La migliore analisi sulla bufala del senatore Esposito l’ha disegnata Zerocalcare
(dal suo profilo fb qui)
Niente editoriali, niente articolesse. Solo penna. Quella di Zerocalcare. Da vedere.
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Niente editoriali, niente articolesse. Solo penna. Quella di Zerocalcare. Da vedere.
(Valerio Renzi per Fanpage ricostruisce l’ennesima figura barbina del senatore del PD Esposito. Avanti così, eh)
I fatti di piazza Indipendenza, con lo sgombero di decine di rifugiati dall’immobile di via Curtatone, hanno scatenato roventi polemiche, soprattutto in relazione all’operato delle forze di polizia. In particolare, sotto accusa è finito il comportamento di un dirigente di polizia, ripreso da un video di Fanpage.it mentre arringa i suoi dicendo: “Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Una versione contraddetta dal senatore del Pd Stefano Esposito, che attraverso i suoi profili social rilancia un “documento alternativo”, ovvero una presunta versione “integrale” delle parole del dirigente di polizia.
La trascrizione del dialogo che difende la polizia, di cui non c’è l’audio
Secondo Esposito, dunque, il dialogo fra un celerino e il dirigente sarebbe stato il seguente:
“Dottore questi ci stendono, vede quanti sono? Noi siamo solo in dieci e loro hanno bombole di gas e sampietrini”. “Ragazzi lo dobbiamo fare, ce lo hanno ordinato e non possiamo tirarci indietro. Quando saremo li in mezzo, saremo soli, noi dieci contro loro cento. Il primo obiettivo è portare a casa la nostra pelle e quella del nostro fratello nel casco accanto. Allora se iniziano a lanciare di tutto spezzategli le braccia ma portate la pelle a casa”.
Una versione dei fatti di cui non ci sono riscontri, rilanciata anche da il Giornale (che parla genericamente di registrazione diffusa sul web), che rimbalza tra gruppi Facebook e catene WhatsApp. Sollecitato dalle domande di chi mette in dubbio la veridicità di questa ricostruzione, Esposito si difende dicendo di aver usato il condizionale e spiega che a fornirgli la trascrizione è stato il segretario Piemonte del sindacato di polizia Siulp, “persona seria che non ha mai raccontato balle”. Ma dell’audio ancora nessuna traccia, mente noi di Fanpage.it possiamo confermare di non aver effettuato alcun taglio e di aver diffuso il video integrale dei concitati momenti della carica a Termini.
La ricostruzione della carica contro i rifugiati alla stazione Termini
Non solo il dialogo appare particolarmente prosaico e letterario per essere avvenuto in un momento così concitato, ma soprattutto la situazione descritta è molto diversa da quello che stava accadendo. È giovedì 24 agosto e sono circa le 13.30. Un gruppo di rifugiati sgomberati da piazza Indipendenza, qualche decina sostenuti da attivisti delle rete antirazziste si muovono in un piccolo corteo tra strade e marciapiedi essendo stati definitivamente allontanati dalla piazza.
Arrivati nei pressi della Stazione Termini la situazione si fa tesa: l’idea è quella di accamparsi davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore a piazza dei Cinquecento, ma le forze dell’ordine chiariscono che non lo permetteranno, chiedendo ai rifugiati di ripiegare sui giardinetti della stazione se proprio vogliono “megafonare”. A quel punto, proprio da piazza dei Cinquento arriva un altro plotone di polizia che carica i manifestanti disperdendoli tra i capolinea. Proprio in quel momento si sente l’invito del dirigente a “spezzare le braccia”.
È una fase molto diversa della giornata rispetto alle prime ore del mattino, quando i rifugiati sgomberati dal palazzo di via Curtatone reagiscono all’ordine di liberare i giardini di piazza Indipendenza, lanciando oggetti contro le forze dell’ordine comprese bombole del gas, come testimoniato dai video resi pubblici dalla questura di Roma e diffusi da tutti i mezzi d’informazione. Episodi per cui già sono stati eseguiti quattro arresti. Dispersi con idranti e manganelli,, costretti a lasciare i loro averi sulla piazza liberata dalla loro presenza, in quel momento i manifestanti non sembrano rappresentare un pericolo per l’incolumità delle forze dell’ordine
Francesca Fornario è un’amica e in questi giorni convulsi sullo sgombero di piazza Indipendenza ha scritto un pezzo che vale la pena leggere. Ah. Lei era lì. Tanto per capirsi:
“Devono sparire, peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio“, grida il poliziotto durante lo sgombero. Il bilancio delle cariche a piazza Indipendenza sarà infatti di piedi e nasi rotti, lividi che passeranno e ferite che no, perché si cancella il sangue dall’asfalto ma non il segno che lascia assistere, da bambino, alle manganellate inflitte a tuo padre dai poliziotti armati che irrompono in casa all’alba (è questo che ricorderanno le decine di bambini portati via a forza dallo stabile in cui vivevano da cinque anni).
E tutti, sui social, a prendere le parti, convinti da una narrazione giornalistica sciatta e in malafede che le parti in campo fossero poliziotti contro migranti, “Che però uno ha lanciato una bombola del gas”. “Che però era vuota”. Convinti che tra loro vadano cercati i violenti. Le testimonianze dei presenti circolano secondo la risonanza che trovano: “Ma quella donna l’hanno sbattuta a terra con l’idrante e poi le usciva il sangue dal naso e da un’orecchio!” (commento su Facebook). “La carezza del poliziotto a una migrante disperata” (home page di Repubblica).
A piazza indipendenza io c’ero. Avrei potuto scrivere ieri di quello che ho visto, ho preferito scrivere oggi di quello che so, perché temo che si scriva solo degli effetti e non delle cause; solo della violenza in piazza – raccontata con parole sbagliate: “gli scontri”, che in realtà sono cariche, una parte armata ne carica una disarmata – e non, invece, della violenza più impetuosa e virulenta che innesca le cariche, generando l’esclusione sociale che porta alle occupazioni abusive e agli sgomberi.
Il termine “violenza” ha, sul vocabolario, due sfumature di senso. Violenza è la furia aggressiva delle cariche e dei manganelli, quella di quando chi la esercita e chi la subisce vengono immortalati nella stessa inquadratura, consentendo a chi commenta la foto sui social di discettare su chi ha aggredito chi. Ma questa violenza di piazza non esisterebbe senza quell’altra, più esecrabile perché esercitata da chi avrebbe il compito di “rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza tra i cittadini e impediscono il pieno di sviluppo della persona”, come recita la Costituzione. La violenza dei poliziotti non si abbatterebbe sui profughi, sugli studenti, sui lavoratori in sciopero se non fosse preceduta dalla violenza dei governanti: dall’abuso, la prevaricazione, la violazione del diritto. “Violenza” è violare la Costituzione che contempla la casa e il lavoro tra i diritti fondamentali – come il diritto dell’esule a ricevere protezione – bloccando l’assegnazione delle case popolari e sbloccando le concessioni edilizie ai palazzinari.
Violenza è la prevaricazione dei molto ricchi sui molto poveri, il privilegio metodicamente concesso per legge ai più facoltosi, anche tra gli immigrati: gli stranieri con grandi patrimoni vengono invitati a stabilire in Italia la residenza godendo di un formidabile sconto sulle tasse per poter fare la bella vita; gli stranieri senza grandi patrimoni vengono respinti nei paesi dai quali fuggono per sopravvivere. Questa violenza feroce non si accanisce solo sui migranti ma sui poveri in genere, perché il potere – a differenza dei poveri cristi che umilia e perseguita – non è razzista: è classista. Agli sceicchi arabi le istituzioni destinano lo scudo, ai profughi eritrei il manganello, a chi costruisce ville abusive lo scudo e ai senza tetto che occupano uno stabile abbandonato il manganello.
Mai il contrario: avete mai visto la polizia caricare i banchieri che truffano i pensionati o pestare gli industriali che sfruttano i lavoratori? “Creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all’abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso”, recita una sentenza della Corte costituzionale (n. 217 del 25 febbraio 1988).
Questo “diritto inviolabile all’abitazione” viene invocato per il miliardario che non paga tasse sulla prima casa e calpestato per l’esule del quale le istituzioni dovrebbero farsi carico: violato per l’esule sotto protezione come per il cassaintegrato sotto sfratto, per il precario che vive con i genitori perché senza un contratto stabile la banca non concede il mutuo e via elencando le miserie dei miseri che si accaniscono gli uni contro gli altri invece di coalizzarsi per ribellarsi a chi li riduce in miseria.
La violenza andata in scena a Roma – e nel resto del Paese – è questa. La sistematica difesa del privilegio, il pervicace oltraggio del diritto. Sono queste le cause dell’emergenza abitativa che – come ho scritto qui – non è un’emergenza: non è un accidente imprevisto ma è il frutto di precise scelte politiche. È vile prendersela con chi per disperazione ha lanciato una bombola, è troppo comodo prendersela solo con la Polizia. Bisogna condannare i violenti che hanno fermato l’assegnazione delle case popolari esistenti e impedito che se ne costruissero di nuove con fondi già destinati e su aree pubbliche di piccole dimensioni perché “Siamo contro il consumo di suolo” e, contemporaneamente, hanno accordato ai privati il permesso di cementificare 20 ettari di suolo per costruire lo stadio.
Con i violenti che tolgono un tetto sopra la testa a decine di famiglie per restituirlo a un fondo immobiliare che ne farà un centro commerciale. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge concepita allo scopo di respingere gli esuli lasciandoli morire in mare e nelle carceri libiche. Con i violenti che hanno scritto e votato una legge che consentire lo sfruttamento dei richiedenti asilo (è di ieri il caso della cooperativa di Treviso che proponeva alle aziende del territorio ragazzi “gentili, umili, volenterosi, con un’ottima resistenza fisica e che non avanzano alcuna pretesa dal punto di vista retributivo, professionale o di turnazione” disposti ad accettare una paga di 400 euro al mese), ultima di molte leggi violente scritte per consentire lo sfruttamento di tutti i lavoratori.
I violenti sono quelli che mandano in pensione a 68 anni un metalmeccanicoche lavora all’altoforno – condizione che determina una riduzione dell’aspettativa di vita di sette anni – e non ci mandano affatto un precario. Sono quelli che poi mandano la polizia a caricare migranti, metalmeccanici e precari. “Devono sparire”, ha detto ai suoi il poliziotto riferendosi ai rifugiati, come direbbe un netturbino diligente dei mozziconi di sigaretta. La violenza delle manganellate contro gli inermi è l’inevitabile conseguenza del reagire alla povertà come si reagisce allo sporco sui marciapiedi, trattando gli esseri umani peggio delle cose: picchiando i primi per proteggere le seconde.
Le manganellate, quando si affida la gestione del disagio abitativo a persone armate di manganello, non sono un incidente. La violenza non è un incidente. È il nuovo – vecchissimo – imperativo morale del potere. Dopo il fascismo, avevamo scritto una Costituzione che aveva tra gli scopi più nobili quello di combattere le disuguaglianze e la povertà. L’abbiamo tradita per combattere i poveri. Con una furia che oltre che ignobile è demenziale: dopo 20 anni di leggi e politiche che hanno diligentemente concesso sconti e agevolazioni fiscali ai ricchi, precarizzato il lavoro, compresso i salari e i diritti, alimentato le speculazioni immobiliari, fermato l’edilizia popolare, tagliato i servizi e l’assistenza mentre si acquistavano cacciabombardieri tornado, i poveri sono triplicati. Sono quasi cinque milioni gli italiani in povertà assoluta, circa otto quelli in povertà relativa, più di dodici quelli che rinunciano alle cure mediche perché non possono permettersele. Gli stessi che hanno votato e scritto le leggi che hanno moltiplicato i poveri, sguinzagliano in strada i poliziotti per farli sparire.
A Roma la polizia è stata schierata contro i profughi senza casa, in difesa del capitale di un fondo immobiliare, a conclusione di un ciclo storico coerente: prima abbiamo invaso e saccheggiato l’Etiopia e l’Eritrea, depredato quei paesi di ogni risorsa, riducendo in schiavitù donne e bambine. Poi abbiamo armato e finanziato il regime di un dittatore sanguinario come Afewerki, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità. Infine, abbiamo sfrattato i profughi etiopi e eritreiche la legge ci impone di accogliere e proteggere (la legge, non il buon cuore) e manganellato quelli che resistevano allo sfratto. Il tutto, da un secolo a questa parte, per accumulare ricchezze nelle mani di pochi sempre più ricchi a scapito dei molti sempre più poveri.
La violenza inferta ogni giorno da chi dovrebbe proteggerci è questa e il razzismo, oggi come allora, è solo il veleno iniettato alle masse attraverso la propaganda mediatica per evitare che ogni povero si accorga che ogni altro povero gli somiglia.
P.s.: Qualche giorno fa, preoccupati per l’attacco alle Ong, abbiamo scritto un appello. Lo abbiamo firmato quasi in quindicimila. Tra i primi, lo hanno condiviso Erri De Luca, Vauro, Michela Murgia, Padre Alex Zanotelli, Tomaso Montanari, Anna Falcone, Alberto Prunetti, Moni Ovadia, Marco Revelli, Livio Pepino, Marta Fana, Christian Raimo, Mauro Biani, Giulio Cavalli, Alessandro Gilioli. Tanti i portavoce di associazioni e le realtà di base impegnate nell’accoglienza, da Filippo Miraglia dell’Arci a Giuseppe De Marzo di Libera; Monica Di Sisto di Stop Tiip e Ceta, Patrizio Gonella di Antigone, Domenico Chionnetti della Comunità Don Gallo, Baobab Experience, l’Ex-Opg occupato di Napoli, la Casa Internazionale delle Donne, Tpo Bologna e Labas occupato, sindacati come Si Cobas, i segretari di molti partiti che mettono la questione sociale tra le priorità: Maurizio Acerbo di Rifondazione, Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, Giuseppe Civati di Possibile, DeMa: il movimento di Luigi De Magistris, gli europarlamentari de L’Altra Europa, tantissimi comuni cittadini, ricercatori, persone impegnate nell’accoglienza. La nostra preoccupazione non sembra condivisa dalla maggioranza delle persone. Non lo era nemmeno quella dei professori universitari che si opposero a Mussolini rifiutandosi di aderire al Fascismo: furono appena 12 su 1250. Moltissimi altri cambiarono idea, col tempo.
È qui, vi invito a firmarlo: www.progressi.org/iopreferireidino
(fonte)
(Ecco. Il pezzo di Diego Pretini per Il Fatto conviene leggerlo e farlo leggere a chi parla di casi “isolati”. Perché la recidività si paga, nel codice penale italiano. No?)
“Caricate!” urlò agli agenti del reparto mobile, saltando sul posto. “Caricate!” ripeté. Stava arrivando il corteo degli operai Thyssen che protestavano perché l’azienda voleva licenziare oltre 500 persone. In testa c’erano il segretario della Fiom Maurizio Landini e quello della Fim Marco Bentivogli. Una garanzia per chi manifestava, ma anche per chi doveva garantire l’ordine pubblico. Eppure: “Caricate!” gridò il funzionario della questura che comandava quella squadra del reparto mobile. Le prese anche Landini. “Non siamo delinquenti – disse poi, imbestialito – Non si mena chi è in piazza a difendere i lavoratori”. Mentre prendeva le manganellate il capo del sindacato dei metalmeccanici gridava: “Siamo come voi, che cazzo state facendo?”. Ma ormai la carica era cominciata. Fu documentato, tutto, grazie alla telecamera di Zoro, che mandò tutto in onda a Gazebo, su Rai3. Una “carica a freddo”, la definirono i lavoratori. In quelle immagini si vide anche il confronto tra Landini e il dirigente della questura, quello del Caricate! Si urlarono in faccia, “Dimmelo prima!” rispose il superpoliziotto al capo della Fiom, prima di scomparire in una telefonata con chissà chi. Quattro manifestanti rimasero feriti e tra questi due sindacalisti, quattro agenti rimasero contusi. La questura, quel 2 novembre 2014, spiegò poi che la carica di contenimento serviva a evitare che i manifestanti occupassero la Stazione Termini.
Caricate!: la voce è la stessa che ieri da piazza dei Cinquecento, durante lo sgombero dei migranti vicino alla Stazione Termini, è finita su tutti i giornali online. “Se tirano qualcosa spaccategli un braccio” si sente dire in due video di fanpage.it e di Repubblica.it. Una frase sulla quale la polizia ha annunciato un’inchiesta interna, che il prefetto Franco Gabrielli tanto “grave” da “avere conseguenze”. “Levatevi dai coglioni, carica, forza” si sente dire ancora una volta dalla stessa voce in un altro filmato pubblicato dal fattoquotidiano.it mentre i migranti scappano attraversando le strade, salendo e scendendo i marciapiedi delle fermate degli autobus, mentre viene superato da decine di agenti e una donna corre a fatica. Le unità al suo comando, scrive l’Ansa, ieri sono state estromesse dal servizio nella seconda parte della giornata. Lui non risponde al telefono e ad amici e colleghi dice che non parlerà. L’associazione dei funzionari di polizia parla di “strumentale clamore” nato da una “frase sbagliata”, pronunciata “dopo ore di tensione” e dopo che il poliziotto e i suoi colleghi sono stati “bersaglio di ogni oggetto contundente possibile, fino alle bombole di gas”.
Oggi è tutto un pullulare della carezza del “poliziotto buono” tesa a consolare la donna eritrea (ha un nome: Genet) in piazza Indipendenza. Ma la narrazione di quella foto diventa propaganda. E questo, anche questo, è inaccettabile.
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Ecco qui. Prendetevi due minuti. E guardate:
Non è nemmeno una “guerra tra poveri” ormai: è una guerra ai poveri. Tutti. E anche se i poveri “nostrani” esultano le regole e diritti in realtà stanno saltando anche loro. È il deserto culturale di un’Estate Romana che il vicesindaco Bergamo aveva annunciato in pompa magna come rinascita culturale della capitale e che invece sta fabbricando deserto.
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