Vai al contenuto

novartis

L’articolo 18 come “benefit”

Tra le notizie di oggi c’è n’è una piccolina che dovrebbe fare riflettere, la riporta Dagospia:

8b3ea39893a280297f014abc0a02ab8a548076f711b00Ieri mattina il premier spaccone non stava più nella pelle all’idea di poter finalmente annunciare un dato positivo sul lavoro. Nei primi due mesi del 2015, rispetto agli stessi mesi del 2014, ci sono stati 79.000 nuovi contratti a tempo indeterminato. Festa grande nei telegiornali e Renzi che dichiara: “E’ il segnale che l’Italia riparte, sono dati sorprendenti. Ci hanno accusato di voler rendere la nostra generazione per sempre precaria. E’ vero esattamente il contrario”.

In realtà tutti gli esperti sottolineano che non è detto che quei 79.000 nuovi contratti siano tutti nuovi posti di lavoro: si dovrebbe trattare per lo più di trasformazioni dal tempo determinato per effetto degli sgravi previsti nell’ultima legge di Stabilità. In ogni caso è una buona notizia e bisogna darne atto al governo.

Però oggi c’è anche un’altra notizia, davvero sorprendente. Il gigante Novartis ha appena assunto 13 lavoratori nella sua sede di Varese e a tutti ha offerto l’articolo 18 come fosse un benefit. Una vittoria notevole per lavoratori, ingegneri e informatici, alcuni anche altamente specializzati come racconta Repubblica, che dà la notizia (p. 14). Insomma, alla Novartis hanno superato il Jobs Act e sono tornati alla Fornero. Anche su questo l’ottimo Renzi dovrebbe fare una riflessione, a meno di pensare che in Novartis siano bolscevichi o autolesionisti.

La farmacia dei poveri

La chiamano così, L’India, con i suoi diciassette miliardi di euro di fatturato annuo della propria industria farmaceutica. Le luci su questo connubio poco conosciuto tra produttività, salute e India (appunto) si sono accese in questi ultimi giorni dopo la sentenza storica con cui la Corte Suprema di New Delhi ha respinto un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anti cancro attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane  (Glivec) e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una «invenzione», ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Si tratterebbe insomma di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata da “big pharma” per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto. L’atteso verdetto del massimo organo giudiziario permetterà ai gruppi farmaceutici indiani come Cipla e Rambaxy di continuare a produrre la versione generica del medicinale usato per trattare una rara forma di leucemia.

Secondo molti attivisti per i diritti umani la causa della Novartis vorrebbe privare molte persone di farmaci che non sarebbero altrimenti accessibili a molti, dall’altra parte le grandi industrie farmaceutiche rivendicano la protezione dei brevetti e degli investimenti nella ricerca. La verità in dispute come questa si frastaglia tra l’imprenditoria, il mercato e il valore solidale della vita. Sono gli intrecci che si annodano quando si parla di sanità dove l’imprenditore rivendica di potere essere impresa nel settore delle vite come per i pomodori, gli arredamenti o le automobili senza limiti di etica e solidarietà. Come se il mio meccanico con il mio motorino abbia un dovere morale identico al pediatra con la malattia di un mio figlio. E’ la transuamnza incontrollata e incontrollabile del Marchionnismo in tutti i campi: salute inclusa. E mentre i tribunali provano a parare il colpo alla fine la comunità internazionale finge di non capire che la propria latitanza sulla disposizione di nuove regole continua ad avere un costo sociale altissimo e relega una questione morale ai professionisti del marketing e del bilancio.

E questo succede in India, vero, ma in fondo l’India è molto più vicina di quanto pensiamo se ricordassimo un minuto soltanto le vicende della Clinica Santa Rita in Lombardia o gli innumerevoli casi di aziende ospedaliere gestite da mercatari che farebbero impallidire Ippocrate e i suoi.

E sarebbe bello che l’Italia partisse da qui per ricostruirsi una credibilità internazionale che non stia a farneticare solo di saggi, spread e alchimie di governo. Sarebbe bello davvero essere gli innovatori di un’etica farmaceutica comunitaria.