Vai al contenuto

ostia

Un pentito di mafia (a Roma) sta raccontando Carmine Fasciani

imageUn mafioso di Roma. Affiliato da Cosa nostra in Sicilia, ma diventato boss nella capitale dove per vent’anni ha rappresentato la famiglia di Siracusa e tenuto i rapporti con i clan locali. Uno che conosce a fondo i padrini che hanno messo le mani sulla metropoli e il suo litorale. E che due anni fa ha deciso di collaborare con le autorità. Sebastiano Cassia è di fatto il primo pentito della nuova mafia romana, che ha visto prosperare fino a prendere il dominio di interi quartieri.

La sua collaborazione è partita in modo rocambolesco. In pieno luglio si è presentato negli uffici della Squadra Mobile, chiedendo di parlare con Renato Cortese, il capo degli investigatori: «Aiutatemi, mi vogliono uccidere». Cassia è un cinquantenne che si sente finito: stufo di una vita di carcere e reati, pronto a dare prove in cambio di protezione. Si è accusato di estorsioni e commerci di armi. E gli agenti, dopo avere verificato le primissime rivelazioni, lo hanno portato davanti al procuratore Giuseppe Pignatone e al pm Ilaria Calò, che hanno messo a verbale le sue parole. Oggi la sua testimonianza è l’asse portante del grande processo per mafia che si celebra nell’aula bunker di Rebibbia.

Il cuore del suo romanzo criminale è Ostia, una città nella città, dove vivono centomila persone. Un territorio controllato da due organizzazioni. La più importante è quella di Carmine Fasciani, che guidava il suo clan anche dalla clinica dove scontava gli arresti, alleato con il napoletano Michele Senese. I loro complici-rivali erano i siciliani Triassi, messi da parte negli scorsi anni dalla brutale ascesa degli Spada. Il racconto del pentito parte dall’industria delle estorsioni, che sono diventate il sistema per lo sviluppo imprenditoriale dei nuovi boss. «I Fasciani subentrano nelle attività economiche di Ostia costringendo i titolari a cedere le aziende, chi si rifiuta viene pestato a sangue. Più che riscuotere il pizzo cercano di mettere “sotto botta” le vittime, per poi prendersi le loro attività: non gli interessa incassare 500 euro al mese, a loro interessa l’attività commerciale. Perché i Fasciani con tutti i soldi che hanno potrebbero pure fare a meno di chiedere il pizzo, ma lo fanno ad Ostia per ricordare a tutti il loro “titolo mafioso”»

Da leggere Lirio Abbate qui.

Giornalismo a Roma, minacciati e protetti

Vicino a Federica Angeli e Enrico Bellavia, giornalisti con la schiena dritta che vedono quello che molti non vogliono vedere:

Due giornalisti di Repubblica nel mirino della mafia per il loro lavoro di cronista. Sono Federica Angeli (nella foto), redattrice della cronaca di Roma, minacciata di morte per un’inchiesta scritta con Carlo Bonini sulla mafia ad Ostia Enrico Bellavia, tornato ad essere bersaglio di intimidazioni esplicite in ragione del lavoro di cronista che da anni svolge sulla Cosa Nostra siciliana. E’ lo stesso Cdr di Repubblica a rivelarlo. “Chi pensa o ha pensato di intimidire Federica ed Enrico, deve sapere che non sono soli” scrive il Cdr. “E non solo perché le minacce che hanno ricevuto sono oggetto di accertamenti delle forze dell’ordine e dell’autorità giudiziaria, ma perché al loro fianco è l’intera redazione, di cui il Cdr si fa oggi portavoce”.

Signore e signori: Romoletto, il boss di Ostia

Tanto per uscire da stereotipi geografici su mafie, minacce ed estorsioni ecco il video della tentata estorsione di Carmine Spada detto “Romoletto”, considerato il capo clan della cosca di Ostia. Cambiano gli accenti ma le modalità sono terribilmente universali. Con lui è stato arrestato anche Emiliano Belletti, 41 anni, pregiudicato.

A Ostia ancora arresti per il clan Fasciani

Sedici nuovi ordini di custodia cautelare che colpiscono a Ostia il clan dei Fasciani e un gruppo di loro presunti affiliati, nonché il sequestro preventivo di una decina
di imprese commerciali compreso il pacchetto di una parte delle quote sociali della societa’ ‘Porticciolo Srl’. Con questi provvedimenti si e’ aperto il secondo capitolo della lotta avviata dalla Procura della Repubblica di Roma per debellare quella che e’ conosciuta come la ‘mafia di Ostia’. Una lotta che nel luglio scorso porto’ in carcere 51 appartenenti alle famiglie malavitose dei Triassi e dei Fasciani indicati come responsabili dei traffici illeciti che si sono sviluppati e si sviluppano lungo l’intero litorale del Lazio.

All’alba di questa mattina i finanzieri del Gico hanno notificato i provvedimenti firmati dal gip Simonetta D’Alessandro su richiesta del procuratore Giuseppe Pignatone, dell’aggiunto Michele Prestipino e del sostituto Ilaria Calo’. A finire in carcere, oltre al capo del clan Carmine Fasciani, a sua moglie Silvia Franca Bartoli e alle sue figlie Sabrina e Azzurra, tutti già coinvolti nel blitz all’inizio dell’estate scorsa (Azzurra ha ottenuto gli arresti domiciliari) in carcere sono finiti anche Nicola Di Mauro, Davide e Fabio Talamoni, Fabrizio Sinceri, Daniele Mazzini, Valerio e Mirko Mazziotti, Francesco Palazzi, Gabriella Romani, Marzia Salvi, Marco D’Agostino e Kirill Luchkin.

Tutti sono coloro che hanno fatto da testa di legno risultando titolari delle imprese commerciali sequestrate sempre su ordine del gip D’Alessandro. I sigilli sono stati posti alle societa’ Settesei, Rapanui, Yogusto, Mpm, Dafa, Sand, Kars e le ditte individuali di Mirko Mazziotti e Gabriella Romani. Oltre all’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso il giudice D’Alessandro ha contestatola violazione della legge del ’92 al quale punisce chi ”al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali nella gestione operativa affida in maniera fittizia la titolarità dell’impresa commerciale a persone appositamente scelte” e consapevoli del ruolo assunto.

(clic)

Ha parlato Spatuzza: quando Ostia era Cosa Nostra

Ne parlavamo ieri. E oggi stiamo sul pezzo:

L’uomo che ha demolito le sentenze sulla strage di via d’Amelio torna a parlare della mafia a Roma. Gaspare Spatuzza racconta di quando a Ostia, sul litorale, comandavano i clan Triassi e Fasciani, che “avevano il paese nelle loro mani”. Boss locali legati alle potenti famiglie mafiose siciliane Cuntrera-Caruana. Vicende degli anni ’90 ma per gli inquirenti ancora attuali, raccontate dal pentito al processo scaturito da decine di arresti compiuti a luglio dello scorso anno. Una clamorosa operazione di polizia contro la mafia nella capitale. Spatuzza, ‘u tignusu’ (il pelato), che ha riscritto con le sue rivelazioni la storia dell’eccidio di Paolo Borsellino e della sua scorta, parla di un periodo in cui era ancora libero (è in carcere dal ’97). L’ex mafioso risponde in video conferenza al pm della procura di Roma Ilaria Calò e dice che “sul litorale romano comandavano loro, avevano il paese di Ostia nelle loro mani”. “Dalla Sicilia, nel 1995, in qualità di reggente e capo del mandamento di Brancaccio, mi mandarono per una missione di morte al fine di scovare e uccidere pentiti di mafia – racconta Spatuzza, tra i massimi responsabili degli attentati del ’93 a Firenze, Roma e Milano -. Arrivato a Roma incontrai un corleonese trapiantato nella capitale che mi confermò che i Triassi ad Ostia erano i padroni e che andavano eliminati. Chiesi consiglio ad un’altra persona e decisi di non fare nulla perché capii che il clan Caruana-Cuntrera, cui erano legati i Triassi, era troppo potente”. Un potere che secondo gli investigatori si sarebbe conservato fino ad oggi, tra usura, gioco d’azzardo, traffico di droga e di armi. Secondo la Procura, tra i Triassi e il clan Fasciani venne siglato, anni dopo, un accordo di non belligeranza per la spartizione degli affari nella zona del litorale. Un accordo che sarebbe durato due decenni. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda) capitolina ha portato all’arresto, nel luglio scorso, di 51 persone tra le quali i capi famiglia Carmine Fasciani e Vincenzo Triassi. Nel processo sono 52 gli imputati, accusati di numerosi reati tra cui l’associazione mafiosa. Tra loro l’intera famiglia-holding dei Fasciani, il capo del clan Carmine, i fratelli Nazzareno, Giuseppe e Terenzio, nonchè Vincenzo e Vito Triassi e Francesco D’Agati, esponente dell’omonimo clan.
Vincenzo Triassi é stato arrestato in Spagna ed estradato ad agosto dell’anno scorso. Per i pm e la squadra mobile c’era una ‘cupola’ mafiosa a controllare il territorio, a Ostia ma non solo. E le parole di Spatuzza sembrano oggi avvalorarne quanto meno la genesi, 20 anni fa.

(ANSA)

Soffiando via la polvere sulla mafia romana

Ne avevamo già parlato in occasione dell’ultimo pezzo di Pietro Orsatti e Silvia Cerami e ne parleremo nella prossima puntata di Radio Mafiopoli (che riprende questa settimana dopo la pausa estiva): a Roma le mafie invisibili cominciano a diventare tema di analisi e discussione anche “sociale”. Se ne parla all’aperitivo, se ne discute in famiglia e non di rado capita di scambiarsi due battute anche tra amici. Come se un vento soffice ma continuo stia cercando di sollevare la polvere su una (voluta?) confusione tra bande e omicidi lasciando troppo spesso da parte la criminalità organizzata. Per questo oggi vale la pena approfondire con l’intervista di Alessandro Ambrosini ad una fonte (per ora) anonima:

Nasce tutto dall’operazione Maya, quando da fonte confidenziale ci arrivò l’informazione che c’era uno squilibrio a livello criminale nel narcotraffico ad Ostia. E’ l’estate 2002 e la soffiata parlava di possibili omicidi tra i gruppi malavitosi del litorale. Noi della Polaria,con la squadra mobile di Roma, decidemmo di puntare i fari sulla famiglia Triassi richiedendo la possibilità di intercettare, con sistemi ambientali e non, alcuni personaggi con la scusa di indagare nell’ ambito della sparizione di Santo Cardarella (elemento di spicco di Cosa Nostra, collettore della cosca Cuntrera-Caruana ndr). Motivazione questa che ci permetteva di avere le autorizzazioni in modo veloce visto che si trattava di un latitante (per cui serve solo l’autorizzazione del Pm e non anche del Gip). A quel tempo, a capo della Dna di Roma c’era De Fichy che, come ci dissero, negò l’autorizzazione per un motivo burocratico legato alla competenza territoriale.Ma questo rimane un mistero visto che il mandato di cattura per Santo cardarella era in carico alla sezione narcotici di Roma.

Ma…
Ma noi non ci fermammo al primo no. Chiusa questa operazione con un nulla di fatto continuammo ad attenzionare la famiglia Triassi sempre sulle basi della fonte confidenziale chiedendo ancora gli strumenti intercettivi per monitorare la situazione. La mattina dell’omicidio Frau Cito Blaiotta ci negò le intercettazioni. Nel pomeriggio, verso le 15, ammazzarono Paolo Frau e in serata “avevamo tutto acceso” sui telefoni che avevamo chiesto di mettere sotto controllo un mese prima. 
Probabilmente, se i telefoni fossero stati autorizzati al controllo quando l’avevamo chiesto, forse, si poteva prevenire o per lo meno avere una pista certa da seguire per scoprire chi aveva commesso il delitto e l’ambiente in cui era maturato. Pista che, successivamente, sembra sia stata trovata visto che, dopo l’omicidio. la prima telefonata effettuata da casa Frau fu fatta in Costarica a tale Luigi Vit. Persona che ritorna nell’operazione Alba Nuova all’interno del sodalizio criminale insieme a Giacometti Roberto e ai defunti Emidio Salomone, Giovanni Galleoni, Francesco Antonini e Luigi Crialesi. A quel tempo noi della Polaria eravamo aggregati alla sezione narcotraffico della Squadra Mobile di Roma e iniziammo con i colleghi una serie di accertamenti, seguivamo perciò un filone dell’indagine. Contemporaneamente la sezione criminalità organizzata, sempre della Squadra Mobile romana, indagava sull’omicidio Frau. 
Due indagini diverse ma che avevano protagonisti gli stessi uomini quindi
Si, noi proseguimmo sulla pista che già seguivamo mentre la sezione criminalità organizzata iniziò ad attenzionare e a fare sequestri nei confronti di quelli che nella nostra squadra chiamavamo “vecchi coatti”. Dopo una serie di accertamenti ci accorgiamo che iniziano ad evidenziarsi molte società di spedizioni,chioschi,gestione delle spiagge e dei parcheggi amministrate da prestanomi. Tutte situazioni di cui però non potevamo indagare sia come Polaria sia come Squadra Mobile. 
Una pista che poteva riguardare il Gico della Guardia di Finanza, certamente non voi. Ma torniamo all’omicidio Frau. 
E infatti noi cercammo di coinvolgere il Gico ma in una riunione con Failla, il capo della sezione criminalità organizzata,dove chiedevamo gli accertamenti su Modica Amore ( moglie di Santo Cardarella) lui fece capire chiaramente che non aveva intenzione di “mettere” in mezzo i militari della Guardia di Finanza “perchè non voleva dividere niente con nessuno” Si, c’è un lato sconvolgente nelle indagini sulla morte di Frau, un lato che però va evidenziato ritornando su chi era la vittima. Paolo Frau era il braccio destro di Danilo Abbruciati, tanto che anche suo figlio porta il nome del boss di Testaccio. E’ anche colui che, sebbene non risulti dalle carte processuali (fu accusato e condannato Nieddu), è molto probabilmente colui che portava la moto nel tentato omicidio di Rosone a Milano. Dove trovò la morte Abbruciati. Era quindi un pezzo da novanta all’interno della Banda della Magliana. Ruolo che gli permise di avere il suo appezzamento di territorio proprio a Ostia e di gestire indisturbato ogni tipo di traffico nel litorale. Era tra l’altro conosciuto e riconosciuto come un confidente dei servizi segreti. Nonostante tutto, gestisce il parcheggio di Cineland, prassi comune per giustificare un minimo di entrate. Cineland è una struttura di intrattenimento sulla Via del mare dove ci sono parchi giochi, cinema e quant’altro. Proprietari e gestori di questa struttura sono le famiglie Paone-Merluzzi-Ciotoli, gli stessi proprietari del bar Sisto in Piazza Anco Marzio. 
Imprenditori locali quindi. Ma perchè sottolinea il bar Sisto? 
Il bar Sisto è noto perchè quando la Polaria di Fiumicino e la Mobile di Roma catturarono Pompei Vincenzo detto “Chicco”(uomo legato al clan Senese e arrestato a San Paolo del Brasile nell’operazione Valleverde), riuscirono ad individuarlo proprio mettendo sotto controllo il telefono privato del bar stesso. Lui infatti chiamava regolarmente Edoardo Ciotoli da San Paolo del Brasile, cosa che ci permise di intercettarlo e di andarcelo a prendere. 
La cosa sconvolgente? 
La cosa sconvolgente è che chi indagò sull’omicidio di Paolo Frau fu Antonio Paone, ispettore della Squadra Mobile di Roma sezione criminalità organizzata 
Ma Paone era forse parente di una delle famiglie proprietarie di Cineland di cui Frau gestiva i parcheggi? 
Certo, quindi è ovvio che lui stesso non abbia mai voluto andare in profondità nelle indagini. Se si fosse scoperto che la sua famiglia insieme ai Merluzzi e ai Ciotoli erano i datori di lavoro di Frau, che era stato ucciso per motivi di narcotraffico, sarebbe scoppiato uno scandalo. Io non voglio dire che lui sia in malafede ma è evidente un conflitto di interessi che è alla luce del sole e che, anche rispetto alle risultanze dell’operazione Anco Marzio, fa crescere più di qualche dubbio. Solo Dodici mesi prima, circa, partì da quel bar l’operazione che portò all’arresto di Pompei, uomo di Senese, con relativo sequestro di 290 chili di cocaina. Qualcosa vorrà pur dire. 

Mafia capoccia: a Roma le cosche pascolano

ostiaPartendo dagli stabilimenti balneari di Ostia, annichilita da più di 100 arresti e dall’emersione di intrecci e alleanze mafiose, la penetrazione delle mafie a Roma grazie a decenni di silenzio

Di Pietro Orsatti e Silvia Cerami

Anticipazione del servizio in uscita sul prossimo numero de I Siciliani giovani e pubblicato in contemporanea da AntimafiaDuemila e sul blog di Pietro Orsatti.

I marmi dell’Eur, la tenuta del Presidente della Repubblica, i dormitori costruiti dai palazzinari, pochi chilometri e il mare di Ostia, il lido di Roma. Il Kursaal de I Vitelloni e il Plinius sono mezzi vuoti, i proprietari degli stabilimenti balneari non festeggiano. Pochi passi per attraversare il canale dei Pescatori e via verso il salotto buono. A segnarlo villa Papagni affacciata sul Tirreno, con i suoi putti e stucchi pacchiani, che un imprenditore e qualche suo amico amministratore sognavano di trasformare in casinò. E alle spalle Ostia che non vuol più essere borgatara, con i wine bar dell’happy hour, le vetrine griffate e persino l’area pedonale. Qui si fa lo “struscio” tutto l’anno, ma oggi no. Anche se si è in piena stagione. Nessuno si fa vedere, nessuno ha voglia di parlare. Come se fosse un set abbandonato, dove resta solo l’attesa, la tensione.

Due operazioni a meno di quindici giorni di distanza l’una dall’altra hanno portato ad un centinaio di arresti. Colpito il clan degli “zingari” vicino ai Casamonica, che dalla periferia est della Capitale sono scesi a prendersi Ostia, pezzi della vecchia Banda della Magliana, ex Nar riciclati nella criminalità organizzata, addirittura uomini di spicco della famiglia di Cosa nostra dei Caruana-Cutrera. Famiglie a cui da vent’anni non si può dire di no, gli Spada, i Fasciani, i Triassi. Una triade che ha creato una “pace armata” per spartirsi gli affari. E poi le ispezioni all’ufficio tecnico del Municipio, affacciato proprio sulla spiaggia dei Triassi, gli indagati, i vertici sospesi per appalti e concessioni a favore dei clan. E quella parola, Mafia, che a Roma si ha da sempre difficoltà a pronunciare. Invece ora si sussurra, gira fra i tavolini dei bar, negli sguardi delle persone.

La guerra che nessuno voleva vedere

«Dallo scorso anno era evidente che si era alzato il livello, che c’era chi puntava più in alto e gli equilibri rischiavano di saltare», racconta uno “sbirro” che da anni osserva l’evolversi della Roma criminale. Da quando, con due esecuzioni spietate, Francesco Antonini e Giovanni Galleoni sono stati ammazzati. Gli investigatori ritengono, oggi, proprio dagli Spada. Due quarantenni cresciuti all’ombra della Banda della Magliana, quella che si dava per estinta negli anni ’90 e che invece c’è ancora.

«Non era un regolamento di conti di poco peso, ma l’inizio della guerra». E la guerra non è solo a Ostia, ma sta insanguinando, da quasi tre anni, tutta la Capitale: da Tor Sapienza a Tor Bella Monaca, daBoccea alla Cassia e alla Flaminia, giù fino alla Laurentina e alla PontinaPiù di 60 morti in 30 mesi. A Ostia però gli equilibri, le alleanze e i confini, sono ravvicinati e visibili. Microcosmo dove è possibile tutto e tutto avviene davanti agli occhi di questa città nella città. «I fatti, meglio sarebbe dire i cadaveri che insanguinano la Capitale, danno ragione a chi sostiene l’esistenza in Roma di una criminalità organizzata operante secondo gli stilemi delle associazioni mafiose». Non l’hanno scritto oggi. Si leggeva già nel 1991 nel capitolo dedicato a Roma della relazione della commissione Antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte.

“Baficchio” e “Sorcanera”, come erano chiamati nel giro Antonini e Galleoni, sono morti a meno di un chilometro a ovest dalla Rotonda della dolce vita, nel territorio degli “zingari” di piazza Gasparri. Qui il sole brucia i cassonetti già anneriti dalle fiamme, tende enormi nascondono terrazzi scrostati dalla salsedine, tutte le saracinesche sono serrate. I bagnanti sono poco più in là, ma oggi le strade sono deserte. Un pit bull ringhia dietro gli ondulati, solo una vecchia vestita di nero si affaccia dalla porta sormontata da un capitello con aquila e leone di un negozio abusivo trasformato in abitazione. Meglio restare a casa, meglio nascondersi. Agli angoli delle strade solo le sentinelle: marsupio in vita e occhi attenti. Controllano chi entra e chi esce. Non per lo spaccio, non per due giornalisti, non per verificare l’arrivo delle Forze dell’Ordine, ma per il timore che, visto il numero e la qualità degli arresti delle ultime settimane, ai nemici venga la tentazione di pareggiare i conti. Qui a ‘Ostia Nuova’, nel quartiere degli Spada, si sorveglia per paura.

«È dagli anni ’80 che non si respirava un clima del genere sul litorale, ma nonostante i morti per strada, i negozi e i capanni incendiati, nessuno si è allarmato più di tanto. Fino a quando non sono scattati i blitz. Allora tutti a mostrare preoccupazione, non per il quartiere, ma per l’immagine di Ostia e per il quieto vivere». Non ha peli sulla lingua il cinquantenne nato e cresciuto a due passi dal mare, ma che vive da trent’anni metà della sua vita a Roma in un ministero. Trenino e metro, la mattina. Metro e trenino la sera. E poi via a passo spedito e testa bassa, fino al confine del Bronx attorno a piazza Gasparri, lì a due passi dal teatro di Affabulazione, uno dei primi luoghi occupati a Roma già negli anni ’70 e da sempre fortino nell’abbandono di Ostia Ponente. «Se ne sono accorti, finalmente. C’è la mafia. Ci sono i tossici e si spara, ma la mafia non è solo qui nel ghetto, non ha solo la faccia coatta. Gira con il vestito buono e fa affari con tutti».

Gli affari dietro gli ombrelloni

Scommesse clandestine, estorsioni, usura, ma non solo. A Ostia si fanno gli affari, quelli grossi. Basta guardare poco più in là. Dietro due palazzoni popolari appiccicati e la piscina abusiva pericolante, ecco l’hotel quattro stelle, il lungomare. Con il cartello “divieto di balneazione” e il bagnino pronto a sorridere ai bambini in acqua. Quattordici chilometri di concessioni e di stabilimenti in grado di fruttare 60 milioni di euro a stagione.

Pochi metri a destra il porto turistico di Roma. Quello che «porterà ricchezza». Oltre 900 posti barca, 2000 posti auto, possibilità d’attracco per mega yacht da settanta metri. Un centinaio di milioni di euro spesi. E poi bar, locali, negozi di lusso. Oggi i pochi che sono aperti vendono vestitini “made in China”, di barche non se ne vedono molte, ma si pensa ad ampliarlo lo stesso. Il raddoppio lo vogliono i balneari e gli imprenditori del cemento, anche se il porto è stato un fallimento e infatti è fallito con tanto di libri in tribunale. Storia storta fin dall’inizio. I calcinacci per costruirlo furono svelati da una mareggiata, stavano lì sotto la sabbia. Quanto al direttore, Mauro Balini, «sin dalle prime conversazioni registrate sulla sua utenza – scrive il Gip nell’ordinanza dell’operazione “Nuova Alba” che ha portato a più di 50 arresti il 26 luglio scorso e dove dopo anni si contesta per la prima volta il reato di associazione mafiosa – è stato possibile avere conferma dell’esistenza di un ambiente economico-finanziario inquietante, all’interno del quale agivano appartenenti alla criminalità organizzata interessati ai rilevanti movimenti di capitali e ai grossi investimenti che si stavano realizzando nel territorio di Ostia Lido».

Ed è lui si legge «a mantenere importanti rapporti con elevate personalità anche militari; è Balini a trattare con Cmc Ravenna; con Epd Limited London; con Italia Navigando, avvalendosi di significativi intermediari. Accedere a lui equivale ad accedere ai piani alti, e scalzare i suoi abituali collaboratori equivale ad inserirsi nel circuito degli affari presentabili».

È grande il mondo guardato attraverso la rete di affari del porto di Roma che emergono dall’inchiesta. La Cmc Ravenna, con partner e attività in mezzo mondo, è una coop che i occupa di edilizia, trasporti, logistica portuale, gestione dei rifiuti. Un colosso, come lo sono Epd London (azienda ad alta tecnologia inglese) e Italia Navigando, società del Gruppo Invitalia, l’Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa, che si occupa di investimenti e promozione dei porti turistici nel nostro Paese.

Il porto, che è porta di accesso via mare a Roma e via privilegiata, e nascosta, per armi e droga. Il 30 per cento della coca passa da queste coste. Un affare da decine di milioni di euro al mese, cifre colossali, perché ogni carico che entra sulla piazza romana rende fino a quattrocento volte il prezzo pagato dagli importatori che lo fanno arrivare dalla Colombia, dalla Bolivia, dal Venezuela, dalle coste dell’Africa, passando per Gioia Tauro e il lido della Capitale.

Alle spalle l’Idroscalo con i cantieri super esclusivi, tra le carcasse d’auto e i divani abbandonati, nella terra di nessuno dove è stato massacrato Pier Paolo Pasolini. Il monumento per ricordarlo l’hanno dovuto chiudere dentro la riserva della Lipu, che troppe volte l’avevano distrutto.

Da sempre una zona che fa gola a tanti. Un’area tutta da rivoluzionare. Pontile, porto turistico, persino un lungomare artificiale da costruire. Erano i tempi entusiastici dell’ex sindaco Gianni Alemanno per il mega progetto “Waterfront”. Previsti investimenti faraonici, che il Lido è «un monte d’oro», spiegava l’allora presidente del Municipio, Giacomo Vizzani. Oggi al X Municipio si tagliano pure i fondi per gli insegnati di sostegno per il disavanzo lasciato dalla scorsa amministrazione, ma che importa.

Il porto da gestire e da ampliare significa soldi, tanti soldi che le organizzazioni criminali vogliono controllare. Soldi da mettere accanto agli affari che da sempre fanno ricca Ostia, quelli degli stabilimenti balneari. E quindi non stupisce leggere nelle carte dell’inchiesta in corso, che un esponente dellafamiglia Giacometti, sodalizio già entrato nel 2004 nell’inchiesta Anco Marzio, che contestò l’associazione mafiosa, poi rigettata dal tribunale di Roma – avrebbe contattato «una persona presentatagli dal senatore Luigi Grillo», proprio per accedere all’affare delle concessioni balneari, data la preoccupazione per la nuova normativa europea, che impone dal 2015 l’affidamento delle spiagge demaniali solo attraverso gare pubbliche.

La porta di Roma

Ostia, bocca per sfamare il corpo di Roma. Con le mafie tradizionali, i colletti bianchi e i delinquenti locali che si sono mossi in libertà per decenni, reinvestendo il denaro di Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta. Dividendosi il controllo, spartendosi i soldi.

Ostia con il suo “sindaco ombra”, “Don” Carmine, a capo dei Fasciani. Già strozzino con la Banda della Magliana, vanta amicizie trasversali: dalla camorra di Michele ‘o Pazzo’ Senese, al mondo eversivo degli ex Nar di Gennaro Mokbel, passando per Paolo Papalini, il fratello presidente dell’Assobalneari. Quello che ha concesso le concessioni per gli stabilimenti e firmato “determinazioni dirigenziali” per “lavori di somma urgenza” che appaltano 14 milioni di opere senza gara. “Don” Carmine, fuori e dentro del carcere, è sempre riuscito a gestire i suoi affari, soprattutto il narcotraffico.

L’élite di Cosa Nostra

E poi i fratelli “er Mafia”, Vito e Vincenzo Triassi, considerati luogotenenti della famiglia Caruana-Cuntrera, i Rotschild della mafia. La presenza dei Cuntrea – Caruana a Ostia, già certa negli anni ’70, ma oggi con un peso ben maggiore, non è un dato di poco conto. È gente di cerniera fra i siciliani e i cugini della Cosa nostra americana. Originari dell’agrigentino e già molto attivi nel contrabbando nell’immediato Dopoguerra, con probabili collegamenti con la rete messa in piedi da Lucky Luciano e dai corsi e i marsigliesi, spostarono il baricentro del proprio business trasferendosi fra Canada, Venezuela e Brasile prima dello scoppio della prima guerra di mafia negli anni ’50. Diventarono quindi asse portante del narcotraffico fra Sicilia e Usa, anticipando perfino la ‘ndrangheta nell’affare della cocaina, tanto da aprire un rapporto preferenziale con i narcos colombiani del cartello di Calì. Implicati poi nella Pizza Connection e in altri traffici internazionali, rientrarono negli anni ’70 in Sicilia (mantenendo le basi all’estero) e insediando una famiglia di Cosa nostra proprio a Ostia. Coinvolti nella French Connection, su cui indagarono fra gli altri Giovanni Falcone e Ciaccio Montalto, giocarono probabilmente un ruolo negli eventi che portarono all’assassinio del giudice francese Pierre Michel nel 1981.

Per misurare il loro peso criminale è importante osservare quale ruolo ricoprirono nella seconda guerra di mafia. In prima battuta si schierarono con i palermitani di Stefano Bontade e degli Inzerillo per poi saltare sulle barricate dei corleonesi guidati da Totò Riina. Una delle famiglie che ha pagato meno la dittatura dei “viddani” di Corleone e anzi ha accresciuto il proprio business con la “mattanza”. Oggi vederli centrali, se pur in ritirata a davanti all’offensiva degli Spada e soprattutto dei Fasciani, fa pensare. Fa pensare soprattutto perché Ostia è una delle porte di accesso per il traffico europeo della cocaina e ancora dell’eroina. Perché hanno cercato e trovato alleanze con pezzi della vecchia Banda della Magliana..

“Alba Nuova” e le altre inchieste che stanno interessando il litorale romano sembrano colpire tutti, ma i Cuntrea – Caruana, pur accusando in qualche modo il colpo, da una uscita di scena anche per via giudiziaria dei rivali Fasciani e Spada hanno tutto da guadagnare. Anche perché difficilmente si sono prestati a essere braccio dei colletti bianchi locali. Ostia conta, ma è solo un tassello di una trama ampia e complessa, una particolarità che il pentito di Cosa nostra Gaspare Spatuzza descrive con inquietante esattezza: «La cosa che ho notato che rispetto alla mafia, la mafia palermitana o siciliana che sia, a Roma hanno tutta un’altra mentalità, nel senso che non si vogliono sporcare le mani direttamente; il romano cerca di farsi proteggere le spalle; agire in seconda fila e però investire più…per avere più proventi possibile. Quindi cerca di non apparire ed esporsi (…) Sono ancora più criminali della manovalanza….perché fin quando sei sulla sfera ‘braccio armato’ e ‘braccio operativo’, diciamo, viene più facile localizzarli, ma dietro le quinte…». :

I “pudori” delle istituzioni

Timidamente intanto si comincia a prendere atto della escalation militare e affaristica delle mafie che insanguina non solo sul litorale, ma tutta la Capitale. Timidamente, anche se oramai, dopo decine di morti in “regolamenti di conti”, è impossibile non parlare di guerra di mafia. Dal centro alla periferia. Dai romani della “Banda” fino agli “scissionisti” e i Casalesi, dalla ‘ndrangheta a Cosa nostra che investono in attività commerciali e immobili di pregio in centro, ai Casamonica e alle loro enclave diventate fortini, fino ad arrivare agli stranieri che operano attraverso una sorta di rete di subappalti criminali. Una timidezza che porta il Prefetto Giuseppe Pecoraro al termine della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza a parlare di «fatti e comportamenti riconducibili alla criminalità organizzata», salvo poi nascondere la mano con un pilatesco «non parliamo di colletti bianchi, non mi sento di includerli».

La banda mai diventata ex

Si ha la sensazione di essere precipitati nel passato. Ostia, Roma. Per tornare verso il centro si percorre la Cristoforo Colombo. Qui a poche centinaia di metri dalla zona residenziale bene dell’Ardeatino, con le finestre vista parco e i palazzi in cortina, qualche giorno fa un uomo è entrato in un centro estetico. «C’è Cinzia?», ha domandato. La donna, Cinzia Pugliese, si è presentata e l’uomo con tutta calma ha estratto una pistola e l’ha gambizzata. Il procuratore Giuseppe Pignatone parla di un possibile collegamento con il clan Fasciani. E la Pugliese non era certo una sconosciuta. Per anni infatti avrebbe avuto una relazione con Angelo Angelotti, ucciso il 28 aprile dello scorso anno a Spinaceto durante una rapina. Angelo Angelotti, uomo di spicco della vecchia Banda della Magliana, quello che avrebbe organizzato l’imboscata nel 1990 in via del Pellegrino a Enrico De Pedis, il capo, “Renatino”.

«La Banda della Magliana esiste ancora, ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto o è finito in galera. Forse non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare spesso», raccontava nel 2010 davanti alle telecamere un altro ex della Banda, Antonio Mancini. Oggi è difficile dargli del millantatore o dell’allarmista.