Cosa c’entra la Lega Nord con la ‘ndrangheta (a Brescia)
Tredici richieste di condanna, un’assoluzione. E le motivazioni, così come la genesi dell’inchiesta, sono nero su bianco nella memoria che il sostituto procuratore Paolo Savio ha consegnato alla corte al termine della sua requisitoria. Che non fa sconti. In aula, in prima fila accanto al suo avvocato, Enio Moretti, ex consigliere regionale della Lega, a processo con altri 13 imputati: per l’accusa sarebbe «il regista» di un sistema illegale basato sull’emissione di fatture gonfiate (milionarie) e crediti d’imposta inesistenti utilizzati da una galassia di società satellite per pagare in modo illecito i contributi dei dipendenti tramite compensazione. Per lui il pm chiede 5 anni e 3 mesi, così come per il fratello Renato.
Pene più lievi per i fratelli Vincenzo (4,2 anni) – ritenuto dall’accusa il «prestanome nullatenente a cui venivano intestate le società di subappalto riconducibili ai Moretti» – e Rocco Natale (4,1 anno) – «molto più che un consulente, un socio: colui che le fatture le emetteva». Per altri nove imputati le richieste di condanna vanno dai 4 ai 20 mesi di reclusione. Non solo. L’accusa vuole la confisca di tutti i beni sottoposti a sequestro preventivo, tra proprietà e conti correnti.
Ma il punto – chiarisce il pm – è capire come si sia arrivati a questo processo. E come l’inchiesta si sia «ribaltata»: era nata per «verificare se la famiglia Moretti fosse vittima di una pesante pressione mafiosa» salvo poi scoprire che «le tre società di Moretti presentavano discrasie patrimoniali pesantissime e venivano cedute in procinto di fallimento ai due fratelli calabresi». Da ostaggio di una presunta estorsione, dunque, i Moretti «diventano protagonisti delle attività illecite: le società esistevano solo sulla carta. E servivano per compensare i contributi».È il 24 novembre del 2007: secondo la ricostruzione del pm a Orzinuovi prende forma un «tentativo di affrancamento tra una struttura di stampo mafioso in Valtrompia riconducibile ai Piromallo Molè di Gioia Tauro con un altro gruppo criminoso di Oppido Mamertina». A questo summit «partecipa anche Vincenzo Natale». Che il 18 agosto 2008 «viene controllato a Oppido Mamertino con un parente di Francesco Scullino ed Enio Moretti, all’epoca consigliere regionale». E titolare della Conar, che finisce sotto la lente degli inquirenti. L’azienda avrebbe ridotto i costi grazie ai subappalti: ma gli operai erano gli stessi. «Perché ad amministrarle erano i Moretti», incalza l’accusa: «I conti correnti di Vincenzo Natale e delle imprese che amministrava erano esclusiva gestione della Conar».
Eppure nell’agosto 2011 Vincenzo (Cecè), intercettato, chiede aiuto a Enio. «Non ho soldi. Collaboro con te da tanti anni, devo prendere una decisione, non posso più scherzare». «Rocco mi ha detto di non dargli niente, di lasciarlo qua che fa meno danni – riferirà Moretti a un amico – Lui gli dà 1.500 euro al mese, da noi ne prende mille». In un’altra telefonata l’ex consigliere regionale si sarebbe offerto di «fare un piacere» all’amico di un amico, «usando una società, la Conar, che realmente esiste. Gli faccio anche un contrattino, la sistemiamo bene, perché dopo le coperture tanto me le faccio fare da Cecè che mi riconosce le spese». Eppure Moretti si sarebbe lamentato con Rocco («spendiamo troppo») che gli avrebbe mandato un prospetto sui contributi risparmiati. Decine di migliaia di euro.
La parola alle difese il 25 marzo.
(clic)