da “I Siciliani”, gennaio 1984
Pippo Fava ha scritto un sacco di libri, e cose di teatro anche.
Però Pippo Fava non è mica uno importante.
Per esempio, arriva una centoventiquattro scassata, dalla centoventiquattro esce uno con la faccia da saraceno e un’Esportazione che gli pende da un angolo della bocca e ride e quello è Pippo Fava.
Bene, un giorno a Pippo Fava gli dicono di fare un giornale, è una faccenda strana affidare un giornale a Fava che, dice la gente perbene, è uno che non si sa mai che scherzi ti combina: comunque il giornale c’è, si chiama il Giornale del Sud e subito Pippo Fava lo riempie di ragazzi senza molta carriera ma in compenso mezzi matti come lui.
«Tu, come ti chiami?». «Così e cosà». «E cosa vorresti fare?».
«Mah, politica estera…». «Ok, cronaca nera».
La cronaca, al Giornale del Sud, la si fa all’avventura.
Non si conosce nessuno, si parte proprio da zero. Ci sono storie divertenti, tipo quella del povero emarginato napoletano che arriva in redazione e tutti fanno i pezzi commoventi sul povero emarginato e poi arriva Lizzio dalla questura per un paio di stupri…
Si chiude alle tre di notte; non si “buca” una notizia.
Con grande stupore, i catanesi apprendono che a Catania c’è una cosa che si chiama mafia. E che Catania è divenuta un centro del traffico di droga.
Dopo qualche mese, un attentato: un chilo di tritolo. Ma si va avanti.
La faccenda dura un anno. Poi succedono tre cose.
La prima è che gli americani decidono che la Sicilia va bene per coltivarci missili.
E questo a Fava non va bene, e lo scrive.
La seconda che a Milano acchiappano un grosso mafioso, Ferlito, parente di un assessore e uomo di molto rispetto;
e anche qua, Fava si comporta piuttosto – come dire – maleducatamente.
La terza è che nella proprietà del giornale arrivano amici nuovi, uno dei quali è…
– ok, avvocato, niente nomi –
… un importante imprenditore catanese coinvolto nel caso Sindona e un altro un importante politico catanese coinvolto nell’assessorato all’agricoltura.
Telegramma all’illustrissimo dottor Fava:
«Comunichiamo con rincrescimento a vossignoria illustrissima che il giornale ora ha un altro direttore».
I matti, i ragazzi della redazione vogliamo dire, occupano il giornale. L’occupazione dura una settimana, durante la quale gli occupanti ricevono la solidarietà di alcuni tipografi, di una telefonista, di un guardiano notturno e di un ragazzino dell’Ansa (a pensarci, anche un giornalista ha telefonato, allora). Poi arriva il sindacato e, molto ragionevolmente, l’occupazione finisce.
Senza Fava finisce anche, e alla svelta, il Giornale del Sud (perché non-leggere le stesse notizie su un giornale nuovo, se puoi già non-leggerle su quello vecchio?).
Ma Fava nel frattempo non s’è stato con le mani in mano. Ha raccolto una decina dei “suoi” matti: «Si fa un giornale».
Come, quando e se si farà non lo sa nessuno.
Ma intanto si mette su una bella redazione, con le sue brave “lettera ventidue” scassate.
Chi è disposto a investire qualche centinaio di milioni su due “lettera ventidue” scassate, dieci matti fra i venti e i venticinque anni e uno di sessanta? Ovviamente, nessuno.
D’altra parte dopo l’esperienza del GdS Fava e i suoi, a sentir parlare di padroni, si mettono a bestemmiare.
Allora si mette su una bella cooperativa – «Radar!». «E che vuol dire?».
«Suona bene!» – si disegna un bellissimo stemmino per la cooperativa e si firmano alcune tonnellate di cambiali.
Due mesi dopo arrivano due bellissime Roland di seconda mano, offset bicolori settanta/cento, e Fava se le cova con lo sguardo che se invece di essere due offset fossero due turiste svedesi lo denuncerebbero per stupro.
A fine novembre, Pippo Fava arriva in redazione, schiaccia l’Esportazione nel portacenere e fa:
«Ragazzi, si fa il giornale». «Quando?» «Con quali soldi?»
«Io faccio il pezzo sulla Procura!» «Come lo chiamiamo?» «Io ho un’idea per il pezzo di colore» «Ma i soldi…».
La vigilia di Natale, le Roland sputano una cosa rettangolare con scritto su
«I Siciliani».
Anno uno, numero uno, i cavalieri di Catania e la mafia, la donna e l’amore nel sud. Un tipografo porta il pupo in redazione. «Be’, potrebbe anche andare» fa uno dei redattori con nonchalance, e subito dopo si mette a ballare.
Il giornale arriva in edicola alle nove di mattina.
A mezzogiorno non ce n’è più (a piazza della Guardia, dicono, due fanno a cazzotti per l’ultima copia: ma onestamente non ne abbiamo le prove). Si brinda nei bicchieri di plastica, e si prepara il numero due; nel cassetto i mazzi di cambiali sembrano meno minacciosi.
Ed è passato un anno. La mafia, a Catania, c’è o non c’è?
«Ma no… al massimo un po’ di delinquenza…» (il signor Prefetto).
«Cristo se c’è! E sbrigatevi a fare qualcosa che qui finisce peggio di Napoli» (I Siciliani).
E quel signore, come si chiama quel signore là?
«Noto pregiudicato…» (la stampa per bene).
«Santapaola Benedetto, detto Nitto, MAFIOSO!» (I Siciliani).
E i missili, dite un po’, vi dispiace se lascio un paio di missili nel sottoscala? «Ma prego, si figuri, come fosse a casa sua!».
«Ahò! Ca quali méssili e méssili! I cutiddati a’ casa vostra, si vvi l’aviti a ddàri!»
E i cavalieri, vediamo un po’; anzi, i Cavalieri?
«Ecco dunque cioè nella misura in cui ma però… AIUTO diffamano Catania!»
«I cavalieri catanesi alla conquista di Palermo con la tolleranza della mafia.
Firmato Dalla Chiesa. Noi stiamo con Dalla Chiesa».
Ed è passato un anno.
C’è un ragazzino, a Montepò, che ancora non sa bene se andrà a fare il suo primo scippo o no. C’è una vecchia, in via della Concordia, che è rimasta fuori dall’ospedale perché non c’era posto. C’è una tizia, a viale Regione Siciliana, che costa ventimila lire ed ha quattordici anni. C’è un manovale, alla zona industriale, che ci ha rimesso una mano e dicono che la colpa è sua. C’è uno sbirro, in viale Giafaar, che ha una bambina a casa ma va di pattuglia lo stesso. C’è una bambina, da qualche parte allo Zen, che forse diventerà una puttana e forse una donna felice.
E c’è un’altra bambina, in un cortile pieno di sole, e ora Pippo Fava prende in braccio la bambina e la bambina ride.
«Nonno, nonno, ora faccio l’attrice».
«Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…
Beh, te lo prendi un caffé? E l’occhiello, vedi che dieci righe per un occhiello a una colonna sono troppe».
Forse mezzo milione, forse di più: il tizio, con l’altro tizio e quello che doveva dare il segnale, era là ad aspettare e ha alzato la 7,65 e ha sparato. Professionale.
Certo, in una villa di Catania, s’è brindato, quella notte.
Forse ha avuto il tempo di guardarlo negli occhi. Non pensiamo spaventato.
Forse, impietosito. Sapendo benissimo che il tizio pagato – uscito forse da un miserabile quartiere, uno di quelli che lui non era riuscito a salvare – sparava anche contro se stesso, contro la propria eventuale speranza.
Forse ha pensato che un giorno o l’altro quelli che venivano dopo di lui ci sarebbero riusciti a farli smettere di sparare, a…
Ma forse non gliene hanno dato il tempo.
***
E questo è tutto.
Ok, ringraziamo tutti quanti, grazie di cuore a tutti.
Adesso dobbiamo ricominciare a lavorare, c’è ancora un sacco di lavoro da fare per i prossimi dieci anni.
Mica possiamo tirarci indietro con la scusa che è morto uno di noi.
Se qualcuno vuole dare una mano ok, è il benvenuto, altrimenti facciamo da soli,
tanto per cambiare.
Va bene così, direttore?
Elena Brancati, Cettina Centamore, Santo Cultrera, Claudio Fava, Agrippino Gagliano, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza, Nanni Maione, Riccardo Orioles, Nello Pappalardo, Tiziana Pizzo, Giovanna Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi, Lillo Venezia.