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Quella filiale dell’Unicredit e le mafie all’ortomercato

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Dava finanziamenti senza nessun controllo che finivano in un traffico di droga. Per questo E.R., funzionaria di Unicredit a Milano, è stata condannata a due anni e otto mesi per riciclaggio. La sentenza della corte d’Appello di Milano è stata confermata nel luglio scorso dalla Corte di Cassazione. “Non importa che non conoscesse la provenienza di quei soldi, la condanna è giustificata dal fatto che non sono state rispettate le normative anti-riciclaggio”, scrivono i Supremi giudici. Un principio che potrebbe fare scuola e minare più facilmente il sodalizio grigio tra malavitosi e colletti bianchi. Le 27 pagine della Corte, che respingono i ricorsi di altri 6 imputati, raccontano proprio una storia fatta di traffici di droga, soldi e legami tra criminali, imprenditori e banche. E’ questo lo spaccato che affiora dalle nebbie dell’Ortomercato e dal processo nato dall’operazione For a King. Secondo i giudici di Milano, R. ha riciclato il denaro di Paolo Antonio, titolare e prestanome della rete di cooperative utilizzate da Francesco Zappalà e Salvatore Morabito per ripulire i soldi della cocaina.

Facciamo un passo indietro. In primo grado R. se la cava. Viene assolta perché i giudici sospettano che il riciclaggio sia avvenuto, ma non riescono a dimostrare che la donna sapesse da dove provenissero quei soldi. I giudici di secondo grado vanno oltre e ribaltano il giudizio. Con la consulenza di due periti e l’indagine interna di Unicredit riescono a ricostruire le operazioni scorrette della funzionaria che non aveva mai segnalato la natura delle società di Morabito e Paolo (Consorzio Europa e Nuovo Coseli contenitori di società fantoccio) né mai rispettato le norme anti-riciclaggio. Questo basta per condannarla.

Sono numerosi gli affidamenti concessi dal 2006 e il 2007 alle società fittizie, che vengono elargiti oltre i limiti consentiti alla funzionaria. Nonostante non fosse stata presentata alcuna documentazione. E per un ammontare di un milione e 899 mila euro. “Addirittura – si legge nella sentenza – talvolta mancava la stessa domanda di affidamento, oppure i bilanci presentati erano del tutto inconsistenti o la loro presentazione era del tutto omessa”.

Ma i soldi vengono dati anche quando una delle tante società ha un fatturato pari a zero e un patrimonio netto preceduto dal segno negativo. In un caso, R. ha dato 280 mila euro a una di queste scatole vuote. E anche quando le somme versate sui conti correnti registrano sei cifre, la funzionaria non segnala mai i movimenti sospetti. Il denaro viene affidato senza nessuna garanzia “e, anzi, quelle poche esistenti venivano trasferite da un contratto a un altro delle società per plurimi finanziamenti”, tutto a vantaggio del prestanome di Morabito, Paolo. Un caso riportato dai giudici d’Appello spiega bene il meccanismo ben collaudato. La funzionaria Unicredit concede un finanziamento di 330 mila euro alla società Angelica, che a sua volta lo gira a un’altra società, appena nata, che non produce utili e il cui amministratore, Amos Parisi, è un semplice operaio. La donna, poi, consente sconti di numerose fatture per operazioni inesistenti di cui si avvalgono le società fantoccio del gruppo. Anticipando, sempre in contanti, somme importanti che finiscono nel traffico di droga.

L’indagine sull’Ortomercato di via Lombroso, il più grande mercato di rivendita di frutta e verdura in Europa, nasce nel 2006. Gli investigatori della Squadra mobile di Milano puntano sul For a King: night club di lusso aperto al piano terra dell’edificio Sogemi (società municipalizzata al 99 percento del Comune di Milano, che gestisce l’Ortomercato). Il vaso di Pandora va in frantumi. Gli uomini della Mobile setacciano il contenuto. Scoprono un traffico internazionale di droga che parte dalla Bolivia e arriva in Svizzera, saltano fuori 200 chili di cocaina pura. Individuano società fittizie messe in piedi per ripulire i soldi. Smascherano il lavoro sporco della R.

Il processo si divide in due: il gruppo di Salvatore Morabito, nipote del boss di Africo, Beppe detto u tiradrittu, va al rito abbreviato che si conclude con 14 condanne per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (Morabito prende 13 anni). Mentre Antonio Paolo, Antonio Marchi, Mariano Veneruso, Giuseppe Bruno, Antonio Rodà e E. R. scelgono il rito normale.

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Dall'Ortomercato al Corvetto, svelata in aula la nuova alleanza tra 'ndrangheta e Cosa nostra. Cooperative, false fatture e fondi neri

Ne ha parlato l’imprenditore Mariano Veneruso, accusato di aver favorito la cosca Morabito, Venersuo ha ammesso la sua conoscenza con  Giuseppe Porto, un palermitano molto vicino al latitante Gianni Nicchi

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Il personaggio

Mariano Veneruso è nato a Napoli nel 1959. A Milano arriva a metà degli anni Settanta. Inizia subito a lavorare nel settore della logisica e del facchinaggio. Prima come impiegato di grandi aziende, poi in proprio. Nel 1997 fonda la Time service. L’impresa dura lo spazio di due anni poi fallisce. Veneruso ci riprova con altre due cooperative

Poi, attorno al 2003 fa il salto di qualità. Conosce Antonio Paolo e nel 2006 rileva quasi tutti gli interessi del Nuoco Coseli, il consorzio di Paolo. Veneruso, che risulta incensurato, fonda il Consorzio Europa di cui fanno parte la New Gest di Cardile, la New Coop di La Penna e la Padana servizi. Nello stesso consorzio lavora anche Salvatore Morabito

Prima dell’inchiesta Ortomercato, Veneruso viene coinvolto nell’indagine Ciramella condotta dalla Dda di Reggio Calabria

Milano, 26 novembre 2009 – Un benzinaio in piazzale Corvetto. Sembra questo lo snodo principale attraverso il quale passano gli affari di ‘ndrangheta e Cosa nostra. Il sodalizio affaristico è emerso durante l’ultima udienza del processo Ortomercato. A dare corpo a questo inedito legame, le parole dell’imprenditore Mariano Veneruso, alla sbarra con l’accusa di aver dato supporto finanziario e logistico alla ‘ndrangheta. Incalzato dalle domande del pm Laura Barbaini, Veneruso, classe ’59, origini napoletane, ma residenza in via Ravenna proprio al Corvetto, è subito entrato nei particolari. “Si tratta del benzinaio Esso – ha detto – qui, noi andavamo perché il titolare è un amico e la benzina la pagavamo poco”.

Ma c’è dell’altro. Perché qui Venersuo ci è andato spesso anche con Gianni Falzea, giovane calabrese di Africo imparentato con Rosario Bruzzaniti, capocosca assieme a quel Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu, arrestato nel 2004 dopo anni di latitanza. Dunque, a quegli incontri c’era Veneruso, Falzea e anche Salvatore Morabito, giovane boss calabrese. “Morabito – ha detto Veneruso – non veniva mai in macchina. All’epoca lui non aveva la patente e così veniva in zona con la metropolitana, dopodiché qualcuno di noi andava a prenderlo”. Poi ecco il particolare che non ti aspetti. Sì, perché assieme a quei calabresi, gli uomini della Squadra mobile filmano e fotografano anche il siciliano Giuseppe Porto. Circostanza confermata dallo stesso Veneruso in aula.

Per capire meglio, ecco cosa scrive la Squadra mobile a proposito di quel palermitano dai grossi baffi e dagli occhi a mandorla. “Porto Giueseppe è vicino alla famiglia mafiosa palermitana di Pagliarelli, segnatamente a Gianni Nicchi, latitante e strettamente legato al capo dell’omonimo mandamento mafioso di Antonino Rotolo”. Lo stesso Porto a metà anni Novanta viene coinvolto in un’inchiesta di mafia nella quale emerge, tra le altre cose, un enorme giro di fatture false, giocato su un castello societario, al cui vertice c’erano due imprenditori messinesi. Sotto di loro, proprio Pino Porto, titolare di diverse cooperative e, particolare non di poco conto, molto legato agli eredi di Vittorio Mangano che proprio al Corvetto avrebbero le loro attività legali. La zona ha, dunque, una forte presenza di Cosa nostra. Particolare confermato dall’ultima inchiesta del pm Ilda Boccassini. E ribadito dal fatto che qui Pino Porto, alias il cinese, è di casa da sempre.

Dopodiché da quel benzinaio di piazzale Corvetto al bar Golden di corso Lodi ci passano poche centinaia di metri. Ai suoi tavolini, il primo marzo 2003, si incontrano Veneruso, una tale Mario La Penna, altro imprenditore nel campo della logistica, lo stesso Pino Porto e un altro imprenditore calabrese, tale Alberto Chillà, non coinvolto nel processo Ortomercato, ma “storico socio di Pino Porto”, almendo stando alle dichiarazioni di Veneruso. Non solo: “Chillà era amico di Morabito e fu lui a presentarmelo, proprio nel 2003”. Chillà, dunque, viene descritto come l’anello di congiunzione tra Morabito e Porto. Quello stesso Porto che, ha rivelato il pm, “andò ad Africo con la moglie per trovare Morabito”. L’ombra di una joint venture tra Cosa nostra e ‘ndrangheta si fa sempre più pesante, quando in aula si torna  a parlare delle centinaia di cooperative che ruotavano attorno ad Antonio Paolo. Tra queste c’era la New Gest di Carmelo Cardile, parente, guarda caso, di Chillà. La New Gest, aperta nel 2004 proprio da Veneruso che nel 2007 la passa proprio a Cardile. La società fin da subito risulta inattiva, però in poco meno di tre mesi monetizza quasi un mlione di euro. Denaro del tutto ingiustificato vista l’inoperosità della impresa. La New Coop, invece amministrata da La Penna, ha i suoi uffici in via Scalarini, a due passi da piazza Bonomelli, guarda caso proprio al Corvetto. (dm)

DA http://www.milanomafia.com/home/veneruso