Vai al contenuto

no tav

Val di Susa armata e già fuori moda

Perchè il potere è monotono e triste. Ripete sempre lo stesso copione grigio e funereo come scrive Agostino.  L’importo della militarizzazione costerà oltre due volte il valore del finanziamento a fondo perduto che l’Unione Europea ha promesso all’Italia. Sono infatti a 417,4 milioni di Euro, ossia il 63% dei 662,6milioni di € previsti per questo Progetto Prioritario n. 6, il resto va alla Francia. E perché i lacrimogeni accendono un dibattito politico al massimo per un paio di giorni (anche se sarebbe utile che qualcuno ci chiarisse bene le proprie posizioni) e subito dopo basta mettere tutto nel cassetto della violenza per archiviare il caso. Ora servono nervi saldi (che è il titolo del bel libro di Agenzia X che potete scaricare qui) e l’onestà di raccontare. Perché, come si legge sul portale degli indignados spagnoli, in tempi d’insufficiente e inadeguata offerta di notizie, causata dalla massificazione dei media, diventa sempre più importante avere accesso a informazioni grezze e fatti chiari. “The revolution will not be televised”, la rivoluzione non sarà trasmessa in tv sarà dal vivo.

Che spara grosso sui NO TAV

Ero in Val di Susa, tra le istituzioni, e mi sono beccato io stesso i Cs: ho la raucedine da quattro giorni. Bisogna che si sappia che il Cs è anche cancerogeno perché ha gli stessi effetti degli idrocarburi policiclici aromatici. Inoltre dentro i Cs c’è anche un anti-agglomerante a base di silicone, perché si nebulizzi quando viene sparato. Quindi si deposita al suolo e rimane attivo per giorni e in un ambiente polveroso, va in sospensione, per cui si continua a respirare il materiale anche a distanza di tempo. Insomma ci sono effetti immediati e ritardati. Il pericolo black bloc che proferisce queste parole ribelli è docente di protezione dalle radiazioni al dipartimento di energetica del Politecnico di Torino. E nella sua intervista l’unica violenza è nella sua preparazione culturale e scientifica. A cui il Re (da secoli) risponde sempre con i sassi.

Senza commento

“La Tav è un’opera strategica e come tale si deve fare e si farà”. Lo afferma in una nota il capogruppo IdV alla Camera, Donadi, che esorta “tutte le forze politiche” a mostrare “senso di responsabilità e, ciacuna per propria parte, collabori perché si possa dialogare in maniera costruttiva”. Donadi rivolge anche un “incondizionato plauso” alle forse del’ordine per aver impedito “con straordinario senso di responsabilità” che “una giornata “di ordinaria follia degenerasse in qualcosa di ben peggiore”. Almeno sulla TAV escono le posizioni.

NO TAV: mettetevi d’accordo

Perché se sono gli indignados spagnoli o i cittadini greci abbiamo tutti una pulsione di stima e questa gran voglia di comunanza. Perché ci siamo specializzati a fare i rivoluzionari al massimo raccontando le rivoluzioni degli altri. Perché fingiamo di non sapere che basterebbe mettere la foto di qualche studente malmenato (tipo lui) in prima pagina per raccontare un’altra storia. Perché Grillo è un eversore pericoloso ogni volta che la politica non riesce a seguirlo su alcune posizioni (a proposito non è difficile farlo mantenendo la propria linea) ma nessuno riesce a parlare ai pensionati, alle mamme e ai giovani ieri al presidio. Perché allora decidiamo una volta per tutte di chiedere agli altri di indignarsi anche per noi e noi in cambio continuiamo al massimo a sostenerli.

NOTAV presidio Chiomonte. La diretta twitter

Saremo un popolo in movimento, pacifico e determinato per difendere i beni comuni, la nostra terra e il futuro di tutti e tutte. Non siamo mai stati un movimento Nimby. La solidarietà di questi giorni ci dice che combattiamo una lotta che riguarda tutti. Per questo invitiamo, quanti hanno a cuore la democrazia del nostro paese, chi ancora ha coraggio d’indignarsi, a partecipare all’assedio. Siccome non ne parleranno in molti e ne parleranno ognuno secondo le proprie interessate inclinazioni oggi il blog si mette a servizio dei valsusini per essere un megafono aperto. Qui.

[inline]
[script src=”http://widgets.twimg.com/j/2/widget.js”][/script]
[script]
new TWTR.Widget({
version: 2,
type: ‘search’,
search: ‘notav’,
interval: 5000,
title: ‘Presidio Chiomonte’,
subject: ‘Quello che non vi dicono’,
width: ‘auto’,
height: 400,
theme: {
shell: {
background: ‘#8ec1da’,
color: ‘#ffffff’
},
tweets: {
background: ‘#ffffff’,
color: ‘#444444’,
links: ‘#1985b5’
}
},
features: {
scrollbar: true,
loop: true,
live: true,
hashtags: true,
timestamp: true,
avatars: true,
toptweets: true,
behavior: ‘default’
}
}).render().start();
[/script]
[/inline]

Le proposte nelle teste sotto i manganelli

Come al solito ci hanno detto e hanno scritto che oggi in Val di Susa qualche esagitato ha esagerato e ha avuto bisogno di essere rimesso in riga. Ormai questo Paese è così vecchio che anche le manipolazioni sono tutte un deja vu. Eppure non si tratta di non volere qualcosa (ricordo un assessore di Regione Lombardia che mi disse che ogni volta nasce un comitato contro qualcosa e noi lo mettiamo in preventivo e io mi sono sempre chiesto a chi è intestata poi la fattura) comunque sulla questione TAV esistono almeno tre proposte che hanno senso e che hanno bisogno di essere lette per capire le motivazioni analitiche che stanno dietro ai presidi. I Verdi ci scrivono come il potenziamento della linea Torino – Lione può essere concretamente realizzato attraverso investimenti infrastrutturali e tecnologici sulla rete esistente, Marco Ponti, Marco Brambilla, Stefano Erba illustrano come sarebbe possibile risparmiare (e non poco) e Andrea Debernardi (dati alla mano) racconta come  i “buchi nei monti” si traducano, alla fine, “in buchi nei conti”: restando molto a lungo prevedibilmente, ma inesorabilmente, vuoti. Perché sapere è un dovere. Soprattutto un secondo prima di prendere il manganello in mano.

150 motivi per dire NO alla TAV

Pro Natura Piemonte ALTRE 150 BREVI RAGIONI TECNICHE CONTRO IL TAV IN VAL DI SUSA Per i 150 anni dell’ Unità d’ Italia

(di Mario Cavargna, Presidente di Pro Natura Piemonte e master di ingegneria ambientale)

1) Una grande opera o è fortemente utile o è fortemente dannosa, perché richiede investimenti che vengono sottratti ad altri capitoli di spesa e perché ha un forte impatto sul territorio che la ospita. La questione fondamentale del progetto della nuova linea ferroviaria Lione-Torino, che è anche la più costosa opera pubblica mai progettata in Italia, è la sua inutilità, perché le ipotesi di traffico su cui si basa sono state smentite dalla realtà dei fatti, che mostrano una inarrestabile caduta dei movimenti di merci e di passeggeri sulla sua direttrice.

2) Al traforo del Frejus, il traffico merci della ferrovia esistente è sceso nel 2009 a 2,4 milioni di tonnellate (MT). Si tratta di poco più di un decimo del traffico di 20 MT che erano previsti all’orizzonte del 2010, dalla dichiarazione di Modane dei ministri dei trasporti italiano e francese. La diminuzione è stata largamente indipendente dai lavori di ampliamento del tunnel esistente, perché era cominciata due anni prima dei cantieri, aperti nel 2002, ed è proseguita in modo costante.

E’ incredibile che, con dati che si rivelano quasi un decimo di quelli previsti, l’intero arco politico ignori il fatto, non si ponga alcun problema della verifica delle previsioni e continui a premere sull’acceleratore di un progetto che ha perso ogni ragion d’essere.

3) L’insieme del traffico merci dei due tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco è sceso nel 2009 a 18 MT, come nel 1988, cioè 22 anni fa. Il traffico merci del Frejus, nel 2009, è stato di 10 MT, come nel 1993; quello del Monte Bianco si attesta addirittura ai livelli degli anni ’70. La punta massima si è avuta tra il 1994 ed il 1998: da allora i due tunnel hanno perso un terzo del traffico. Questo dimostra che non c’è ragione di costruire delle nuove infrastrutture.

L’insostenibilità dei costi

4) A fronte della inconsistenza delle motivazioni, vi è l’insostenibilità del costo: per la parte comune italo-francese, che comprende il tunnel di base, il dossier presentato alla Unione Europea nel 2007, che rappresenta ancora il documento più attendibile essendo stato firmato dai due ministri competenti, preventiva, al gennaio 2006, il costo di 13,950 miliardi di euro correnti, comprensivi cioè degli oneri finanziari che si formano durante l’arco dei lavori, considerando che prima che l’opera sia finita decorrono gli interessi sulle parti già costruite. L’aumento derivante è calcolato intorno al 33% della cifra totale: il 63%, di questa cifra, che è a carico dell’Italia, corrisponde a 8,8 miliardi che, sommati ai 2 miliardi di euro di opere tecnologiche, fa un totale di 10,8 miliardi di euro.

5) Per la tratta italiana sino al raccordo con Torino, per cui non esiste il confronto con dati ufficiali più recenti, il costo in euro correnti ricavabile dal dossier presentato alla Unione Europea è di 5 miliardi, in valuta del gennaio 2006. A questi vanno sommati gli 0,8 miliardi di euro di opere tecnologiche.

Il totale dei costi a carico dell’Italia per la Torino-Lione sarebbe di almeno 17 miliardi di euro. In più ci sarebbero l’adeguamento dei prezzi, le modifiche di tracciato che hanno comportato oneri aggiuntivi, le eventuali mitigazioni e l’allungamento del periodo di lavori per problemi tecnici. Infine gli interventi necessari al nodo di Torino e l’acquisto del nuovo materiale rotabile, per il trasporto sia di merci sia di passeggeri.

6) Gli adeguamenti dei prezzi possono riservare sorprese. A livello di progetto preliminare per la tratta italiana della parte comune, presentata ad agosto 2010, viene dato un costo che è solo del 5,5% in più rispetto alla valutazione di 4 anni e mezzo prima. Ma a livello di progetto definitivo, per la galleria geognostica di Chiomonte, a maggio 2010, viene dato un costo che raddoppia quello del progetto preliminare del 2005, pur affermando che si tratta di un progetto talmente simile a quello di Venaus da poter essere riaffidato allo stesso gruppo di imprese che aveva vinto l’appalto precedente. Si passa dai 65 milioni di euro per 7 km di galleria (+19 milioni per un eventuale prolungamento di 3 km) del 2005, ai 137 milioni di euro per 7,5 km del progetto di maggio 2010. Il solo adeguamento dei prezzi 2004-2009 ha comportato un aumento del 30 % in 5 anni!

7) Su queste basi non sembra fuori luogo prevedere un raddoppio dei costi di tutta l’opera ed ipotizzare per la Torino-Lione un costo per l’Italia di 35 miliardi di euro, più le voci che, come si è detto, sono ancora da calcolare. I consuntivi per il progetto dell’Alta Velocità italiana fanno ritenere corretta tale cifra. Le spese della Roma-Firenze sono cresciute di 6,8 volte rispetto ai preventivi, quelle della Firenze-Bologna di 4 volte, quelle per la Milano-Torino di 5,6 volte rispetto al 1991. Il costo ipotizzato rappresenterebbe un aumento di 6 volte rispetto ai corrispondenti preventivi di 20 anni fa e quindi rientrerebbe nella norma.

8) Il costo al km dà dei dati impressionanti: se facciamo una media della intera parte comune italo-francese dividendo i 14 miliardi di euro della domanda di finanziamento all’Unione Europea per gli 80 km allora previsti, arriviamo ad un costo di 175 milioni di euro per km, in euro del gennaio 2006. Ma se dividiamo gli 8,8 miliardi che pagherà effettivamente l’Italia per i suoi 35,5 km della parte comune si arriva a 250 milioni per km. Per la tratta esclusivamente italiana, la valutazione è più incerta per via della mancata presentazione del tracciato preliminare, ma le notizie di stampa fornite dagli stessi proponenti ammettono un costo storico di 120 milioni di euro per Km, che, tradotto in euro correnti, corrisponde a 160 milioni di euro per km.

9) Le merci della nuova Torino-Lione non possono attraversare le gallerie del nodo di Torino, perché le normative di sicurezza impediscono il passaggio contemporaneo di passeggeri e merci nelle gallerie che passano sotto la città. Pertanto sarà necessaria la costruzione di una “Gronda merci” a Nord e Nord-Ovest della città, i cui costi andranno ad incrementare quelli del progetto perché il trattato vigente non riguarda il nodo di Torino.

10) Per quanto riguarda l’occupazione indotta, il progetto della tratta italiana della parte comune italo-francese, presentato ad agosto 2010, prevede una occupazione media di 1020 unità lavorative su una durata media di 7 anni. Rimanendo sempre all’ipotesi ottimistica di 8,8 miliardi di euro del 2006, per le opere civili, in termini di occupazione questa cifra, tenendo conto della globalità del lavoro indotto, corrisponde ad un preventivo di 9 milioni di euro per ogni addetto che lavori per 7 anni. Poiché 7 anni sono un quinto di una vita lavorativa questo significa, in termini di occupazione, che alimentare il settore delle grandi opere significa, per le risorse nazionali, investire 45-50 milioni di euro per ogni addetto, cioè poco meno di 100 miliardi di vecchie lire. Ci si può chiedere quanti interventi a favore dell’occupazione, della sanità o dell’istruzione pubblica si potrebbero fare utilizzando diversamente importi di questo peso. E quanto costi allo stato alimentare questo settore anche oltre le effettive necessità infrastrutturali.

11) Il tunnel di base avrà costi altissimi anche per la sola manutenzione ordinaria. Per questa voce, in cui incidono fortemente le spese di raffreddamento, necessario per far scendere la temperatura a 32°C, i proponenti preventivano 65 milioni di euro all’anno. Remy Prud’homme, professore emerito di economia alla Università di Parigi, sulla base dei costi del TGV France Nord, ha calcolato il costo annuale di gestione sulla base del 3,2% dell’investimento, che significherebbe una spesa di 450 milioni di euro.

12) Ma questo sarebbe solo l’inizio: il presidente della Commissione Trasporti del Parlamento Europeo, Paolo Costa, in una lettera del 2008 a “La Stampa”, ha scritto che dopo la Torino-Lione bisogna trovare altri 26 miliardi (di primo preventivo) per completare il corridoio italiano sino alla frontiera slovena. Anche qui si tratta di cifre di cui bisogna ipotizzare perlomeno il raddoppio e che, sommate a quelle che sarebbero necessarie per la Torino-Lione, danno l’idea di quale sia l’entità dell’esborso che è nell’interesse di tutti fermare, prima che affondi l’economia italiana.

13) I fondi necessari per la Torino Lione sono direttamente sottratti ad altri interventi. Già con i primissimi finanziamenti necessari al tunnel geognostico di Chiomonte si è cominciato a prelevare dai fondi che erano già destinati ad altri capitoli di spesa: in questo caso all’ art. 6 del DL 112/2008, che assegnava risorse alla messa in sicurezza delle scuole, alle opere di risanamento ambientale e all’innovazione tecnologica. L’economista Marco Ponti, insieme ad altri, ha calcolato che sulla base dei soli preventivi esistenti, la Torino-Lione costerà 1300 euro per ogni famiglia media italiana di quattro persone.

Le critiche ufficiali al progetto

14) Le due perizie più autorevoli fatte sulla Torino-Lione sono quella commissionata dal Ministro dei Trasporti francese a Christian Brossier ed ad altri due esperti del Conseil Général des Ponts et Chaussées, e resa pubblica a maggio 1998. Vi è poi quella del cosiddetto “audit” sui grandi progetti ferroviari, commissionato dal Governo francese al Conseil Général des Ponts et Chaussées, presentata a maggio del 2003: entrambe hanno stroncato decisamente il progetto. In Italia non è mai stata fatta una analoga verifica.

15) Il rapporto Brossier dice che “occorre attendere l’evoluzione del contesto internazionale e particolarmente in Svizzera ed Austria, prima di intraprendere un nuovo traforo sotto le Alpi”; che il nuovo tunnel per il TGV e l’autostrada ferroviaria sulla Torino-Lione “non sono una priorità”, e che “conviene intervenire sulla linea esistente”.

16) Nell’audit realizzato nel 2003 dal Conseil Général des Ponts et Chaussées sui progetti di grandi infrastrutture ferroviarie, la stroncatura della Torino-Lione, sotto tutti i punti di vista, è ancora più netta. Le proiezioni presentate da LTF vengono giudicate inattendibili. L’audit rileva che “la capacità di trasporto dei nuovi itinerari svizzeri si collocherà tra 40 e 65 MT all’anno, e che saranno in netta concorrenza con gli itinerari francesi”. Sviluppando diverse simulazioni, conclude che nell’orizzonte ventennale del 2023 “al Frejus passerà un traffico nettamente inferiore (!) a quello del recente passato e che la Lione-Torino sarà ininfluente nel rapporto gomma/rotaia ma, al massimo, si limiterà a catturare un traffico che sarebbe transitato non per i tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco, ma per le ferrovie svizzere”.

L’audit non fu posto in votazione perché i deputati della regione Rhone Alpes minacciarono di ritirare l’appoggio al governo.

17 ) Remy Prud’homme, economista, professore emerito di Economia all’Università di Parigi, che si è interessato delle linee ad alta velocità francesi, ha valutato anche il progetto della Lione- Torino, giungendo alla conclusione che la linea comporterebbe uno spreco di circa 19 miliardi di euro per la tratta internazionale, anche quando si accettino il punto di vista dei proponenti sui cosidetti benefici esterni dell’opera.

18 ) Marco Ponti, professore di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, Marco Boitani, professore di Economia Politica all’Università di Milano e Francesco Ramella, ingegnere di trasporti, tutti e tre importanti articolisti su giornali economici come “Il Sole 24 Ore”, hanno pubblicato nel 2007 un lungo saggio dal titolo “Le ragioni liberali del No alla Torino-Lione”, che sottolinea “la inesistenza di una domanda passeggeri merci tale da giustificare questa linea”. Per Marco Ponti, che è stato il primo, nel 2005, a calcolare il preventivo per la nuova linea in 17 miliardi di euro di allora, “questo progetto non andava neppure presentato“. Se lo si fosse ascoltato, l’Italia avrebbe già risparmiato spese per mezzo miliardo di euro.

19) Una ricerca svolta all’Università di Siena da M. Federici e continuata da M.V. Chester e A. Horvarth sottolinea che “Il trasporto ferroviario è peggiore del trasporto stradale per le emissioni di CO2, particolato ed SOx, mentre sono confrontabili i valori di altre specie gassose. Il TAV mostra valori sistematicamente peggiori del trasporto ferroviario classico e la causa è da ricercarsi nella eccessiva infrastrutturazione del TAV e nella eccessiva potenza dei treni: un TAV emette il 26% di CO2 in più rispetto ad un treno classico ed il 270% in più rispetto ad un camion. Quindi da un punto di vista energetico ambientale il trasferimento delle merci dalla gomma al TAV non trova nessuna giustificazione. Questi risultati, relativi al tratto Bologna-Firenze, sono assolutamente applicabili anche al progetto della Val di Susa, in entrambi i casi si tratta di opere assolutamente sproporzionate ed ingiustificate rispetto al carico di trasporto che possono avere.

L’ampia capacità delle infrastrutture esistenti

20) Il Trattato italo-francese, firmato a Torino il 29 gennaio 2001, dice al primo articolo che la nuova linea “dovrà entrare in servizio alla data di saturazione delle opere esistenti”, e l’avvocatura di stato francese ha sentenziato nel 2003 che questo significa che se non c’è prospettiva di saturazione, non c’è impegno. Da allora la saturazione dei valichi italo-francesi, sia ferroviari sia autostradali, non solo non si è avvicinata, ma è addirittura svanita dall’orizzonte, a causa della radicale e duratura inversione di tendenza: eppure il progetto è rimasto.

21) La Valle di Susa ospita già la linea ferroviaria internazionale del Frejus il cui binario di salita è stato terminato solo nel 1984 e su cui, da sempre, si susseguono lavori di ampliamento ed ammodernamento, per mantenerla ai massimi livelli di efficienza. Sino al 2000 è stata la seconda ferrovia come volume di traffico con l’estero, poi ha cominciato a calare ed a perdere posizioni. I lavori effettuati tra il 2002 ed il dicembre 2010 l’hanno riportata ai migliori livelli di funzionalità tra i tunnel ferroviari esistenti, ma nella tratta alpina è stata utilizzata negli ultimi tre anni mediamente per meno di un quarto della sua capacità. Sembra ovvio che prima di costruire nuove infrastrutture si debba dimostrare di saper sfruttare quelle esistenti.

22) Il tunnel della attuale ferrovia del Frejus è stato rifatto per permettere il transito dei container su camion sino alla sagoma di 4,05 metri, ed è agibile da dicembre 2010: i lavori hanno restituito un’opera grandiosa e modernissima. La questione della differenza di sagoma con i 4,20 del nuovo progetto è peregrina, perché anche i più grandi container passano senza problemi, se non sono caricati su di un camion ed un pianale alto tipo Modalhor: pertanto il nuovo progetto è del tutto inutile.

23) In Val di Susa tra il 1973 ed il 1994 sono stati costruiti anche il tunnel autostradale e l’autostrada del Frejus. La loro realizzazione ha causato irreparabili ferite al territorio: un loro ragionevole utilizzo ai livelli attuali evita che i danni sopportati si trasformino in una beffa. Anche perché l’efficienza energetica e l’abbattimento delle emissioni dei camion attuali ribaltano il vantaggio ambientale delle ferrovie dal punto di vista delle emissioni e del rendimento energetico.

24) Il Piemonte ha già una sufficiente rete di collegamenti: ad Ovest un tunnel autostradale ed un tunnel ferroviario transalpini, a Nord può sfruttare in modo quasi esclusivo i due della Valle d’Aosta. A Sud è a ridosso dei tre grandi porti della Liguria a cui è collegato da 3 autostrade, e ad Est è collegato con la pianura Padana da tre ferrovie e due autostrade.

25) Non è vero che le infrastrutture creino un vantaggio in un territorio già ben servito. Le imprese emigrano verso paesi stranieri che hanno strutture per i trasporti decisamente inferiori alle nostre, perché là il costo del lavoro è minore e perché l’ Italia non ha risorse per ridare competitività e per incentivare ricerca ed innovazione. Pertanto i miliardi destinati alla Torino-Lione, che vengono sottratti a questi capitoli di spesa, penalizzano l’Italia.

26) L’insieme delle nostre infrastrutture transalpine è utilizzato al 30% della sua capacità, in un quadro in cui anche la domanda globale di trasporto attraverso le Alpi ha cominciato a scendere ovunque. Le situazioni di collasso e di ingolfamento sono tutte nei nodi urbani, ed è lì che bisogna intervenire: la Torino-Lione affronta il problema dei trasporti dal verso sbagliato, dilatando la capienza ai valichi dove essa è sovrabbondante anche negli scenari futuri e sottraendo risorse che sarebbero necessarie a risolvere il congestionamento delle strutture urbane.

La caduta del traffico merci su questa direttrice alpina

27) Anche escludendo l’anno di crisi del 2009, dal 2005 al 2008 il traffico delle merci al traforo autostradale del Frejus è calato del 12%, che equivarrebbe, tra 20 anni, ad avere una ulteriore riduzione del 60% dei TIR rispetto ad oggi, anche in assenza di qualsiasi intervento. Le previsioni di alluvioni di TIR attraverso le nostre Alpi si rivelano del tutto false.

28) La perdita di traffico mercantile da parte dei tunnel alpini italo-francesi, sia ferroviario sia stradale, è dovuta al fatto che Italia e Francia sono due economie mature che scambiano meno che in passato perché il mercato globale ha sostituito quello reciproco. I traffici transalpini hanno avuto un incremento solo per la crescita di quegli stati che hanno avuto un rapido sviluppo economico dopo la loro adesione all’Unione Europea: il primo era stato la Spagna, a seguito della quale il valico di Ventimiglia decrebbe fortemente tra il 1994 e 2004. Ma da 6 anni anche questo è rimasto stabile come prevede la curva matematica che descrive tutti fenomeni di saturazione, compresi quelli dei mercati dei beni di consumo.

29) I soli valichi alpini che hanno avuto una crescita in periodi recenti sono quelli della direttrice Nord-Sud, per il collegamento con le economie dell’ex blocco sovietico che si sono unite alla Unione Europea, ma la Torino-Lione è inequivocabilmente una direttrice Est – Ovest, sul margine occidentale della penisola e non può intercettare nulla. Il valico del Brennero è arrivato quasi a 50 MT tra strada e ferrovia: ma dal 2008 sono comparsi i segni del consueto termine della crescita e nel 2009 è sceso a 39 MT (ha perso cioè il 22% in due anni).

30) La caduta dei traffici ha spinto l’Austria a mettere una moratoria di cinque anni sul progetto del traforo ferroviario del Brennero i cui lavori dovevano iniziare nel 2011. E’ la premessa ad una sua definitiva cancellazione, perché negli ambienti governativi non ci si fa illusione su un miglioramento della situazione e gli investimenti sono stati indirizzati su opere minori. Se ci si è fermati sulla direttrice del Brennero dove, all’interno del traffico totale, il transito internazionale è di 39 MT, come si può continuare su quella del Frejus, dove il transito è di soli 2.5 MT?

31) Le cose non vanno meglio per il traffico passeggeri internazionale. Nel 1993, alla presentazione del progetto, i passeggeri erano 1,5 milioni e si prevedeva che salissero ad 8,5 milioni nel 2002, invece sono scesi a 750.000!

Dati reali contro false previsioni

32) Le previsioni di traffici sono l’elemento fondamentale per la decisione su di una grande infrastruttura di trasporto perché è da esse che si deve capire se l’intervento avrà una sua utilità o peserà con un gigantesco buco finanziario. Per convenzione, la fonte dei dati storici transalpini sono le statistiche ALPINFO elaborate annualmente presso il Dipartimento Federale dei Trasporti svizzero, che armonizza le diverse rilevazioni nazionali per quantificare con precisione i flussi di merci passanti attraverso i 17 più importanti valichi dell’arco alpino. Ma i proponenti della Torino-Lione, pur riconoscendole, non hanno mai accettato di confrontarsi con esse; manca quindi loro l’elemento essenziale per convalidare il progetto.

33) Tutto il progetto della Torino-Lione si basa su un modello di previsioni creato da LTF, con condizioni particolarissime, che non tiene conto delle rilevazioni dei transiti come quelle di Alpinfo e non ha mai accettato di discutere la propria validità o la propria taratura, anche quando si è visto che, dal 2002, i suoi dati mostravano una tendenza opposta all’andamento effettivo della ferrovia attuale. Il primo criterio per convalidare un modello è quello di poter descrivere l’andamento dei dati esistenti; eppure, anche se ad oggi lo scostamento tra dati reali e dati previsti è del 500%, cioè 2,2 MT reali contro i 10 MT previsti da LTF per il 2009, e la curva di discesa dei dati reali è convalidata da un andamento omogeneo dal 2000 al 2009, LTF non ha mai operato alcun ripensamento.

Ma anche l’ Osservatorio, nonostante la discordanza dei dati non ha mai messo in discussione il modello proposto da LTF.

34 ) Le previsioni di traffici merci della Torino-Lione sono state calcolate anche dalla SBB che si occupa del progetto di traforo ferroviario del Brennero. Il loro modello, applicato ai dati Alpinfo, prevede che il nostro asse ferroviario, fatti gli opportuni interventi, possa stabilizzarsi appena sopra 10 MT, ed all’orizzonte del 2025, le loro previsioni danno un traffico di 11 MT che è circa un quarto di quello di 40 MT “previsto” da LTF per il 2030 ! Ma anche di fronte a questo dato l’ Osservatorio e LTF non hanno fatto alcuna verifica ed hanno sentenziato che è SBB a dover cambiare i propri metodi di calcolo .

35) Una delle più gravi omissioni delle previsioni di LTF è la mancata valutazione dell’impatto sui trasporti transalpini che sarà creata dalla messa in esercizio delle due direttrici ferroviarie che la Svizzera ha concordato con l’Unione Europea, per accettare il traffico merci in attraversamento lungo il suo territorio. L’ampliamento del Lötschberg-Sempione (già in esercizio) per ulteriori 20 MT e soprattutto il Gottardo (in esercizio dal 2017) per 40 MT, creeranno una forte capacità di traffico, mettendo insieme la tradizionale efficienza ferroviaria svizzera con la necessità di utilizzare a fondo le strutture costruite per compensare i costi di realizzazione. Questo provocherà una nuova concorrenza che renderà ancor più labili le prospettive di utilizzo dei nostri valichi occidentali.

36) L’indifferenza verso la fornitura di dati scorretti e tendenziosi, a puro scopo di propaganda, si è resa evidente anche nel grande stand che fu allestito dalla Regione nell’atrio di Porta Nuova tra il gennaio 2006 ed il 2007. Val la pena di ricordare alcuni dei grandi slogan che campeggiavano dietro le pareti di cristallo: “Il traffico commerciale delle Alpi è cresciuto di 11 volte in 25 anni”, “La attuale linea ferroviaria Torino-Lione non può più far fronte al sempre maggiore aumento di scambi commerciali (!)”, “In assenza della nuova linea ferroviaria la ferrovia raggiungerà il suo limite di capacità tra il 2015 ed il 2017 (!)”. Queste affermazioni erano irrealistiche allora e lo sono in modo ancor più evidente oggi, ma val la pena di sottolineare la prima perché evidenzia bene il modo in cui procedevano i promotori: il tabulato 1980-2004 di Alpinfo, l’ultimo ad essere disponibile in quel momento, dava una crescita sull’arco alpino del 117%. Quindi LTF e la Regione avevano addirittura omesso una virgola, ma non hanno corretto il dato neppure di fronte ad un esposto per propaganda scorretta e tendenziosa.

37) Va anche sottolineato che l’Osservatorio ha capovolto la questione: il trattato di Torino motiva il tunnel di base con l’ipotesi della saturazione dei valichi. Ma l’Osservatorio, visto che non c’è questa prospettiva, ha lavorato per dimostrare la presunta saturazione della linea di pianura, “se si fa il tunnel di base”!

Per la Valle di Susa vi è anche un’altra una questione di fondo: è inaccettabile sviluppare iniziative che dirottino artificialmente i traffici su una sola direttrice, anche a scapito delle strade naturali, perché nessun territorio può essere sacrificato a corridoio di traffico a vantaggio di altri.

Il flop dell’Autostrada Ferroviaria e del trasferimento modale

38) L’Autostrada Ferroviaria Alpina era lo strumento con cui si doveva realizzare l ‘ Alta Capacità ed il trasferimento modale. Secondo il Rapporto Finale di Alpetunnel, che è alla base del Trattato di Torino del 2001, l’Autostrada Ferroviaria della nuova linea (A. F. A.) sarebbe stata costituita da vagoni di nuovo tipo, i Modalohr, per formare treni tre volte più lunghi e più pesanti dei merci attuali, che potevano arrivare a 1500 metri di lunghezza. Ogni convoglio sarebbe stato formato da 70 vagoni che caricavano un TIR completo, motrice compresa. E’ stata l’ipotesi di questi treni, che impone le pendenze inferiori al 15‰, ad aver imposto la scelta del tunnel di base e le sagome. Ma, dopo 7 anni di sperimentazione, i risultati di questo sistema sono stati disastrosi, mancando tutti gli obiettivi, e l’ultimo progetto relega l’uso dei Modalohr ad un misero 15% del totale.

39) Il servizio sperimentale era iniziato a novembre 2003 sulla linea attuale. Era nato con 4 coppie di treni da 17 carri al giorno, che presto sarebbero dovute salire ad 8 coppie. Le coppie sono rimaste 4, ma ogni treno, dal 2006, è stato ridotto ad 11 carri: il motivo della riduzione è stato l’insuccesso tecnico ed economico della sperimentazione, nonostante l’impegno ed i finanziamenti spesi dai due governi che l’avevano indicata come elemento esclusivo e qualificante della nuova linea.

40) L’ Autostrada ferroviaria con i Modalohr è stata un completo fallimento: i TIR completi, per cui è stata costruita, sono solo una piccola quota dei ridottissimi traffici che riesce a catturare. Il resto sono semirimorchi di merci pericolose che viaggiavano sulla ferrovia già da prima, con due treni che sono stati soppressi per darle spazio. Tutto compreso, l’A.F.A. ha trasportato 15- 17.000 mezzi all’anno: contro gli 800.000 che passavano nel tunnel autostradale del Frejus. Il che vuol dire che è riuscita ad assorbire solo il 2% del traffico su strada anche nelle condizioni più agevolate.

41) Ma il fallimento è soprattutto nel deficit di gestione: nei primi sei anni, i due stati hanno versato 45,5 milioni di euro ciascuno. Questo importo, sommato al deficit di bilancio e diviso per 15.000 – 17.000 viaggi all’anno, dà un deficit di 1.000 euro a carico delle finanze pubbliche per ogni viaggio di camion sulla Autostrada Ferroviaria, in aggiunta ai circa 300 euro che paga l’autista.

42) Il presidente dell’Autostrada Ferroviaria Alpina nel 1° “Quaderno” dell’ Osservatorio, ammette che i ricavi rappresentano solo il 33% dei puri costi ed pagina 152 afferma: “Da questa analisi economica e finanziaria del progetto risulta che non c’è speranza di poter rendere redditizio il traffico accompagnato (cioè il TIR + autista, che è la chiave del progetto) che pesa fortemente sul bilancio, occupando inutilmente la capacità sui vagoni ed imponendo spese. Ci si deve chiedere se c’è interesse a mantenere un traffico accompagnato al di là del 2008”. Anche la Hupac, il principale operatore del trasporto combinato in Europa, in una audizione nello stesso dossier ha affermato che “il servizio, che costituisce solo il 3,5% del totale, è svolto per mandato governativo ed ha carattere residuale in quanto è poco conveniente economicamente e poco efficiente sotto il profilo ferroviario”.

43) L’autostrada ferroviaria è un sistema sbagliato anche dal punto di vista energetico: caricare la motrice vuol dire trasportare come peso morto la parte più importante del camion. Il rapporto COWI commissionato dalla Direzione Trasporti della Unione Europea nel 2006 calcola che, in un anno, un convoglio merci ordinario trasporta 175.000 tonnellate di merci mentre, a parità di peso dei treni, un convoglio della autostrada ferroviaria trasporta solo 75.000 tonnellate, cioè meno della metà. In pratica, l’Autostrada Ferroviaria dimezza la capacità della linea in tonnellaggio di merci trasportate e di conseguenza raddoppia il consumo energetico!

44) L’ autostrada ferroviaria dimezza le capacità di una linea, raddoppia il consumo energetico 7

ed è economicamente disastrosa. Per trasportare le merci è decisamente preferibile e meno costoso caricare in ferrovia solo il semirimorchio ed avere solo a destinazione la motrice che lo porta al destinatario in un breve raggio. Meglio ancora conviene trasportare sulla ferrovia il solo container, soprattutto quelli che arrivano via mare. Non ha senso né da un punto di vista energetico né da quello economico sbarcare il container dalla nave, caricarlo su un camion e poi caricare il camion sulla ferrovia!

Le favole del corridoio 5, della sicurezza, del risparmio energetico e del trasferimento modale

45) La favola più citata è quella di un corridoio di traffico esteso tra Lisbona e Kiev. Il cosiddetto Corridoio 5 non è che una linea geografica che ha prolungato artificiosamente, da una parte e dall’altra, il tratto tra Lione e la pianura Padana. Si può definire “corridoio” una direttrice di traffico che è percorsa in modo uniforme per gran parte del suo sviluppo, ed in questo caso merita una infrastrutturazione uniforme; ma se si tratta solo di segmenti, alcuni dei quali insignificanti dal punto di vista del traffico, darle una strutturazione uniforme significa solo un immenso ed ingiustificato spreco. Si è già visto che il traffico tra Lione e la pianura Padana è scarso, ed in diminuzione da un decennio, figuriamoci quello tra aree che hanno caratteristiche enormemente inferiori!

Il traffico merci che entra in Italia dalla Penisola iberica sceglie l’itinerario costiero, senza “risalire” a Lione, e l’Unione Europea stessa lo ha già scorporato dall’itinerario 5. Ad Ovest, a parte il pochissimo traffico di prossimità con la Slovenia e l’Ungheria, tutto il traffico di questo asse che si sviluppi su tratte di sufficiente lunghezza, e su volumi sufficientemente importanti da render conveniente il treno, ha più convenienza a prendere l’itinerario via mare, dalla costa del Mediterraneo a quella del Mar Nero, che gli è parallelo.

46) Infatti le rilevazioni dei transiti indicano che non esiste un vero corridoio merci neppure tra Lione e Torino, perché la linea ferroviaria merci francese che dovrebbe immettersi nel nostro tunnel di base proviene da Digione, dove si concentra il traffico proveniente da Nord – Ovest, che è quello maggioritario, mentre quello proveniente dalla Francia del Nord e dalla Gran Bretagna va su Milano attraverso il Sempione, che è il suo asse naturale. Il traffico su strada che attraversa il tunnel autostradale del Frejus è invece per due terzi un traffico di prossimità tra le regioni Piemonte e Lombardia e le omologhe francesi.

47) Un’ altra favola è quella della maggior sicurezza della nuova linea. La LTF, che progetta la ferrovia Lione-Torino, prevede nel modello di esercizio 250 treni al giorno, che nelle ore di punta, si susseguano, per ogni senso di marcia, in sequenze composte ciascuna da un treno TGV a 220 km/h, tre treni di autostrada ferroviaria a 120 km/h e due treni merci a 100 km/h.

Proviamo a vedere come si svolgerebbe questo traffico dove per almeno 84 km non vi siano possibilità di sorpasso. Prima entrerebbe nel tunnel un TGV poi, subito dopo, i 5 merci, a circa 5 minuti di distanza l’uno dall’altro: 3 minuti dei quali dovuti alla distanza di sicurezza. Poi, ci dovrebbe essere una pausa di 20 minuti, più le distanze di sicurezza, perchè altrimenti il TGV dell’ora successiva, con una differenza di velocità di almeno 120 km/h rispetto all’ultimo merci, lo raggiungerebbe e lo investirebbe. Sulla linea attuale questo rischio è quasi inesistente perché le differenze di velocità sono minori e ci sono diversi punti di scartamento per far sorpassare i treni lenti.

48) Nella nuova linea ogni treno potrebbe tardare od accelerare solo di due minuti e, tutti insieme, avrebbero solo un margine di 5 minuti ogni ora: se l’errore fosse superiore, scatterebbero blocchi del traffico oppure tamponamenti nel tunnel a velocità elevatissima, perché questo modello di esercizio di 250 treni al giorno con TGV/TAV a 220 km/h, funziona solo se i treni merci e passeggeri convenzionali entrano nel tunnel alla massima velocità consentita e la mantengono sempre, anche prima di scartarsi su di un altro binario e di reimmettersi in linea, altrimenti le distanze diventano rapidamente insufficienti. Il problema è irrisolvibile a meno di far viaggiare i TAV alla velocità dei merci, ma questo diminuirebbe l’interesse per il tunnel di base.

49) Se si parla di sicurezza del sistema bisogna immaginare lo stato d’animo dei macchinisti che dovrebbero viaggiare dentro al tunnel alla massima velocità, senza sforare dai due minuti loro concessi, sperando che i colleghi davanti e dietro facciano lo stesso; quello degli autisti, che dovrebbero prendere i treni con i loro camion ed il loro carico in quelle condizioni ed infine quello dei passeggeri dei TGV che viaggerebbero a 220 km/h nel tunnel di base, sapendo di avere davanti a sé treni merci e carichi di TIR, molto più lenti, che devono scartarsi e reimmettersi con margini temporali da brivido.

50) La nuova linea, volendo ospitare i due tipi di traffico, avrebbe una capacità appena del 10% superiore rispetto a quella attuale, quindi soli 250 treni contro i 225 di cui si è detto che è capace la linea attuale (cfr. 61), e non i 350-400 che si favoleggiano per la cosiddetta Alta Capacità.

51) Anche il risparmio energetico del tunnel di base è una favola. Nella realtà il progetto e l’esercizio della nuova linea comporterebbe uno spreco di energia nettamente maggiore di qualunque risparmio, anche nelle ipotetiche migliori condizioni. Come si è già detto al punto 43, un treno della autostrada ferroviaria trasporta un peso utile che è solo il 42% di quello di un treno merci ordinario, di conseguenza il consumo energetico è di oltre due volte a parità di peso netto trasportato. In più, la ricerca già citata condotta da M. Federici ed altri all’Università di Siena, a partire dal 2006 ha dimostrato che “il TAV mostra valori sistematicamente peggiori del trasporto ferroviario classico e la causa è da ricercarsi nella eccessiva infrastrutturazione del TAV e nella eccessiva potenza dei treni. Un TAV emette un 26% di CO2 in più rispetto ad un treno classico e il 270% in più rispetto ad un camion”.

52) In più va ancora calcolato l’enorme consumo energetico richiesto dal raffreddamento del tunnel per portare a 32°C l’ambiente caldo di roccia profonda che arriva a superare i 60°C. I 20 MW termici necessari secondo il progetto preliminare, presentato ad agosto 2010, corrispondono al consumo annuo di 175 milioni di kW/h. Sommati ai 12-15 milioni di kW/h necessari alla ventilazione dei 120 km di gallerie, questi bastano a rendere passivo il bilancio energetico del tunnel di base, anche nelle ipotetiche condizioni di pieno utilizzo.

53) Un cenno a parte merita l’insistenza sulla parola “strategico” data come una parola magica che giustifica tutto e sulla asserzione che l’investimento in una opera pubblica possa essere una scommessa. Nessuna strategia può prescindere dalla conoscenza dei fatti, e se i fatti non si conoscono, nessuna azione può essere di per sé strategica. Un investimento non può mai essere una scommessa perché le scommesse si affidano alla dea Fortuna; e questo non può essere il comportamento per cui un amministratore viene scelto dagli elettori.

La favola della piattaforma logistica e della concorrenza al traffico marittimo

54) L’ultimo slogan inventato per sostenere la Torino-Lione è che l’Italia, e Genova in particolare, sarebbe il posto ideale per intercettare le navi porta containers che arrivano da Suez con destinazione i porti del Nord Europa, per portare loro le merci su ferrovia attraverso i tunnel transalpini. Ma probabilmente nessuno ha fatto i conti.

Una nave porta containers, una volta arrivata nel canale di Sicilia, se invece di “risalire” a Genova prosegue per Amsterdam-Rotterdam, impiega 4 giorni di più. Poiché il costo di nolo, carburante ed assicurazione di una nave di tale tipo è di circa 100.000 dollari Usa al giorno, spenderebbe 400.000 dollari in più che, divisi per un carico di poco meno di 4.000 containers, danno un costo di poco superiore ai 100 dollari per container. Come si può pensare di fare concorrenza scaricando il container a Genova, metterlo su un camion, mettere il camion su un treno e pagare il nolo della nuova ferrovia e del tunnel di base, per portarlo nel cuore dell’Europa?

55) Spostare le merci via mare costa molto meno che spostarle per terra: conviene quindi arrivare ai porti più vicini. Così ogni stato si è organizzato con i propri: Genova ed i porti liguri per l’area padana, Gioia Tauro per l’ Italia centro-meridionale, Trieste e Rijeka (Fiume) per l’Austria e l’area balcanica, Marsiglia-Fos per la Francia, Valencia per la Spagna, il Pireo per il resto dei Balcani, Tunisi ed Alessandria per la sponda africana, Odessa per l’Ucraina e naturalmente Amsterdam e Rotterdam per la fetta più grossa, che comprende Germania e l’Europa centrale. Perché dovrebbero rinunciare alle loro strutture per prendere una ferrovia tra Lione e Torino?

56) I porti possono anche alleggerire direttamente il traffico di origine terrestre con le cosiddette autostrade del mare, che sono un programma prioritario dell’Unione Europea. Si tratta di navi traghetto che imbarcano i mezzi pesanti evitando loro di percorrere le congestionate vie terrestri. Ne sono già in funzione alcuni servizi tra Barcellona, Marsiglia e Genova. Recentemente la UE ha finanziato quello tra il porto atlantico francese di Nantes Saint-Nazaire e l’analogo spagnolo. Toglierà dalla strada il 5% del traffico corrispondente attraverso ai Pirenei e tra 5 anni se ne attende un raddoppio. Si tratta di trasferimenti modali comparabili con quelli che i progettisti hanno immaginato per la Torino-Lione, ma con costi di installazione irrilevanti perché i porti ci sono già. Un motivo di più per rilevare che le immense risorse destinate alla Torino-Lione sarebbero completamente sprecate.

57) E’ impossibile che la ferrovia strappi dei movimenti di merci al traffico marittimo, e ci sono solidi motivi per cui il 90% del traffico internazionale mondiale viaggia via mare. Il mezzo marittimo offre unità di trasporto con enormi capacità di carico, e quindi un altrettanto enorme abbattimento dei costi. Una nave che porti 4.000 container – che non è certo tra le più grosse-Trasporta quanto 50-80 treni.

Le favole aggiunte dai “Quaderni” dell’Osservatorio

58) Stabilito che la linea da Bussoleno a Modane non corre pericoli di saturazione, si è lavorato a dimostrare la possibilità di saturazione di quella tra Bussoleno e Torino.

59) Si è raddoppiato il numero dei treni merci necessari a trasportare lo stesso quantitativo di merci prevedendo che l’Autostrada Ferroviaria utilizzasse solo carri Modalohr che, trasportando anche la motrice, dimezzano il carico utile e raddoppiano il numero dei treni necessari.

60) Si è accettato che quasi metà della capacità della linea esistente venga “sequestrata” dalla Agenzia di Mobilità Metropolitana che ha immaginato di mettervi sopra 80 treni merci al giorno in concorrenza con la metropolitana. A parte che si tratta di un progetto che in 10 anni non ha raccolto alcuna fattibilità finanziaria, si è arrivati all’assurdo che diventa necessario costruire una nuova linea internazionale ed un tunnel di base perché la parte intorno a Torino della linea esistente viene occupata da un progetto cittadino, anziché essere quest’ultimo ad aggiungere un eventuale binario. L’Osservatorio ha scritto nei “Quaderni” che quello della Agenzia di Mobilità Metropolitana non è un “progetto”, ma un “desiderio di utilizzo”; intanto però è passato il principio assurdo per cui debba essere la linea internazionale esistente a doversi riprogettare in funzione di esso.

61) Tutte le tesi sono piene dei modi con cui RFI e LTF hanno cercato di confondere la realtà. Nei “Quaderni” dell’Osservatorio, RFI ha accettato per la linea attuale una potenzialità di soli 152 treni al giorno, ma il suo capo compartimento, in un convegno tenutosi all’Unione Industriale di Torino l’anno precedente, aveva ammesso la capacità di 230 treni al giorno, cosa del tutto verosimile, considerando che la linea del Gottardo ha una capacità “commerciale” di 220 treni. RFI e l’Osservatorio hanno mirato solo a far risultare che la linea attuale non raggiunga la potenzialità di trasporto di 20 MT, che però è sempre stata ammessa nei precedenti documenti ufficiali, per poterla dichiarare insufficiente di fronte all’obiettivo politico dei 20 MT nel successivo decennio.

62) I “Quaderni” non hanno fatto un confronto critico con i limiti e le capacità di altre tratte ferroviarie analoghe, gestite da altri soggetti, come il Lötschberg ed il Gottardo. Si scrive che i vincoli di utilizzo del corridoio del Frejus sono legati alla insufficienza della sagoma, ma non si dice che questo vincolo è legato all’utilizzo dei carri Modalohr.

La inaffidabilità di LTF

63) Per comprendere il modo di lavorare di LTF val la pena di guardare alla struttura del suo modello di previsione. Non è partito da rilevazioni statistiche, ma da una inchiesta di origine e destinazione su un campione di TIR corrispondente circa allo 0,5% dei transiti dell’area. Poi ha creato una rete di tutte le direttici di traffico esistenti per poter permettere al suo modello di spostare tranquillamente i traffici da qualsiasi parte, ed ha posto dei vincoli assolutamente di fantasia sulla capacità futura degli altri valichi alpini. Infine ha posto sulla Torino-Lione la condizione di preferenza grazie all’uso esclusivo dei carri Modalohr. Così facendo ha potuto immaginare che l’’aumento del traffico ferroviario previsto tra 2020 e 2050 su TUTTO l’arco alpino, corrispondente per lei a (132 MT – 85 MT) = 47 MT, si trasferisca sulla Val di Susa per 37,5 MT, cioè per l’ 80%: il che è un assurdo in tutti i sensi!

64) LTF si è dimostrata priva di affidabilità tecnica: le tre opere di scavo che ha gestito, si sono dimostrate un clamoroso fallimento. Per la discenderia di Modane, lunga 4.000 m, ha impiegato 5 anni, corrispondenti in media a 2 metri di scavo al giorno. Per quella di La Praz, di 2.400 m, ha impiegato 5 anni, corrispondenti a 1,3 metri al giorno. Per quella di St Martin La Porte di 2.400 m, 7 anni, corrispondenti a meno di un metro al giorno. I costi di queste piccole opere hanno più che raddoppiato i preventivi: in più i lavori sono stati oggetto di gravi superficialità circa la vendita di cemento contaminato da gessi, che ha determinato l’abbattimento di numerose opere pubbliche ed edifici privati. Per il tunnel geognostico di Venaus-Chiomonte, pur mantenendone inalterate le caratteristiche, LTF ha raddoppiato il preventivo in cinque anni, ancor prima di cominciarlo. Che attendibilità di tempi e costi può avere nel progettare un tunnel di 58 km?

65) LTF ha mostrato di non aver alcuna preoccupazione di controllare la spesa. La Torino Lione potrebbe rivelarsi non il progetto di un’opera ma il progetto di una spesa fine a se stessa. I maggiori costi delle tre discenderie francesi hanno prosciugato le risorse stanziate nel 2005 per il tunnel di Venaus, e il nuovo appalto di Chiomonte ha raddoppiato il costo di cinque anni prima; tutto ciò pone inquietanti interrogativi. Clamoroso il pagamento di 162.000 euro alla società che gestisce l’autoporto di Susa, per l’occupazione per pochi giorni del posto necessario a fare tre trivellazioni geognostiche di 10 centimetri di diametro.

66) Gli impegni di LTF e dell’Osservatorio potrebbero rivelarsi promesse al vento. Per esempio il Piano di Sicurezza e coordinamento del tunnel geognostico di Chiomonte ricorda che “secondo il riferimento normativo, i cantieri per opere in sotterraneo devono essere provvisti di alloggiamenti per i lavoratori” per evidenti motivi logistici trattandosi di avvicendamenti notturni e per la necessità di avere squadre immediatamente mobilitabili in caso di emergenze; eppure si continua a promettere che i lavoratori saranno ospitati localmente e che i movimenti di terra avranno soluzioni a bassissimo impatto. A parte le delusioni che crea, un progetto che non rispetta gli impegni è destinato a bloccarsi nei contenziosi di ogni genere ed a non avere più fine.

Il progetto del tunnel geognostico di Chiomonte

67) Il tunnel geognostico di Chiomonte è un controsenso: queste opere vengono realizzate il più vicino possibile al tunnel di progetto per conoscere la situazione geologica puntuale. Qui 3.500 metri su 7.000 saranno scavati in rocce assolutamente prive di interesse, lontane dal tunnel in progetto. In seguito il tunnel geognostico incontrerà e seguirà il tracciato del tunnel di base, ma solo per 3 chilometri e mezzo: il tutto al costo di 165 milioni di euro! In compenso il sondaggio si lascerebbe alle spalle gli 8 km iniziali, che sono quelli dove tra il 1995 ed il 2005 la A.E.M. ha raddoppiato i tempi ed i costi della costruzione della centrale di Pont Ventoux a causa della pessima qualità della roccia e delle venute d’acqua che hanno inchiodato la talpa TBM ed hanno imposto di cambiare la localizzazione della centrale.

68) La collocazione di 225.000 m3 di smarino (materiale di scavo) del tunnel di Chiomonte in un sito assolutamente inadatto, che richiede 153.000 metri di fondazioni in getto di cemento da un metro e mezzo di diametro, pare mostrare indifferenza verso l’incremento del costo dei lavori. Si tratta di un deposito risibile alla luce dei 15 milioni di metri cubi di smarino da gestire in seguito. L’intervento pare discutibile anche perché questa struttura non poggia su formazioni rocciose ed andrà molto probabilmente a compromettere i tre piloni alti sino a 47 metri del viadotto autostradale che quasi lo sovrasta, imprimendo spinte improprie al terreno su cui sono fondati.

69) Nella delibera della Regione Piemonte il progetto del tunnel di Chiomonte ha avuto un centinaio di prescrizioni e rilievi. Purtroppo, ogni osservazione, anche quella espressa dai valsusini, circa il fatto che che non si può considerare come definitivo un elaborato con tante sostanziali carenze, si è scontrato con la decisione politica di farlo approvare dal CIPE in tempi stretti. C’è da dubitare che un progetto così inadempiente possa trasformarsi in lavori gestibili e capaci di dare le minime garanzie.

70) Nella VIA per il cunicolo di Venaus del 2007 si criticava duramente l’ipotesi di Chiomonte. Per l’esattezza si scriveva che la scelta di Venaus era dovuta al fatto che due alternative proposte (quella di Chiomonte ed una gemella) erano “penalizzate entrambe dallo scavo in discesa con rischi tecnici e costi maggiori, compresi quelli della sicurezza, e dalla mancanza di fornitura di dati per il primo tratto di galleria dopo l’imbocco”.

Nonostante questa stroncatura, ed i rischi che presuppone, si è scelto di fare il tunnel di Chiomonte, ma la coscienza di fare una scelta sbagliata doveva essere presente nella mente dei progettisti perché nella comparazione delle possibili alternative a Chiomonte è stata tolta l’ipotesi di Venaus per evitare di fare un confronto.

Il progetto della tratta italiana della parte comune

71) Il progetto preliminare presentato a maggio 2010 consiste in 57,2 km della galleria internazionale a doppia canna, sino all’ imbocco nella periferia a valle di Susa, dove verrà installato il grande cantiere che servirà, sia la parte di galleria internazionale, che la galleria di 21 km che passerà sotto il massiccio dell’Orsiera. All’uscita presso il comune di Chiusa di San Michele è prevista la connessione con la linea storica. Questa connessione è un’opera gigantesca che porta le linee ad interrarsi per chilometri in aree abitate nel tratto tra Avigliana e Chiusa, ma il cui sviluppo complessivo ed il cui utilizzo per il momento sono solo da immaginare, dal momento che non è stata presentata la parte successiva tra Chiusa ed il nodo di Torino.

72) L’Osservatorio, su mandato della Regione, ha imposto una soluzione per cui, all’altezza di Rosta, la linea del TAV, invece che proseguire per Venaria, fa una ampia curva sino all’interporto di Orbassano, che raddoppia il percorso. Stante che Orbassano ha perduto la sua funzione con la ristrutturazione aziendale della FIAT, passando dallo smistamento di 3000 vagoni a 300 e dallo sdoganamento di 500 camion a meno di 50, pare assurda la deviazione che allunga il percorso di 10 km, quando si spendono 17 (e forse 35) miliardi di euro per ridurre il percorso del TAV tra Modane e Torino di 20 km. Questo può spiegare la mancata presentazione del progetto da parte di RFI, che non ha mai voluto questa soluzione, e suggerisce che le sorprese non sono ancora finite.

73) La soluzione in destra di Dora non è meno impattante di quella in sinistra: vi sono effetti diversi, un minor impatto per le rocce amiantifere e per la piana di Bruzolo, contro un maggior impatto rispetto a zone densamente abitate come il tratto tra Avigliana e Chiusa. La decisione è stata politica: il progetto era quello ma si doveva far vedere che si cambiava per poter convincere l’Unione Europea che le situazioni di conflitto che avevano portato agli scontri del 2005 erano state superate.

74) Il progetto presentato da LTF nel 2010 non teme di contraddirsi con quello precedente. Nel 2003 lo studio per la VIA diceva che i progettisti avevano escluso di passare sotto il Cenischia “per fortissimi rischi idrogeologici, quali l’ effetto diga sulla falda superficiale“. Anche qui sarebbe stato doveroso che, facendo nel 2010 invece proprio questa scelta, si discutesse il rischio prospettato nel progetto precedente. La sensazione di queste ed altre omissioni è che il progetto sia stato tracciato da una mano politica più che da una mano tecnica.

75) Che ci siano parti del progetto gravemente lacunose è stato evidenziato anche dal pool di esperti che ha lavorato per la Comunità Montana delle valli di Susa e del Sangone esprimendo 108 pagine di rilievi, sui costi e benefici, sui flussi di traffico, sul progetto, sulla sicurezza delle gallerie, sull’impatto sull’ambiente e sulla salute.

La stazione di Susa

77) La stazione internazionale di Susa è un esempio delle assurdità di questo progetto: avremo a Susa una stazione sulla nuova linea, ma senza connessione con la linea attuale, ed a Chiusa di San Michele, 20 km più a valle, una interconnessione tra le due linee, ma senza stazione. Ovviamente, a Saint-Jean-de-Maurienne, sul lato francese, la stazione coincide con l’interconnessione per consentire un proseguimento dei treni o l’immediato passaggio da uno all’altro.

Senza la connessione con la linea attuale, la nuova stazione di Susa non può instradare direttamente i passeggeri destinati alle località sciistiche od ad una qualsiasi altra località: può farlo solo tramite due successivi cambiamenti di mezzo e con le relative attese che, ovviamente, penalizzerebbero l’offerta del servizio rispetto ad altre opzioni. Di fatto è un bluff, perché sarà più conveniente servirsi di Saint-Jean anche per i cosidetti “treni della neve”!

78) La stazione internazionale di Susa è nel solco di un inganno che sfrutta l’ambizione del capoluogo a riappropriarsi di un ruolo più forte. Susa non è nuova a farsi illudere: il centro doganale dell’autoporto fu inaugurato nel 1985 ma chiuso nel 1992 per la eliminazione delle dogane intercomunitarie. Il progetto “Annibale 2000” prevedeva un grandioso centro alberghiero e commerciale, promosso dalla società autostradale come compenso per la perdita dell’attraversamento turistico obbligato della città, ma era così poco realistico che non si arrivò neppure alla progettazione preliminare. Lo stand permanente della “Porta d’Italia” fu inaugurato nel 2001, era un’altra promessa per dirottare su Susa una parte del traffico passeggeri autostradale, ma fu chiuso l’anno stesso… Quindi anche i precedenti fanno dubitare di questo progetto

Si tratterà di un enorme spreco di soldi e di territorio fatto solo per soddisfare una ambizione momentanea.

79) Il futuro turistico di Susa non è legato al turismo ferroviario, perchè nessuno può pensare che da Parigi o da Milano si prenda un treno veloce per fare una tappa a Susa. Oppure che chi è arrivato in valle per la settimana bianca, con gli sci in spalla, decida di farvi una sosta. Il turismo di Susa è legato agli spostamenti con autobus o auto. Ma l’attrazione della città verrà compromessa se nella immediata periferia si impianterà l’enorme cantiere di 3 km di lunghezza (!) a servizio del tunnel di base, con tutti gli impatti ed i problemi che comporta per l‘immagine, il traffico e le polveri. Tale cantiere sarà destinato a costituire, per almeno 20 anni, il vero “ accesso turistico” della città, senza potersi illudere che l’aspetto cambierà dopo.

E’ credibile questa Valutazione di Impatto Ambientale?

80) Anche questa volta, per l’ennesima volta, non è stata una presa in considerazione l’opzione zero, cioè della utilità di sfruttare le strutture esistenti anzichè costruirne delle nuove. Il progetto non si riaggiorna mai e non fa alcuna verifica del pregresso. Come è possibile pensare che con tali paraocchi si possa guardare al futuro?

81) Se nel progetto 2010 il numero di treni Modalohr diminuisce a soli 9 su 63 invece di costituire il 100 per cento, occorre rivedere anche il modello di previsione di LTF che assegnavano proprio ai Modalohr la capacità di attirare traffici merci. Ed anche l’utilità o meno di mantenere la sagoma del tunnel che era richiesta dal loro esercizio. Il tutto potrebbe ridursi a rendere pienamente sufficiente il rinnovato tunnel della linea attuale.

82) La procedura di VIA è stata snaturata sopprimendo il decreto di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell’ Ambiente e del Ministero dei Beni Culturali ed affidando la istruttoria al Ministero delle Infrastrutture. Si tratta di procedure illegittime che violano le disposizioni di legge nazionali e le direttive comunitarie, perché il CIPE, che ora decide la compatibilità ambientale, è un organo tecnico economico molto allargato che decide a maggioranza e che, in campo ambientale, non ha né prevalenti interessi né prevalenti competenze. Non c’è più corrispondenza tra la legge applicata e quella che ha recepito le direttive dell’Unione Europea: di fatto non c’è più la garanzia di tutela ambientale tutelata dall’Unione Europea.

83) Anche la pubblicazione dell’ avviso di apertura della VIA non avviene più con i riferimenti agli articoli delle leggi e dei decreti che avevano recepito le direttive comunitarie, come era sempre avvenuto sino a due anni fa, ma con il riferimento ad articoli del codice degli appalti.

84) Per potere presentare il progetto, LTF ha scritto che, secondo il trattato di Torino, essa ha competenza sino a Chiusa: ma non è vero! Il trattato, ratificato dai parlamenti italiano e francese, dice chiaramente che il termine della parte comune è tra Bussoleno e Bruzolo, ed a valle di questo la competenza è di RFI. Di conseguenza LTF non ha titolo per progettare il tratto di 15 km a monte di Chiusa, e neanche di ricevere i relativi contributi. Si tratta di un grosso illecito verso l’Unione Europea, che ha inteso finanziare solo la parte comune e con una aliquota speciale, ma anche di un esempio di una sfrontatezza che non rispetta alcuna verità, neppure la più forte ed evidente.

85) Il progetto della Torino Lione è stato reinserito nella Legge Obiettivo, eppure nella domanda di contributo all’Unione Europea presentata a luglio 2007, che ha dato origine al contributo, si era scritto che “la procedura seguita nel 2005 è variata a seguito del cambiamento della legge di riferimento, e cioè il passaggio dalla Legge Obiettivo alla procedura ordinaria a seguito della decisione del Consiglio dei Ministri del 26 giugno 2006”. I contenuti della domanda di finanziamento sono sostanzialmente vincolanti e dopo le vicende del 2005, di cui il governo europeo era pienamente cosciente, rassicuravano l’Unione Europea che il nuovo progetto non si bloccasse di nuovo per gli stessi motivi. Per l’Italia, tornare indietro e sopprimere le garanzie promesse mette in forse uno dei pilastri del contributo.

86) Il progetto della Torino-Lione è stato presentato a pezzi e per la procedura di VIA questo è illegittimo, perché impedisce di valutare l’insieme degli impatti dell’opera finale. A maggio 2010 è stato presentato il tunnel geognostico, che poi si è ammesso che sarà parte dell’opera principale; successivamente, ad agosto 2010, è stato presentato il progetto della tratta italiana della parte italofrancese, ma senza informazioni su quella francese, anche se si prevede in portare lo smarino in Francia. Ancora dopo, anche se non si sa bene quando, verrà presentato il progetto della parte italiana da La Chiusa sino al nodo di Torino ed infine sarà la volta del tratto compreso nel nodo di Torino.

87) Eppure nel 2003 la presentazione delle due parti era stata contemporanea, e nel 2007 il governo aveva garantito una “governance unitaria” sul tutto attraverso l’Osservatorio; il documento di Pra Catinat titola al punto 2 che: “Una regia unitaria è indispensabile”. Anche perché la Valutazione di Impatto Ambientale prescrive che i progetti siano presentati come opere complessive per evitare che i frazionamenti facciano perdere la veduta dell’insieme e che le approvazioni parziali condizionino poi come “decisioni già prese” le parti da valutare successivamente.

Gli impatti dei cantieri

88) I cantieri producono inevitabilmente rumori, polveri, disturbo, inquinamento e stravolgimento dell’ambiente: l’esperienza della autostrada sembrava aver mostrato tutto quello che non si doveva fare. Per il cantiere della centrale idroelettrica tra Pont Ventoux e Susa fu creata una Commissione Paritetica con i comuni interessati, che si doveva riunire una volta al mese, ed una Alta Sorveglianza dei lavori con poteri di intervento diretto. Ma nella realtà ci vollero tre anni dopo l’inizio dei lavori prima che la Provincia nominasse il suo rappresentante e si potessero fare le prime riunioni, sull’onda del problema della presenza di rocce uranifere che era stato sollevato dagli ambientalisti. Però subito dopo tornò il silenzio, e le proteste degli abitanti di Susa per i camion che attraversavano il centro abitato trovarono il vuoto. Gli organi di controllo servono a poco se gli enti che li sovrintendono sono pregiudizialmente dalla parte di chi fa i lavori.

89) La presenza dei cantieri provoca anche problemi di ingestibilità, perché le amministrazioni locali si trovano nella impossibilità pratica di far rispettare le norme ed i vincoli di legge che dovrebbero assicurare un minimo di tutela agli abitanti. Le imprese di grandi opere pubbliche, ed i loro appaltatori si comportano da padroni e, grazie alla particolare importanza che ha una grande opera, compiono tutte le operazioni che ritengono utili per le loro necessità, anche al di là degli impegni e delle autorizzazioni.

90) Val la pena di rileggere l’esperienza dei sindaci del Mugello in un’intervista pubblicata a marzo 2010: “La prima lezione del Mugello è stata che in una grande opera ti dicono che faranno tutto per bene, che hanno pensato a tutto e che instaureranno un rapporto di piena collaborazione con il territorio: invece sono stati 14 anni di scontri”. “Abbiamo sempre trovato tecnici arroganti, ed anche se avevamo firmato tutti gli atti possibili, ci hanno sempre trattato come dei rompiscatole. Ogni contatto ed ogni rimostranza sono stati per noi un problema. Non abbiamo mai visto azioni preventive, ma abbiamo sempre dovuto rincorrere le emergenze. Si erano fatti una specie di lavaggio del cervello per convincersi che loro, gli ingegneri della grande opera, non potevano sbagliare, e soprattutto non potevamo essere noi a costringerli a riconoscere i loro errori”. “Poi, c’era il problema che ogni cantiere aveva un suo direttore, mentre, per i problemi più ampi, dovevamo mandare le pratiche all’Osservatorio nazionale dove non si sapeva più nulla per mesi e qualche volta non si è più saputo niente”. “Ci trovavamo di fronte a documenti difficili da decifrare e non siamo mai stati supportati: l’Osservatorio presso il ministero ha avuto un ruolo più di calmieratore che di organismo che volesse risolvere i problemi, ed alla fine non è più stato nemmeno nominato”.

91) Uguale impressione si era avuta da un incontro con i sindaci svizzeri dei paesi intorno al tunnel del Gottardo. Nel corso di una visita degli amministratori valsusini insieme a funzionari della regione Piemonte, la delegazione italiana aveva raccolto dai sindaci dei dintorni del cantiere di Bodio uguali amarezze sull’ingestibilità dei cantieri, l’impossibilità di evitare le polveri e l’assoluta mancanza di un loro apporto ai paesi che li ospitano.

92) I cantieri fanno scendere o crollare il valore abitativo delle case dell’intero territorio. La Val di Susa, per via della sua posizione periferica all’area metropolitana gode anche del sostegno della richiesta di chi esce dall’area metropolitana stessa per cercare un ambiente meno congestionato. Ed è l’immagine di tutta la valle che viene danneggiata dal legame con la presenza dei cantieri, anche al di là dei comuni direttamente interessati, e subisce una caduta dei prezzi.

I danni rimangono anche dopo: come ricorda l’esperienza del Mugello, “le ditte che lavoravano sono sparite ed hanno lasciato i cantieri dov’erano. Nel 2010 ci sono ancora le aree di cantiere con baracche, materiali edili, ferro vecchio, discariche”. E’ immediato il pensiero a come resterà tutta la zona Est di Susa dove i cantieri previsti dovranno occupare un’area lunga tre chilometri e larga almeno 300 metri.

93) La valle di Susa è stata per 40 anni oggetto di cantieri per grandi opere: la diga internazionale del Moncenisio, il raddoppio della ferrovia e dei tunnel ferroviari, il tunnel autostradale e l’autostrada del Frejus, poi l’impianto e la centrale idroelettrica di Pont Ventoux, una delle più grandi d’Italia, senza contare le opere minori, quelle in atto e quelle da cui ci siamo difesi, come il raddoppio del maxi elettrodotto; ma questo non può essere una giustificazione per continuare: ora il volume delle grandi opere si avvia esponenzialmente a pregiudicare la vivibilità del territorio.

Il sovraccarico di opere di attraversamento e di cantieri in aree residenziali produce il cosiddetto “effetto Bronx”, dal nome del noto quartiere di New York che, tra le due guerre, è passato da zona urbana con i più ampi parchi della città a luogo simbolo del degrado. Quando rumori e disturbo superano una certa soglia, la popolazione originaria non accetta più il costo dell’affitto e si sposta, facendosi sostituire da una che accetta il disturbo perché può pagare di meno. Questo si riflette nella manutenzione ed innesca una spirale che riduce sempre di più la qualità abitativa. Un effetto del genere potrebbe verificarsi nella fascia abitata più prossima alla linea, sia che gli immobili vengano espropriati sia che restino ai loro proprietari.

94) In territorio francese, si è sempre previsto di indennizzare gli immobili entro 150 metri da una parte e dall’altra della linea, e di comprarli al prezzo di mercato, riconoscendo il disturbo creato dall’ Alta Velocità. In territorio italiano gli acquisti sono limitati agli edifici da abbattere od immediatamente contigui. Si creerà certamente un fortissimo contenzioso sul diverso riconoscimento del disturbo della stessa opera nei due stati comunitari.

I problemi per la salute

95) I cantieri danneggiano gravemente la salute degli abitanti: lo stesso studio di VIA presentato da LTF calcola un incremento del 10% nell’incidenza di malattie respiratorie e cardiovascolari a causa dei livelli di polveri sottili prodotte dai cantieri. In base alle statistiche attuali questo aumento corrisponde a 20 morti in più all’anno. Le polveri sottili PM 10, non erano neppure rilevate dai laboratori mobili provinciali alla metà degli anni ’90, poi progressivamente si sono imposte all’attenzione e, recentemente, gli si sono aggiunte le polveri sottilissime PM 5 e PM 2,5. Insieme fanno parte dell’aerosol che respiriamo e che colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione come gli anziani, i malati di patologie cardiache o respiratorie ed i bambini, che sono particolarmente sensibili perché le capacità di difesa dalle aggressioni ambientali sono ancora parzialmente immature. Gli effetti delle polveri sottili o sottilissime possono favorire la comparsa o riacutizzazione di patologie respiratorie croniche e di quelle cardiovascolari, come infarti e trombosi, e sono una novità nella valutazione dei danni per la salute e la vita provocati dai cantieri.

96) Sarebbe comunque sbagliato stimare i danni solo in base all’incremento delle malattie e della mortalità: la loro presenza indica uno stato di deficit di salute che colpisce tutta la popolazione, anche quella che non si ammala. Bisogna poi considerare l’effetto di somma degli effetti delle polveri, dell’inquinamento, del rumore: ognuno incide per la propria parte sulla salute dell’individuo e tutti insieme creando un effetto di indebolimento che lo rende più esposto anche a malattie non direttamente collegabili con questi fattori. Porre un grande cantiere a carico di un territorio non è una decisione da prendere alla leggera, soprattutto se, come nel nostro caso, si tratta di una valle, cioè un ambito dove gli inquinamenti dell’aria si disperdono di meno, tranne che nei giorni di vento, quando creano un altro problema.

97) L’esperienza del cantiere di base del San Gottardo a Bodio, che abbiamo raccolto nel corso del sopralluogo fatto nel 2003 con Regione e Provincia, testimonia che in ambiente di valle, soggetto a forti venti, il problema delle polveri è irrisolvibile. Tutti gli accorgimenti adottabili non reggono ad un forte vento, e tantomeno ad un Föhn alpino. La parte meno controllabile è rappresentata proprio dalle polveri sottili che vengono poi depositate dal vento sul terreno e sugli alberi nelle immediate vicinanze, da cui sono sollevate ad ogni soffio.

98) Nel 2006, 103 medici della valle di Susa hanno pubblicato un appello in cui si esprimono le forti preoccupazioni per la salute della popolazione connesse con l’apertura di grandi cantieri. Il gruppo ha continuato a mantenere la sua preoccupazione e ad aggiornarla sui progetti che sono stati presentati.

99) Un problema a parte è costituito dagli inquinanti di cantiere. Il Mugello ha mostrato la vastità del problema delle terre contaminate da idrocarburi, i lavori autostradali in valle di Susa, quello degli sversamenti accidentali degli additivi liquidi del cemento, che sono mortali per la fauna ittica. A Chiomonte nel 1992 era esploso il problema dell’alta concentrazione di piombo presente nel vino locale. Ad essere accusata fu la polvere di cemento del cantiere della autostrada; c’era preoccupazione per il vino che non era più commerciabile, ma anche per la salute delle persone, perché prima di andare nel vino il veleno era andato nell’aria! In uno degli articoli si citava un convegno su “I bambini e l’inquinamento”, tenutosi a Torino due mesi prima, dove un certo dr. Richard Jacklons, dell’ospedale californiano di Berkeley, affermava che “la polvere di cemento è una importante causa di inquinamento da piombo”. Tutto questo va rapportato al fatto che il cantiere autostradale di Chiomonte era durato solo 5 anni, ed al momento delle analisi era chiuso da due.

100) Il problema dell’amianto è stato accantonato e minimizzato: si ammette la presenza di amianto solo per i primi 500 metri. Si tratta della zona di Mompantero, dove per anni LTF ha negato che si potessero trovare rocce amiantifere. Ma anche se la sua presenza è particolarmente massiccia in bassa valle, è errato ignorare la sua sporadica presenza anche in alta valle. Basti ricordare che fu a causa della presenza di rocce amiantifere che l’impianto olimpico di bob fu spostato da Sauze d’Oulx a Cesana, e che la presenza di queste rocce sta bloccando e ritardando da anni i lavori della circonvallazione di Claviere.

101) Le misure di cautela e di smaltimento per l’amianto proposte da LTF mostrano un problema ancora irrisolto. Dire che lo si chiuderà in sacchi per spedirlo in Germania significa non rendersi conto che anche solo 500 metri di tunnel di base corrispondono a 170.000 mc, pari al carico di 17.000 TIR. I trattamento con l’acqua, lega solo momentaneamente proprio la parte più fine, delle polveri, ma poi la libera o la deposita con sorprendente facilità, soprattutto nella percolazione alla base dei mucchi: da qui il vento la sposta ovunque.

102) Le mineralizzazioni di urario ( Pechblenda ) sono una realtà: il problema era stato rivelato nel 1998 dalle associazioni ambientaliste, ma LTF ed i suoi consulenti lo avevano lungamente negato. Nell’attuale studio di VIA per il tunnel di base non se ne parla nemmeno. Eppure il gruppo dell’Ambin che sarà attraversato dalle gallerie è stato oggetto di fruttuose ricerche da parte francese nel 1980 con la Minatome, e da parte italiana nel 1959 con la Somiren e, nel 1977, l’ Agip Mineraria; e su entrambi i versanti si è ipotizzato un suo sfruttamento. Nel libro su “ I giacimenti uraniferi italiani e i loro minerali” D. Ravagnati, un esperto del settore, pubblica gli schizzi delle gallerie di esplorazione e giudica i campioni che ha raccolto “ Molto ricchi ed anche molto belli a vedersi, perché il minerale forma delle distinte vene nere “. Le due località in cui si sono raccolti campioni (su 23 segnalate), sono a 1000 metri di quota, non abbastanza in alto per escludere che all’interno della montagna le vene arrivino 3- 400 metri più in basso, alla quota del tunnel di base.

103) La particolare pericolosità di questi minerali è che emettono raggi alfa e beta, poco penetranti e quindi poco rilevabili, ma molto più distruttivi quando, con la polvere, arrivano a contatto con la pelle e le mucose .

104) Il rumore è stato il primo grande problema di questa linea affrontato dalla popolazione della valle sin dai primi anni ’90. Perché quella che viene progettata non è una ferrovia ordinaria, ma una superferrovia su cui viaggiano dei TGV e dei convogli merci particolarmente pesanti. Il TGV emette, al di sopra dei 220 KM/ h, un fischio aerodinamico che crea disturbo, in particolare nelle ore notturne. Purtroppo i sistemi di valutazione del rumore fanno la media del rumore emesso e quindi l’ acutezza del sibilo si perde nel calcolo totale. Il disturbo sarà particolarmente grave nella bassa valle e nella cintura di Torino dove passa all’internodi zone fortemente abitate.

La perdita e la compromissione di risorse idriche

105) L’esperienza del Mugello ha lasciato dietro di sé 57 Km di torrenti che in estate sono un deserto di sassi, 73 sorgenti e 45 pozzi prosciugati, cinque acquedotti oggi riforniti con un costosissimo sistema di ripompaggio a monte. Una galleria ha fatto persino scomparire un fiume.

106) Il Consorzio di ditte è stato condannato in primo grado per aver disseminato la valle del Mugello di discariche di smarino e fanghi contaminati da idrocarburi che venivano utilizzati per non far attaccare il cemento alle centine. Su altri reati è intervenuta la prescrizione, ma la Corte dei Conti ha ipotizzato 740 milioni di danni all’erario per aver usato senza autorizzazioni acque pubbliche per gli impianti di betonaggio, il lavaggio dei mezzi e le attività di cantiere. Per i danni connessi ha chiamato a risponderne anche gli amministratori regionali che approvarono un progetto giudicato dalla Corte dei Conti privo di adeguati Studi di Impatto Ambientale e che non avrebbero vigilato a sufficienza sui lavori in galleria.

107) A distanza di 10 anni dal prosciugamento dei torrenti è in atto un sistema di ripompaggio costosissimo che rimanda a monte un po’ dell’acqua drenata dalle gallerie, per alimentare acquedotti, oppure per diluire gli scarichi fognari che si gettano nei torrenti asciutti. Dalle gallerie escono 500 litri al secondo che non si sa neppure come utilizzare

108) Il futuro della valle di Susa sarà certamente peggiore. In primo luogo per motivi tecnici: nel Mugello la galleria è più grande, ma unica; da noi saranno due, una per ogni senso di marcia, e questo raddoppia il fronte di drenaggio. Inoltre perché da noi le montagne sono più alte, con cumuli e pressioni maggiori, poi ancora perché il Piccolo ed il Grande Moncenisio sono costituiti prevalentemente da gessi che hanno creato enormi inghiottitoi carsici. Tutta la montagna ospita

“ laghi fossili sotterranei”, il più superficiale dei quali, di 16 milioni di m3, fu intercettato a Venaus dai lavori della centrale di Pont Ventoux, che penetrarono nella montagna per meno di un chilometro. Ora la galleria di accesso devia parallelamente alla valle dopo circa 600 metri.

109) La rete idrica del gruppo del Moncenisio è estesissima e connessa. I traccianti gettati nel 1970 nella grotta del Giasset, uscirono pressoché dovunque solo dopo due settimane, a conferma che avevano attraversato grandi laghi sotterranei; l’ultimo uscì addirittura dopo un mese e 1000 metri più in basso. Altre prove non ufficiali hanno dato risultati ancora più impressionanti.

110) I precedenti grandi lavori hanno già inciso pesantemente sulle sorgenti della Valle di Susa: il raddoppio della ferrovia Torino Modane, ha provocato la scomparsa di 13 sorgenti nel territorio di Gravere e di 11 nella zona di Mattie, per restare ai casi più significativi. Le gallerie dell’autostrada tra Exilles e la val Cenischia hanno fatto scomparire 16 sorgenti delle frazioni di Exilles, oltre ad alcune altre in altre località. I lavori della centrale di Pont Ventoux, per una galleria di soli due metri di diametro, hanno prosciugato il rio Pontet, 2 sorgenti a Venaus, 2 a Giaglione, una decina in territorio di Salbertrand, tra cui quella che alimentava l’acquedotto di Eclause.

111) Che la nostra situazione a seguito della Torino-Lione debba far impallidire ogni precedente, è ammesso anche dal cosiddetto rapporto COWI redatto per conto della Commissaria europea De Palacio. Nonostante che la committente fosse la stessa Commissaria europea per la costruzione di questa linea, gli esperti da lei interpellati non hanno potuto fare a meno di segnalare che il solo tunnel di base drenerà da 60 a 125 milioni di mc di acqua all’anno, che corrisponde al fabbisogno idrico di una città con un milione di abitanti. Non è esclusa la cattura delle acque della Durance e della Clarea.

112) La gravità della sottrazione di risorse idriche è proporzionale alla quota bassa a cui si effettua l’opera: sotto questo aspetto la nostra situazione è nettamente peggiore che nel Mugello. Là furono riscontrati dissesti sino a 3300 metri per lato (erano previsti solo per 3-400 metri a lato) qui, l’imponenza dello scavo fa presumere un impatto di dimensioni ora non prevedibili.

113) Gli esperti europei segnalano anche un aspetto che rende la nostra situazione enormemente più critica di quella del Mugello: le risorse idriche catturate all’interno della montagna ed emunte direttamente all’esterno, saranno calde e con concentrazioni di solfati ben oltre i limiti accettabili per essere immessi nei corsi d’acqua. Si tratta di un problema grave, perché, a differenza di quanto avviene nel Mugello, le nostre acque di fuoruscita ucciderebbero i fiumi e perché il problema dovrà essere gestito in perpetuo, cioè ben oltre lla durata e la responsabilità dei cantieri.

114) La sottrazione di enormi quantitativi di acqua al gruppo del Moncenisio e dell’ Ambin avrà inevitabili effetti anche sull’alimentazione del lago del Moncenisio. Il lago attuale alimenta una centrale da 360 MW in Francia e da 240 MW in Italia. Se il deficit indotto fosse di 25 milioni di metri cubi, in termini energetici questi significherebbero la perdita di circa 150 milioni di Kwh di energia di punta che andrebbero messi anch’essi tra i danni causati dal progetto.

115) Tra le caratteristiche che rendono temibili le sorprese idrogeologiche dello scavo del tunnel di base, oltre alla temperatura e composizione chimica delle acque ci sono anche le alte pressioni. LTF ha ammesso che le elevate coperture di roccia rendono prevedibili pressioni idrostatiche sino a 150 atmosfere. Sono valori vicini a quelli di una esplosione ed infatti fanno letteralmente esplodere la roccia con rischi altissimi e notevoli difficoltà di contenimento.

116) La galleria dell’ Orsiera drenerà le acque da un versante che è ancora intensamente coltivato perché è coperto da un esteso castagneto da frutto che ha appena avuto la IGP (Indicazione Geografica Protetta). Sotto questo aspetto il progetto avrà ripercussioni economiche più gravi rispetto ad una ordinaria fascia montana.

117) La interconnessione in sotterraneo tra le due linee, estesa per diversi chilometri tra il comune di Chiusa San Michele e quello di Avigliana costituirà una barriera al deflusso delle acque di falda, alzandola a monte ed abbassandola a valle, con conseguenze sensibili sulle case dei paesi interessati.

Lo smarino

118) I volumi totali scavati sono 18,4 milioni di metri cubi (10,7 per la tratta dal confine a Chiusa San Michele) e 7,7 da Chiusa a Settimo. Il progetto prevede un riutilizzo di 8,7 milioni di metri cubi, pari al 47% ma, in mancanza di giustificazioni, tale percentuale appare troppo alta considerando che nei progetti precedenti la quota di riutilizzo era intorno al 27%. Tenendo buona questa percentuale il riutilizzo è di 5 milioni di metri cubi.

Il progetto prevede anche la vendita di 4,7 milioni di metri cubi. Anche qui si tratta di una ipotesi che non era mai emersa nei precedenti 10 anni di progettazione e che pare figlia di un progetto analogo effettivamente esistente per il tunnel del Brennero, ma in quel caso si tratta di graniti il cui interesse commerciale è completamente diverso da queste rocce. In mancanza di spiegazioni l’ipotesi è da rigettare, perché, se si potessero vendere, ci sarebbe mercato anche per i 225.000 metri cubi della galleria di Chiomonte per cui si spendono 9 milioni di euro solo in fondazioni. Si devono poi aggiungere circa 2 milioni di metri cubi provenienti dal tratto italiano della galleria di base: non è credibile che da Susa vengano scavati solo 8,5 Km e da Modane 18,5, considerando che Modane deve affrontare anche i 4 km della discenderia prima di poter portare lo smarino in superficie. Probabilmente è l’inverso e l’inversione serve per nascondere ai calcoli una parte del materiale. Ipotizzando che Modane e Susa si dividano a metà lo scavo del tratto intermedio, ci sarebbero da aggiungere ai calcoli altri 2 milioni di metri cubi.

119) Il totale di queste correzioni darebbe un volume da mettere a discarica sul lato italiano di 15 milioni di metri cubi, pari al volume di 6 piramidi di Cheope, il triplo di quanto dichiarato dal progetto. E quindi per 2/3 senza alcuna ipotesi di collocazione a discarica.

120) Non c’è neppure certezza sull’utilizzo della cava del Paradis (presso il Moncenisio) che rappresenta il solo sito di deposito delle rocce di scavo. L’ipotesi di ridurre i volumi tramite il compattamento non tiene conto che i volumi ammessi sono già quelli massimi sopportabili dalla sponda sud della cava che ha solo un sottile diaframma di roccia a separarla dalla valletta in cui, 100 metri più in basso, scorre la Strada del Moncenisio. Compattando si riduce il volume ma non il peso, che è il vero fattore limitante del deposito ammesso.

121) LTF ed Osservatorio hanno dichiarato, dopo il termine previsto per le osservazioni, che tutto il piano di smarino sarà cambiato. Poi però, questa idea progettuale maturata in tre giorni, a fronte dei timori sollevati dal piano di messa in discarica, pare invece ancora bisognosa di molti controlli. Che credibilità si può dare ad un progetto che fa apparire e sparire le idee progettuali come nel gioco dei bussolotti, ignorando le procedure di VIA ?

122) Il riutilizzo di 8,7 milioni di metri cubi di smarino non è comunque un dato tranquillizzante perché il riutilizzo significa, per la maggior parte, la frantumazione per farne cemento, con quello che ne consegue in inquinamento di polveri e sonoro. Non si hanno ancora i dati completi ma la ipotesi della frantumazione di 4,5 milioni di metri cubi, pari a tre piramidi di Cheope, pare un dato realistico. Il procedimento sarà particolarmente impattante nella collina morenica perché si tratta di depositi sedimentari che devono essere grigliati prima di poter essere utilizzati, con conseguente maggior emissione di polveri.

La mancanza di un vero confronto tecnico locale

123) E’ emblematico il così detto Accordo di Pra Catinat, che non é un accordo politico, come lo si è simulato, ma una autocertificazione del presidente insieme con un accordo tra i tecnici per la presentazione di una relazione di maggioranza e di minoranza, che nessun sindaco ha sottoscritto e nessun consiglio comunale ha ratificato.

124) Nonostante le decine di incontri è mancato un autentico confronto tecnico con i rappresentanti del territorio, e gli oltre cento incontri avvenuti all’interno dell’ Osservatorio, che però è un tavolo tecnico chiuso, a regia obbligata. Non c’è mai stato quel dibattito tra tesi e repliche, fino all’esaurimento degli argomenti, che permette di andare a fondo di una questione. Tutt’al più, dopo una lunga attesa, il territorio ha avuto un documento di integrazione. Ma senza possibilità di controdedurlo, con la scusa che bisognava andare avanti con il programma. Nella sostanza, i promotori di questo progetto non hanno mai accettato di impegnarsi in un vero confronto pubblico e tecnico e si son limitati ad enunciare le loro tesi. Questo ha permesso di escludere tutti gli argomenti scottanti, a cominciare dalla valutazione della reale necessità di costruire la linea in presenza di un crollo dei traffici e degli insuccessi di tutte le sperimentazioni.

125) La Torino Lione si è basata su slogan immaginifici, privi di concretezza, che non hanno nulla da vedere con la realtà dei fatti. Di conseguenza tutto il dibattito con le realtà locali è sempre stato impostato a prescindere dalla decisione di costruire l’opera. E’ per questo che gli abitanti della valle di Susa si sono sentiti ignorati. Anche nell’ultimo progetto l’analisi della opzione zero è stata liquidata con una riga di dichiarazione miracolistica.

126) Il presidente dell’ Osservatorio è anche Commissario straordinario del Governo per la realizzazione della Torino Lione e quest’organo è stato solo una macchina nelle mani del presidente, che ha pilotato a suo insindacabile giudizio il programma, le audizioni ed i testi delle pubblicazioni. Lo spazio riservato ai due tecnici della Val di Susa, gli unici rappresentanti di una voce di opposizione, nei 7 “Quaderni” è stato circa l’1 % del contenuto totale. Ed in quasi cinque anni di attività, il presidente non ha mai affrontato un dibattito pubblico in cui la popolazione potesse rivolgergli direttamente le domande.

127) L’ Osservatorio per i decreti costitutivi ha un incarico ristretto “ad approfondire le tematiche sanitarie, ambientali ed economiche per rispondere alle preoccupazioni delle popolazioni interessate”. Ma sin dal giugno 2007 ha fatto circolare proposte di tracciati, accompagnandoli di etichette come “suggestioni” e “scenari”.

La popolazione e le amministrazioni interessate si sono trovate davanti ad un organo che sembrava progettare senza averne titolo e che garantiva il consenso senza aver dato spazio alle domande di fondo.

128) I “Quaderni” dell’ Osservatorio hanno ammesso qualcosa di quello che era impossibile nascondere, ma poi i modelli usati, le audizioni e le relazioni hanno manipolato l’inimmaginabile per validare la tesi del tunnel di base. Qualche volta è sembrato che i quaderni dessero ragione a chi sosteneva la sufficienza della linea attuale, ma in realtà è stato fatto il possibile e l’impossibile pur di darci torto, solo che, in qualche caso, non ci sono proprio riusciti. Piuttosto che i contenuti del dibattito, che son restati inutilizzati, quello che è stato usato e strumentalizzato, a tutti i livelli, è stata l’esistenza stessa dell’ Osservatorio, utilizzato per propagandare la tesi di un confronto costruttivo con il territorio che è stato invece inesistente.

129) E’ stato ignorato il vasto movimento di amministratori che ha chiesto la fine dell’ Osservatorio e che, nel 2009, aveva coinvolto la metà degli amministratori della Bassa Valle. Tuttora partecipano all’Osservatorio solo due dei comuni effettivamente coinvolti, mentre 24 della Bassa Val di Susa hanno fatto un fronte comune contro.

130) L’Osservatorio si è svolto come un teatro dove si rappresentava una condivisione dei progetti che non è mai esistita, perché la progettazione non è mai uscita dalle mani di chi l’aveva. A gennaio 2010 l’ultimo opuscolo aveva per titolo “Le alternative di corridoio (sic) da approfondire e valutare”, facendo intendere di essere ancora nella fase di più corridoi entro cui si va poi ad individuare il tracciato. Ma ad agosto 2010 è stato presentato il progetto completo già corredato con lo studio di VIA: questo significa che tutte le decisioni erano già prese mentre si fingeva di metterle in discussione, altrimenti non vi sarebbe stato tempo di preparare i 70 dossier che sono stati presentati.

Il problema del lavoro

131) La Torino-Lione non incrementerà l’occupazione: le imprese dei grandi cantieri si impiantano come un paese autonomo in tutto e per tutte le forniture dipendono da grandi contratti. Ai locali restano pochissimi posti e pochi lavori marginali. Nel cantiere del San Gottardo a Bodio su 700 persone solo una ventina erano del Canton Ticino, e, sulla testimonianza dei sindaci interessati, le altre ricadute sul territorio sono state inesistenti. Nel Mugello l’unica ricaduta occupazionale è stata quella di un gruppo di donne che si è consorziata per i lavori di pulizia dei locali, delle camere e della cucina.

Non è possibile porre condizioni di assunzione di mano d’opera locale, perchè gli appalti sono europei e le imprese non licenziano operai che si son fatta esperienza ed affidabilità in un posto per assumerne altri che sono da formare e da seguire.

132) La “torta” della Grande opera si stratifica in parecchi livelli e chi prende l’ultimo può appena sopravvivere: sopra c’è la società appaltante che è creata su istruzione dei due governi. La società appaltante affida l’opera ad un General Contractor che teoricamente garantisce il rispetto dei prezzi e dei tempi e che, a sua volta, affida l’opera, tutta intera oppure una grande tratta, ad un consorzio di grandi imprese che garantiscono l’esecuzione dei lavori e la progettazione esecutiva. A questo punto la tratta viene spezzettata in lotti e per ognuno di esso si formano consorzi ad hoc di imprese di costruzioni, ognuna delle quali è specializzata nel particolare tipo di lavori richiesto in quel lotto: cioè gallerie, viadotti, oppure opere scavi a cielo aperto. Qui, al quarto livello c’è, per la prima volta, qualcuno che lavora effettivamente alla costruzione, ma intanto nei precedenti livelli se ne è andato dal 10 al 15% dei costi ad ogni passaggio senza toccare neppure un sasso. Il quarto livello li tocca, ma con operai specializzati capaci di operare in situazioni e con macchinari che richiedono grande esperienza, e quindi personale proprio assunto precedentemente che si sposta con i cantieri e le macchine.. Ma ovviamente ci sono lavori di più basso livello: il quinto, per cui non occorre essere specialisti, come per i trasporti delle rocce scavate, il cosidetto smarino. Qui le imprese sanno che l’offerta è grande e si rifanno economicamente rispetto ai lavori da cui possono ricavare di meno indicendo subappalti vinti da chi assicura il servizio al minor costo. Oltre un certo punto il minor costo si ottiene solo facendo qualcosa di più di quel che è lecito fare, cioè sovraccaricando quando si riesce, facendo più viaggi andando più veloci, usando camion più vecchi ed autisti precari. In questo che sarebbe il livello delle ditte locali, queste non riescono ad assicurarsi il lavoro perché hanno un handicap. Per loro tutte le infrazioni vengono inesorabilmente recapitate, mentre le ditte che vengono da lontano riescono più facilmente a sfuggire e possono operare senza dover troppo preoccuparsi delle sanzioni. In realtà la cosa non è così semplice perché può esserci ancora un livello intermedio tra chi prende nominalmente i lavori come, per esempio i trasporti o certi servizi, e chi li affida materialmente: sarebbero il quinto ed e sesto livello. Il quinto garantisce la correttezza delle procedura, il sesto non è più in grado di garantire niente… Immaginiamo la trafila che deve fare un sindaco che riscontra un grave impatto ambientale e si rivolge al sesto livello…

133) Anche se portasse lavoro non è vero che il saldo di lavoro dell’opera sarebbe positivo, perchè bisogna calcolare i posti che vengono persi per l’ incompatibilità con altre attività che potrebbe ospitare il territorio.

134) La assoluta incertezza del piano dei finanziamenti si ribalta nella incertezza della continuità dell’occupazione, sia pure già prevista per un periodo limitato. Le grandi opere che vivono alla giornata, di fronte ad incognite tecniche ed economiche terribili sono soggette a abbandoni, scioglimento dei consorzi, blocco dei lavori per mancati stanziamenti governativi ecc.. In questo quadro rischiano di offrire posti privi di garanzia per quanto riguarda la effettiva durata.

Le altre fantasie messe in campo per ingannare la popolazione

135) Il cosidetto PIANO STRATEGICO, uscito nel 2009, indica un documento privo di qualsiasi impegno. E’ solo un gioco di illusionismo amministrativo per raccogliere delle adesioni da spendere su altri tavoli. Infatti è stato redatto dalla Provincia, che non può decidere gli indirizzi e non può definire risorse economiche. E si chiedeva ai sindaci di firmare un documento senza impegni prima di sapere l’entità e la qualità dei danni.

136) Il Piano non stanzia fondi e non prevede alcuna risorsa proveniente dalla costruzione della Torino Lione. Nella realtà si limita solo a suggerire la gestione di risorse derivanti da progetti settoriali, dai vari piani di sviluppo e da quanto Regione e comuni reperiscono con richieste ordinarie. Poiché il 60 per cento dei progetti riguarda Torino, consentirebbe, quando il governo darà un contributo per la linea metropolitana, di dire che sta finanziando il piano strategico della Torino Lione, e di alimentare le speranze! Per contro è significativo per la valle di Susa che manchino interventi forti e veramente strategici come poteva essere la riconversione industriale della acciaieria, che ha inciso negativamente sulla salubrità del territorio e su altre attività produttive.

137) L’esperienza legata alle promesse dell’autostrada e delle Olimpiadi alimenta oggi una ampia disillusione sui benefici che potrebbe portare un’opera i cui contorni restano molto lacunosi.

138) Il Disegno di Legge regionale sulla “procedura per i grandi cantieri”, presentato a fine 2010, si è rivelata una “procedura per le grandi poltrone “, infatti non stanzia un euro per il territorio e neppure dice se e da dove potranno arrivare dei finanziamenti, ma stanzia i fondi per un Comitato di pilotaggio di 4 persone, che avrà il potere di assegnarli anche al di fuori dell’area di progetto. In pratica chi sopporta l’opera non avrà più la certezza che arrivi qualcosa: se mai dovesse arrivare un finanziamento non potrà neppure accedere al livello di decisione, perché si è stabilito che, nell’organo di gestione, sieda un rappresentante di chi costruisce, ma non di chi subisce!

139) Sulle compensazioni val la pena di sentire l’esperienza dei sindaci del Mugello nell’ inchiesta della primavera del 2010: “Dalla progettazione alla realizzazione i costi possono crescere anche del 400 per cento e se questi soldi non vengono coperti dallo Stato, capita che dei 53 milioni di euro previsti per riparare con urgenza i primi danni ambientali, a dieci anni di distanza dai lavori ne manchino ancora 15… Eppure ci dicevano che le compensazioni le avremmo avute e quindi non dovevamo lamentarci”

Mancano i soldi per risanare i danni ambientai e mancano ancora molte delle opere promesse: ed i sindaci, che ci avevano messo la faccia con i cittadini, non possono nemmeno dire di aver portato a casa la palestra o l’asilo che erano stati promessi”

L’opposizione in Val di Susa

140) I NO TAV, criticando il progetto, non hanno mai inteso farne una questione localistica ed hanno espresso questo concetto con lo slogan: “né qui né altrove “. Per questo non è stato possibile circuirli con i giri di valzer che spostavano il tracciato da una parte all’altra. La forza del Movimento è proprio nella coscienza di battersi per una causa comune: anche per quelli di altri territori che, per la disinformazione dei quotidiani, di televisioni e radio non hanno avuto modo di rendersene conto.

I politici hanno accusato i NO TAV di essere persone che si oppongono all’interesse nazionale. La verità è l’opposto: i NO TAV difendono l’interesse nazionale dagli inganni e dagli sperperi che si camuffano sotto la copertura delle Grandi Opere.

141) La valle resiste da oltre 20 anni perché vi è una opposizione consapevole: perché ha esperienza di cosa significhino grandi opere e perché da sempre vive accanto ai trasporti e ne conosce i problemi reali. Infine perchè si è formata una diffusa conoscenza dei progetti che vengono presentati. Negli ultimi 10 anni ci sono state una decina di grandi manifestazioni con la partecipazione, ogni volta, di almeno 30.000 persone ed una raccolta di 32.000 firme realizzata in poco più di un mese. Nell’anno 2010 si può fare il confronto tra le 30.000 persone che a gennaio hanno sfilato a 3 gradi sotto zero, ed i 320 voti presi dal candidato Si Tav alle elezioni regionali dello stesso anno.

142) Non si può negare il valore di una opposizione democratica che si è sempre svolta correttamente, gestendo in modo impeccabile la presenza di decine di migliaia di manifestanti di diverse provenienze in tante grandi manifestazioni. La “riconquista” del cantiere di Venaus dell’8 dicembre 2005, avvenuta dopo che le forze di polizia avevano fatto una violenta irruzione notturna nel presidio pacifico, colpendo violentemente le persone con manganelli e calci, distruggendo ogni cosa ed organizzando un esproprio farsa dei terreni alla luce delle torce non fa eccezione, perché in ultima istanza, di fronte all’arroganza del potere, anche la disobbedienza civile è un diritto.

143) E’ scandaloso che dopo ogni grande manifestazione pacifica gli amministratori regionali ed i vertici politici abbiano ribadito la loro assoluta chiusura all’ipotesi di un dibattito sulla necessità della linea. Ed è scandaloso si siano umiliate, passandole sotto silenzio, manifestazioni di civiltà amministrativa che avrebbero dovuto far inorgoglire una nazione, come la convocazione, nell’anno 2007, di 31 consigli comunali in piazza Castello a Torino, dove, sotto un sole bellissimo, si è avuta una spettacolare sincronizzazione di procedure amministrative per deliberare l’opposizione alla nuova linea. Anche le 32.000 firme raccolte in meno di due mesi intorno ad agosto, hanno solo avuto una immediata chiusura politica ad ogni discussione.

144) Questa opposizione si è dovuta anche confrontare con l’accanimento nei suoi confronti di tutti i mezzi di informazione. Nei fatti la grande stampa, la radio, le televisioni sono state solo un organo di propaganda per diffondere tesi e falsità dei promotori ed ignorare le nostre ragioni. Ma forse è stata proprio la rabbia contro questa ingiusta manipolazione quella che ha fatto uscire dalle proprie case decine di migliaia di cittadini convincendoli che, poiché era loro negata la voce, non restava che testimoniare con la presenza.

145) Il piano sondaggi del 2010 prevedeva 91 carotaggi quasi tutti in località in cui, secondo gli stessi documenti di presentazione, erano disponibili alcuni o, addirittura, decine di sondaggi precedenti. Ne sono stati fatti 23: la quasi totalità nella cintura torinese e quindi neppure nel tratto di competenza della Torino-Lione, che non comprende il nodo di Torino. Non è stato toccato alcun punto dove si sarebbe dovuto abbandonare la prossimità dell’autostrada ed avventurarsi in montagna. Per ogni sondaggio è stata necessaria la mobilitazione giornaliera di mille uomini delle forze dell’ordine, avvicendati in 5 turni di 200 uomini. Queste condizioni rendono molto difficile l’ipotesi che si possa imporre con la forza la presenza di veri cantieri.

146) Al di là dell’opposizione degli abitanti vi è anche uno scontro meno visibile, ma radicale tra le Ferrovie (favorevoli al tracciato diretto in sinistra) da una parte e la Regione e il Comune di Torino, dall’altra, che chiedono invece il tracciato in destra per poter avere il passaggio attraverso l’interporto di Orbassano.

147) Per tutto questo il Governo ha ordinato all’Osservatorio di far melina, fingendo una intesa qualsiasi, pur di restare in corsa per i finanziamenti europei. Questi non servono tanto per il loro ammontare, quanto per costituire una pressione sui parlamentari dei vari collegi italiani che dovranno trovare il restante 95% dei finanziamenti per realizzare l’opera.

I nodi finanziari irrisolti del progetto

148) Questa è un’opera al buio, anche dal punto di vista dei finanziamenti: l’impegno di contributo dell’Unione Europea è del 2008, ed è vincolato ad un contestuale messa a disposizione dei due Governi degli altri due terzi, circa 1000 milioni di euro da parte dell’Italia e circa 550 milioni da parte della Francia. Ma in due anni dalla decisione comunitaria il Governo italiano ha trovato solo in extremis 12 milioni per iniziare la galleria di Chiomonte: resta scoperto il restante 85% della quota italiana e l’intera quota francese sul contributo europeo. Come possono pensare di reperire i 17 (o 34) miliardi di euro ancora necessari considerando che l’Unione Europea ha impiegato 14 anni, dal vertice di Essen del 1994 al 2008, per dare questo contributo di 670 milioni su un totale di soli 5,3 miliardi per 92 progetti, ed è ben difficile che possa fare ancora qualcosa stando il peggioramento del quadro generale dell’ economia ?

149) Nella domanda di contributo presentata all’Unione Europea si scrive che l’aiuto finanziario dell’Unione Europea sarà “determinante“ alla realizzazione dell’opera: che è come dire che, se non ci sarà nella misura attesa, l’opera rischia di non venire completata. Nel Dossier si attende un contributo europeo per il tunnel di base di 4.070 milioni di euro sui 13.950 milioni preventivati. Facendo bene i calcoli, ammesso che vada a buon fine lo stanziamento attuale, l’Unione Europea, che sarebbe riuscita a stanziare complessivamente 750 milioni di euro in 20 anni, dal 1994 al 2013, dovrebbe riuscire a trovarne quattro volte tanto in un terzo del tempo, dal 2013 al 2020. Quest’opera non ha alle spalle le risorse necessarie a realizzarla, una volta cominciata è destinata a bloccarsi.

Raccomandazione finale

150) Queste note non esauriscono certamente i motivi dell’opposizione al progetto della Torino Lione: a parte la enorme documentazione disponibile sui siti che riporta articoli e studi scientifici che ne dimostrano l’inutilità, un capitolo recente ed obbligatorio è quello delle Osservazioni al progetto redatte in occasione della procedura di VIA dalla Comunità Montana e dalle 4 associazioni ambientaliste storiche (Italia Nostra, Legambiente, Pro Natura e WWF).

Si tratta di un complesso di circa 250 pagine redatte da tecnici qualificati per ogni settore che smontano minuziosamente il dossier progettuale presentato dalla Lyon Turin Ferroviaire, dimostrandone la incompletezza sostanziale, gli errori macroscopici e le gravissime omissioni. Questi argomenti, essendo strettamente riferiti al progetto, non fanno parte di queste “ Altre 150 ragioni” ma se ne raccomanda caldamente la lettura.

Pro Natura Piemonte, via Pastrengo 13, 10128 Torino Tel. 011.5096618; fax 011.503155; e-mail: torino@pro-natura.it

TAV: fermatevi

Per questo, unendoci ai diversi appelli che si moltiplicano nel Paese, chiediamo alla politica e alle istituzioni un gesto di razionalità: si sospenda l’inizio dei lavori e si apra un ampio confronto nazionale (sino ad oggi eluso) su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative. In un momento di grave crisi economica e di rinnovata attenzione ai beni comuni riesaminare senza preconcetti decisioni assunte venti anni fa è segno non di debolezza ma di responsabilità e di intelligenza politica.