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piazza

Un linguaggio comune

Un gran pezzo di Ugo Mattei. Almeno per tornare a parlare di cose serie e per leggere in questo momento politico persone, sigle e informazioni.Un linguaggio nuovo è ciò che riduce ad unità le battaglie politiche di dimensione globale per i beni comuni che oggi si ritrovano in piazza. In Italia di queste battaglie e della produzione di questo linguaggio il manifesto è stato in questi anni protagonista, fino ad essere riconosciuto esso stesso come un bene comune. Queste battaglie, dall’acqua all’Università, dal Valle di Roma al no Tav della Val Susa, dall’opposizione ai Cie ai Gruppi azione risveglio di Catania, sono declinate in modo diverso nei diversi contesti, ma fanno parte di uno stesso decisivo processo costituente. Muta la tattica ed il suo rapporto con la legalità costituita. Resta costante la strategia costituente che immagina la società dei beni comuni. Ovunque si confrontano paradigmi che travolgono la stessa distinzione fra destra e sinistra, consentendo vittorie clamorose come quella referendaria su acqua e nucleare. Il paradigma costituito fondato su un’idea darwinista del mondo che fa della crescita e della concorrenza fra individui o comunità gerarchiche (corporation o Stati) l’essenza del reale. La visione opposta, fondata su un’idea ecologica, comunitaria solidaristica e qualitativa dello sviluppo, può trasformarsi in diritto soltanto con un nuovo processo costituente, capace di liberarsi del positivismo scientifico, politico e giuridico che caratterizza l’ordine costituito da cinque secoli a sostegno del capitalismo che ancora colonizza le menti e i linguaggi. Il modello costituito è sostenuto dalla retorica sullo sviluppo e sui modi di uscita dalla crisi, che i media capitalistici continuano a produrre, nonostante la catastrofica situazione ecologica del nostro pianeta. L’insistenza mediatica è continua e spudorata ma progressivamente meno seducente e le forze costituenti costruiscono nella prassi quotidiana un mondo nuovo e più bello. 

Ora tocca a noi

Nel Castello di Rio Maggiore (SP) abbiamo messo in moto il nostro “modo”. Che non punta a diventare eclatante e fascinoso ma è costruito con le persone, le pratiche e le idee sui territori. Almeno per provare a prendere le distanze dai (troppi) movimenti che sono scendiletto di partito o comitati elettorali camuffati per il prossimo salto prima di fine mandato. Perché la richiesta che ci arriva è soprattutto di serietà, di spegnere questa arroganza di volere essere sempre parte di tutto in attesa che cada addosso una leadership e soprattutto di parlare di soluzioni. E di un pensiero che diventi collettivo piuttosto che un cognome per i prossimi santini elettorali. Perché in un momento in cui servirebbe una responsabile riflessione nel centrosinistra succede che le lepri sono già in corsa verso il traguardo e qualcuno si mette in scia per un posto buono; e così si vedono in giro gli abbracci di neoliberisti giovani e democratici con politici sulla cresta che invocano il default. In una sconnessione che accetta il dogma berlusconiano per cui la ricetta giusta è semplicemente una credibile miscela di facce. Adesso tocca a noi, ci mettiamo in marcia. Qui la cronaca della giornata:



La Spezia
. L’incontro pubblico avvenuto ieri nel Castello di Riomaggiore tra alcuni esponenti del coordinamento spezzino di SEL ed il Consigliere Regionale lombardo Giulio Cavalli, oltre a rinsaldare un forte rapporto di amicizia, ha gettato i presupposti per rilanciare un nuovo approccio culturale al problema della crisi economica, sociale e politica che affligge il nostro paese.
SEL intende parlare agli indignati, a coloro che sono stati trascesi dalla verticalizzazione dei processi sociali, scavalcati dagli apparati economici che hanno deformato e manipolato l’autonomia della politica e dei suoi contenuti. “Sottolineiamo che la nostra identità è riconducibile a ragionamenti etici, idee e programmi sviluppati attraverso la costante partecipazione dei cittadini” – spiega Nicola De Benedetto, membro del coordinamento provinciale del partito di Nichi Vendola. “Non ci sarà dunque possibile, in nessun contesto e in nessuna forma, accettare l’imposizione di dialettiche personalistiche o di sterili manovre d’apparato, poiché abbiamo sinceramente ritenuto di doverne necessariamente prescindere dal momento in cui abbiamo iniziato il nostro discorso politico, rivolto unicamente al raggiungimento del bene comune, alla costruzione di una nuova visione sociale e al futuro delle nuove generazioni”.
“Crediamo di poter esercitare all’interno della coalizione di centro-sinistra un ruolo centrale nel processo di trasformazione del linguaggio politico e di delineazione di una nuova idealità, nel convincimento che l’intransigenza con cui declineremo i presupposti della nostra alleanza possa dissuadere dal voler preservare logiche strumentali ormai chiaramente estranee alla dignità del discorso politico”.
“Siamo convinti che nel centro-sinistra ci siano sufficienti intelligenze per comprendere che occorra fermarsi un momento e riflettere. In questo momento storico alcune abitudini, stratificate per via dell’automatica cristallizzazione di meccanismi politicamente inaccettabili, vanno superate con uno slancio ideale rivolto all’esplicita richiesta di aiuto che proviene dalla società civile”.
“Ripartiamo dalle idee e dalla coerenza che si rendono oggi necessarie per governare una società resa culturalmente ed economicamente vulnerabile da un liberismo cieco, postmoderno ed incautamente relativista che la politica ha ampiamente sottovalutato.
Torniamo ai valori e alla capacità di sognare di poter cambiare le cose. Soltanto così parleremo alle piazze che stanno disperatamente chiedendo risposte”.

Fare i conti (che non tornano mai)

Sarà che per me è stato un anno difficile. Per tanti motivi. Per quelli che si dicono e per quelli che non si possono dire. E intanto intorno sembra che le cose rimangano appese con la sensazione che siamo professionisti dell’analisi rinchiusi in un brodino che non riusciamo a portare all’ebollizione. Sarà che non è facile, no, rimanere con il sorriso sulle labbra e costruire ottimismo (perché l’ottimismo abbiamo l’obbligo di continuare a coltivarlo, innaffiarlo e dargli tutto il sole che c’è perché non siamo come stiamo) e intanto stare a nuotare con questo mare tutto pieno di alghe che tutti gli anni arrivano, tutti gli anni sembrano un allarme e tutti gli anni scompaiono con la prima risacca.

Sarà che ho sentito milioni di parole che non fanno politica ma si parlano addosso di politica. Ho sentito milioni di calcoli per circoscrivere gli altri e perdersi nelle piccole amministrazioni di provincia. Mentre fuori l’amministrazione della piazza e della gente è una capriola algebrica che non finisce mai con il segno più.

Sarà che ogni tanto ho incontrato sostenitori migliori di me. E spesso ho perso l’occasione di dirglielo. E di chiedergli di insegnarmi qualcosa.

Sarà che alla fine hai perso il senso di qualche importante dozzina di cose: amici, compagni e fratelli. Perché mi è successo di scoprirmi abituato. Come se alla fine in fondo me lo fossi meritato. Ed è un momento che ho sempre temuto.

Sarà che continuo vedere gente che fotografa la scorta mentre parliamo delle lotte pulite e sconosciute che attraversano il paese, come il vecchio turista che cerca di imitare le cartoline e poi si dimentica dov’è stato.

Sarà che se stiamo in gioco dobbiamo avere la voglia e la forza di giocare. Altrimenti siamo complici, e nient’altro.

Quest’estate è il momento di risistemare le carte. Provare a fare due conti. E spalancare le finestre. Perché guardare fuori aiuta a capire cosa, per cosa e dove, ne vale la pena.

In questa società comanda soprattutto chi ha la possibilità di convincere. Convincere a fare le cose: acquistare un’auto invece di un’altra, un vestito, un cibo, un profumo, fumare o non fumare, votare per un partito, comperare e leggere quei libri. Comanda soprattutto chi ha la capacita’ di convincere le persone ad avere quei tali pensieri sul mondo e quelle tali idee sulla vita. In questa società il padrone è colui il quale ha nelle mani i mass media, chi possiede o può utilizzare gli strumenti dell’informazione, la televisione, la radio, i giornali, poiché tu racconti una cosa e cinquantamila, cinquecentomila o cinque milioni di persone ti ascoltano, e alla fine tu avrai cominciato a modificare i pensieri di costoro, e così modificando i pensieri della gente, giorno dopo giorno, mese dopo mese, tu vai creando la pubblica opinione la quale rimugina, si commuove, s’incazza, si ribella, modifica se stessa e fatalmente modifica la società entro la quale vive. Nel meglio o nel peggio. (da “Un anno”, raccolta di scritti per la rivista i Siciliani, Fondazione Giuseppe Fava, 1983)