Abbas Mian Nadeem, un ragazzo pakistano con regolare permesso di soggiorno, è finito per errore nel Cara di Isola Capo Rizzuto insieme a migranti trovati positivi al Covid. Lui è sieropositivo, malato di epatite, immunodepresso e in quel luogo la sua salute è fortemente a rischio
È una storia che inizia con una pesca a strascico solo che si pescano uomini, mica pesci. L’hanno raccontata Alessia Candito e Floriana Bulfon per Repubblica e inizia a Amantea, in Calabria, dove i giorni scorsi molti cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il trasferimento di alcuni migranti trovati positivi al Covid. Immaginate la scena: arrivano i mezzi per trasferire 11 persone da Amantea al Cara di Isola Capo Rizzuto. La struttura di Amantea è presidiata dai militari e molta gente esulta per essere riuscita a liberarsi dal peso di questi negri, sporchi e forse malati. Ma fin qui la storia non stupisce, è una storia che abbiamo già sentito in questi anni.
I militari arrivano a raccogliere le persone e a un certo punto una donna da una finestra si mette a urlare «Anche lui! Anche lui! Prendete anche lui!» e indica un altro ragazzo, lì nei pressi della struttura, anche lui nero per cui nella pesca a strascico il nero va con il nero. Prendono anche lui.
Lui è Abbas Mian Nadeem, un ragazzo pakistano con regolare permesso di soggiorno che vive da qualche anno a Amantea, si arrangia con qualche lavoretto e si trovava in quel momento in quel posto perché sa bene cosa significhi attraversare il mare e quindi aveva deciso di portare supporto e qualcosa di utile ai suoi compagni di sventura. Una persona legittimamente sul suolo italiano e legittimamente impegnata a portare solidarietà. Nel dubbio l’hanno caricato ed è finito anche lui al Cara di Isola Capo Rizzuto, una struttura in condizioni vergognose dove qualche materasso dovrebbe sembrare un letto. Il Cara di Isola Capo Rizzuto, tanto per capirsi, è lo stesso che stava nelle mani del clan di ‘ndrangheta Arena con un prete come prestanome.
All’arrivo al Cara qualcuno si accorge che le persone sono 12 rispetto alle 11 programmate, si prova a fare notare l’errore, Mian Nadeem prova a spiegarsi non accade niente. Niente. Il ragazzo, illegalmente recluso, contatta giornalisti e associazioni ma non si riesce a sbrogliare questa kafkiana situazione. Ma c’è di più: Mian Nadeem è sieropositivo e malato di epatite quindi immunodepresso e in questo momento sta con persone in quarantena per rischio coronavirus. Immaginate l’odore della paura.
Lui ha girato anche un video per mostrare le terribili condizioni in cui si ritrova ma ieri hanno tolto l’elettricità e non riesce nemmeno a caricare il suo telefono per comunicare con l’esterno. L’associazione La Guarimba Film Festival si è mossa per chiedere un intervento della Croce Rossa e della Questura. Per ora tutto tace. Abbas intanto è recluso, per niente.
Il Paese che siamo.
Buon martedì.
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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.
Mi scrive il GrIS Lombardia ed è inevitabile garantire il mio impegno:
In dissonanza con il Decreto Legislativo 286/1998, la Regione Lombardia non ha organizzato in modo sistematico l’accesso alla medicina di base per gli stranieri senza permesso di soggiorno. Nel dicembre 2012 tuttavia è stato sottoscritto dalla conferenza Stato-Regioni un documento fondamentale, intitolato “Indicazione per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle regioni e delle province autonome italiane” con il quale si promuove l’omogeneità di applicazione su tutto il territorio nazionale delle disposizioni contenute nel Decreto legislativo 286/1998. In questo contesto, la invitiamo a impegnarsi pubblicamente: a garantire il suo impegno perché la legge 286 venga applicata anche in regione Lombardia, e perché la salute per gli immigrati non regolari venga effettivamente garantita tramite una capillare organizzazione dei servizi. ad assicurarsi che in particolare i minori figli di immigrati irregolari ricevano un appropriato accesso alla salute di base, con particolare riguardo alla pediatria di base a promuovere un’effettiva uguaglianza di tutti gli immigrati privi di assistenza sanitaria, siano essi non comunitari (cosiddetti STP, stranieri temporaneamente presenti) o comunitari (cosiddetti ENI, europeo non iscritto). a offrire la propria disponibilità di essere interlocutore, all’interno del consiglio regionale della Lombardia, per i temi relativi alla salute degli immigrati.
La Regione è l’istituzione cui è affidato il compito di garantire la salute pubblica. È per questa ragione che il GrIS si rivolge a chi ha deciso di impegnarsi nel compito di amministrare la Lombardia, con la convinzione che una volta in carica, gli eletti potranno promuovere una maggiore salute sia dei singoli sia della collettività, anche attraverso politiche sanitarie capaci di garantire e/o migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei servizi sanitari del territorio anche per tutte le persone immigrate presenti in Lombardia.
Il diritto di accendere i riflettori sui Cie (Centri di identificazione) e sui Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): è la richiesta proveniente dalla giornata di mobilitazione, intitolata“LaciateCIEntrare”, che vede oggi giornalisti italiani e stranieri, parlamentari di diverse forze politiche, consiglieri regionali, sindacalisti, associazioni e attivisti della società civile manifestare davanti ad alcuni centri in tutta Italia.
Obiettivo dell’iniziativa – promossa da un comitato composto da Fnsi, Ordine dei giornalisti, Articolo 21, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), Primo marzo, Open Society Foundation, European Alternatives; tra i parlamentari, da Jean Leonard Touadi, Rosa Villecco Calipari, Savino Pezzotta, FabioGranata, Giuseppe Giulietti, Furio Colombo, Francesco Pardi (Leggi l’elenco completo degli appuntamenti); i consiglieri regionali di Sel Giulio Cavalli e Chiara Cremonesi – dire no al divieto, stabilito nella circolare n. 1305 del ministero dell’Interno emanata il 1° aprile 2011, con cui si nega ai cronisti la possibilità di accedere a questi centri. Tra i promotori persino Livia Turco, che nel 1998 firmò insieme all’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la legge che istituiva i centri di identificazione e espulsione – che allora si chiamavano Cpt, ovvero centri di permanenza temporanea. La manifestazione si è svolta a Roma, Bologna, Modena, Gradisca, Torino, Milano, Bari, Cagliari, Santa Maria Capua Vetere, Trapani, Catania, Lampedusa, Porto Empedocle. I Cie e i Cara “sono da tempo off limits per l’informazione – ha spiegato il comitato promotore -, luoghi interdetti alla società civile e in cui soltanto alcune organizzazioni umanitarie arbitrariamente scelte riescono ad entrare”.
“La circolare voluta da Roberto Maroni – ha denunciato ancora il comitato – ha reso ancora più inaccessibili tali luoghi, fino a data da destinarsi, in nome dell’emergenza nordafricana”. Giornalisti, sindacati, esponenti di associazionismo antirazzista umanitario nazionale e internazionale, presenti nel territorio in cui sono ubicati Cie e Cara, “sono considerati secondo il testo ministeriale “un intralcio” all’operato degli enti gestori e per questo tenuti fuori. Questo si traduce di fatto in una sospensione del diritto-dovere di informazione che si va ad aggiungere alle tante violazioni già riscontrate in questi centri”.
Il primo appello per l’abrogazione della circolare era stato pubblicato il 26 maggio dal sitoFortress Europe. Lo stesso sito che oggi ha diffuso la notizia, corredata da quattro foto di una giovane tunisina percossa – secondo il suo stesso racconto – da due uomini della Guardia di finanza. La donna, reclusa nel centro di identificazione ed espulsione di Roma, a Ponte Galeria, mostra gli evidenti segni di percosse e manganellate sulla schiena e sul braccio. E racconta: “Stavamo giocando a calcio, io ho colpito la palla e ho preso una ragazza nigeriana sul viso, abbiamo iniziato ad insultarci e alla fine ci siamo prese per i capelli. In quel momento a Ponte Galeria c’era una grande ostilità tra ragazze tunisine e nigeriane anche perché sono le nazionalità più numerose. Nessuna mollava la presa e sentendo le grida sono entrati tre uomini, due della Guardia di Finanza e uno in borghese. Hanno iniziato a manganellarmi per separarci, davanti a tutte le ragazze che assistevano alla scena. Sono stata picchiata dietro la schiena, sul braccio e alla spalla. Mi sono lamentata più volte con gli infermieri del Cie per i forti dolori chiedendo di poter essere accompagnata in ospedale. Ma mi hanno dato sempre e solo dei tranquillanti.” I fatti risalgono agli inizi di giugno 2011. Adesso la ragazza è stata rimessa in libertà. Le foto sono state scattate all’interno della biblioteca del Cie e consegnate da una fonte anonima a Fortress Europe, che le diffonde in anteprima attraverso l’agenzia Redattore Sociale.
Sel: la violazione più grave è il mancato diritto di difesa
Cavalli, consigliere regionale di Sel, dopo la visita istituzionale all’interno della struttura di via Corelli a Milano: “Ogni volta che si entra in questi centri si sentono persone denunciare i pestaggi e le violenze subite. Ormai è un fatto accertato”.
“La violazione più grave sta nel mancato diritto di difesa: qua dentro nessuno sa cosa gli stia succedendo”. Giulio Cavalli, consigliere regionale di Sel, è appena uscito dalla visita istituzionale all’interno del Cie di via Corelli, a Milano. “Ogni volta che si entra in questi centri -prosegue l’attore e politico-, si sentono persone denunciare i pestaggi e le violenze subite. Ormai è un fatto accertato”.
Non appena la delegazione di parlamentari e consiglieri regionali (con l’aggiunta dell’assessore comunale al Welfare Pierfrancesco Majorino, in un primo tempo bloccato all’ingresso) ha varcato la soglia del centro, si è formato un assembramento di detenuti attorno al gruppo, ognuno con la sua storia da raccontare. Ciò che stupisce Chiara Cremonesi, consigliere regionale Sel, è che avevano in mano i loro documenti d’identità: “Non c’è una reale volontà di identificazione. Dal Cie si giustificano dicendo che nonostante il documento si tratta di persone che vanno espulse perché prive di permesso di soggiorno, e che i consolati sono lenti nel provvedere”.
Aumentano i casi di autolesionismo e di tentati suicidi, l’ultimo proprio ieri notte. “Un’impennata che si è registrata nel corso delle ultime due settimane -spiega Chiara Cremonesi- legata alla decisione di prolungare la detenzione da 6 a 18 mesi”. Perché lo fanno? “Sono venuti a sapere che qualcuno, dopo essersi ferito, era stato graziato – risponde il consigliere regionale Sel Giulio Cavalli – non si sa in base a quale principio”. “Mi chiedo come abbiamo fatto a lasciare che questo diventasse possibile”, commenta.
La vicenda più incredibile riguarda un uomo rumeno, rinchiuso da mesi nel centro. “Ha tre bambini nati tutti in Sardegna e dice che pagherebbe il viaggio per andarsene coi suoi soldi se solo lo lasciassero uscire”, racconta Giulio Cavalli. Il consigliere regionale Sel assicura che farà le verifiche necessarie per capire come mai questa persona si ritrova detenuto in un centro d’espulsione, nonostante sia comunitario. Uno dei numerosi aspetti su cui è necessario fare luce, rimasto oscuro in virtù della direttiva del ministero dell’Interno 1305, datata primo aprile 2011: un giro di vite che ha limitato l’accesso ai Cie solo a pochissime Ong internazionali, oltre a Croce Rossa, Caritas e gli altri enti che hanno convenzioni aperte con il Viminale.
“Dentro ci sono 94 persone di cui quattro prorogati con la nuova direttiva. Un’area del centro è tutta da risistemare per la rivolta di maggio, mentre la sala benessere sembra piuttosto una fotografia della Diaz” afferma Giulio Cavalli al termine della visita. I “quattro” sono immigrati a cui stava scadendo il termine di permanenza nel Cie, allungato a 18 mesi con il decreto rimpatri. “Ci è capitato di parlare con gente” continua Cavalli “come un cittadino rumeno che ci ha mostrato di avere i documenti dei tre figli nati in Sardegna, che si dice disposto, per uscire di lì e incontrare i suoi figli, anche a pagarsi pure il viaggio”. Ma il vero problema sono i legali “che dovrebbero essere la chiave di volta per uscire da questa situazione, e invece sono messi a disposizione dalla Croce Rossa, che sono i custodi di questa gente”.
Milano. Il Centro di Identificazione ed Espulsione di via Corelli ha altissime mura di cemento, qualche tratto costellato da filo spinato e militari e polizia a presidiare gli ingressi. Qui si sono ritrovati cittadini, giornalisti (il presidio era organizzato dall’Associazione Lombarda Giornalisti) e alcuni esponenti della politica, per ribadire che non consentire l’ingresso alla stampa nei centri è un ‘buco nero nel sistema democratico del paese’, così come lo ha definito Giulio Cavalli (Sel) presente sul posto. Con lui anche il parlamentare del Pd Jean-Lèonard Touadi, Giuseppe Civati consigliere regionale sempre del Pd e l’assessore al welfare Pierfrancesco Majorino. Civati e Touadi sono entrati nel centro perchè “autorizzati”, Majorino ha tentato ma senza successo: al loro ritorno ci siamo fatti raccontare come è andata e Touadi ha lanciato un invito al Ministro dell’Interno Roberto Maroni: ‘Dovrebbe venire a fare un giro qui”. Servizio Federica Giordani