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operazione infinito

Quanti amici di mafiosi in Lombardia, carabinieri e dottori

Le cosche della ‘ndrangheta in Lombardia avevano creato “proficui rapporti” con “uomini dello Stato“: politici, investigatori e manager della sanità. E potevano contare anche sulle informazioni passate da un “appartenente alla Direzione Investigativa Antimafia di Milano, purtroppo ad oggi rimasto non identificato”. E’ questa la tela di potere che le ‘ndrine avevano esteso nel cuore produttivo del Paese. Una fitta maglia descritta nei dettagli nelle 800 pagine di motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello del capoluogo lombardo hanno confermato le condanne nate dalla maxi inchiesta Infinito-Tenacia del 2010. Le pene inflitte a giugno, seppure con qualche lieve riduzione, non hanno subito modifiche. Gli imputati sono circa una quarantina, tra cui il presunto boss Giuseppe“Pino” Neri e l’ex dirigente dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco. Diciotto anni di carcere al primo 12 anni al secondo.

Per raccontare i rapporti su cui potevano contare i presunti mammasantissima, la Corte riporta l’esempio del Comune di Desio. Il collegio della prima sezione, presieduto da Marta Malacarne elenca alcuni di questi “uomini dello Stato” e spiega, ad esempio, che “gli affiliati del locale (ossia della cosca, ndr) di Desio” erano in rapporti con l’ex assessore regionale lombardo Massimo Ponzoni. Inoltre, il collegio scrive che nel procedimento “sono stati analizzati i rapporti degli imputati con altri pubblici funzionari”, tra cui “Corso Vincenzo, ufficiale giudiziario in servizio a Desio”, “Marando Pasquale, ispettore dell’Agenzia delle Entrate” e “Pilello Pietro“, all’epoca “presidente del Collegio dei revisori dei conti della Provincia di Milano”. E poi “rilevantissima”, secondo i giudici, “l’infiltrazione nella società a completa partecipazione pubblica Ianomi, che raggruppa circa quaranta comuni della Valle dell’Olona e del Seveso, ed ha come oggetto sociale la gestione delle reti idriche”. E poi ancora i “rapporti di Strangio Salvatore con il colonnello in pensione Giuseppe Romeo e con l’ispettore della Polizia stradale di Lecco Alberto Valsecchi“.

Nelle motivazioni si parla anche di un “sequestro illegale” di un’auto da parte di “agenti della polizia di Stato di Torino” ottenuto da uomini vicini al presunto boss Domenico Pio. Un pentito poi ha raccontato di “un appartenente alla Guardia di Finanza che aveva fornito loro notizie di arresti imminenti” e di “rapporti privilegiati con il comandante della Polizia locale di Erba” e con “Nardone Carlo Alberto, ex ufficiale dell’Arma dei carabinieri”. Altri “proficui rapporti”, spiegano i giudici, “sono rimasti nell’ombra” e se ne “desume l’esistenza” dai molti “episodi di fuga di notizie” nel corso dell’inchiesta.

Vengono poi descritti i legami che intercorrono tra le ‘ndrine lombarde e la Calabria, “una sorta di rapporto di franchising” – scrivono i giudici – sebbene le cosche lombarde agissero in autonomia, “la Calabria è proprietaria e depositaria del marchio ‘ndrangheta’, completo del suo bagaglio di arcaiche usanze e tradizioni, mescolate a fortissime spinte verso più moderni ed ambiziosi progetti di infiltrazione nella vita economica, amministrativa e politica“.

Per questo la stessa “infiltrazione mafiosa nelle aziende della famiglia Perego”, importante impresa lombarda nei settori edili e del movimento terra, era “seguita” – scrivono i giudici – “con attenzione dalla ‘madre patria’ anche in previsione delle prospettive attribuite a Expo 2015“. L’ex manager della Asl di Pavia Chiriaco, invece, svolgeva il ruolo di “stabile punto di riferimento per convogliare i voti controllati dall’associazione sui candidati in più tornate elettorali amministrative”. Nelle motivazioni, tra l’altro, c’è un lungo elenco di “pubblici funzionari“, ma anche di membri delle forze dell’ordine con cui le cosche avrebbero intrattenuto rapporti.

(fonte)

‘Ndrangheta in Lombardia: operazione “Ulisse”. Facciamo il punto.

L’omertà

Il dato sconfortante che emerge dallo sviluppo delle inchieste Infinito e Crimine, e che ha portato oggi all’esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare volte a smantellare le cosche di ‘ndrangheta radicate tra Milano e Monza, è sempre lo stesso: l’omertà degli imprenditori vittime di estorsione e usura. Piuttosto a dare un contributo fondamentale alle indagini, da quanto trapela da ambienti investigativi, è arrivato da un nuovo pentito. Si tratta di Michael Panaija, 37enne arrestato l’11 aprile 2011 perché ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Carmelo Novella, il capo della “Provincia” lombarda (l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta in Lombardia) ucciso il 14 luglio 2008 a San Vittore Olona perché voleva la scissione dalle cosche calabresi. A farne il nome come uno dei presunti esecutori era stato il collaboratore di giustizia Antonino Belnome. Era stato lui a snocciolare il suo e i nomi di altre 18 persone arrestate nel 2011 perché avrebbero avuto un ruolo – come mandanti, come esecutori, come fiancheggiatori, o come basisti – nell’omicidio Novella e in altri tre omicidi commessi nell’ambito delle guerre interne alla ‘ndrangheta per il predominio sul territorio e come ritorsione per i fatti di sangue. Si tratta dell’omicidio di Rocco Cristello, avvenuto il 27 marzo 2008 a Verano Brianza; di quello di Antonio Tedesco, ucciso il 27 aprile 2009 a Bregano, il cui corpo è stato trovato mummificato sotto due metri di calce e terra in un maneggio (è stato riconosciuto da una catena d’oro) ; e di quello di Rocco Stagno, fratello del più potente Antonio Stagno, avvenuto il 29 marzo 2010 in un cascinale a Bernate Ticino, il cui cadavere invece non è ancora stato trovato. Ora Panaija risulta aver svelato dettagli sulla reazione delle cosche lombarde dopo il maxi blitz che a Milano, nel luglio 2010, aveva portato all’arresto di oltre 170 persone, 110 delle quali già condannate con rito abbreviato. Le cosche di Giussano e Seregno avrebbero proseguito sia i traffici di droga, sia le estorsioni e lo strozzinaggio di piccoli imprenditori locali, soprattutto di origine calabrese. Oggi in manette sono finiti Ulisse Panetta, il presunto boss proprio della locale di Giussano, e alcuni appartenenti alle famiglie Cristello e Corigliano. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena. Le ordinanze sono firmate dal gip Andrea Ghinetti.

Le estorsioni e i nomi

Le accuse per i 37 indagati arrestati stamani dai carabinieri del Ros a Milano e provincia sono di associazione mafiosa, porto e detenzione illegale di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), usura ed estorsione, aggravati dalle finalita’ mafiose. I provvedimenti di custodia cautelare scaturiscono da diversi filoni investigativi avviati dal Ros a seguito dell’indagine ‘Crimine’ che ha portato nell’aprile 2011 all’arresto di 11 affiliati alle ‘ndrine di Seregno e Giussano. Tra questi c’erano anche gli autori dell’omicidio di Rocco Cristello, Carmelo Novella, Antonio Tedesco e Rocco Stagno, tutti commessi in Lombardia tra il 2008 e il 2010 nell’ambito delle faide tra le cosche Gallace e Novella di Guardavalle (Catanzaro). Le indagini hanno svelato le attivita’ delle cosche al Nord: traffico di droga, usura ed estorsioni. Numerosi gli episodi di questo tipo raccolti dai militari. A partire dal 2007, quando le vittime dell’estorsione furono i titolari della concessionaria di auto ‘Selagip 2000′ di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l’esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E’ del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalita’ intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffre’, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.

Il ruolo di Ulisse Panetta a Giussano

Dall’agosto 2010, in seguito al maxi blitz delle operazioni Infinito e Crimine che il mese prima avevano portato all’arresto di circa 300 persone in Lombardia e in Calabria, è Ulisse Panetta ad assumere il comando dell’associazione mafiosa facente capo alla locale di Giussano in qualità di vice di Michael Panaija, arrestato l’11 aprile 2011. Lo scrive il gip Andrea Ghinetti nell’ordinanza di arresto che oggi ha colpito lo stesso Panetta e altre 36 persone. Dall’agosto 2010, si riassume nel capo di imputazione, Panetta fa carriera. Già “in possesso della dote del vangelo, dapprima ‘contabile’ e ‘mastro di giornata’, quindi, dopo l’arresto di Belnome, ‘capo società’, diventa il “capo e organizzatore” della locale di Giussano. Di conseguenza, “sovrintende alla gestione dell’armamento in dotazione della locale, comprensivo di armi corte, lunghe, esplosivo e munizionamento, parte del quale è stato a lui sequestrato nel febbraio 2012, alla scelta del luogo di occultamento ed alla individuazione delle persone deputate di volta in volta a servirsene. Mantiene i contatti con gli esponenti delle famiglie di riferimento in Calabria, mandando e ricevendo ‘ambasciate’. Provvede a mantenere i contatti con le famiglie degli arrestati della locale sia a seguito degli arresti del luglio 2010, sia di quelli dell’aprile 2011. Partecipa ai summit sopra indicati nel corso dei quali vengono conferiti a lui stesso e ad altri doti e cariche. Partecipa alla pianificazione delle attività criminali della locale percependone anche parte dei proventi”. Antonino Belnome è il pentito che per primo ha fatto luce sull’omicidio di Carmelo Novella, ex capo della “Lombardia”, l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta nella regione.

Il bunker

Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata. Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell’ordine, identico a quelli di ‘ndranghetisti latitanti dell’Aspromonte. La novita’ e’ che il nascondiglio si trovava nel profondo Nord, a Giussano, piccolo comune della Brianza. Per la precisione in via Boito 23, dove il boss Antonio Stagno, di 44 anni, originario di Giussano e attualmente detenuto nel carcere di Opera per altri motivi, aveva la sua residenza. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando – ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci – come quelli che siamo soliti trovare in realta’ come San Luca o Plati’. Per gli investigatori e’ un dato molto importante perche’ dimostra l’ulteriore passo in avanti della ‘ndrangheta al Nord, ormai cosi’ a proprio agio da esportare tecniche ritenute esclusiva delle zone d’origine. Il procuratore aggiunto del Tribunale di Milano, Ilda Boccassini, ha aggiunto che questo e’ momento di cambiamento per le ‘ndrine, con i giovani che stanno prendendo il posto degli ”anziani”. Nonostante cio’, pero’, resistono le tradizioni come quella dei bunker, di cui i calabresi sono considerati esperti costruttori.

Le minacce: i coltelli al ristorante

Rocco mi punto’ contro anche un coltello, il coltello da tavola del ristorante”. Cosi’ una delle ‘vittime’ delle estorsioni messe in atto dalle cosche della ‘ndrangheta di Giussano e Seregno, in Brianza, smantellate oggi con l’operazione ‘Ulisse’ condotta dai carabinieri del Ros, ha raccontato agli inquirenti della Dda di Milano l’ ‘umiliazione’ che subi’ quando nella sala di un locale venne preso anche a ”pugni e schiaffi al volto da parte di quasi tutti i commensali”, tra cui il presunto boss del clan di Seregno, Rocco Cristello, uno dei 37 arrestati. Nelle oltre 230 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, viene riportato anche il ‘capitolo’ della ”estorsione nei confronti di Gioffre’ Roberto”, ovvero le ”modalita’ estorsive attraverso le quali i due maggiori esponenti della locale di Seregno, ovvero Cristello Rocco e Formica Claudio (rispettivamente capo locale e capo societa’) si ‘appropriarono’ del locale chiamato ‘Casino’ Royale’ di Paina di Giussano, piu’ volte emerso nell’indagine ‘Infinito’ come luogo abituale di appuntamento degli affiliati”. La ‘vittima’ dell’estorsione, l’imprenditore Roberto Gioffre’, ha spiegato nella sua denuncia e nelle sommarie informazioni ai pm di aver dovuto incontrare nel 2009 in un ristorante di Seregno i presunti boss per cercare di ‘resistere’ alle vessazioni. ”Gioffre’ – scrive il gip Andrea Ghinetti – si reco’ all’appuntamento accompagnato dal fratello Francesco, consigliere comunale a Seregno”.

Appena entrati nel locale, Gioffre’ venne aggredito da Rocco Cristello che gli grido’: ”tu sei un pezzo di m…”. L’imprenditore disse agli uomini del clan che non avrebbe consegnato i ”50 mila euro” richiesti e per tutta risposta venne preso a ”pugni e schiaffi” al tavolo del ristorante. Poi il coltello puntato contro che fece reagire il fratello di Gioffre’, consigliere comunale. Cristello Rocco a quel punto, ha raccontato Gioffre’, ”lancio’ un’occhiata eloquente a mio fratello dicendogli ‘Franco, fatti i cazzi tuoi’, frase che fece desistere mio fratello”. L’importo totale ”di denaro” estorto a Gioffre’, sintetizza il gip, ”ammonta a 70 mila euro”. E’ questo l’unico dei 4 episodi di usura ed estorsione riportati nell’ordinanza nel quale la ‘vittima’ ha denunciato le vessazioni subite dai clan della ‘ndrangheta. Negli altri casi, invece, come si legge nell’ordinanza, gli imprenditori si limitavano al massimo a pronunciare al telefono, intercettati, frasi come ”mi hanno condannato a morte mi hanno detto (…) sono un morto che cammina”. Uno dei pentiti ‘chiave’ delle indagini di ‘ndrangheta degli ultimi mesi in Lombardia, Antonino Belnome, ha spiegato a verbale ai pm della Dda di Milano che ”la scelta delle persone da sottoporre ad estorsione nel territorio lombardo ricadeva quasi sempre (…) su imprenditori di origine calabrese in quanto maggiormente inclini per mentalita’ a sottostare alle richieste estorsive senza coinvolgere le forze dell’ordine”. Non solo, spiega ancora il gip riportando le parole di Belnome, ”le vittime, di solito e per risalente consuetudine, si rivolgono ad esponenti della criminalita’ organizzata del paese d’origine perche’ svolgano un ruolo di mediazione (e non gratis, ovviamente)”.

Il politico che nega

Francesco Gioffre’, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento ”vicino alla connivenza”, tento’ ”di minimizzare” con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della ‘ndrangheta dei Cristello. Lo scrive il gip di Milano, Andrea Ghinetti, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 37 persone, eseguita oggi da carabinieri del Ros e del comando provinciale. ”Un discorso a parte – scrive il gip – meritano le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, opaco fratello della vittima ed unica ‘voce fuori dal coro’ il quale, sentito a s. i.t. (sommarie informazioni testimoniali, ndr) il 26 aprile 2011, pur ammettendo di conoscere i fratelli Rocco e Francesco Cristello (che sostiene di avere aiutato per una pratica presso il comune nel quale egli stesso e’ consigliere comunale), ha tentato in ogni modo di minimizzare la portata dei fatti giungendo quasi a prendere le difese dei Cristello, sino al punto di dirsi estremamente stupito nell’apprendere la notizia del loro arresto del luglio del 2010”, nell’ambito del maxi-blitz ‘Infinito’. ”E’ di tutta evidenza – si legge ancora nell’ordinanza – alla luce delle risultanze investigative sopra esposte, che le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, nella parte in cui contrastano con quelle del fratello Roberto, non possono ritenersi credibili ma debbono al contrario essere inquadrate nel medesimo clima di intimidazione del quale e’ stato vittima anche Roberto Gioffre’, che ha evidentemente portato i due fratelli a reagire in modo diametralmente opposto”. Mentre uno dei due fratelli Roberto ”ha scelto di denunciare i fatti con rischio personale che lo ha portato a temere talmente tanto per se’ e per i suoi familiari da decidere di lasciare il Paese per trasferirsi all’estero, il politico locale Gioffre’ Francesco ha fatto una scelta diversa, vicino alla connivenza, piu’ in linea con quella gia’ riscontrata in altri casi oggetto della presente misura cautelare”

 

Questa non è la Lombardia: tutti gli indagati

Non è l’immagine della regione che dovrebbe rappresentare:

Daniele Belotti (Lega Nord) è indagato per una vicenda di tifo violento verificatasi a Bergamo l’8 febbraio 2011. E’ ritenuto l’anello di congiunzione tra le istituzioni e la tifoseria; deve rispondere di concorso in associazione per delinquere.

Monca Rizzi (Lega Nord), indagata a Brescia per presunti dossieraggi nei confronti di avversariall’interno del Carroccio, si è dimesso il 16 aprile 2012.

Davide Boni (Lega Nord) il 6 marzo 2012 il presidente del consiglio regionale lombardo viene indagato per corruzione per un totale di circa un milione di euro, soldi che potrebbero essere finiti nelle casse del partito di Umberto Bossi. L’indagine si concentra su presunte tangenti in campo urbanistico.

Renzo Bossi (Lega Nord) indagato a Milano per truffa ai danni dello Stato nell’inchiesta sui fondi della Lega, con il padre Umberto e il fratello Riccardo il 16 maggio 2012. 

Nicole Minetti (Pdl) il consigliere regionale è indagata insieme a Lele Mora ed Emilio Fede per induzione e favoreggiamento della prostituzione nella vicenda di Ruby. L’iscrizione nel registro avviene il 15 gennaio 2010.

Gianluca Rinaldin (Pdl) il 16 aprile 201o viene iscritto nel registro degli indagati per corruzione, truffa aggravata, finanziamento illecito ai partiti e falso. L’inchiesta riguarda presunte tangenti nel settore turistico del lago di Como. L’indagine era stata ribattezza la “Tangentopoli lariana”.

Massimo Ponzoni (Pdl) il 19 settembre 2011 l’ex assessore regionale all’Ambiente é indagato per bancarotta e poi per corruzione, nonché coinvolto nella maxi-operazione Infinito contro la ‘ndrangheta. Arrestato.

Franco Nicoli Cristiani (Pdl), ex vicepresidente del Consiglio regionale lombardo, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta per una presunta tangente da 100 mila euro. Le indagini hanno portato anche al sequestro di alcuni cantieri della Brebemi in territorio di Milano e Bergamo. Le manette scattano il 30 novembre 2011.

Angelo Giammario (Pdl) il 14 marzo 2012 riceve la visita dei carabinieri che indagano il consigliere per l’ipotesi di corruzione e finanziamento illecito dei partiti. La vicenda in questione è legata agli appalti per il verde pubblico, soprattutto tra Milano e la Brianza.

 Romano La Russa (Pdl)l’assessore alla sicurezza della regione Lombardia e fratello dell’ex ministro alla Difesa viene indagato il 19 marzo 2012 per finanziamento illecito ai partiti nell’ambito dell’inchiesta sul caso Aler.

Roberto Formigoni (Pdl) presidente della Regione Lombardia è stato iscritto nel registro degli indagati il 23 giugno 2012, nell’inchiesta della Procura di Milano sui 70 milioni di euro che il polo privato della sanità Fondazione Maugeri ha pagato negli anni al consulente-mediatore Pierangelo Daccò.

Filippo Penati (Pd) è indagato dal 20 luglio 2011, per presunte tangenti per gli appalti dell’area Falck, si è dimesso dalla sua carica nel Consiglio regionale della Lombardia, dove era vicepresidente, mai da consigliere.

Alessandra Massei ex dirigente alla Programmazione sanitaria è indagata il 7 giugno 2012 per la vicenda giudiziaria che ruota intorno alla fondazione Maugeri.

Carlo Lucchina il direttore generale dell’assessorato alla Sanità compare il 14 giugno 2012 come indagato, perché accusato di turbativa d’asta su finanziamenti regionali, stanziati e in alcuni casi già erogati dalla Regione Lombardia, nell’ambito degli accordi stipulati tra aziende private.

‘ndranghetisti, condannati, confiscati e riaprono comunque: lo schiaffo della mafia alla Lombardia

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Giuseppe Antonio Medici è cugino di Salvatore Muscatello, originario di Sant’Agata del Bianco e emigrato al nord nel 1994. Era già stato implicato nell’indagine”La notte dei Fiori di San Vito”in quanto ritenuto affiliato al locale di Mariano Comense; tuttavia in relazione a tale procedimento fondato sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia è stato assolto.

Oggi invece è in carcere, a Opera, dove sconta la condanna dopo l’ultima operazione Crimine-Infinito. E’ uno che conta Medici: secondo la sentenza di primo grado emessa dal giudice Arnaldi per la locale di Mariano Comense (coordinata dal cugino Salvatore Muscatello) Giuseppe Antonio Medici è il custode di armi e esplosivi n un box di via Rossini a Seregno e vicino a gente di elevato spessore criminale come Cosimo Barranca, Giuseppe Salvatore e Vincenzo Mandalari. Medici era anche amico di quel Carmelo Novella, capo del distaccamento ‘ndranghetista in Lombardia (chiamato, con un eccesso di fantasia appunto “Lombardia”) che verrà ammazzato per il sogno di una ‘ndrangheta lombarda federalista che cercasse la secessione dalla Calabria. Morto ammazzato Carmelo Novella, Giuseppe Medici è comunque rimasto amico del figlio. Insomma, uno che ci tiene ai rapporti. Niente da dire. E tra ‘ndranghetisti le relazioni sono importanti per essere considerati e aggiungere spessore, non è un caso infatti che ci sia anche lui al summit di Cardano al Campo il 3 maggio 2008 dove vengono “battezzati” Alessandro Manno e Roberto Malgeri, in quel gioco di riti e conviti mafiosi che si intrufola tra le pieghe dell’operosa e indifferente Lombardia. Anche i famigliari di Medici sono “battezzati”, secondo il Tribunale di Milano.

Ma la passione vera di Medici era il suo ristorante: il Re Nove, con uno di quei bei nomi frugali e rustici come succede spesso per i ristoranti di mafia. Ristorante in stile medievale, pizze grandi e ben cotte, tavoli in legno con re e principesse alle pareti e qualche problema di parcheggio da risolvere arraggiandosi lungo la provinciale. Appena Medici sente odore di confisca del suo amato ristorante, il Re Nove viene ceduto in affitto alla New Re IX srl (quando si dice la fantasia, eh) originariamente di Giuseppe Zoccoli (cugino di Giuseppe Medici) e successivamente con odio unico e amministratore Adelio Riva: noto prestanome al quale sono state intestate numerose autovetture da parte dei clan (secondo l’annotazione di polizia giudiziaria riportata nelle motivazioni sono arrivate ad essere addirittura 29 (tra le quali Ferrari, Lamborghini, Bentley, Aston Martin) compresa una Audi A3 in uso (quando si dice il caso) proprio a Medici.

Medici sparisce dalle carte come proprietario ma non cambia gli atteggiamenti: si preoccupa delle aperture, delle chiusure, dei conti, fissa appuntamenti nel grande salone e si preoccupa dei lavori di ristrutturazione. Riciclaggio, pizze e prestanomi: la faccia pulita della mafia qui su al Nord. La Procura ascolta, trascrive, indaga e ne decide la confisca: dietro al ristorante Re 9, dicono, c’è sempre il boss.

Fino a qui potrebbe essere una storia a lieto fine di indagini e magistrature. Succede, invece, che come i cani che segnano il territorio di fronte al Re 9, oggi, di fronte al ristorante confiscato, dall’altra parte della strada come uno schiaffo a mano aperta in pieno viso, i prestanome hanno aperto un nuovo ristorante. Esattamente di fronte. Con dentro le stesse persone. Come a volersi imporre nonostante le sentenze e il tempo.

E allora la sfida oggi esce dalle carte giudiziarie e diventa civile. Di formazione e informazione, di consapevolezza e curiosità per tutto quello che si costruisce e apre intorno ai nostri luoghi. Nella disarmante semplicità di una Regione che ha l’obbligo di sapere, isolare e scegliere. Perché il senso di impunità che sta dietro all’apertura di un ristorante della stessa “compagnia di giro” in faccia a quello confiscato dice che oggi, in Lombardia, i boss contano ancora su cittadini poco vigili. E le sentinelle, nelle battaglie di mafia, sono importanti.

Buon appetito.