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pietà

Caro Conte, anche tu hai tenuto i porti chiusi

La Mezzaluna Rossa libica (l’equivalente più o meno della nostra Croce Rossa) ieri ha annunciato altri 50 morti in un naufragio al largo della Libia. Poco prima l’Oim, l’agenzia dell’Onu per le migrazioni, aveva riferito della morte di almeno 11 persone dopo che il gommone su cui viaggiavano era affondato. La Guardia Costiera libica come al solito dice di non esserne informata. Una cosa è certa: nel Mediterraneo si continua a morire ma la vicenda non sfiora la politica nazionale, merita qualche contrita pietà passeggera e poi scivola via.

L’importante, in fondo, è solo mantenere ognuno la propria narrazione: ci sono i “porti chiusi” di Salvini che rivendica di averlo fatto ma poi in tribunale frigna chiamando in causa anche i suoi ex compagni di governo, c’è il “blocco navale” evocato da Giorgia Meloni, c’è il PD che finge di avere dimenticato di essere il partito che con Minniti ha innescato l’onda narrativa e giuridica che ci ha portati fin qui e c’è il Movimento 5 Stelle che si barcamena tra una posizione e l’altra.

A proposito di M5S: il (prossimo) leader Conte è riuscito a dire in scioltezza “con me porti mai chiusi” provando a cancellare con un colpo di spugna quel suo sorriso tronfio mentre si faceva fotografare al fianco di Salvini con tanto di foglietto in mano per celebrare l’hashtag #decretosalvini e la dicitura “sicurezza e immigrazione”.

Conte che sembra avere improvvisamente dimenticato le sue stesse parole su Sea Watch e sulla comandante Carola Rackete: “è stato – disse Conte – un ricatto politico sulla pelle di 40 persone”. Insomma, non proprio le parole di chi vuole prendere le distanze dalla politica di Salvini.

Oltre le parole ci sono i fatti: l’ultimo atto del Parlamento prima della caduta del primo governo Conte nell’agosto 2019 è stato il “decreto sicurezza bis” che stringeva ancora più i lacci dell’immigrazione. Sempre ad agosto 2019, 159 migranti sulla nave Open Arms sono stati 19 giorni in mare senza la possibilità di attraccare nei porti italiani.

Insomma: partendo dal presupposto che i porti non si possano “chiudere” per il diritto internazionale è vero che Conte a braccetto con Salvini ha sposato l’idea dei “porti chiusi” nel senso più largo e più politico. Ed è pur vero che nessun governo, compreso questo, sembra avere nessun’altra idea politica che non sia quella di galleggiare tra dittature usate come rubinetto per frenare le migrazioni in un’Europa che galleggia appaltando i propri confini. Gli unici che non galleggiano sono i morti nel Mediterraneo.

Leggi anche: I poveri sono falliti e i ricchi sono radical chic: così Salvini non risponde mai nel merito a chi lo critica

L’articolo proviene da TPI.it qui

Buona guarigione, Briatore

L’imprenditore piemontese ha insistito nel negare la pericolosità del virus. Forse, una volta guarito dal Covid, dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo: dipendenti e ospiti del suo locale che si è rivelato un pericoloso focolaio

Giusto qualche giorno fa proprio su queste pagine mi è capitato di contestare Flavio Briatore per le sue idee e per la superficialità con cui ha affrontato il tema dei rischi Covid e la superficialità con cui ha invocato il liberi tutti in nome del fatturato del suo locale che proprio in questi giorni si è rivelato un pericoloso focolaio con ben 63 positivi su 90 tamponi fatti.

Flavio Briatore è ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano (tra l’altro in un reparto che non è attrezzato per il Covid e dove, pagando, ha deciso di stare) perché anche lui è positivo e intorno, ovviamente, si sono avventati un po’ tutti, anche chi con un certo sprezzo del senso di umanità sta augurando all’imprenditore la peggior sorte in nome di una giustizia vendicativa che dovrebbe servirgli da lezione. Beh, qui si augura a Briatore di guarire presto (del resto le notizie dicono che le sue condizioni siano stabili e buone, niente di preoccupante al momento, così dice il comunicato ufficiale del suo staff) però alcune considerazioni meritano di essere fatte.

Come scrive giustamente Massimo Mantellini: «Immaginare di sterilizzare la discussione che lo stesso Briatore ha scatenato, ora che è malato della stessa malattia che negava, e questo in nome dell’umana pietà che dobbiamo riservare a tutti, è semplicemente ridicolo». Briatore, come molti altri, ha insistito nel negare il pericolo e negare la pericolosità del virus (e con lui lo stesso primario Zangrillo che ora se lo ritrova in reparto) e forse, una volta guarito, in quanto personaggio pubblico (e usato spesso dalla politica come profeta, sui social della Lega sono state rilanciate di gran voga le sue dichiarazioni) dovrà spiegare questa sua superficialità, ci dovrà spiegare come sia successo che la sua discoteca abbia numeri di contagio che sono ben superiori a quelle delle altre discoteche e dovrà delle spiegazioni a chi ha messo in pericolo, a tanti dei suoi dipendenti e dei suoi ospiti. Perché, come dice spesso lo stesso Briatore, «le parole stanno a zero e contano i fatti». E infiammare gli animi finisce sempre per rivoltarsi contro, sempre.

Per quanto riguarda i complottisti invece non c’è speranza: comincia già a girare la fake news che Briatore sia stato “infettato dal sistema”. Pensate un po’.

Buona guarigione.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Alzare la mano per salvare un bambino: quanto costa la cura.

Simona Ravizza (giornalista sempre puntuale e attenta sulla sanità lombarda) scrive un pezzo che ancora volta apre uno squarcio sulla regione Lombardia, ciellina e dal cattolicesimo ostentato ma incapace di prendersi cura in senso costituzionale e cristiano del termine:

TOURNOI_ROULETTE_RUSSE_DESSINEUn’alzata di mano per decidere se ricoverare un bimbo in rianimazione. Succede anche questo nella Sanità sempre più a corto di soldi. E accade in uno dei più importanti ospedali pubblici per bambini, con sede nel cuore di Milano.

Un ricovero potenzialmente da 50mila euro

Mancano pochi giorni a Natale e alla clinica pediatrica De Marchi sono tempi difficili. Gli Uffici del Controllo di gestione e programmazione si sono appena raccomandati di non sforare il bilancio. È fine anno e per i vertici degli ospedali è fondamentale chiudere con i conti in pareggio. I direttori generali, nominati dalla Regione, vengono giudicati anche – e soprattutto – sulla capacità di evitare buchi. A cascata, le pressioni per non andare in rosso coinvolgono tutti.
Poche ore dopo il richiamo a spese più attente, arriva alla De Marchi la richiesta di ricoverare un bambino egiziano di quasi un anno. Ha una grave malattia, un’immunodeficienza ereditaria, con enormi rischi di non riuscire a sopravvivere anche alla più banale infezione. I medici capiscono bene che per il piccolo paziente servono cure particolarmente costose. Ci sono da spendere oltre 50 mila euro e l’esito delle terapie è tutt’altro che scontato. E c’è il pericolo di un reale accanimento terapeutico. Il reparto che lo deve prendere in carico ha già superato il budget di spesa annuale, lo sforamento è di quasi 100 mila euro.

I medici di fronte a una scelta difficile

I pediatri si interrogano. Il ricovero del bimbo va accettato? Il piccolo paziente è destinato a un trapianto di midollo in un altro ospedale ed è in arrivo alla De Marchi dopo essere già stato ricoverato in altre due strutture. Entrambe si sono scontrate con i medesimi problemi economici della De Marchi: si sono già prestate alle costose cure, ma ora chiedono aiuto altrove.
Per prendere la decisione si susseguono riunioni. L’ultima, la decisiva, avviene in reparto per alzata di mano. Ai presenti – una decina – viene chiesto di esprimersi attraverso una votazione. Si decide di ricoverare il bimbo. Ma l’alzata di mano lascia un segno tra i presenti che ora – con il bambino miracolosamente migliorato – si domandano: «Possibile che nel servizio sanitario un medico debba trovarsi a fare scelte di questo tipo? Pesare la vita di un bimbo in relazione alle spese per salvarlo?».

La situazione dei contri nella sanità

Questione di soldi. La clinica pediatrica De Marchi è una costola del Policlinico di Milano, ospedale universitario che è un punto di riferimento nazionale per oltre 200 malattie rare. Per queste patologie le terapie sono onerose perché, essendo poco diffuse, i farmaci sono particolarmente cari. Il problema dei conti in ordine è una lotta quotidiana. E con i tagli al bilancio della Sanità degli ultimi anni la situazione in Italia è sempre più precaria. Secondo le stime delle Regioni nel 2012 sono arrivati complessivamente 3 miliardi di euro in meno e nel 2013 ben 5 miliardi e mezzo.
È di questi giorni, inoltre, la discussione sull’ennesima riduzione di finanziamenti per una cifra di 2,450 miliardi di euro. Eppure già oggi in Italia la spesa sanitaria è solo il 9,2% del Pil, assai inferiore a quella degli Stati Uniti (16,9%) e di Paesi europei come la Francia (11,6%) e la Germania (11,1%). Il minore trasferimento di soldi colpisce con un effetto domino le Regioni, gli ospedali e i singoli reparti.

Ora il bambino sta meglio

Dopo aver votato, i pediatri si sono rivolti alla direzione di presidio. «Sono al corrente di quanto accaduto e ho sostenuto i medici nella decisione dando la copertura sanitaria richiesta – spiega il direttore Basilio Tiso -. Il bambino è stato curato e sta meglio. Nei prossimi giorni ci sarà il trapianto di midollo».
È andata bene, fa intendere Tiso, ma è difficile andare avanti così: «Con lo sforzo di tutti, amministratori, direzione strategica dell’ospedale, medici e infermieri, questa situazione si sta risolvendo. Ma se i fondi continueranno a diminuire – sottolinea – è indispensabile una profonda riforma del sistema sanitario. Occorre diminuire il peso dell’apparato amministrativo, burocratico e politico sulla Sanità, in modo da sbloccare risorse in favore degli operatori medici e infermieristici, delle tecnologie più all’avanguardia e dei nuovi farmaci». Un medico non può e non deve fermarsi a riflettere sul costo di una cura.