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Salutavano sempre

Gabriele Bianchi, uno dei fratelli arrestati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, scriveva sul suo profilo Facebook (lo riporto letterale), è qualcosa di anni fa (9) perché purtroppo i profili sono stati immediatamente cancellati e non abbiamo materiale a disposizione. Scrive Gabriele Bianchi:

«lurido egizziano de merda te possa da na paradise secca pozzi rimane senza respiro, pozzi crepa lentamente, spero che qualcuno ti venga a cercare e che ti affoghi nella merda schifosissimo essere figlio di puttana se c’è ancora la guerra nel tuo paese di merda spero che ti uccidono adesso bastardoooooooo»

Risponde il fratello Alessandro, il fratello maggiore, estraneo alla vicenda della morte, quello che ieri in un’intervista ci ha detto che ha insegnato ai suoi fratelli “le regole, il rispetto per l’avversario, la disciplina” e che “il fascismo e il razzismo sono cose che non esistono. Politica non ne hanno mai fatta e in palestra si allenano con ragazzi romeni, albanesi, nordafricani”:

«egiziano de merdaa che tu possa bruciare all’inferno mi piacerebbe averti 10 minuti tra le mani il pezzo più grande rimarrebbe un tuo occhio negraccio de merda»

Gli risponde Gabriele Bianchi:

«aahahahahahaha che negro de merda… magari ora sta sotto fosso morto!!!».

I genitori dei fratelli Bianchi in caserma avrebbero dichiarato: «Cosa avranno mai fatto?! In fondo era solo un extracomunitario…».

Forse sarebbe il caso di dircelo chiaramente che la violenza (scritta, simulata, proposta, mimata, recitata) poi alla fine diventa azione. Forse sarebbe il caso di dirci, al di là delle risultanze delle indagini e del processo, che l’ambiente da cui escono i picchiatori di Willy è veramente tanto diverso da come ce lo vorrebbero raccontare, tutto tranquillo e sereno.

Basta farli parlare, si dipingono da soli. Di razzismo qui se ne sente l’odore, dappertutto.

Buon mercoledì.

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Scambiare un omicidio per una rissa

Pregiudizi razzisti e agiografia dei violenti: nel raccontare l’uccisione di Willy Monteiro Duarte una parte del giornalismo italiano ha dato di nuovo il peggio di sé

Insuperabile il Corriere della Sera che descrivendo uno degli arrestati per la morte di Willy Monteiro Duarte scrive: «Ma Gabriele Bianchi, uno dei quattro fermati (insieme al fratello Marco e altri due) per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, nei mesi di lockdown si era posto anche un problema più concreto: come tirare avanti, mettere insieme pranzo e cena. Da giovanotto sveglio e concreto lo sapeva: non potevano essere gli sport da combattimento a dargli una sicurezza economica. Così s’era inventato una vita meno bellicosa, quella del fruttivendolo».

Giovanotto sveglio e concreto: l’agiografia dei violenti ultimamente va per la maggiore e ogni dettaglio utile per sminuire l’accaduto sembra ricercatissimo da certi giornalismi per farci un bell’articolo. Eppure si sta parlando di pregiudicati, conosciuti da tutti come violenti, simpatizzanti dell’estrema destra e che si dedicavano volentieri alle risse. Questo piccolo dettaglio viene omesso.

Del resto i fatti raccontano che Willy Monteiro Duarte sia stato ammazzato di calci e di pugni, ovviamente in molti contro uno, come si conviene ai vigliacchi e sia rimasto lì, morto per terra. “Rissa”, scrivono certi giornali: come se fosse una “rissa” massacrare di botte un ragazzetto che pesa la metà di te insieme ai tuoi amici e contro cui usi le tue tecniche di combattimento imparate per diventare ancora più efficace nella tua violenza.

Poi c’è il racconto che ci dice che Willy Monteiro Duarte e la sua famiglia fossero “ben integrati”. Di grazia, qualcuno vorrebbe dirci che informazione è? Se non fossero stati “bene integrati” sarebbe stato più immaginabile un omicidio del genere?

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e aveva proprio ragione.

Infine c’è la narrazione di chi vorrebbe farci credere che Willy si sia trovato “nel posto sbagliato nel momento sbagliato”. Anche questo è un falso: Willy ha ritenuto opportuno difendere un amico dalla foga e dalla violenza di questi picchiatori professionisti. Willy ha deciso di essere altruista e solidale in un territorio in cui evidentemente è un lusso che non ci si può permettere. Willy ha incocciato uno di quei quartieri presidiati dalla violenza di qualche gruppetto di pestatori professionisti che vorrebbero comandare il territorio. Willy ha fatto la cosa giusta. Siamo noi che gli abbiamo fatto trovare il Paese sbagliato.

Buon martedì.

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I bus per i negri

L’Alabama del Novecento in Val Brembana.
I leghisti hanno chiesto al prefetto di Bergamo che i richiedenti asilo prendano i mezzi pubblici in orari diversi rispetto agli studenti

Sembra una storia piccola, di provincia, che non meriterebbe nemmeno un commento e invece è la fotografia di qualcosa che si spande, che ogni giorno diventa sempre più normale, che addirittura non scandalizza e trova perfino consenso.

L’Alabama del secolo scorso si è trasferito in Val Brembana, amena valle nella provincia bergamasca, qui una folta truppa di leghisti ha deciso di andare in spedizione, con la scanzonata andatura di un’armata Brancaleone e con musichetta comica al seguito, dal Prefetto di Bergamo Enirco Ricci. Per dare peso all’importanza e alla sostanza della richiesta hanno pensato bene di partecipare anche due parlamentari della Lega, Daniele Belotti e Alberto Ribolla, tanto per farci capire che non si tratta di un inciampo di qualche piccolo e sconosciuto amministratore locale ma qui siamo di fronte a un’ideologia di partito che viene sfoggiata pure con una certa fierezza.

La combriccola ha chiesto al Prefetto di Bergamo che i “richiedenti asilo” (chiamati proprio così nel messaggio ufficiale, virgolettati come si virgolettano i diversi) prendano i mezzi pubblici in orari diversi rispetto agli studenti del mattino e forse, ancora meglio, che venga predisposto un servizio di trasporto appositamente per loro. Il bus per i bambini bianchi e il bus per i negri.

Il bravo Matteo Pucciarelli di Repubblica, che ha raccontato la vicenda, riporta anche le parole del dirigente locale della Lega, tal Enzo Galizzi che dice testualmente che i migranti “spintonando e sgomitando” e “vista la loro stazza”, “occupano tutti i posti disponibili” non permettendo agli studenti di rientrare a casa.

Nella richiesta, se ci pensate bene, c’è tutta l’inversione della propaganda leghista: piuttosto che brigare e lavorare per chiedere un servizio pubblico più efficiente (di cui è proprio la Lega la responsabile politica, da quelle parti) si preferisce agire per sottrazione ovviamente schiacciando il piede sulla xenofobia. E così, in nome di un’oggettiva difficoltà (quello del trasporto pubblico, segnatelo, sarà uno dei grandi problemi del rientro al lavoro) si riesce ancora una volta a dare sfogo alle proprie bassezze.

Del resto il leader attuale della Lega era lo stesso ridicolo consigliere comunale a Milano che nel 2009 propose di istituire delle carrozze della metropolitana solo per i milanesi per evitare contaminazioni con gli stranieri. Ai tempi quel giovane provocatore Matteo Salvini venne preso come un innocuo agitatore di proposte improbabili. Poi è andata a finire come sta finendo.

Buon lunedì.

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Lettera ai negazionisti: “Venite a Lodi a tenere i vostri comizi davanti a orfani del Covid”

Oggi è il giorno in cui anche l’Italia si accoda ai negazionisti in piazza, per non essere meno con la cretinità del mondo. Oggi è il giorno in cui alle 16 in piazza Bocca della Verità a Roma ci sarà l’annunciata manifestazione contro la “dittatura sanitaria” orchestrata, come accade in quasi tutto il mondo, dalla destra più destrorsa, quella del pregiudicato Giuliano Castellino e che raggruppa come sempre accade, tutti quelli che per mancanza di profondità delle proprie opinioni ha bisogno di negare, di aizzare i complotti, di disegnare un fantasioso mondo da combattere, tutti presenti con gli accoliti di Forza Nuova, i No Vax, i No Mask, l’arruffato provocatore Vittorio Sgarbi e perfino l’indimenticato ex M5S Davide Barillari.

E mi sarebbe tanto piaciuto andarci, essere invitato, avere avuto l’occasione di intervenire anch’io per raccontargli la storia di quelli che il Covid l’hanno vissuto. Gli avrei raccontato, ad esempio, di cosa abbia significato vivere a Lodi nel momento in cui Lodi era la ferita più sanguinante del Paese, quando l’unica colonna sonora di giornate schiacciate dalla paura erano le sirene delle ambulanze che incessantemente, come una goccia che ti fa impazzire il sonno, passavano sotto le mie finestre a qualsiasi ora del giorno, in una macabra e lenta processione che ancora adesso risuona e ci lascia storditi, che ci accomuna mentre camminiamo per strada.

Avrei voluto raccontargli che qui il Covid, dalle nostre parti, è stata una tagliola che ha cambiato la geografia della città, che ha disegnato assenze nei nostri luoghi abituali, che ha spazzato via le stesse persone con cui dividevamo gli aperitivi. Avrei voluto raccontargli di coetanei che hanno avuto nel giro di pochi giorni entrambi i genitori rinchiusi dentro i sacchi senza nemmeno il tempo di sentirsi arrivare addosso il lutto, con partenze che sono state sparizioni. Avrei potuto raccontargli la difficoltà di parlare ai nipoti, spiegargli che i nonni sono partiti e non tornano più perché la morte spazza via certe generazioni.

Avrei potuto raccontargli del lutto che ancora oggi si respira nella piazza e nel corso, come una nebbia ancora prima della stagione della nebbia. Gli avrei proposto di venire qui, da noi, a dire che è tutto finto, a parlare di un’invenzione dei poteri forti, di tenere i loro comizi guardando negli occhi gli orfani, senza abbassare lo sguardo, senza sentirsi gli usurpatori di carogne che sono. Vedere se davvero riuscirebbero a non vergognarsi.

Leggi anche: 1. Coronavirus, a Roma la manifestazione dei negazionisti No Mask / 2. Forza Nuova, Sgarbi, Povia: negazionisti Covid in piazza a Roma. “Contro la dittatura sanitaria”

3. Berlino, corteo negazionisti Covid sciolto dalla polizia: “Mancato rispetto norme anti-contagio” /4. Coviddi (non) ce n’è: la crociata negazionista degli anti-virus

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Non c’è un giudice a Strasburgo?

Tocca parlare ancora di Turchia, perché i diritti sono sempre quelli degli altri e perché la finta contrizione per la morte di Ebru Timtik sembra non avere insegnato nulla, niente.

L’avvocato Aytaç Ünsal, collega di Ebru Timtik e anche lui al suo 214° giorno di sciopero della fame, anche lui condannato per terrorismo e ovviamente sottoposto a un processo farsa, ha rischiato di fare la stessa fine della sua collega e di altri che in questi mesi stanno protestando contro il governo di Erdogan e che sono accusati in modo strumentale per essere messo fuori gioco.

Nelle scorse ore, fortunatamente, la Corte di Cassazione di Ankara ha deciso la sua immediata scarcerazione per motivi di salute. I giudici hanno stabilito che l’avvocato 32enne debba essere “immediatamente liberato” a causa del “pericolo che rappresenta per la sua vita la permanenza in prigione”. Nei giorni scorsi, i sanitari avevano lanciato l’allarme sul deterioramento delle sue condizioni di salute.

Ma solamente due giorni fa, il 2 settembre, la Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) aveva bocciato il ricorso per la scarcerazione di Ünsal confermando la decisione della Corte costituzionale turca dello scorso 14 agosto. E già questo dovrebbe porre delle domande poiché giuristi di tutta Europa stavano sottolineando l’iniquità della giustizia turca nei confronti degli avvocati. Giusto per capire a che punto siamo arrivati basti pensare che il ministro dell’Interno, Süleyman Soylu, ha definito una «terrorista» l’avvocata morta, e ha denunciato l’ordine degli avvocati di Istanbul per averla commemorata. In Turchia sono vietate anche le lacrime.

Ma non è tutto, no: il presidente della Cedu, Robert Spano, è in questi giorni in Turchia per ricevere una Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza a Istanbul e poi tenere, ad Ankara, una Lectio Magistralis presso l’Accademia di Giustizia turca. L’Università statale di Istanbul è stata al centro di una massiccia epurazione dopo il fallito “colpo di Stato” del 2016: furono licenziati 192 accademici. Quell’università è il simbolo dell’opera di pulizia da parte di Erdogan e che un giudice super partes decida di esserne ospite accende più di qualche dubbio.

Lo scrittore Mehmet Altan ha scritto a Spano: «Non so come si possa essere fieri di essere membri onorari di una università che condanna alla disoccupazione, alla povertà e al carcere centinaia di docenti solo per il loro pensiero e i loro scritti». Altan è un accademico di fama mondiale ed era stato espulso da quella università per le sue idee e fu tra i primi intellettuali arrestati nella repressione post-golpe. L’accusa, tanto per chiarire di cosa stiamo parlando, sarebbe quella di avere mandato “messaggi subliminali” durante un programma televisivo. Altan è stato poi prosciolto ma non è mai stato reintegrato all’università, marchiato come traditore.

In tutta la Turchia pendono qualcosa come 60mila richieste di reintegro da parte di lavoratori che hanno perso il proprio lavoro per le loro idee politiche. E sapete chi vaglierà quelle richieste? Robert Spano, quello che in questi giorni è in gita d’onore proprio in Turchia.

E questo per oggi è tutto.

Buon venerdì.

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Caso Navalny: la lezione della Merkel al mondo e l’imbarazzante silenzio del Governo italiano

Che brutto silenzio che tira dalle parti del governo italiano sulla vicenda di Alexei Navalny, l’oppositore russo di Putin che secondo gli esperti militati tedeschi sarebbe stato avvelenato da Novichok, un veleno che vale come una firma e che è legato alla storia della Russia quando ancora era Unione Sovietica. Il governo tedesco (che dopo un lungo tira e molla è riuscito a fare trasferire Navalny in Germania) ha confermato “senza alcun dubbio” che il leader dell’opposizione russa è stato avvelenato e Angela Merkel ha usato parole durissime: “È chiaro che Navalny è vittima di un crimine ed è stato messo a tacere”, ha detto, condannando con “la massima fermezza possibile” quanto accaduto e auspicando “una reazione congiunta appropriata” nei confronti della Russia in accordo con Nato e Unione Europea.

Sempre a proposito di reazioni, leggetevi le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Un atto spregevole e codardo. I responsabili devono essere assicurati alla giustizia”. Addirittura anche la Casa Bianca parla di “riprovevole avvelenamento” senza dubbi. Una bella fetta di mondo insomma parla, prende posizione, critica, accusa, pretende spiegazioni e richiama il presidente Putin alle sue responsabilità chiedendo che venga fatta il prima possibile luce sull’accaduto. Da lontano, flebile, arriva invece la voce del governo italiano: l’unica nota ufficiale sta malinconicamente scritta in cinque righe sul sito del ministero degli Esteri, in cui si esprime “profonda inquietudine ed indignazione” e si chiede “che la Federazione Russa chiarisca con rapidità e trasparenza le responsabilità dell’accaduto”.

Avete visto una dura presa di posizione del ministro Luigi Di Maio? Qualche frase di circostanza, obbligatoria, e poco altro. Per non parlare del centrodestra, che con Putin gozzoviglia da anni, che sembra non essersi nemmeno accordo dell’accaduto. Però su proposta di Di Maio, intanto l’Italia ha insignito dell’Onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della ”Stella d’Italia” il primo ministro di Putin Mikhail Mishustin, proprio uno degli esponenti politici messo sotto accusa da Alexei Navalny per gli eccessivi guadagni non giustificati (790 milioni di rubli guadagnati dalla moglie solo negli ultimi 9 anni). Il premier Conte invece ha avuto una conversazione telefonica con Putin in cui il presidente russo aveva parlato di “inammissibilità di accuse frettolose e infondate”. E l’Italia inchinata alla Russia sembra qualcosa di più di una semplice sensazione.

Leggi anche: 1. Berlino: “Navalny avvelenato, prove inconfutabili. Mosca spieghi” / 2. Novichok: cos’è, e che effetti ha sul corpo, l’agente nervino usato per uccidere l’ex spia russa Skripal / 3. Russia, il video in aereo dell’oppositore di Putin che grida di dolore: “L’hanno avvelenato” / 4. Russia, approvata la riforma della Costituzione: Putin potrà governare fino al 2036 / 5. L’ascesa della Russia di Putin non passa solo dalla Siria

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Nascere e morire. A Verona

Secondo la Commissione che indaga sulle infezioni da Citrobacter «sono stati identificati 91 soggetti positivi» e i primi casi risalgono al 2017. Ma la struttura sanitaria non avrebbe mai comunicato nulla

«Il tempo per piangere c’è stato, ora è il tempo della giustizia. Chi ha sbagliato deve pagare. Alice poteva essere qui con me, che almeno la morte di mia figlia serva a qualcosa», sono le parole di Elisa Bettini, mamma di Alice, una dei neonati morti a Verona a causa del Citrobacter, intervistata da La Stampa. Dice Elisa: «Mi dicono che Alice ha la febbre, meningite da Citrobacter. Chiedo se ci sono o ci sono stati altri casi, mi rispondono di no. Nella stanza tiralatte, parlando con le altre mamme, scopro che non è  vero, e che di casi ce ne sono almeno cinque, Alice compresa, e che se ne verificano almeno dal dicembre precedente. Ci dimettono il 22 maggio. Il 12 giugno, Francesca (Frezza, la madre che ha fatto scoppiare lo scandalo, ndr) denuncia la situazione con un’intervista a L’Arena, il giornale di Verona. Ci troviamo con lei e con altre mamme, contiamo i casi di cui siamo a conoscenza, in totale sono una trentina, mentre qui continuano a parlare di dieci o dodici. Adesso veniamo a sapere che sono 96».

Lunedì è stata depositata la relazione stilata dalla Commissione istituita dal presidente del Veneto Luca Zaia per indagare sul caso di infezioni causate dal batterio Citrobacter koseri nei reparti di Terapia intensiva neonatale e pediatrica nell’Ospedale Donna e Bambino di Borgo Trento, a Verona. I risultati mettono i brividi: dall’apertura della struttura (era il 4 aprile del 2017) «sono stati identificati 91 soggetti positivi per Citrobacter», 9 neonati «hanno sviluppato una patologia invasiva causata da Citrobacter koseri» e tra questi 5 hanno riportato gravi lesioni cerebrali e 4 sono morti.

A giugno di quest’anno ci si è accorti che il batterio stava su alcuni rubinetti delle terapie intensive neonatale e pediatrica e sulle superfici interne ed esterne dei biberon utilizzati da due neonati risultati positivi. Molto probabilmente si tratterebbe di latte per neonati preparato con acqua infetta. Acqua del rubinetto. La struttura sanitaria non avrebbe mai comunicato nulla alla Regione e nemmeno all’ente che amministra la sanità veneta. Alice è morta il 16 agosto, dopo giorni di atroce sofferenza. Elisa adesso vuole sapere chi ha sbagliato: «Non tollero che neghino l’evidenza», dice: «Se faccio tutto questo, è perché io non voglio che succeda a un altro bambino».

È una storia che si porta un enorme carico di dolore.

Buon giovedì.

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La deputata Aiello a TPI: “Lascio il M5S, vanno avanti solo i soliti nomi”

La deputata Piera Aiello ha lasciato oggi il Movimento 5 Stelle pur continuando la sua attività di parlamentare. L’abbiamo intervistata per comprendere meglio la sua scelta.

Perché questa decisione di abbandonare il M5S? Quali sono le cose che l’hanno delusa?
Ero partita con un’idea ben precisa: quella di aiutare la categoria a cui appartengo, i testimoni di giustizia ma anche quella dei collaboratori e degli imprenditori vittime di racket e di usura. Quando io ho messo a disposizione la mia esperienza trentennale sono rimasta inascoltata, nessuno mi dava contezza di quello che si stava facendo. Molti testimoni, collaboratori e imprenditori si sono rivolti a me fiduciosi poiché sono nella commissione parlamentare antimafia e pensavano che io avessi il potere di aiutarli. Ma io quel potere non ce l’ho, non l’ho mai avuto e non l’ho cercato. Il potere adesso ce l’ha sicuramente Crimi che ha le deleghe al ministero con la commissione ex articolo 10 e quando io porto avanti le richieste di aiuto non vengo nemmeno sentita. Non mi sento valorizzata. L’ho sempre detto: non ho mai preteso nessun posto apicale ma la cosa che pretendevo di più era quella di essere ascoltata sulla base della mia esperienza. A me interessava poter aiutare le persone che mi chiedevano aiuto. E questa è stata la mia prima delusione. Io non sono un animale politico, sono una persona molto semplice, una donna del popolo cerco di risolvere le problematiche e da quello che ho visto problematiche non si risolvono.

Cosa non è stato fatto per i testimoni di giustizia che invece andava fatto?
I testimoni di giustizia alcuni sono stati auditi ma da quello che mi risulta non è stata risolta nessuna situazione, né economica e né di sicurezza. Andava fatto questo prima di tutto, mettere in sicurezza i testimoni e non fargli correre rischi inutili, come è capitato a Marcello Bruzzese, fratello di un testimone di giustizia, ucciso il 25 dicembre 2018 in una località protetta. Doveva essere una località sicura ma così non è stato. Molti corrono ancora questo rischio. Non è stato fatto nulla, non si sono risolte situazioni che sono incancrenite da moltissimi anni. Tante promesse ma nulla di fatto.

C’è stata un’effettiva involuzione del Movimento in questi anni?
Il movimento è cambiato, non rispecchia più il pensiero di Casaleggio, vedi il terzo mandato per la Raggi, cosa ci si deve aspettare che lo tolgano del tutto per far candidare i soliti?
È pentita della sua scelta della politica?
Non sono pentita della scelta che ho fatto, sono delusa, ma comunque faccio tesoro di tutto, metto un punto e vado avanti.

Ora inevitabilmente partiranno gli attacchi, le richieste di dimissioni, le accuse di tradimento: come risponde?
Si ho visto gli attacchi, me ne farò una ragione. A tutti quelli che pensano che rimango in parlamento dico che prima di entrare in politica ero un’impiegata regionale, la mia famiglia non se la passa poi male perché lavoriamo tutti onestamente, resto per completare il lavoro che ho iniziato in antimafia, resto perché ho depositato due leggi, una su testimoni e collaboratori l’altra su imprenditori vittime di racket ed usura, leggi che ha oggi sono insabbiate, che non vanno avanti, che sarebbero state il fiore all’occhiello. Sinceramente non mi sembra di aver tradito nessuno, direi il contrario, non ho intenzione di abbassare la testa davanti a nessuno, non lo ho fatto trent’anni fa con i mafiosi, non lo faccio adesso. Nella sua vita si è ritrovata sempre a prendere scelte che sono state coraggiose e che le sono costate molto dal punto di vista personale.
Crede che la politica sia pronta per dare il giusto spazio a testimonianze come la sua?
La politica è pronta se fa un programma forte contro le mafie, se tutto questo non viene preso in considerazione non andremo avanti, la criminalità e dappertutto, specialmente dove ci sono i soldi, questo lo abbiamo già costatato e lo costerneremo con l’arrivo dei soldi per l’emergenza Covid.

Ha intenzione di continuare comunque il suo percorso politico? Se sì, come?
Come dicevo prima ultimo i lavori iniziati difendendoli a spada tratta, anche se non ho un simbolo di appartenenza non vuol dire che non posso continuare, anzi direi che non avendo le mani legate, non stando agli ordini di scuderia, posso fare meglio e informare i cittadini di ciò che succede in parlamento.

Leggi anche: 1. Piera Aiello, storia della prima testimone di giustizia italiana, eletta con il M5S / 2. La deputata Piera Aiello dice addio al M5S: “Non mi rappresenta più”

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Morti di fame

L’avvocata Ebru Timtik, prima di lei i musicisti del Grup Yorum. Morti per le conseguenze della loro protesta in difesa della giustizia. Accade nella Turchia di Erdogan, graziato dal silenzio dell’Europa

È una storia che gocciola sangue anche se non c’è sangue in giro perché qui i morti muoiono per consunzione. Giovedì sera a Istanbul è morta Ebru Timtik, avvocata che da 238 giorni era in sciopero della fame nelle prigioni turche per chiedere un processo equo per sé e per 17 colleghi che erano accusati di legami con il Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (Dhkp/C), un gruppo di estrema sinistra considerato formazione terroristica dal governo.

Timtik aveva 42 anni e si occupava di diritti umani da sempre, era stata condannata nel 2019 a 13 anni e sei mesi di carcere, il suo accusatore è stato ritenuto non credibile, lei contestava l’iter giudiziario che l’aveva portata alla condanna. In Turchia Erdogan da anni, graziato dal silenzio dell’Europa, utilizza l’accusa di terrorismo per fare piazza puliti degli oppositori ritenuti scomodi al governo. Timtik faceva parte dell’associazione contemporanea degli avvocati, specializzata nella difesa di casi politicamente scomodi, “se l’era andata a cercare”, come commenterebbe qualche pavido nostrano che insegna e ci vorrebbe insegnare che per non avere problemi conviene sempre farsi “i fatti suoi”. Ebru Timtik aveva difeso anche la famiglia di Berkin Elvan, un adolescente vittima delle ferite riportate durante le proteste antigovernative a Gezi Park nel 2013.

Un mese fa il tribunale di Istanbul aveva negato la richiesta di scarcerazione di Ebru Timtik dichiarando che era “in salute” e perfino la Corte Costituzionale aveva negato, qualche settimana fa, la scarcerazione. Con Timtik in sciopero della fame c’era anche il suo collega Aytaç Ünsal, anche lui incarcerato, che con un filo di voce dal letto di ospedale ha detto di essere ancora più convinto di quello che sta facendo e della sua lotta, che vorrebbe che la battaglia di giustizia continui, anche lui è in pericolo di vita. Sono 18 gli avvocati condannati per un totale di 159 anni, un mese e 30 giorni di reclusione: tra le accuse nei loro confronti c’è anche quella di avere parlato con i loro clienti. Accusati di avere fatto il proprio lavoro. I testimoni del processo erano tutti anonimi e in carcere, evidentemente ricattabili. A maggio tre musicisti membri del gruppo Grup Yorum, anche loro accusati di terrorismo, si sono lasciati morire d’inedia per protestare contro Erdogan.

È una notizia enorme, enorme per l’altezza del pensiero di chi muore per degli ideali ancora nel 2020, qui vicino a noi, in un Paese con cui tutta Europa briga fingendo di non vedere, ed è enorme perché è una lezione di difesa della giustizia anche di fronte alla legge. Morti di fame per difendere i propri diritti, sembra una storia che arriva dal secolo scorso. Durante il funerale di Ebru Timtik sono stati sparati lacrimogeni contro i giovani che vi partecipavano.

Accade qui, vicino a noi. Lo sentite questo fragoroso silenzio?

Buon lunedì.

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Ma dai? Si torna a scuola?

Eccoci qua. Mi era capitato qualche settimana fa, eravamo ancora in pieno periodo vacanziero a ricordarmi che saremmo arrivati in ritardo con le aperture delle scuole. Era scritto, del resto: nei molti mesi che ci sono stati a disposizione per ripensare la scuola e per programmarne la riapertura ci si è consumati tra le piccole guerre tra Stato e regioni e a discutere di banchi con rotelle, di plexiglas e di indecenti attacchi sessisti alla ministra. Rimanere sul punto evidentemente era troppo difficile.

Così ora si scopre che anche i professori si ammalano (i primi risultati dicono 16 professori positivi in Veneto, 12 in Lombardia tra Varese e Como, 20 in Umbria, 4 in Trentino) e che come avviene in qualsiasi luogo di lavoro forse è il caso di fare i test. A proposito di test: si rilancia la notizia che un terzo dei professori non vorrebbe sottoporsi a tampone (che il governo ha, chissà perché, reso volontario) e ovviamente tutti ora giocano al massacro: peccato che l’indagine abbia ben poco valore statistico (si sa di interviste telefoniche a qualche centinaio di insegnanti e non si sa di che regione siano) e peccato che siano moltissimi gli insegnati che invece lamentano addirittura l’impossibilità di accedere al tampone. Tra l’altro in alcune regioni il test è gratuito e in altre no, così a caso. Sia chiaro: tutto questo a pochi giorni dall’inizio della scuola.

Ma non è tutto: ora ci si accorge che i ragazzi a scuola ci devono andare e che molti ci vanno in autobus e indovina un po’? Gli autobus sono strapieni. Eh, già. Non era difficile immaginarlo, basterebbe sostare davanti a una scuola qualsiasi per accorgersene in una città qualsiasi. Fenomenale il presidente delle Marche Ceriscioli che a Repubblica dice che Burioni ha trovato la soluzione: i ragazzi nel bus devono indossare la mascherina e restare in silenzio, senza parlare. Sembra uno scherzo e invece è drammatico.

Poi ci sono i banchi: il pessimo commissario Arcuri ora parla di alcune consegne a fine ottobre e il bando di gara era talmente scritto male da dover essere corretto un paio di volte. Giunge notizia che ora il commissario stia facendo ordine a aziende extra bando. Qualcuno dice che ci vorrebbe vedere chiaro ma i costi e i contratti sono secretati “per evitare polemiche politiche” dice Arcuri, come se avesse l’autorità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no.

Poi ci sono gli spazi: garantire distanziamento sociale in edifici che avevano già problemi di cubature in epoca pre Covid diventa una missione quasi impossibile. A tutto questo aggiungeteci il caos di un’opposizione che soffia sul fuoco piuttosto che proporre soluzioni.

Eppure proprio sulla scuola si misurerà molta della capacità di questo governo di affrontare la pandemia. Per questo vale la pena approfondire. Per questo se ne parla nel numero di Left in edicola e in digitale.

Buon venerdì.

Left del 28 agosto – 3 settembre 2020

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