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Caro Conte, anche tu hai tenuto i porti chiusi

La Mezzaluna Rossa libica (l’equivalente più o meno della nostra Croce Rossa) ieri ha annunciato altri 50 morti in un naufragio al largo della Libia. Poco prima l’Oim, l’agenzia dell’Onu per le migrazioni, aveva riferito della morte di almeno 11 persone dopo che il gommone su cui viaggiavano era affondato. La Guardia Costiera libica come al solito dice di non esserne informata. Una cosa è certa: nel Mediterraneo si continua a morire ma la vicenda non sfiora la politica nazionale, merita qualche contrita pietà passeggera e poi scivola via.

L’importante, in fondo, è solo mantenere ognuno la propria narrazione: ci sono i “porti chiusi” di Salvini che rivendica di averlo fatto ma poi in tribunale frigna chiamando in causa anche i suoi ex compagni di governo, c’è il “blocco navale” evocato da Giorgia Meloni, c’è il PD che finge di avere dimenticato di essere il partito che con Minniti ha innescato l’onda narrativa e giuridica che ci ha portati fin qui e c’è il Movimento 5 Stelle che si barcamena tra una posizione e l’altra.

A proposito di M5S: il (prossimo) leader Conte è riuscito a dire in scioltezza “con me porti mai chiusi” provando a cancellare con un colpo di spugna quel suo sorriso tronfio mentre si faceva fotografare al fianco di Salvini con tanto di foglietto in mano per celebrare l’hashtag #decretosalvini e la dicitura “sicurezza e immigrazione”.

Conte che sembra avere improvvisamente dimenticato le sue stesse parole su Sea Watch e sulla comandante Carola Rackete: “è stato – disse Conte – un ricatto politico sulla pelle di 40 persone”. Insomma, non proprio le parole di chi vuole prendere le distanze dalla politica di Salvini.

Oltre le parole ci sono i fatti: l’ultimo atto del Parlamento prima della caduta del primo governo Conte nell’agosto 2019 è stato il “decreto sicurezza bis” che stringeva ancora più i lacci dell’immigrazione. Sempre ad agosto 2019, 159 migranti sulla nave Open Arms sono stati 19 giorni in mare senza la possibilità di attraccare nei porti italiani.

Insomma: partendo dal presupposto che i porti non si possano “chiudere” per il diritto internazionale è vero che Conte a braccetto con Salvini ha sposato l’idea dei “porti chiusi” nel senso più largo e più politico. Ed è pur vero che nessun governo, compreso questo, sembra avere nessun’altra idea politica che non sia quella di galleggiare tra dittature usate come rubinetto per frenare le migrazioni in un’Europa che galleggia appaltando i propri confini. Gli unici che non galleggiano sono i morti nel Mediterraneo.

Leggi anche: I poveri sono falliti e i ricchi sono radical chic: così Salvini non risponde mai nel merito a chi lo critica

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Draghi, Lega, ddl Zan: il male non è fare politica al Primo Maggio ma i partiti che controllano la Rai

Le domande giuste e le domande sbagliate, a prima vista, sembrano sempre più o meno la stessa cosa. La differenza è che le domande sbagliate di solito vengono poste per non ottenere risposte, ma per aumentare la polvere e la schiuma e inevitabilmente per ottenere più coinvolgimento. Più dibattito confuso, più viralità, più clic, più introiti pubblicitari e più popolarità.

Le domande sbagliate sono quelle che oggi si attorciglieranno su Fedez, come in una guerra tra galli in cui si chiede di parteggiare per il cantante o per Salvini, con Fedez o con la Rai, e infatti già scivolano le battute sulla Lamborghini, sui soldi, perfino sulla pubblicità visibile del marchio del suo cappellino.


Le domande giuste, invece, sarebbero da porre alla politica tutta, a destra e a sinistra, su un sistema che ottunde, ammortizza, diluisce tutto quello che deve passare in televisione, sulla televisione pubblica italiana, non tanto per censura ma più per una sorta di autocensura che tiene in piedi il carrozzone dell’informazione italiana in cui il primo obiettivo è quello di non incrinare relazioni che valgono molto più delle competenze per la propria carriera in Rai.

Qualcuno fa notare che non c’è stata censura poiché Fedez ha potuto comunque parlare [qui il testo integrale del suo discorso] ma si dimentica di osservare la cappa che sta sulla testa di quelli che, senza i mezzi e senza la potenza di fuoco, invece, non arrivano nemmeno allo scontro e si allineano.

Uscendo dalla diatriba tra Fedez e gli altri, allora, rimangono due punti fondamentali. Primo: che la televisione pubblica e la politica si siano adagiati su questa abitudine vigliacca di credere che i diritti vadano celebrati senza essere esercitati è la fotografia perfetta di un Paese senza coraggio.


Il Primo Maggio è la festa dei diritti ed è doveroso, ognuno secondo le proprie idee, esercitare e reclamare diritti. Altrimenti chiamatelo concerto e non ammantatelo di altri significati.

Secondo: che la politica ogni volta, ciclicamente, faccia finti di stupirsi di quel mostro che è la Rai, che la politica stessa ha creato, è un’ipocrisia intollerabile. Quello che accade a Fedez accade ai conduttori, ai giornalisti, ai collaboratori (ancora di più).

Un’azienda che ha dirigenti il cui merito è sempre quello di essere “diligenti” più che capaci è ovvio che vada a finire così e la responsabilità è tutta politica, è tutta della politica. Questa scena dei piromani che si disperano per l’incendio ce la potreste anche risparmiare, almeno per il gusto della verità e della dignità.

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Insozzare la Liberazione

Ci sono molti modi di insozzare il 25 aprile, ognuno con il proprio stile ma tutti tesi (come un braccio teso) per svilire e in fondo per provare a non scontentare i fascisti. Siamo ancora al punto in cui almeno si vergognano di leccare spudoratamente i fascisti e quindi provano ad accarezzarli di sponda. Almeno questo.

Giorgia Meloni se la gioca (come era immaginabile) trasfigurando la libertà di andare al ristorante e mette in mezzo partigiani (senza citarli, sia mai) e lavoratori provando a innescare la solita guerra tra disperazioni: “La libertà, mentre la celebriamo, non è più scontata – scrive – a oltre 70 anni dall’inizio della nostra Repubblica democratica, e ad oltre un anno dall’inizio della pandemia, il governo ancora pensa di potersi arrogare il diritto di decidere se e quando gli italiani possano uscire di casa. Appello a tutti coloro che credono nel valore della libertà: aiutateci ad abolire il coprifuoco“. Insomma: il coprifuoco è il nuovo fascismo, dice Giorgia Meloni. Complimenti.

A ruota arriva Salvini, che ormai è una Meloni in versione analcolica. Pubblica un video sui suoi social e urla: “Noi, donne e uomini liberi d’Italia, chiediamo la cancellazione dell’insensato COPRIFUOCO e la riapertura di TUTTE le attività nelle zone (gialle o bianche) in cui il virus sia sotto controllo’. Al momento le adesioni sono 7.750. Nel video pubblicato sul web, Salvini aggiunge: “Se saremo 10mila è un conto, se saremo 100mila o un milione… Oggi è la giornata della Liberazione. Io e la Lega daremo l’anima dentro al governo, perché le le battaglie si combattono stando dentro e non uscendo o scappando, cercando di limitare la prepotenza di chi vede solo rosso, divieti, chiusure e coprifuoco”. Insomma, una Giorgia Meloni al maschile con la differenza che lui sta al governo con quelli che vorrebbe pugnacemente combattere. Un eroe.

Pietro Ichino prova a allargare il campo riuscendoci male: “La Festa della Liberazione non può ridursi a un’acritica celebrazione dell’epopea partigiana: deve essere anche occasione per riflettere sulle responsabilità delle forze antifasciste nell’avvento della dittatura”. Benissimo: poi scriviamo un saggio sulla colpa degli ebrei che la Shoah se la sono andata a cercare.

Il sindaco di Codogno Francesco Passerini dimostra di essere più pandemico della pandemia rifiutando di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini con motivazioni che fanno spavento: “Codogno diede l’onoreficenza a Mussolini nel 1924, fu una iniziativa nazionale dell’Anci del tempo. E’ un atto storico, come quando Napoleone ha dormito a Codogno e poi andò a Lodi a far guerra. Non è che poi è venuto giù il palazzo dove dormì. Abbiamo anche alcune strutture che ricordano il periodo fascista, come Villa Biancardi che è ancora lì. E per fortuna. Non si può pensare di cancellare e demolire tutto perché costruito da una parte della storia ‘particolare’”. Insomma erano particolari, mica fascisti.

Fenomenale anche il sindaco di Salò: “Dopo la caduta del Fascismo – dice all’opposizione che chiedeva simbolicamente di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini – sui banchi dove state ora accomodati, si sono seduti uomini che di antifascismo e lotta partigiana potevano sicuramente fregiarsi di sapere tanto, tanto più di Voi, e di Noi, avendo fatto parte personalmente di quella lotta, avendoci messo la faccia e, avendo spesso, rischiato la vita per gli ideali in cui credevano. Eppure queste persone non si posero, allora, il problema della Cittadinanza onoraria”. Insomma: se non l’hanno fatto gli altri io mi sento assolto.

Sceglie la linea del banalissimo e goffo provocatore anche il professore universitario Riccardo Puglisi, star presso se stesso su Twitter, che ci butta un po’ di liberismo d’accatto: “Mi sembra di capire che parecchi partigiani comunisti volessero passare direttamente dalla liberazione alla dittatura del proletariato”. Che spessore, ma dai.

Infine lui, Renzi: “Oggi è festa di libertà. Memoria di chi ha combattuto per salvarci, impegno per il futuro. Rileggere oggi le lettere dei condannati a morte della resistenza commuove e spalanca l’anima”. Non è festa di libertà ma festa della Liberazione dal nazifascismo, ma figurati se riesce a dirlo. E scrive “resistenza” in minuscolo, genio. Però la festa della libertà, se gli può interessare, si festeggia proprio domani in Sudafrica. Sempre che non abbia impegni dal principe saudita.

Buon lunedì.

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Intanto, in Sardegna…

Nel pieno della pandemia, con una campagna vaccinale da spingere il più possibile per provare a ripartire, con i ristori che sono pochi e che non arrivano e con le attività che non riusciranno più a riaprire la politica decide quali sono le priorità. In Sardegna, ad esempio, il presidente Solinas (fiore all’occhiello del centrodestra nazionale) ha pensato bene di concentrarsi sul disegno di legge 107 che che pensa a un nuovo staff di 65 persone assunte su nomina squisitamente politica, come avveniva in tempi di vacche grasse e di favori elettorali.

La stragrande maggioranza dei 65 nuovi collaboratori sarebbe direttamente alle dipendenze di Solinas (curioso, eh?) e immagina al vertice un segretario generale della Regione che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto guadagnare 285mila euro lordi all’anno, circa 100mila euro in più di quanto guadagna il Presidente della Repubblica, tanto per dare un’idea. Spesa totale della brillante idea di Solinas? 6 milioni di euro all’anno, in tempo di Covid, in questo tempo. Ognuno ne può trarre le sue conclusioni.

Il disegno di legge tra l’altro è stato scritto talmente male che si sono dimenticati della norma che fissa un tetto di 240mila euro annui come massimo stipendio per un incarico pubblico e così Solinas, proprio lui in persona, si è impegnato in un’intervista all’Ansa di presentare un emendamento per correggere una sua legge. Roba da avanspettacolo.

Sempre a proposito di stipendi ci sono tre capi Dipartimento che fanno riferimento alla presidenza (733mila euro annui lordi), tre consulenti (402mila) e sei esperti (805mila) per l’ufficio di staff, cinque esperti per il Comitato per la legislazione (671mila), quindi tre addetti di Gabinetto (180mila), due addetti al cerimoniale (120mila), un nuovo autista (60mila) mentre per gli assessorati sono previsti cinque consulenti (671mila) e la bellezza di trentasei addetti di gabinetto (per una spesa annua lorda di 2,1 milioni) destinati agli assessorati. Facendo la somma si contano 6 milioni e 90mila euro in tutto.

A chi serve tutto questo? Il consigliere regionale Massimo Zedda dice: «Serve all’apparato digerente, non dirigente, del centrodestra per soddisfare appetiti di poltrone e di posti di sottogoverno. Con uno spreco di oltre 6 milioni di euro l’anno mentre imprese, famiglie, lavoratrici e lavoratori sono in gravissima difficoltà».

Buon venerdì.

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Sono già in campagna elettorale

Il governo dei migliori incassa le bordate di alcuni scienziati, dice il professor Galli che «Draghi non ne ha azzeccata una sul virus» e dice Andrea Crisanti che «purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica» definendo le riaperture una «stupidaggine epocale» ma su queste questioni ci si accorge di chi aveva ragione sempre dopo. E quindi tra qualche mese qualcuno potrà dire “l’avevo detto”.

Intanto però la maggioranza freme perché la politica, l’abbiamo ripetuto più volte anche qui, è una continua ricerca di consenso, più della responsabilità di governo e così Matteo Salvini (dopo essersi intestato il merito delle progressive aperture) ora spinge ancora di più sull’acceleratore chiedendo ancora di più. È normale, il suo elettorato gli chiede questo, per esistere lui deve fare questo: spingere, spingere, spingere e non dare il tempo di ragionare. Così ora la richiesta è di aprire anche i locali al chiuso e di togliere il coprifuoco. Sia chiaro: la discussione è legittima ma non chiedete a Salvini di dare delle indicazioni in base ai dati in nostro possesso. Il suo ragionamento non esiste e quindi la giustificazione è sempre quella del “buonsenso”. A ruota, ovviamente, ci sono i renziani che chiedono di riaprire le palestre (anche al chiuso) e gli impianti sportivi prima del termine di giugno fissato dal governo. È una guerra ad accalappiarsi ognuno il proprio settore. Avanti così.

Salvini intanto riesuma Berlusconi per parlarci del suo rinvio a giudizio sulla vicenda Open Arms: «Silvio ha dovuto affrontare 80 processi, io per ora solo 5-6 … Ma è evidente che la sinistra vuole vincere in tribunale le elezioni che perde nelle urne. In nessun Paese al mondo si mandano un processo gli avversari politici». Intanto ne approfitta per leccare un po’ anche Eni e Finmeccanica: «In Italia – dice – si fanno tante inchieste che poi finiscono nel nulla. Come quelle che hanno riguardato grandi società come Eni e Finmeccanica. Difendere gli interessi dell’Italia significa anche difendere le aziende italiane». Per lui difendere le aziende italiane significa non indagare. Chiaro, no?

Poi ha un’illuminazione: una commissione d’inchiesta sulla pandemia (che in effetti potrebbe fare luce su molte responsabilità che meritano di essere indagate) ma anche qui riesce a buttarla in caciara sparando sulle «responsabilità del ministro Speranza», come al solito trasformando tutto in guerriglia ad personam, la stessa di cui si lamenta. E a chi pensa per trovare i voti di un’operazione del genere? Lo dice lui stesso: il centrodestra e Italia Viva di Renzi. E intanto getta l’amo.

Vi ricordate quando si diceva che Draghi li avrebbe tenuti tutti in riga? La riga si è già spezzata e vedrete che basterà che si abbassino i numeri drammatici del contagio perché inizi subito la campagna elettorale. In testa, ovviamente, i due Mattei che stanno già muovendo le code sotto traccia.

Buon lunedì.

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L’equilibrista

Ci sono alcune novità dopo la conferenza stampa di ieri di Mario Draghi. Draghi, l’abbiamo capito bene, è uno con la stoffa democristiana, uno che le conferenze stampa le sa gestire provando ad accontentare tutti ma soprattutto stando attento a non scontentare nessuno, rimanendo sempre in bilico su quell’area di grigio che può essere scambiata per meritevole equilibrio oppure per inutile furbizia. Ognuno si costruirà la sua opinione, ognuno gli concederà la sua porzione di stima.

Draghi ha seppellito Salvini. E ha fatto bene, una volta per tutte: dire «ho voluto io Speranza nel governo e ne ho molta stima» significa togliere una volte per tutte dalle mani di Salvini e compagnia cantante la vecchia scusa di essere con Draghi ma contro Speranza, di fare opposizione a un pezzo del governo continuando a restare nel governo. Non sarà facile ora per il leader leghista raccontarlo ai suoi. Ci sarà da ridere e fa piacere che un presidente del Consiglio (ancora una volta) metta Salvini di fronte alla sua patetica doppia faccia.

Draghi durissimo su Erdogan: «Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, bisogna essere franchi per affermare la propria posizione ma anche pronti a cooperare per gli interessi del proprio Paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto». Chiamare un dittatore “dittatore” è sempre una bella notizia, cooperare con un dittatore rientra in quella realpolitik che può piacere o meno.

Ma se qualcuno è felice per la stoccata al sultano turco, allora dovrebbe ascoltare però le giustificazioni piuttosto flebili sulla Libia. Perché Draghi ha parlato di corridoi umanitari che non esistono, al di là di qualche sparuta persona e perché ha parlato di “superamento dei centri di detenzione libici” che sono proprio quel “salvataggio” per cui aveva ringraziato la Libia. No, proprio no. Non ci siamo.

Quindi un colpo di qua e un colpo di là. Non accontentare nessuno e non scontentare tutti. Come gli equilibristi, quelli che ti stupiscono per i primi metri sulla corda e poi annoiano tantissimo, e riescono a essere pericolosi per sé e per gli altri.

Buon venerdì.

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Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa

“Prima gli italiani” ripete Matteo Salvini e tutti in coro i suoi fedelissimi. “Prima gli italiani” perché bisogna difendersi dagli interessi “altri”, quelli degli stranieri, che a detta dei leghisti depaupererebbero gli onesti. Poi accade che a Opera in provincia di Milano il sindaco leghista Antonino Nucera venga arrestato insieme alla sua compagna (capo dell’ufficio tecnico dello stesso comune di cui è sindaco) insieme a tre imprenditori.

Tra le accuse ci sono le mascherine che sarebbero servite agli anziani nelle Rsa, alla farmacia comunale per la distribuzioni ai suoi concittadini e che invece sono state tenute nascoste per l’ex moglie, gli amici, gli amici degli amici, i famigliari, i dipendenti comunali e gli agenti della polizia locale. Qualcosa come 2.800 dispositivi di protezione che il prode leghista, uno di quelli che dovrebbe difenderci dal pericolo “straniero”, ha deciso di intascarsi, secondo le accuse.

Eppure il sindaco Nucera è il prototipo del perfetto salviniano: sulla sua bacheca Facebook urlacciava contro il governo Conte scrivendo che “mentre loro concordano come spartire le poltrone” lui pensava a “lavorare per le nostre comunità, come abbiamo sempre fatto”. Poi ovviamente ci sono tutte le sue arrabbiature per “i criminali”: alcuni che hanno strappato i sigilli per attraversare un ponte in costruzione, complimenti ai carabinieri che hanno tolto la patente a un ubriaco al volante, indignazione per degli uccelli avvelenati, strali contro il reddito di cittadinanza, l’immancabile post sul presepe e sulla Sacra Famiglia e così via.

La retorica, la solita retorica, di chi usa il populismo per fottere gli elettori. Imperdibile il post in cui chiede ai cittadini di restare a casa: “In qualità di Sindaco e di padre di famiglia vi chiedo vivamente di uscire solo per motivi importanti! Stiamo attraversando un periodo molto particolare… è richiesto un comportamento responsabile ad ognuno di noi..”.

Del resto è proprio il manifesto del leghismo: quel “prima gli italiani” diventa un sovranismo in cui l’unica Patria è l’io e gli interessi personali. Fregarsene degli altri rivendicando l’egoismo come diritto. Se ci pensate bene il sindaco Nucera ha eseguito il suo manifesto politico alla lettera: si è occupato solo di quelli che lui considera “prima” degli altri solo che “gli altri” alla fine diventano anche i cittadini perché a forza di disinteressarsi di più gente possibile è inevitabile che finisca così. E chissà cosa ha da dirci il prode Salvini.

Leggi anche: Salvini cambia linea per placare i malumori della Lega: “Draghi non è Conte, non stacco la spina”

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Migliori anche a leccare chi viola i diritti umani

Ieri il presidentissimo Mario Draghi si è recato in Libia. Ogni volta che qualche esponente di qualche nostro governo passa dalla Libia non riesce a evitare di tornare con le mani sporche di sangue per un qualsiasi atteggiamento riverente verso i carcerieri sulle porte d’Europa, come se fosse una tappa obbligata per poter frequentare i salotti buoni per l’Europa e anche il “migliore” Draghi è riuscito a non stupirci rivendicando con orgoglio l’amicizia, la stima e la vicinanza ai libici che violano i diritti umani. Ogni volta è stupefacente: negare la realtà di fronte ai microfoni della stampa internazionale deve essere il risultato di un corso speciale che viene inoculato ai nostri rappresentanti. E ogni volta fa schifo.

«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia», ha detto ieri Draghi, con quella sua solita soffice postura con cui ripete le stesse cose dei suoi predecessori aggiungendoci un filo di zucchero a velo. Sarebbe curioso chiedere a Draghi cosa si intenda esattamente per “salvataggio” poiché i libici (questo è un fatto accertato a livello internazionale) si occupano principalmente di respingimenti, di riportare uomini e donne nei lager dove continuano le torture, gli stupri e lo schiavismo, poiché i libici sono quelli che il 10 ottobre del 2018 hanno sparato a una motovedetta italiana, poiché i libici sono gli stessi che il 26 ottobre 2019 hanno sparato sulla nave Alan Kurdi per impedire il soccorso dei migranti, poiché i libici sono gli stessi che il 28 luglio dell’anno scorso hanno sparato contro i migranti uccidendone 3. Solo per citare qualche esempio, ovviamente, dato che quel pezzo di mondo e di mare continua a rimanere sguarnito, anche questo per precisa volontà politica.

Caro presidente Draghi, siamo contenti che lei si senta barzotto per questo tipo di salvataggi ma le auguro di non essere mai “salvato” così. Del resto legittimare quella combriccola di assassini che vengono educatamente chiamati Guardia costiera libica è un esercizio retorico che dura da anni: anche su questo il governo dei migliori continua spedito. Considerare la Libia un partner affidabile significa accettare la sistematica violazione dei diritti umani: come si chiamano coloro che elogiano in pubblico un’attività del genere facendola passare per doverosa? Ognuno trovi comodamente la risposta.

E mentre Draghi si è occupato di proteggere gli affari dell’italiana Eni in Libia, di farsi venire l’acquolina in bocca per l’autostrada costiera al confine con Bengasi (che riprende il tragitto della strada inaugurata nel 1937 da Benito Mussolini e conosciuta anche come “via Balbia”, evocando le azioni di Italo Balbo), di continuare a foraggiare la Guardia costiera libica per essere il sacchetto dell’umido dell’umanità nel Mediterraneo e di riassestare e ristrutturare la Banca centrale libica, i diritti e i dolori delle persone rimangono sullo sfondo come semplice scenografia dei barili di petrolio per cui i canali sono invece sempre aperti.

Del resto secondo il leader libico Abdul Hamid Dbeibah, Italia e Libia «soffrono e devono affrontare una sfida comune che è l’immigrazione clandestina, un problema che non è solo libico ma internazionale e riguarda tutti, come il terrorismo e il crimine organizzato». Solo che in questo caso sono chiarissimi gli autori di questo “problema”: Libia, Europa, Italia e la nuova spinta di Mario Draghi.

L’eccelso Mario Draghi insomma è il vassoio di cristallo delle solite portate, schifose uguali ma dette con più autorevolezza: avrebbe dovuto essere “il competente” e invece non è riuscito nemmeno a leggere un rapporto dell’Onu prima di andare in gita. E ovviamente non ha nemmeno fatto un giro nei campi di concentramento, non sia mai, si sarebbe sporcato il polsino.

Buon mercoledì.

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Il fascino della divisa

Ve lo ricordate Sandro Gozi? Un “traditore dello Stato”, un “nemico dell’Italia”, un “meschino”, un “disertore”, “uno a cui bisognerebbe togliere la cittadinanza”: sono solo alcune delle definizioni che sono state usate da esponenti di Lega e Fratelli d’Italia quando l’ex sottosegretario dei governi Renzi e Gentiloni assunse un ruolo politico per Macron in Francia. Sia chiaro: tutto alla luce del sole, al di là dell’opportunità su cui ognuno può avere la sua idea.

Salvini e Meloni sono pronti a individuare “tradimenti dell’Italia” in ogni frangente, soprattutto quando si tratta di nemici politici. In questi giorni in Italia c’è l’ipotesi di un tradimento proprio bello e finito, roba quasi da film, un capitano di fregata, Walter Biot, sorpreso dai Ros a vendere segreti militari ai russi in un parcheggio di Roma: anche se fa piuttosto ridere comunque siamo di fronte a uno dei più gravi episodi di spionaggio degli ultimi anni.

Nessuna parola di Meloni e Salvini, ovviamente. È il fascino della divisa: se scorrete i loro social trovate le solite badilate sugli immigrati, sulla sinistra (più Giorgia Meloni ovviamente, poiché Salvini ora si deve fingere moderato), indignazione per la condanna ridotta a Kabobo ma niente sull’ufficiale. Eppure, oh, se ci pensate è proprio il prototipo del traditore perfetto. Ma niente di niente.

Curiosa anche certa stampa che da giorni ci racconta come Biot avrebbe venduto documenti riservati ai russi per problemi di soldi (la moglie ci dice che hanno “quattro cani da mantenere”, tra le altre cose). Parliamo di un dipendente dell’Esercito, eh. Provate a chiedere in giro per strada alla gente in pandemia, a proposito di povertà. Tutta la pietas che non hanno per i poveri senza divisa è esplosa per il capitano di fregata.

Che ipocrisia, che bassezza, che poca roba. Che peccato.

Buon venerdì.

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