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Pippo Civati

Meno male che Grillo c’è /2

Mi dicono che non vedo le battaglie di Beppe Grillo e mi soffermo su resto. La battaglia (e il sondaggio, viva la rete!) di oggi è una presa per il culo (che non fa nemmeno ridere) contro Pippo Civati.

Fate vobis.

Fare il Civati

Tra le parole che costruiscono macerie ultimamente nella politica italiana c’è il distorto concetto di fedeltà. Viene invocata ogni volta che i dirigenti di qualche partito si ritrovano in cul de sac e non trovano più obiezioni logiche o condivisibili per la propria sfrontata incoerenza e devono chiudere in fretta la partita: la fedeltà che viene usata come una sciabola per chiudere il confronto, meglio ancora senza mai iniziarlo.

Una delle caratteristiche più difficili da “raccontare” nel fare politica è il canale di comunicazione interno. Ho parlato per ore con persone che si rivolgevano a me credendo che fossi partecipe alle consultazioni o alle decisioni che includevano anche me nelle conseguenze “attive” oppure i più disillusi speravano comunque che avessi notizie di prima mano: no, non è così, spesso spessissimo le informazioni “interne” (a cosa poi, verrebbe da domandarsi) sono banalmente quelle che leggiamo sui quotidiani con al massimo qualche parere tra colleghi. La mancata partecipazione interna ai partiti (che è una frase che ormai fa venire i conati per l’abuso) esiste sul serio ed è più banale del previsto: tre o più persone decidono azioni e strategie chiedendo agli eletti e alla base di impegnarsi nel renderle più digeribili possibile. Tutto qui. Nessun arcano meccanismo così difficile da raccontare e nemmeno grandi strategie sotterranee: stare in un partito è come avere un coinquilino che gestisce la casa e ti concede le chiavi dell’ingresso stabilendo anche gli orari del rientro.

Alcuni decidono, i più si allineano diversamente variegati, alcuni grugniscono ma solo in famiglia e poi ci sono quelli che chiedono spiegazioni. Orrore! Quelli che chiedono spiegazioni sono i vili traditori mentecatti che spaccano il partito, urlano tutti. In questi giorni quelli che chiedono spiegazioni sono i “Civati” e vengono raccontati come un pericolosissima specie politica che rischia di sfasciare tutto (tutto cosa, verrebbe da chiedersi) e che cerca solo visibilità.

Ora, io Pippo ho la fortuna di averlo amico ormai da qualche anno (un’era fa, c’era ancora Formigoni faraone in Lombardia ed era impensabile ipotizzare due ministri ciellini al governo) e questa volta mi sembra anche più lineare del solito nel suo ragionamento: abbiamo fatto delle promesse – dice – tra cui non andare mai con B, abbiamo chiesto agli elettori di dare fiducia ad una coalizione PD-SEL, abbiamo irriso i punti di programma del centrodestra ed ora andiamo a braccetto tutti insieme senza che nessuno ci abbia raccontato il percorso politico. Non mi sembra così difficile da capire, ammetto.

E credo che le stesse domande oggi dovrebbero essere urlate sbattendo i pugni sul tavolo anche da SEL, ancora prima di promettere un’opposizione costruttiva. Perché se nessuno ce lo spiega e se sono troppo pochi (e troppo timidi) coloro che pretendono una spiegazione viene il dubbio che i fessi siano gli elettori.

‘Fare il Civati’ racconta come la politica sia il luogo dell’impunità nel mantenere relazioni sociali leali, prima di tutto il resto, e come sia eroico provare a scindere la fedeltà dalla servitù. Ma questo è un vizio antico.

Mettete dei Fioroni nei vostri cannoni

Fioroni vuole buttare Civati fuori dal PD: “Civati non avendo votato Napolitano è un irresponsabile e se non vota governo è fuori dal Pd” ha dichiarato a Radio Popolare.

Fioroni, capite? Fioroni.

Sarà che con le espulsioni un po’ ci ho fatto il callo ma se la sfida diventa al “me o lui” forse il PD ha possibilità di salvarsi.

Ohi, Pippo: grazie della tua presenza in questo depresso Parlamento, comunque.

La perversione

Provate a spiegarlo ad un bambino: il Movimento 5 Stelle non vuole accordi con il centrosinistra, anzi con nessuno. E’ semplice e lineare. Si può essere d’accordo o meno ma è una decisione che ha un senso (più lucrativo di consenso che politico, forse). Il centrosinistra intanto prova in tutti i modi di trovare un punto in comune con Il M5S per costruire un “governo di scopo” che non preveda PDL e affini (e questo a Bersani va riconosciuto, ma sul serio).

Il M5S ostinatamente rifiuta il corteggiamento. Anzi, dice che è tutta una finta del centrosinistra che vuole farsi dire di no per andare con Berlusconi, e allora loro (anzi, Beppe Grillo) cosa si inventano per disinnescare la trappola? Dicono di no. Ecco.

Il PD si diluisce in mille correnti ma Bersani tenta di tenere la barra dritta. Piuttosto che con Berlusconi (dicono in molti) si ritorna al voto. E qui accade il miracolo: i capigruppi cinquestelle Crimi e Lombardi ci dicono che il voto sarebbe una sciagura. Capito? Loro.

Forse sono troppo semplice io ma un attendismo venduto come un martirio mi sembra proprio una perversione.

(Anche Pippo ne scrive, qui)

Esterni al concorso esterno, per favore

Ora si fa insistente la voce di un accordo PD, PDL: ne parlano i giornali ma se ne parla anche qui tra i corridoi a Roma. La notizia è la solita commistione delle sopraffine menti degli antichi strateghi politici che in Parlamento “fanno da conto” sui numeri e non sulle idee (figurarsi sugli ideali).

Se accade il grande inciucio (resta solo da trovare un nome elegante) saranno chiare le responsabilità di chi ci ha provato e chi no e, soprattutto, di chi ha ostacolato ad ogni costo. E non sarà solo Bersani a dovere lasciare il campo, no. Qualcuno anche dalle nostre parti dovrà spiegare la strategia di SEL e perché ancora una volta l’abbraccio è stato narcotizzante e deleterio e i patti non rispettati.

Il mancato cambiamento in Parlamento cambierà molte cose, qui fuori.

Giocare al rialzo

tag_cloud_discorsi_boldrini_grasso_50_fotoUn risultato dei primi giorni di questo governo è stato raggiunto: giocare al rialzo della qualità e del coraggio. Comunque la si pensi sarebbe stato impensabile fino a pochi giorni fa vedere Laura Boldrini e Piero Grasso presidenti di Camera e Senato e sarebbe stato difficile immaginare che i temi del finanziamento pubblico, della solidarietà, della riforma dei partiti, del conflitto di interessi e gli altri di queste ultime ore diventassero così collettivi da sembrare davvero maggioranza.

Merito anche al Movimento 5 Stelle che è riuscito comunque a condizionare le scelte e le agende del centrosinistra (che, lasciatemelo dire, con Bersani ha interpretato fino ad ora molto bene il proprio ruolo di rinnovamento delle modalità): ancora una volta un movimento si dimostra migliore del proprio leader.

Ma un merito va (e ne sono felice) all’amico Pippo Civati che ancora una volta ha dimostrato che alzare il tiro è una pratica salutare in politica e più in generale nella vita. Ce lo siamo detti spesso in Consiglio Regionale (ci siamo riusciti molto poco in campagna elettorale qui in Regione Lombardia, a dire il vero) e molti già pregustavano un Civati anonimamente schiacciato in Parlamento dalle dinamiche troppo oscure e dai giochi di palazzo: nel suo blog c’è la cronaca e la progettazione di questi ultimi giorni in modo più analitico e sincero di qualsiasi webcam e c’è una lettera aperta da non lasciare cadere (per tutto il centrosinistra). Buon lavoro.

Due parole sul futuro che ci aspetta (e ci spetta)

Una mia intervista ad Affari Italiani che (a parte il titolo) dice due o tre cose che penso:

Schermata 2013-03-04 alle 13.28.00di Fabio Massa

Giulio Cavalli è uno dei leader di Sel in Lombardia. In un’intervista ad Affaritaliani.it attacca la dirigenza del partito, dopo che alle ultime elezioni non hanno ottenuto neppure un seggio al Pirellone. “Noi fuori? Colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio. Sel? Bisogna che si faccia il congresso. Civati segretario del Pd? Sono pronto a seguirlo, sono a sua disposizione perché le sue idee sono anche le mie”

Giulio Cavalli, Sel è morta?
Non siamo morti. Abbiamo un progetto da rivedere perché abbiamo perso.

Siete fuori dal consiglio regionale lombardo.
Non abbiamo perso solo perché siamo fuori. La politica non si fa solo dentro o fuori. Abbiamo perso perché non abbiamo numeri che dicano che siamo vagamente convincenti. Il problema non è avere o no i consiglieri. Il problema è riuscire ad essere credibili: l’1,8 per cento non è abbastanza.

Di chi è la colpa?
E’ colpa di una campagna elettorale gestita male fin dall’inizio, di una perversione di Sel di accodarsi al Pd per poi svicolare in modo labirintico. La sinistra ha mostrato di vincere quando fa la sinistra, sul modello Pisapia, e non quando scimmiotta il centro.

Pisapia è stato tra i main sponsor di Ambrosoli.
Pisapia prenderà le responsabilità politiche anche di questo. Perché dobbiamo prenderle solo noi?

Adesso che cosa succederà? Passa nel Partito Democratico.
No. Io penso che adesso bisogna capire Sel che cosa fa. Se vuole rimanere la correntina esterna, che poi visti i numeri significa un “refolo”, del Pd, mi pare non valga la pena. Se vuole raggiungere risultati importanti allora bisogna che riprenda a dialogare con pezzi con i quali ha smesso di dialogare da qualche tempo. Avevo scritto che il progetto era fare in modo che questa sinistra fosse meno diffusa a livello di partiti e un po’ più diffusa a livello di percentuali.

Lei che cosa farà?
Io sono un umile servitore nella vigna di Sel. I dirigenti si prendano le loro responsabilità.

Quindi?
Quindi in fase congressuale ci saranno delle linee da rivedere e da decidere nuove linee e nuove sintesi.

Lei parteciperà in maniera attiva al congresso?
Io faccio politica scrivendo libri e facendo spettacoli teatrali. Dentro Sel ho trovato tantissima gente che ha la stessa idea di Paese che ho io. Non permetterò che per spirito di autoconservazione basti ai dirigenti il fatto di aver ottenuto un posto ma che si lavori sempre come una chiave collettiva di ideale.

In questa sconfitta Chiara Cremonesi ha qualche responsabilità?
Non più di quante ne abbia io. Poi devo dire che in tutti i partiti si tenta in ogni modo di fare campagne elettorali che somigliano da fuori a masturbazioni interne.

Se Pippo Civati divenisse segretario del Partito Democratico lei seguirebbe il suo amico?
Io penso che il Pd non sarebbe più il Pd. Il partito di Pippo Civati ha la stessa agenda politica che ho io. Sicuramente sarei a disposizione di Pippo perché possa fare in modo che le sue idee, che sono anche le mie, possano essere maggioranza.

Pippo scrive a Beppe

beppe-grillo-lodo-alfano-3-770x513Il dibattito di questi giorni sul ruolo del Movimento 5 Stelle è politica. Lo scrivo perché sembra che qualcuno voglia convincerci che siano chiacchere da bar: la politica è nelle scelte, non nelle campagne elettorali (quelle servono per raccontare le scelte fatte o non fatte, e infatti chi non sceglie succede che perda). Non credo che il Movimento 5 Stelle si prenderà la responsabilità di lasciare inerme un potenziale governo (anche solo “di scopo”) per lucrare sul proprio consenso tra qualche mese (anche perché, appunto, si tratterebbe di scegliere e di risponderne: fare politica insomma); credo però che alcuni dei presunti “pontieri” di questo dialogo con Grillo e il Movimento oggi forse si pentiranno degli sfanculamenti senza senso in risposta a sfanculamenti senza senso, dei sorrisini compiaciuti di scherno verso i “grillini” e di questa idea tutta antidemocratica che i voti per qualcuno valgano meno dei voti ad altri: l’avevo già scritto qui (che fortuna, la memoria della rete) che qualificarsi squalificando il Movimento 5 Stelle non era una grande strategia.

Oggi Pippo Civati (sì ,sempre lui, e allora?) scrive sul suo blog una lettera a Grillo che è più che tra questo vociare parla di politica, appunto:

Allora, caro Beppe, la situazione è quella che auspicavi: questa politica è stata presa a pallonate. La tua campagna elettorale, capace di sedurre gli elettori di tutti i generi e tipi, ha funzionato. Lo tsunami non è riuscito per un pelo, ma – come hai detto anche tu – è solo rinviato di qualche mese, perché poi lo tsunami ci sarà davvero, secondo le vostre previsioni ‘meteorologiche’ (rispetto alle quali è giusto conservare qualche dubbio, ma che vanno certamente osservate con rispetto, visto che le previsioni nostre erano così palesemente sbagliate).

Vorrei dire a te e ai tuoi che è legittimo pensarla così: siete stati votati e ora potete fare con i vostri voti quello che volete. Le forze che ti sostengono sono arrivate al terzo posto, sbaragliando la concorrenza del tecnico-che-saliva-e-che-è-un-po’-sceso e avvicinandosi nei consensi ai politici dei principali partiti.

Ciò che mi chiedo è però se non sia un azzardo buttarla in caciara, proprio ora. Certo, mi si può rispondere che in Italia l’azzardo paga sempre. E che hai vinto e, quindi, va bene la disintermediazione, va bene la rete, va bene che siete portavoce di una voce che di volta in volta svelerete prima di tutto a voi stessi e poi agli italiani. Abbiamo capito (qualcuno lunedì, qualcuno un po’ prima, diciamo così).

Però c’è un però: un però che alla fine è questo Paese. Siamo sicuri che non far niente ora per farlo tra sei mesi sia la cosa più giusta da fare? Siamo sicuri che tutti siano uguali, in quel Parlamento, e che non ci sia proprio niente da fare di buono, per cambiare le cose, nelle condizioni date? E che sia il caso di chiamarsi fuori, di chiamare fuori i cittadini che vi hanno votato, per lasciare campo all’ennesima riedizione di un governo di larghe intese e, temo, di corte vedute. Capisco la tua libidine, ma un po’ mi preoccupa il quadro che si delineerebbe.

Te lo chiedo rivolgendomi al leader che sei, perché lo sei anche se fai finta di essere un capo-per-caso, e me lo chiedo, perché è del tutto evidente che se non si riuscisse, si tornerebbe a votare. E magari vinceresti tu, magari Berlusconi, magari il centrosinistra. O, più probabilmente, nessuno di questi. Perché nessuno di questi, nemmeno la prossima volta, avrà i numeri per governare. E ci ritroveremmo a scrivere la stessa identica cosa che sto scrivendo ora. Che è la cosa peggiore che possa capitare, soprattutto perché è già capitata.

Continua qui. E continua un filo e un dibattito da tenere alto.