capire come mai si tratti di un cambio di atteggiamento così evidente, bisogna tornare indietro esattamente di cinque anni, a quando nel novembre del 2009 i ricercatori dell’istituto ambientale, in primis quelli precari, occuparono il tetto della loro sede di via Casalotti, a Roma, resistendo lì sopra per 59 giorni prima di firmare un protocollo d’intesa col ministro dell’Ambiente, all’epoca la berlusconiana Stefania Prestigiacomo. 

Infatti, gli scandali sessuali e non dell’allora premier erano ancora di la dal sortire i loro effetti, il governo Berlusconi nel novembre 2009 sembrava fortissimo, visto che il leader del centro-destra aveva vinto trionfalmente le elezioni poco più di anno prima, e all’opposizione c’erano sostanzialmente il Pd e l’Italia dei valori, visto che la sinistra “radicale” era rimasta fuori dal Parlamento. Proprio questi due partiti furono quelli che maggiormente sostennero nei 59 giorni la lotta dei lavoratori della ricerca pubblica, con i democratici in prima fila: basta sfogliare l’album delle foto di quella lotta, per vedere sul tetto Dario Franceschini (attuale ministro della Cultura), Marianna Madia (attuale ministro della Funzione pubblica), Ignazio Marino (attuale sindaco di Roma), Nicola Zingaretti (attuale presidente della Regione Lazio), Ermete Realacci (attuale Presidente della Commissione Ambiente della Camera), Cesare Damiano (Presidente della Commissione Lavoro) e molti altri esponenti dem.

Oggi, che a distanza di un lustro le lotte dei ricercatori e in particolare dei precari si ripropongono, essendo rimaste situazioni irrisolte nonostante la fine del berlusconismo e ben due premier consecutivi provenienti dal Pd, il Partito democratico brilla per il suo silenzio. Nonostante le tante sollecitazioni, nessuna parola è arrivata dal partito di maggioranza relativa sulla situazione dell’ISPRA in generale e su quella dei suoi lavoratori in particolare. Qualche mese fa il Governo guidato da Matteo Renzi ha bocciato un emendamento di SEL (votato dai 5 Stelle e perfino da molti di centrodestra) che avrebbe favorito le assunzioni di molti precari “storici” dell’ente di ricerca, e oggi nessun esponente democratico, nemmeno tra quelli citati sopra, si è sentito in dovere di dire una parola o ha sollecitato l’attuale ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti (Udc), a rispondere ai lavoratori.

Silenzio, silenzio assoluto, nonostante i 10 milioni di tagli al bilancio negli ultimi 5 anni, il rischio che oggi (o al massimo tra pochi mesi) vadano a casa oltre 60 lavoratori, e quello forse ancor più grave che non siano finanziate attività come quelle di prevenzione del dissesto idrogeologico o i controlli sul Ilva e Terra dei fuochi. Silenzio assordante (in questo caso condiviso finora coi 5 Stelle) anche quando in Commissione Ambiente il deputato Filiberto Zaratti ha interrogato sulla situazione (al minuto 37 del video) Galletti sulla situazione ISPRA: come si vede dalla registrazione, il titolare del dicastero che vigila sull’istituto ha semplicemente ignorato la questione, e nessuno degli altri deputati, nemmeno quelli del Pd, ha trovato che ci fosse niente da ridire.

(fonte)

L’esempio di Zingaretti

Le nomine e la sanità: il binomio è spesso una collusione. In Regione Lombardia la questione delle nomine è un chiodo che non riesco a togliermi, dalle spartizioni di partito, agli indagati eppure nominati, agli amici degli amici eppure nominati fino alle nomine al fotofinish, è stato un crescendo di inopportunità. Eppure volendo una soluzione (o almeno un tentativo che appaia logico e coerente nella concezione) è possibile: la Regione Lazio introduce nuove norme per la nomina dei direttori generali di Asl, aziende ospedaliere e istituti di ricovero, con lo scopo di eliminare l’influenza della politica nelle scelte. Per il presidente, Nicola Zingaretti si tratta di “Una rivoluzione del merito e del valore delle persone”. A valutare le domande di candidatura, che potranno essere presentate entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta ufficiale, sarà una terna di esperti nominata dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. La Regione avrebbe diritto  di nominare due suoi rappresentati in questa commissione, ma ha rinunciato ad esercitare questo potere. Prima, per essere inseriti nell’elenco dei candidati, per chi proveniva dal pubblico bastava essere stato direttore di unità operativa semplice, ora solo di unità operativa complessa. Mentre prima per chi proveniva dal privato era sufficiente aver avuto la direzione di una qualunque azienda a prescindere dagli addetti e dalla forma giuridica (anche aziende individuali), ora solo se amministratore unico, amministratore delegato, o presidente di un cda di spa. Ancora una novità sulla trasparenza: prima le domande erano in formato cartaceo con i curricula non pubblicati on line, ora la procedura sarà interamente informatizzata.

Ecco, si potrebbe fare.