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nino di matteo

I nomi e i cognomi che ci mancano alla faccia di Di Matteo

E insomma alla fine il CSM non ha trovato il tempo per esprimere la propria solidarietà a Nino Di Matteo e colleghi che si devono accontentare della manifestazione “civile” e della serata al Teatro Biondo.
Alla fine sembra impossibile riuscire a pronunciare nomi e cognomi senza rinchiudersi nella generale “solidarietà ai magistrati che lottano contro la criminalità organizzata” come se pronunciare uno dei cognomi che si danno da fare sulla trattativa Stato-mafia sia un peccato mortale. Abbiamo una classe dirigente che è diligente nel rimanere nel brodo della mediocrità senza esporsi troppo, abbiamo uno stato anagettivo che delega la vicinanza ai cittadini rinunciando alla rappresentanza della solidarietà e abbiamo un Presidente della Repubblica che vive il processo che prova a raccontare la nascita della seconda Repubblica come un poppante intimorito. Questa sera Nino Di Matteo ha voluto alzarsi dalla seconda fila della platea che ascoltava il mio spettacolo al Teatro Biondo di Palermo per stringermi la mano. Gli ho promesso che se proprio dobbiamo essere soli saremo in tantissimi, ad essere soli. Insieme.

«Se mi torcono un capello, questa volta c’è la prova»: parla Nino Di Matteo

MAFIA: DI MATTEO A SIT-IN, GRAZIE PER VOSTRA PASSIONE CIVILESe l’aspettava un’esistenza difficile. Solleva lo sguardo dalle carte, esita un attimo: «Sapevo a cosa andavo incontro quando ho cominciato a fare il magistrato, il lavoro che volevo fare: il pm, non il giudice. A Palermo avevano già ucciso molti colleghi, c’era già stato Capaci, via D’Amelio, ma non credevo che si potessero ripresentare momenti così».

Mai era accaduto – neanche ai tempi del maxi processo a Cosa Nostra – che un pm non potesse andare in udienza «per motivi di sicurezza», come è capitato la settimana scorsa. Volevano portarcelo con un blindato a Milano, tipo quelli che il nostro esercito usa in scenari di guerra come l’Afghanistan e l’Irak. Troppo pericoloso spostarsi. Troppo pericoloso restare anche a Palermo per Di Matteo.

Non va più a nuotare alle 7 del mattino. Non va più alla “Favorita”, alle partite. Ogni tanto i suoi «angeli custodi» lo trascinano in qualche caserma – sempre diversa – dove si fa mezz’ora di jogging. Ha sempre dietro uomini armati.

Un confidente ha appena svelato «che è arrivato l’esplosivo » anche per lui. Era accaduto
nell’estate del 1992, quando qualcun altro aveva annunciato il tritolo per Paolo Borsellino. Tutto come vent’anni fa? «No, c’è una differenza importante: allora c’era solo il silenzio intorno a Paolo, oggi ci sono tantissimi italiani che stanno dalla nostra parte, semmai stridono certi silenzi istituzionali se confrontati alla solidarietà dei cittadini, delle persone senza nome che mi scrivono».

I silenzi dei Palazzi. Tanti. Il capo dei capi della mafia vuole ucciderlo e, al di là dei comunicati ufficiali e di circostanza – a parte il comitato di ordine pubblico e sicurezza convocato dal ministro Alfano a Palermo e le sue dichiarazioni di ieri – Roma sembra lontana, indifferente alla sorte di un magistrato stretto in una morsa, fra il delirio del capo dei Corleonesi e invisibili personaggi scivolati fra le pieghe delle indagini della trattativa.

Perfino la ministra di Grazia e Giustizia Cancellieri, l’amica dei Ligresti, ha mostrato un certo distacco. Prima ha detto che la sua amministrazione era all’oscuro di ogni piano omicida di Riina (eppure gli operativi del Dap, di solito sono anche troppo informati), poi ha «espresso vicinanza ai magistrati» mentre qualcuno in giro per l’Italia già metteva in giro le solite voci infami. Non è vero niente, quali minacce ha avuto mai Di Matteo? L’avevano fatto con Falcone, all’Addaura.

Colpiscono le parole di Nino Di Matteo nella sua intervista con Attilio Bolzoni di Repubblica. E, mi viene da dire, c’è la prova anche di chi continua a stare zitto o ad essere delatore fiancheggiatore.

Perché ha parlato Totò Riina

Un’opinione e un suggerimento arriva dalla bella intervista di Andrea Purgatori a Sergio Lari, procuratore capo di Caltanissetta su HP:

Secondo voi le esternazioni di Riina sono solo uno sfogo nel chiuso di un carcere di massima sicurezza o sono state raccolte come una precisa indicazione anche all’esterno, da Cosa Nostra?
“Mah, il paradosso è stato proprio rendere pubbliche quelle frasi che Riina ha rivolto a un detenuto pugliese con cui stava passeggiando nel cortile del carcere, con una terminologia e una modalità che ci fanno chiaramente pensare che non sapesse di essere intercettato. Infatti, nei colloqui coi familiari è completamente un’altra persona e si guarda bene dal fare dichiarazioni confessorie come quelle registrate in quell’ora d’aria in cui si accredita la responsabilità delle stragi del ’92, dice come le ha fatte e si vanta di essere il numero uno in quanto a stragi commesse. Averle pubblicate ha reso noto anche al popolo di Cosa Nostra quello che pensa e farebbe Totò Riina”.

Lei che conosce bene la sua psicologia, crede davvero che mentre diceva quelle cose si sentisse al riparo da una possibile intercettazione?
“Guardi, io l’ho interrogato due volte e credo di essermi fatto un’idea molto chiara della sua personalità. Riina ha un’alta considerazione di se stesso. Ma le frasi che ha pronunciato, le sue vanterie, soprattutto con un detenuto che non fa parte dell’organizzazione, sinceramente devo dire che non rientrano nei canoni comportamentali di un Capo dei capi di Cosa Nostra”.

Quindi, è lecito porsi qualunque domanda sul perché le abbia dette.
“Esattamente. E’ lecito porsi qualunque domanda. Ma bisogna anche considerare che da vent’anni è rinchiuso in regime di carcere duro e ci risulta che consideri quel detenuto come una persona di cui si può fidare. Ci sta che dopo vent’anni anche uno come lui abbia avuto un cedimento e si sia lasciato andare come mai avrebbe fatto prima”.

Riina ordina che Di Matteo deve morire

“Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire”. Totò Riina era furibondo qualche giorno fa, dopo l’ultima udienza del processo che sta scandagliando i segreti del dialogo fra Stato e mafia. “Quelli lì devono morire, fosse l’ultima cosa che faccio”, ha urlato il capo di Cosa nostra a un compagno di carcere, e le minacce non sono sfuggite a un agente della polizia penitenziaria.

110109484-bde21fd0-1293-4c0f-82e6-ee95a0a61fcfNino Di Matteo è ancora sotto minaccia, in continuazione, mentre il processo sulla trattativa si svolge con ali politiche starnazzanti e i magistrati coinvolti rischiano di rimanere soli. Qualcuno dice che Di Matteo dovrebbe forse essere trasferito in località protetta insieme alla famiglia senza pensare che sarebbe un segnale desolante e triste per lo Stato. La solitudine istituzionale è il miglior modo per uccidere e non voglio nemmeno pensare che gli ordini di Riina ‘U Curtu possano ancora valere qualcosa e andare a segno. Forse qualcuno non se ne rende conto ma su Di Matteo si gioca la credibilità lasciata in eredità da Falcone e Borsellino. A Nino e alla sua famiglia va il mio abbraccio più largo e stretto che sia mai riuscito a fare.

Quel magistrato antimafia deve morire

Mentre si scrivono fiumi di parole  su D’Alema e Renzi e sulla simpatia della capogruppo Lombardi a Palermo un altro magistrato subisce minacce:

Al palazzo di giustizia di Palermo l’allerta è al massimo livello, come non accadeva da anni. A preoccupare non è solo l’ultima lettera anonima che nei giorni scorsi ha annunciato un attentato contro il pm Nino Di Matteo. Ci sono anche due intercettazioni in carcere, effettuate dalla squadra mobile, a rendere incadescente il clima attorno ai magistrati del pool antimafia: sono dialoghi fra i boss e i loro familiari, che svelano senza mezzi termini la collera di Cosa nostra contro uno dei protagonisti dell’ultima stagione di arresti. E’ il sostituto procuratore Francesco Del Bene.
A febbraio, un capomafia della Noce, intercettato, si è sfogato con un familiare: “Quel Del Bene è troppo zelante, deve buttare il sangue, deve morire”. Un mese dopo, anche un boss dello Zen ha affidato un altro messaggio inquietante a un parente: “Quel pm è sempre presente in aula, sta rompendo…”. Così, attraverso familiari e parenti, gli sfoghi degli ultimi padrini finiti in cella sono arrivati fuori. Ecco perché al palazzo di giustizia c’è preoccupazione. Le due intercettazioni sono state oggetto di una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza presieduta dal prefetto. E la sorveglianza attorno a Francesco Del Bene, affidata ai carabinieri, è stata intensificata.

Io spero che qualcuno al governo oggi si stia rendendo conto della crescente aria di intimidazioni su Palermo e di cos’è successo in questo Paese quando Cosa Nostra ha ingrossato la voce durante “vuoti” istituzionale. Me lo auguro davvero.

 

Dove sono tutti? (Di Matteo)

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Ma c’è un altro ringraziamento che invece elaboro più col cervello ed in tanti anni di indagini di questo tipo. 
Ed è il grazie di chi sa che l’attenzione dell’opinione pubblica, della parte più informata e sensibile, costituisce per noi tutti da una parte uno scudo vero e reale e dall’altra un ulteriore sostegno per andare avanti nel nostro lavoro. È confortante vedere e sapere che una parte bella della nostra città si mobilita quando non c’è stato ancora nessun evento luttuoso. E questo probabilmente nella storia italiana era accaduto poche volte. Siete un segno di una mentalità che cambia. Siete il segno di una città, di una terra, di un Paese che vuole lottare contro la mafia e vuole anche cambiare quella mentalità mafiosa che si è insinuata troppo nell’esercizio del potere, anche del potere ufficiale.
Io credo che noi vi possiamo solo ringraziare, sopratutto perchè ci ricordate la cosa essenziale del nostro lavoro e del nostro ruolo: che non è un ruolo di potere ma di servizio nei confronti della collettività. E questo credo sia il segnale più bello che potevate darci.

Sono le parole di Nino Di Matteo al sit in di solidarietà organizzato per lui a Palermo. E sono parole importanti che forse avrebbero meritato qualche riga in più sugli organi di informazione e qualche momenti di riflessione politica. Forse. In un Paese più equilibrato nelle sue priorità.

Trattativa Stato-Mafia, il vuoto stretto intorno a Di Matteo

Scritto per Il Fatto Quotidiano

VNzEloqKahUGJXm-556x313-noPadNino Di Matteo cammina per Palermo con la scorta rafforzata che sembra un film degli anni ’80. Siamo un Paese che ultimamente ha ingoiato scorte patetiche dei signorotti o dei lacchè del re, che ha fantasticato sulle scorte “poetiche” da farci un film con un pizzico di commozione e che ha subito le sirene per un comizio in piazza di qualche Ministro. Di Matteo no: Di Matteo ha intorno il rischio a forma di paura, quello che a Palermo non si annusava dagli anni bui di una mafia che si lasciava andare con facilità alla polvere da sparo.

Forse non è un caso che Nino Di Matteo sia anche il magistrato che si occupa del delicato processo sulla trattativa Stato-Mafia, che prima è esploso in faccia ai negazionisti furibondi da talk show e oggi si è risotterrato tra le “cose che riguardano il passato”. Un processo che nell’informazione sta diventando un argomento per collezionisti e non importa se alla sbarra ci siano (alla stessa sbarra) politici e boss mafiosi che insieme disegnerebbero una foto devastante per la credibilità della democrazia italiana degli ultimi vent’anni.

Quando Salvatore Borsellino parlava di trattativa nei suoi incontri pubblici (lui e pochi altri “forsennati”) era facile relegarlo tra gli “allarmisti professionisti”. L’allarmista ha sostituito negli ultimi tempi il “professionista dell’antimafia” nel computo degli insulti istituzionali volti a delegittimare le battaglie antimafia. Allarmisti, rimestatori nel torbido, esagitati e visionari: chiunque parlasse di trattativa veniva fatto salire in fretta e furia nella “nave dei folli”.

Ora che quella perversione è diventata un processo sarebbe da tenere tra le mani con la cura di un buon padre di famiglia, sarebbe da osservare con l’attenzione di uno Stato che vuole essere garante della consapevolezza collettiva ed è, soprattutto, da proteggere.

Per questo la paura intorno a Nino Di Matteo è soprattutto la paura che si vorrebbe iniettare negli ultimi decenni politici per smussare la curiosità che ci dobbiamo e il vuoto intorno a Di Matteo sarebbe la latitanza più grave.

Per questo forse sarebbe meglio evitare gli editoriali sui pisolini in Parlamento e dedicarsi a questo vuoto istituzionale che si finge stretto intorno a Di Matteo. C’è un’aria grigia giù a Palermo. E una politica che può smettere di essere uguale a sé stessa.

(Ps per i fans delle “larghe intese con il Pdl: un’alleanza oggi con un processo del genere in corso è “concorso politico esterno”. Per dire.)

Intanto cercano di uccidere Di Matteo

pm_nino_di_matteoNon so se qualcuno tra tutto questo parlare di scontrini alla buvette, accordi e accordicchi si è accorto che il pm Nino Di Matteo è sempre più accerchiato e isolato. Le ultime minacce di morte non sono simpatici avvertimenti buoni per qualche servizio strappalacrime sulla paura ma un progetto di attentato ritenuto “assai serio”.

Non so se qualcuno si ricorda che Nino Di Matteo è il pm del prossimo processo sulla trattativa Stato-Mafia che fino a qualche anno fa ci dicevano fosse un’invenzione malata di Salvatore Borsellino e oggi invece vede alla sbarra importanti uomini politici e boss storici di Cosa Nostra.

Non so se qualcuno trova questa sera un secondo per pensare a questa Palermo che scorta un suo magistrato come nei tempi più bui mentre si scrivono editoriali sui sonnellini in Parlamento.

Noi, nel nostro piccolo, ti siamo vicini, Nino.