Vai al contenuto

operazione minotauro

Piemonte e ‘ndrangheta: la sentenza Minotauro

Raccontata da Attilio Occhipinti per generazionezero.org:

Puntuale alle 17 arriva il momento del giudizio. Oltre alla Regione Piemonte, alla Provincia di Torino e alle altre amministrazioni comunali costituitesi parti civili vi è anche don Luigi Ciotti. Sono 36 gli imputati condannati, circa la metà di loro è stata assolta. Questo è, in estrema sintesi, il bilancio di un processo che ha smascherato udienza dopo udienza il gioco della ‘ndrangheta in Piemonte.
L’operazione nata nel 2006 ha portato, nell’estate del 2011, all’arresto di 146 persone. Le indagini hanno portato alla luce il regno della malavita di stampo calabrese nel territorio piemontese, che, attraverso il favore di una certa politica piegata alla causa criminale, ha potuto godere di diversi privilegi. Il sequestro di milioni di euro di beni tra terreni, appartamenti e altri immobili, il giro degli stupefacenti, quello delle estorsioni, senza tralasciare quello del gioco d’azzardo, la speculazione attorno all’edilizia, di cui, tra l’altro, il collaboratore di giustizia Rocco Varacalli aveva parlato nel programma Presa Diretta. Tutto questo è Minotauro.
Dopo il comune di Bardonecchia, sciolto per mafia nel 1995, i comuni di Leini e Rivarolo sono “saltati” nel 2012 durante il corso delle indagini. A questo proposito, tornando alla sentenza, da segnalare le condanne di 10 anni per Nevio Coral, ex sindaco di Leini, e di 2 anni (più 600 euro di multa) ad Antonino Battaglia, ex segretario del comune di Rivarolo. Invece, per l’eurodeputato Fabrizio Bertot (PdL), ex sindaco di Rivarolo, è stata disposta la trasmissione degli atti in procura, affinché si indaghi per voto di scambio. La condanna più lunga, 21 anni e 6 mesi (più 4mila euro di multa), è stata invece inflitta a Vincenzo Argirò, considerato uno dei capi del Crimine (per questo e altri termini si veda il glossario) del capoluogo piemontese, mentre Salvatore Demasi, secondo la Procura capo locale di Rivoli, è stato condannato a 14 anni (3 in libertà vigilata).

Naturalmente non possiamo citare tutti i condannati, ma abbiamo riportato gli attori più in vista di questo losco giro di affari, favori e corruzione che tiene banco nel nordovest d’Italia. Sono, infatti,  nove le locali ‘ndranghetiste che nel corso di tutti questi mesi sono venute fuori dalle indagini e chissà quante altre ancora ce ne saranno.
Le vicende piemontesi sembrano avvicinarsi più al mito del vaso di Pandora che a quello del Minotauro, ma, mitologia a parte, siamo oramai ben lungi dal credere che il potere mafioso in queste terre sia meno forte di quel che si possa credere. È facile pensare che siamo solo all’inizio.

Le corde politiche di Don Luigi

Ma lo stesso Paolo Borsellino, di fronte ai successi contro la criminalità, durante il maxiprocesso, avvertiva della possibilità di cadere in una “pericolosissima illusione”, in “perniciose illusioni” di cessata pericolosità, diceva che non sono consentiti allentamenti e calo di tensione. I successi contro la mafia rischiano di vanificarsi se non si crea una continuità , se si abbassa la guardia. Non basta più parlare sempre e solo di mafie. E’ necessario ampliare lo sguardo, saper riconoscere la lunga mano delle mafie nelle pieghe della vita sociale. Impegnarsi contro la criminalità organizzata, significa lavorare per l’eguaglianza, i diritti e i doveri, la famiglia, la cultura, l’informazione libera. Per una politica che è servizio del bene comune. Con questa intervista Don Luigi Ciotti conferma che uguaglianza, diritti e politica quando toccano le corde più in alto sono la stessa cosa. E lui le suona meravigliosamente.

 

La forza del coraggio

Non c’è cambiamento che non passa attraverso il coraggio. Il coraggio della denuncia e della responsabilità. Abbiamo sostenuto il cambiamento adesso dobbiamo essere il cambiamento senza contraddizioni, senza remore e, soprattutto, disposti a cambiare e cambiarsi se necessario. La Fondazione Benvenuti in Italia scrive una lettera-appello che mi rincuora. Perché forse in questi ultimi giorni non sono stato ‘mascariato’ per niente e perché c’è tanto da fare e costruire se alcuni giovani amministratori scrivono che in casi di ombre i partiti devono chiedere e pretendere da un lato le spiegazioni del caso, magari prima dell’azione giudiziaria, e dall’altro un passo indietro. Prendiamocela, L’Italia.

‘Ndrangheta in casa

Tutte le volte che mi è capitato (tante) di raccontare come gli uomini di ‘ndrangheta bussassero alla porta di tutti i partiti (il boss bollatese Mandalari diceva destra o sinistra non ce ne frega un cazzo, l’importante è che ci fanno lavorare) alcuni iscritti (ed eletti o peggio nominati) di IDV storcevano il naso. Perché non si dice, mi dicevano. Si rischia di confondere. Eppure il gioco di raccontare le mafie solo a destra non sta in piedi da sempre (leggetevi le carte della Liguria, del Piemonte, dell’Emilia e di qualche nome  a sinistra qui in Lombardia) ed è intellettualmente disonesto. E mi ricordo molto bene il fango che mi ha schizzato quando in campagna elettorale mi è capitato di rifiutare con sconcerto la vicenda della candidata IDV Cinzia Damonte che partecipava ad una cena organizzata dal boss Orlando Garcea. In quell’occasione scrissi: ‘ogni cena elettorale con l’odore marcio di mafie è l’occasione doverosa per prendere una posizione. Un’occasione d’oro per dichiarare da che parte stare. Che sia una candidatura di destra o di sinistra. La superficialità e la disattenzione verso le mafie sono il vero concime della criminalità organizzata; un’indifferenza che si paga’. Così come ho appoggiato la richiesta di chiarezza nel comune di Vallelunga sollevata da Sonia Alfano su Il Fatto Quotidiano.

Qui non si tratta ora di decidere (sulla base dei primi elementi a disposizione) se e quanto sia colpevole l’onorevole Porcino e l’Assessore all’Istruzione del Comune di Alpignano Tromby Carmelo negli atti dell’operazione antimafia Minotauro e negli incontri con il boss di Rivoli Salvatore Demasi o nelle annotazioni di altri politici del Partito Democratico come scritto nell’annotazione del Reparto Operativo del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Torino del 5.4.2011: la differenza sta tutta nella reazione politica (e nell’intransigenza) di fronte a queste notizie. Perché gli elettori (anche i nostri) si sono stancati di sentire la favola che se succede a sinistra è una leggerezza e se succede a destra è l’emersione di un sistema e perché non fa bene all’antimafia strepitare per le ombre degli altri se non corriamo a dissipare le nostre (perché non posso che augurarmi che queste ombre siano presto dissipabili).

Pio La Torre ci ha lasciato in eredità il dovere politico di denunciare la propria mafia e non solo quella degli altri, Rita Atria scriveva prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combarrete la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.

La maxi operazione piemontese è un’occasione politica unica per dimostrarsi meno credenti e più credibili. Perché non siamo tutti uguali e non possiamo nemmeno pretendere (alla soglia di un referendum sul tema) di essere più uguali degli altri. E perché un luogo è abitabile finché resta potabile.