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Minestre riscaldate

Il centrodestra sta apparecchiando le sue esplosive candidature per le prossime elezioni a Roma e a Milano, le città che di solito sono considerate laboratori politici di ciò che poi accade a livello nazionale. Parlando di Roma e di Milano quindi inevitabilmente verrebbe da dire che le candidature dovrebbero essere il termometro per testare la salute della coalizione. Tenetevi forte: Gabriele Albertini e Guido Bertolaso. Il futuro del centrodestra italiano sta tirando la giacchetta a due giovani (entrambi classe 1950) a cui viene affidato il compito di disegnare il futuro della destra in Italia. Alla grande direi.

Con Albertini a Milano si punta forte sull’effetto nostalgia, quando il centrodestra aveva anche una certa credibilità in termini di governo e non solo come urlatori. Albertini l’umile, quello che di sé dice «io, come industriale, mi considero uno dei più grandi rivoluzionari della storia, perché chi ha cambiato l’uomo, chi ha rivoluzionato l’individuo, non è stata la rivoluzione marxista, è stata l’industrializzazione». Poiché quelli erano tempi di una Milano che ha lasciato sensazione di ricchezza e di serenità si punta al ricordo. Ci si dimentica (come è avvenuto per Letizia Moratti) che Albertini ha anche incassato sonore sconfitte (ma quelle si sa, si dimenticano in fretta): nel 2014 (era passato con Angelino Alfano, ma Salvini sembra esserselo dimenticato) non viene eletto alle europee. Candidato come capolista a Milano (nella sua Milano, eh) a sostegno di Parisi nel 2016 prende 1.376 preferenze (alla grande, eh) e non viene eletto. Ah, una curiosità: Giorgio Gori quando perse le elezioni regionali contro Fontana gli chiese di candidarsi nella sua lista. Per dire.

Bertolaso invece va bene in ogni occasione. L’uomo che nell’immaginario del centrodestra “risolve i problemi” è arrivato in Lombardia e ha avuto il gran ruolo di accorgersi che Fontana e i suoi non riuscivano a concludere un bel niente ma ovviamente Bertolaso questo non ce lo dice. Ora comunica che la sua missione è terminata (ma il problema l’ha risolto Poste italiane con la sua piattaforma che ha sostituito quella costosissima e inefficiente di Regione Lombardia) e in molti lo spingono su Roma. Ora fa il prezioso (eppure nel 2016 non voleva ritirarsi nemmeno di fronte alla candidatura di Giorgia Meloni). Anche per lui vale il condono del tempo: bastano una buona narrazione e un po’ di anni e tutto passa in cavalleria.

Veramente fresca e interessante questa nuova classe dirigente del centrodestra in Italia. Manca solo Berlusconi ma vedrete che prima o poi arriverà anche lui, sicuro.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

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Fontana commemora ma dimentica

Ieri è stato un giorno dolorosissimo per Bergamo, in ricordo delle numerose morti accadute un anno fa in quella zona a causa del virus. Hanno partecipato tutte le più alte cariche dello Stato e tra loro svettava anche Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia.

In Italia c’è da sempre questo vizio di sperare che commemorare una tragedia sia il modo migliore per evitare la responsabilità di raccontarla. Forse andrebbe scritto anche che molti famigliari di vittime di Covid nella bergamasca proprio ieri hanno manifestato tutto il loro disappunto contro Regione Lombardia per i ritardi e gli errori nella gestione della pandemia (dalla “zona rossa” dichiarata solo dopo alcuni giorni, all’ospedale di Alzano chiuso e poi riaperto e molto altro).

Il modo migliore per commemorare delle vittime è costruire un sistema in grado di evitare che si ripetano quelle tragedie. Il prode Fontana con la sua truppa sta sbagliando tutto anche per quello che riguarda le vaccinazioni, nonostante il tuttofare Bertolaso. Alcuni consiglieri del M5s nell’ultima seduta del Consiglio regionale avrebbero voluto fargli notare alcuni punti ma gli è stato impedito di parlarne in aula.

Per comodità del presidente glieli mettiamo qui, nel caso voglia spiegarci qualcosa:

1) Il sistema di prenotazione gestito da Aria ha convocato molti anziani lontano da casa perché non aveva aggiornato i Cap dei comuni.

2) Anziani costretti a percorrere 200 km per farsi vaccinare.

3) Decine di migliaia di utenti over 80 sono rimasti senza notizie poiché non è arrivato alcun feedback della piattaforma.

4) Decine di migliaia di lombardi hanno finalmente ricevuto una convocazione e subito dopo una smentita con un successivo sms (tralasciamo l’orario di ricezione degli sms).

5) La campagna vaccinale per le persone più fragili è partita solo il 14 marzo (malati oncologici, pazienti affetti da malattia respiratori o cardiaca…) con settimane di ritardo rispetto agli annunci delle conferenza stampa.

6) La campagna per gli insegnanti è partita tardi perché nessuno nei mesi precedenti si era dato il pensiero di chiedere alle scuole gli elenchi degli insegnanti stessi. La campagna per gli insegnanti è partita tardi poiché mancavano gli elenchi completi dalle scuole (!).

7) Per gli insegnanti nessun feedback, dovranno controllare più volte al giorno la piattaforma.

8) Non tutti gli insegnanti riescono a controllare se è stato fissato un appuntamento poiché non hanno un fascicolo sanitario in Lombardia.

9) Per 3 giorni si sono iscritti alla piattaforma (attraverso un baco) anche cittadini che non rientrano nelle categorie per le quali sono aperte le vaccinazioni e adesso dovranno controllare tra gli iscritti, chi rientra nella lista dei 200mila insegnanti (sperando sia finalmente completa).

10) Ancora non terminata la vaccinazione nelle Rsa

11) Mancano vaccinazioni domiciliari di disabili allettati (diverso dai fragili).

12) Manca personale sanitario per vaccinare.

13) A Pavia i centri vaccinali sono vuoti perché le persone non ricevono la convocazione e gli operatori sanitari stessi non hanno nemmeno in mano gli elenchi.

14) 900 anziani in fila fuori dal Niguarda per vostri errori.

15) Gli atenei alla fine pesano sul Servizio sanitario regionale, sia l’organizzazione che la supervisione resta a carico del SSR, in particolare del Pio Albergo Trivulzio che, oltre a dedicare posti a disposizione per gli universitari, avrebbe addirittura predisposto una piattaforma informatica dedicata.

16) Dosi di vaccino buttate, sprechi assurdi per incapacità di inviare sms.

17) Sono state almeno 4, in differenti conferenze stampa, le presentazioni del piano vaccinale, con altrettante modifiche e promesse irrealizzabili alla popolazione.

Fontana commemora ma dimentica. Fontana commemora ma non risponde.

Buon venerdì.

(nella foto da destra il presidente Fontana con il presidente del Consiglio Draghi e il sindaco di Bergamo Gori, da un video della cerimonia a Bergamo in ricordo delle vittime della pandemia)

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È solo un armistizio

Giornata convulsa quella di ieri, eh? Però gira questa barzelletta che con il governo Draghi piomberà sull’Italia una grande pacificazione, è il desiderio soprattutto di chi con concezione confindustrialotta del mondo ritiene la politica una gran rottura, un peso burocratico che ci dobbiamo portare sulle spalle solo per fingere di essere democratici anche se l’ideale sarebbe un unico ristretto consiglio d’amministrazione e al massimo i dirigenti giusto per metterci gli amici e qualche capoturno per fare rigare dritto tutto il Paese.

Eppure la politica no, non cessa, seppur sciancata, scricchiolante, troppo spesso troppo poco credibile, in dissenso com’è nella sua natura e perduta nei mille rivoli che sono l’anima stessa del dibattito. Così ieri è accaduto che il Movimento 5 stelle abbia deciso di appoggiare Draghi ma è anche accaduto che il 40% dei votanti sulla piattaforma Rousseau non siano per niente d’accordo con le decisioni di Grillo e Di Maio. A proposito: è vero che votare su una piattaforma proprietaria di una società privata che non ha alcuna trasparenza, con un quesito scritto con modalità saudite (e con il solito italiano incerto) non sia stato un gran bello spettacolo ma che diano lezioni di consultazioni della base i partiti abituati a prendere decisioni nei caminetti o addirittura quelli che galleggiano in partiti padronali fa proprio ridere.

Comunque, dicevamo, ieri il Movimento 5 stelle ha votato e quel 40% in disaccordo pesa, eccome, sul futuro del Movimento e della politica. Nonostante molti editorialisti spernacchino i grillini che si potrebbero spaccare (sempre a proposito della “pacificazione” che per loro consiste nell’eliminazione dell’avversario) ciò che accadrà nel M5s avrà peso per il governo e per le prossime elezioni.

Accade più o meno lo stesso anche nel Partito democratico dove l’apparente quiete è solo una preparazione sotto traccia di un congresso che tra poco si comincerà a invocare. Le mosse di Zingaretti non sono piaciute e non piacciono a molti e l’idea di affondare l’attacco piace anche ai molti (troppi) infiltrati renziani che godono nel vedere macerie.

Accade lo stesso anche nella Lega, che però appare più brava nel nascondere il borbottio interno, dove non sono pochi quelli che contestano a Salvini “un’inversione a Eu” che viene considerata come un tradimento.

Forse solo Giorgia Meloni in questo momento si trova a capo di un partito che la appoggia su tutta la linea. Forza Italia e Italia viva non hanno fremiti: sono delle corti al guinzaglio del loro re. Per questo si piacciono tanto.

Insomma, il quadro è convulso, e i partiti continueranno comunque a fare i partiti, con tutti i loro tremori e con le inevitabili conseguenze. E alla fine Draghi dovrà scendere a occuparsi anche delle “questioni basse” come gli equilibri interni. Che poi è la politica, appunto. Oggi dovrebbe arrivare la squadra dei ministri. Si comincia a ballare.

Buon venerdì.

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L’ex M5S Giarrusso a TPI: “Il Grillo di oggi è un clone dell’originale, l’establishment si è impadronito del Movimento”

Mario Michele Giarrusso, ex senatore del Movimento 5 Stelle ora nel Gruppo Misto, alla sua seconda legislatura e attivista del Movimento dal 2006 usa parole durissime contro Beppe Grillo e sul voto, per ora bloccato, su Rousseau per interpellare gli iscritti M5S sul Governo Draghi. L’abbiamo intervistato per TPI.

Giarrusso, che significato ha questo stop voluto dal M5S al voto sulla piattaforma di Rousseau?
“È il momento della frattura, penso ormai definitiva, fra Casaleggio e l’establishment che si è impadronito del vertice del Movimento con l’appoggio di Grillo, che continua a sostenere questo gruppo dirigente preoccupato solo dalle poltrone. Perché solo di poltrone stanno parlando con Draghi in questi giorni”.

Quindi Casaleggio voleva il voto per sferrare un attacco? Perché?
“Casaleggio attacca perché vuole far fallire il piano dei poltronisti facendo esprimere il Movimento. Ancora non c’era stato l’endorsement di Grillo e gli attivisti avrebbero bocciato sonoramente l’appoggio a Draghi”.

Quindi è stato Casaleggio a volere il voto sulla piattaforma?
“Certo. Tant’è che gli era stato detto che, secondo lo Statuto, il voto sulla piattaforma poteva essere chiesto solo da Grillo e dal capo politico provvisorio Crimi. Tra l’altro Crimi è un capo politico abusivo, visto che è scaduto da 10 mesi e continua a trattare decisioni delicatissime di importanza capitale. Invece la votazione l’ha voluta Casaleggio, forte del fatto di avere le chiavi della piattaforma. E si è sfiorata la frattura al contrario, poiché avrebbero lasciato il Movimento i ‘governisti’, quelli che vogliono a tutti i costi Draghi”.

Ma questa frattura è solo rimandata o potrebbe rientrare?
“Secondo me è solo rimandata. Ci si spaccherà tra i poltronisti e quelli che seguono Di Battista. Tra l’altro il video di Grillo è veramente patetico: far passare per grillino Draghi è una cosa che va al di là dell’immaginazione. Sembra che Grillo sia stato clonato e sostituito da una brutta copia”.

Qualcuno dice che sia anche poco rispettoso nei confronti del Governo dover aspettare un eventuale voto dei grillini su Rousseau. Che ne pensa?
“Ogni gruppo politico ha le sue liturgie: ci sono le direzioni, i direttivi, i comitati centrali. Questo non è un problema. Ogni gruppo politico decide con le proprie strutture. Il problema è che si sta facendo una votazione comunque al buio, senza sapere il programma di Draghi e la squadra di ministri, che farà capire molto. E quindi la votazione va fatta dopo avere appreso programma e squadra”.

Siete entrati come M5S (anche se lei poi ha abbandonato il gruppo) in Parlamento con il mantra di non allearsi con nessuno e siete stati alleati prima con Salvini, poi con Renzi,Pd e Leu, ora con Salvini, Renzi, Pd, Forza Italia, Calenda e Tabacci…
“C’è gente che è venuta in Parlamento solo per andare a prendere una poltrona governativa: penso a Buffagni, Spadafora… Questi si alleerebbero con il lavandino di Palazzo Madama pur di andare al Governo. C’è stata una mutazione genetica gestita da Luigi Di Maio, che è stato preso da una voracità senza limiti di potere e di poltrone”.

Leggi anche: 1. Draghi non parla ma è già furioso con i 5 Stelle in piena emergenza Covid (di M. Antonellis) / 2. La moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei titoli derivati: Mario Draghi santo subito (di Alessandro Di Battista)

L’articolo proviene da TPI.it qui

È che ci vorrebbero felici di essere schiavi

Il “rider felice”: un articolo de La Stampa – che si è basato su una notizia falsa – rivela una narrazione che colpevolizza i disoccupati alimentando pregiudizi

Ieri ha fatto molto discutere un articolo pubblicato da La Stampa, a firma di Antonella Boralevi, che racconta di tale Emiliano Zappalà, un rider felicissimo di essere rider, secondo Boralevi, che pedala per 100 km al giorno e guadagna come un manager dopo avere dovuto chiudere il suo studio da commercialista a causa dell’epidemia. Il sottotesto dell’articolo (in cui si attacca anche il reddito di cittadinanza) è in sostanza questo: se siete poveri è colpa vostra che non avete voglia di fare un cazzo perché il mondo del lavoro è pieno di grandi opportunità. Insomma, il solito articolo da libberisti (con due b) che vedono in giro un mondo perfetto e che tacciano coloro che rivendicano diritti come fastidiosi lagnosi.

“Si chiama Emiliano Zappalà, ha 35 anni. Aveva aperto uno studio di commercialista, il Covid gliel’ha fatto chiudere. E lui, invece di chiedere il reddito di cittadinanza, si è messo a lavorare. Dove? In uno dei settori che il Covid ha reso vincenti: la consegna a domicilio. Business raddoppiato in 10 mesi, come il numero degli addetti”, si legge nel pezzo di Boralevi. E già l’incipit è roba da orticaria. E poi: “Come racconta in un’intervista al Messaggero, da quasi un anno il Dottor Zappalà è un rider di Deliveroo. Cioè fa circa 100 chilometri al giorno in bicicletta, con un borsone giallo sulle spalle e consegna pizze e pranzi e spesa. Guadagna 2000 euro netti al mese e, certi mesi, anche 4000. Uno stipendio da manager. Ed è felice”. Felice, capito?

Il pezzo ovviamente è diventato subito combustibile per infiammare gli stomaci contro gli sfaticati che si lamentano e che non producono. Tutto perfettamente in linea con una certa narrazione che vorrebbe risolvere il problema della povertà e dei diritti del lavoro semplicemente negando. Se è felice Emiliano Zappalà dovremmo essere felici tutti. Ovvio. Ah, il grande sogno americano.

Peccato però che Emiliano Zappalà non esista e che quell’articolo sia completamente falso. E c’è da scommettere che tutti quelli che l’hanno rilanciato siano gli stessi che inorridiscono per le fake news in internet, ci metto la firma.

Emiliano Zappalà si chiama Emanuele (vabbè, ha solo sbagliato il nome, una giornalista, a proposito di meritocrazia e di cura nel proprio lavoro), ha studiato da commercialista ma non lo è mai diventato e quindi non ha mai aperto uno studio che quindi non è mai stato costretto a chiudere per la pandemia. Anzi i chilometri che percorre li macina su un motorino. Quindi si perde anche il culto dell’attività fisica, che peccato. Raggiunto da un giornalista de La fionda racconta di avere avuto mesi positivi, di lavorare molte ore al giorno e di guadagnare in media 1.600 euro al mese. Niente stipendio da manager, insomma. Anzi a voler indagare per bene si vede che proprio un Emiliano Zappalà risulta tra i firmatari del contratto siglato da Assodelivery e Ugl, un contratto che introdusse un “cottimo mascherato” e per questo è stato sconfessato e ritenuto illegittimo dallo stesso ministero del Lavoro. Tra l’altro, denunciano molti rider, “la sottoscrizione del contratto è stata utilizzata dalle aziende per ricattare più o meno velatamente i lavoratori: chi non firma, viene estromesso dalle piattaforme”. Insomma Zappalà è molto aziendalista, senza dubbio. E infatti dal suo profilo Linkedin rilancia con molto entusiasmo le comunicazioni aziendali di Deliveroo.

Quindi per l’ennesima volta la favola che avrebbe dovuto colpevolizzare i disoccupati si rivela semplice fuffa buona solo ad alimentare pregiudizi. Un bell’editoriale che si basa tutto su una notizia falsa e su una pregiudiziale narrazione a favore dello schiavismo felice. Perché loro ci vorrebbero così: mica solo schiavi, addirittura anche felici.

A proposito: “è un fatto o no?” chiedeva Antonella Boralevi in chiusura del suo saccente articolo. No, signora Boralevi. No.

Buon martedì.

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Ma quanto è brutta Itsart, la Netflix di Franceschini

Alla fine è comparso il sito. Non aspettatevi niente, per carità, ma se volete toccare con mano la stucchevole idea della “Netflix della cultura” che il ministro Franceschini sventola da un po’ come brillante ispirazione (con quello mania tutta italiana di inventare brutte e poco funzionali copie delle idee degli altri) allora potete farvi un giro sul sito www.itsart.tv, il portale che nella mente del ministro dovrebbe rilanciare lo spettacolo dal vivo.

Aperto il sito vi capiterà per ora di vivere una sensazione irreale di distonia internettiana: il logo .ITSART è di una bruttezza che fa spavento, completamente disallineato dai canoni attuali della grafica, una macchietta che sembra provenire direttamente dagli anni ’90 come se in mezzo non ci fosse stata tutta l’evoluzione del web a cui abbiamo assistito. Campeggia in alto una scritta che suona come una minaccia, “stiamo arrivando” è scritto tutto in maiuscolo, in un font “Segment Black” che costa 17,99 euro sui siti specializzati. Appena sotto la formidabile idea: «ITSART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo». Infine la mail dove inviare le proposte di contenuti, eventi e manifestazione culturali, come allo sportello di una pro loco di provincia che raccoglie idee per il proprio volantino. Se è vero che il mondo dello spettacolo da sempre è la fabbrica delle emozioni e dello stupore c’è da dire che la sua mastodontica casa pensata dal ministero per navigare nella rete appare una premessa piuttosto sgonfiata.

Ma il punto sostanziale è un altro: il progetto per la creazione della prima piattaforma digitale della cultura prende il via, su iniziativa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo insieme alla Cassa Deposito e Prestiti e dovrebbe “sostenere il settore delle arti dello spettacolo particolarmente colpito nel corso della pandemia”, sostiene il comunicato stampa. Per la gestione della piattaforma è stata costituita una nuova società (ovviamente) controllata al 51% da CDP e per il 49% dalla società privata CHILI Spa. Si sa ancora poco sui costi ma verrebbe subito da chiedersi perché lo Stato non abbia preso già in considerazione di avere un’enorme (e dispendiosa) “piattaforma per la cultura” che si chiama Rai e che ha la valorizzazione delle arti e dello spettacolo nel suo contratto di servizio. La Rai, tra l’altro, possiede anche una sua piattaforma web, Rai Play, che era stata pensata proprio per questo. Ma niente. Poi ci sarebbe da chiedere come possano risollevarsi le compagnie teatrali, di musica e di danza in un momento in cui sono state completamente dimenticate dalla politica. Ma forse, davvero, basta mandare la mail. E .ITSART li renderà tutti ricchi. C’è da scommetterci.

L’articolo Ma quanto è brutta Itsart, la Netflix di Franceschini proviene da Il Riformista.

Fonte

Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

A Bari il segretario provinciale di Forza Nuova, fra gli organizzatori della manifestazione di protesta cittadina, ha messo alla gogna una giornalista di Repubblica. Sulla vicenda sta già indagando la Questura. A Palermo il leader locale di Forza Nuova, Massimo Ursino, lancia la manifestazione di oggi con messaggi bellici: “Se questo governo ispirato da poteri anti-popolari ed anti-nazionali come l’Oms, ci trascinerà alla rovina ed alla guerra sociale, sappia che troverà il popolo italiano pronto a combattere strada per strada, piazza per piazza”.

In Piazza del Popolo a Roma Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader nazionale e locale del movimento, erano nel gruppo che ha lanciato bombe carta e che è stato disperso con gli idranti della polizia. A Milano tra i 28 denunciati ci sono persone vicine a Forza Nuova. A Torino si parla di ultrà che il questore definisce sotto la “regia di professionisti della violenza”. A Napoli qualche giorno fa, si sa, Forza Nuova era in piazza e il leader Roberto Fiore ha lanciato l’attacco direttamente dai suoi profili social. Dove le proteste sono sfociate in violenza i militanti di Forza Nuova, come le sue figure apicali territoriali, sono sempre stati presenti e addirittura hanno rivendicato la guerriglia.

Del resto è tipico della loro matrice fascista: rivendicare l’uso della forza è l’unico modo per alzare la voce e farsi notare. Parliamo di un partito che è riuscito a farsi cancellare da Facebook e Instagram perché, lo ha scritto proprio il social network, “le persone e le organizzazioni che diffondono odio” non possono essere presenti sulle sue piattaforme. Parliamo di un segretario di quello che vorrebbe essere un partito, come Roberto Fiore, che è stato condannato per banda armata e associazione sovversiva come capo di Terza posizione, l’organizzazione che alla fine degli anni Settanta ha riunito alcuni dei criminali più violenti della destra eversiva.

Un partito denunciato 240 volte per violenza dal 2011 al 2016. Quattro volte al mese. E allora la domanda è sempre la stessa, in questi giorni ancora di più: ma cosa si aspetta a sciogliere i partiti neofascisti che in Italia sono vietati dalla Costituzione? Cosa si aspetta a prendere l’esempio dalla Grecia con Alba Dorata e dichiarare fuorilegge un partito che in questi giorni sta giocando sulla disperazione con la violenza? Cosa?

Leggi anche: 1. Roma, violenti scontri in piazza del Popolo durante la manifestazione contro il Dpcm | FOTO E VIDEO / 2. Poi però non vi meravigliate se la gente comune impoverita scende in strada a protestare

L’articolo proviene da TPI.it qui

I rider di Uber Eats erano schiavizzati: la compagnia commissariata per caporalato

L’inchiesta su Uber Italy che vede coinvolte 10 persone per caporalato tra cui la manager di Uber Gloria Bresciani è la perfetta fotografia di un momento storico, al di là poi della rilevanza giudiziaria: sistematizzare le disperazioni per poterle spolpare fino all’ultimo centesimo appoggiandosi sulle povertà e nascondendosi dietro l’algoritmo di una piattaforma è il comandamento degli sfruttatori del 2020, gli schiavi non sono più solo nei campi con le schiene spezzate ma macinano chilometri sotto il sole o sotto la pioggia per la miseria di una lavoro sottopagato a cottimo come nelle peggiori storie di secoli fa.

È uno schiavismo scintillante, quello del delivery che ci porta comodamente i cibi a domicilio, che una certa narrazione è riuscito addirittura a rivenderci come una conquista. Solo che nel vocabolario impolverato dei diritti ormai sembra essersi smarrito il senso che una “conquista” lo è se porta vantaggi a tutti e invece qui ci troviamo di fronte a lavoratori, ancora una volta, stretti nella morsa di azienda e clienti.

Tra gli indagati anche Danilo Donnini e Giuseppe e Leonardo Moltini, amministratori della Flash Road City Srl e della Frc Sr, che andavano a cercare carne da macello da fare salire in bicicletta nelle sacche più in difficoltà delle storture politiche: i “pericolosi” immigrati in attesa di protezione umanitaria, quegli stessi che vengono già mangiati da certa propaganda politica, tornavano utilissimi per diventare manovalanza. Sono perfetti, se ci pensate, per un certo tipo di capitalismo: si ritrovano in una posizione di debolezza per reclamare diritti e hanno troppa fame per rinunciare a un lavoro.

Si legge nelle carte del pm di Milano Paolo Storari che gli indagati “approfittavano dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo dimoranti nei centri di accoglienza straordinaria, pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale” e li destinavano al lavoro per il gruppo Uber “in condizioni di sfruttamento”. Pagamenti a cottimo per 3 euro a consegna, indipendentemente dalle distanze da percorrere e dalla fascia oraria, mance dei clienti che venivano sottratte, punizioni arbitrarie: “Abbiamo creato un sistema per disperati, ma i panni sporchi si lavano in casa”, diceva intercettata al telefono la manager di Uber. Consapevoli di essere degli schiavisti e sicuri di poter ambire all’impunità. Forse sarebbe il caso di imparare presto i nuovi riferimenti per riconoscere le nuove schiavitù. In fretta.

Leggi anche: Rider sfruttati, Uber Italia commissariata dal tribunale

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