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Pippo Fava

E non è cambiato niente mai, e la disperazione ha preso il cuore di mi­lioni di cittadini, e io questo posso scriverlo onestamente perché la di­sperazione ancora non mi ha vinto.

Per non avere la memoria a corrente alternata ma una resistenza elettrica e continua, oggi ho ritrovato un pezzo di Pippo Fava. Era il 1975. Dovevo nascere due anni dopo. E può tornare utile rileggerlo per uscire dalla stucchevole polemica su alleati e alleanze di questi giorni:

Mi volete spiegare perché un uomo, un cittadino che da anni vede gli enti pubblici gonfiarsi di racco­mandati, le­noni della politica, imbro­glioni, gabel­loti dei partiti, e vede l’amministrazio­ne onesta paralizzata dalla faida di po­tere a tutti i livelli, e vede le opere pubbliche boicottate e annientate dalla paura che ogni uomo politico nutre ch’essa opera pubblica possa servire al concorrente, e vede i quartieri della città trasformati in lan­de di scorreria per teppisti d’ogni età; perché quest’uomo cittadino che pos­sibilmente è anche povero e galantuo­mo e non riesce a trovare lavoro one­sto, e vede i raccomandati, i lacché, i vassalli poli­tici scavalcarlo continua­mente negli esami, nei concorsi, nel diritto civile alla vita; quest ‘uomo che magari è stato ricoverato una vol­ta in ospedale o vi ha condotto un fi­glio o un padre, e ha visto i topi cam­minare sotto i let­ti, e gli esseri umani agonizzare per­ché mancava un litro di sangue, men­tre duemila, tremila impiegati politici divorano ogni mese miliardi di pubbli­co denaro, quest’uomo povero, fiducioso, perseguitato, che per anni e anni ha votato per la democrazia acca­nendosi a sperare che da una settima­na all’altra, da un anno all’altro, tutto potesse cambiare, e infine ha fanatica­mente votato fascista per esprimere la sua disperazione e nemmeno allora è successo niente, nessuno ha raccolto il monito drammatico.

Perché quest’uomo così ridotto e fe­rito come essere vivente e come cit­tadino ora, in questa occasione eletto­rale, non do­vrebbe votare comunista?

E così per anni e decenni, per mesi e per giorni, e per infinite occasioni, in­finite illusioni e speranze, gli italia­ni (e i catanesi) hanno perdonato e re­stituito la fiducia, e nutrita la speran­za che tutto stesse veramente per cambia­re.

E non è cambiato niente mai, e la disperazione ha preso il cuore di mi­lioni di cittadini, e io questo posso scriverlo onestamente perché la di­sperazione ancora non mi ha vinto.

(21 giugno 1975)

Tesserati senza tessere

Vi racconto una piccola atroce storia per capire quale possa essere talvolta la posizione del potere politico dentro una vicenda mafiosa, una storia vecchia di alcuni anni fa e che oggi non avrebbe senso e che tuttavia in un certo modo interpreta tutt’oggi il senso politico della mafia. Nel paese di Camporeale, provincia di Palermo, nel cuore della Sicilia, assediato da tutta la mafia della provincia palermitana, c’era un sindaco democristiano, un democristiano onesto, di nome Pasquale Almerico, il quale essendo anche segretario comunale della DC, rifiutò la tessera di iscrizione al partito ad un patriarca mafioso, chiamato Vanni Sacco ed a tutti i suoi amici, clienti, alleati e complici. Quattrocento persone. Quattrocento tessere. Sarebbe stato un trionfo politico del partito, in una zona fino allora feudo di liberali e monarchici, ma il sindaco Almerico sapeva che quei quattrocento nuovi tesserati si sarebbero impadroniti della maggioranza ed avrebbero saccheggiato il Comune. Con un gesto di temeraria dignità, rifiutò le tessere.
Respinti dal sindaco, i mafiosi ripresentarono allora la domanda alla segreteria provinciale della DC, retta in quel tempo dall’ancora giovane Giovanni Gioia, il quale impose al sindaco Almerico di accogliere quelle quattrocento richieste di iscrizione, ma il sindaco Almerico, che era medico di paese, un galantuomo che credeva nella DC come ideale di governo politico, ed era infine anche un uomo con i coglioni, rispose ancora di no. Allora i postulanti gli fecero semplicemente sapere che, se non avesse ceduto, lo avrebbero ucciso, e il sindaco Almerico, medico galantuomo, sempre convinto che la Dc fosse soprattutto un ideale, rifiutò ancora. La segreteria provinciale s’incazzò, sospese dal partito il sindaco Almerico e concesse quelle quattrocento tessere. Il sindaco Pasquale Almerico cominciò a vivere in attesa della morte. Scrisse un memoriale indirizzato alla segreteria provinciale e nazionale del partito denunciando quello che accadeva e indicando persino i nomi dei suoi probabili assassini. E continuò a vivere nell’attesa della morte. Solo, abbandonato da tutti. Nessuno gli dette retta, lo ritennero un pazzo visionario che voleva continuare a comandare da solo la città emarginando forze politiche nuove e moderne.
Talvolta lo accompagnavano per strada alcuni amici armati per proteggerlo. Poi anche gli amici scomparvero. Una sera di ottobre mentre Pasquale Almerico usciva dal municipio, si spensero tutte le luci di Camporeale e da tre punti opposti della piazza si cominciò a sparare contro quella povera ombra solitaria. Cinquantadue proiettili di mitra, due scariche di lupara. Il sindaco Pasquale Almerico venne divelto, sfigurato, ucciso e i mafiosi divennero i padroni di Camporeale. Pasquale Almerico, per anni, anche negli ambienti ufficiali del partito venne considerato un pazzo alla memoria. (Pippo Fava da I Siciliani, gennaio 1983)

I Siciliani, giornalismo contro la mafia

Durante il periodo natalizio del 1982 esce nelle edicole dell’isola il primo numero del mensile I Siciliani diretto da Pippo Fava. L’inchiesta principale, che accende i riflettori sul nuovo giornale, è I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa in cui si attaccano i quattro principali imprenditori catanesi da diecimila posti di lavoro complessivi: Mario Rendo, Carmelo Costanzo, Francesco Finocchiaro e Gaetano Graci.

Il dispiegamento pubblico delle collusioni e commistioni tra gli imprenditori e la mafia accende la curiosità della stampa nazionale, che si trova di fronte a una realtà colpevolmente sconosciuta a soli quattro mesi dall’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo.

Il giornalismo catanese, infatti, non si era mai occupato di raccontare e svelare gli intrecci tra mafia, imprenditoria e politica fino a quando Giuseppe e i suoi colleghi non si assunsero quest’onere decidendo di fondare un nuovo mensile che avesse come linea editoriale il “concetto etico di giornalismo”, ovvero, come diceva Fava, di “un giornalismo fatto di verità”.

Ed è proprio questo nuovo modo di essere (non di fare il) giornalista che ha infastidito il sistema editoriale catanese, che ancora oggi è monopolizzato da Mario Ciancio Sanfilippo, ex presidente della Fieg, la federazioni degli editori di giornali, indagato per concorso in associazione mafiosa. Tutta l’informazione, scritta, radiofonica e televisiva di Catania è sempre passata dalle mani di Ciancio, a parte il mensile diretto da Fava.

In questo contesto I Siciliani è una rivista scomoda, irriverente e preoccupante per la classe dirigente dell’isola, che invano tenta di comprare il giornale attraverso Mario Rendo, il quale propone al direttore la gestione di una nuova emittente televisiva.

La sera del 5 gennaio 1984, a Catania, dopo undici numeri del periodico, Pippo Fava viene ucciso. Sono ormai passati ventisei anni, ma la situazione a Catania non è cambiata di molto. A parte l’accusa ex art. 416 bis per Ciancio, il monopolio informativo è rimasto lo stesso.

Per questo accolgo con entusiasmo l’annuncio dell’amico Riccardo Orioles sulla rinascita de I Siciliani. Il primo numero dovrebbe debuttare già dal prossimo novembre in formato pdf e da febbraio 2012 dovrebbe uscire nelle edicole siciliane. Ringrazio anche i sostenitori del progetto, le persone che hanno convinto Riccardo a mettersi a disposizione per il risveglio di un mensile che non poteva finire tra i ricordi: i magistrati Giambattista Scidà e Giancarlo Caselli e il prof. Nando Dalla Chiesa.

Sono convinto che il concetto etico di giornalismo, che accompagna ancor’oggi Orioles e gli altri redattori che daranno vita a I Siciliani, sarà la giusta cinghia di trasmissione tra lavecchia esperienza e la nuova e sarà l’ennesima occasione per dimostrare che si può essere giornalisti senza svendersi al miglior offerente. Il “risveglio” de I Siciliani è un filo rosso che qualcuno voleva nascondere sotto la sabbia e invece soffia forte. E noi soffiamo insieme perché Riccardo e I Siciliani corrano veloci.

PUBBLICATO SU IL FATTO QUOTIDIANO

Una meravigliosa notizia

L’inossidabile Riccardo parte con una straordinaria e importante avventura.

Va bene. E ora? Ci lasciamo così, dopo aver chiacchierato? E no, santiddìo, stavolta no. Stavolta giochiamo grosso, puntiamo tutto quello che abbiamo. Il nome, la storia, la forza dei Siciliani. Amici, rimettiamo in campo i Siciliani. Loro hanno i killer, loro hanno i miliardi – ma noi, noi uomini di questa terra abbiamo i Siciliani.

Radio Mafiopoli 15a puntata: “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” In memoria di Beppe e Pippo

La memoria vien di notte. Con le scarpe tutte rotte. Una memoria imbefanita, al saldo, memoria in recessione. Mafiopoli è maestra di lesinare memoria in modo inversamente proporzionale all’impacchettamento degli eroi. – il rinnovamento degli eroi è il successo dei consumi! Urla il Principe di Mafiopoli durante l’inaugurazione del ponte da Messina alle coscienze impermeabili. Stiamo varando un decreto legge per una finanziaria della memoria 2009. Una legge che sarà un successo di senso e di consenso! Continua il principe. Vareremo nel privè del palazzo della regione una nuova memoria a misura del nostro uomo: una memoria ad alta velocità, una memoria sparente, memoria nuova con filtro antiparticolato che potrà girare anche nei giorni di memorie alterne e che soprattutto eliminerà quanto prima la memoria passata. La memoria vecchia che urtica perché stride con la nostalgia. E la nostalgia non è proprio un sentimento da città moderna che deve infettarsi al tempo di un jazz. Mafiopolitani, smettete di lottare! Urla il Ministro Per La Tranquillità al saldo per pochi spicci, perché lottare quando c’è già il ricordo in prima serata in pay per view? Tutto il popolo, ai piedi del campanile del palazzo, acconsente, annuisce e annichilisce; in un budino marrone e fermo per la distrazione del buon governo.
Ricordare – parla l’uomo con il piattino per le offerte – ricordare è un esercizio per non dover ricominciare!
E tutti da sotto il campanile a cercare l’anagramma con la faccia che non scuoce.
Ricordare – parla l’uomo con il piattino per le offerte – la lotta contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio diceva Kundera!
E tutti da sotto il campanile a scartare la coscienza in allegato alle patatine.
Ricordare- parla l’uomo con il piattino per le offerte – diceva Borges che siamo la nostra memoria, siamo quel chimerico museo di forme incostanti, quel mucchio di specchi rotti.
Borges? Urlò il principe Macchiavellico con il cappello da cacciatore e il piede sulla pelle di giustizia, – Borges che si preoccupi di arrivare puntuale agli allenamenti!
E tutti da sotto il campanile a scommettere, lo danno 10 a 1, se l’Istat mette la memoria nel paniere.
Pippo e Beppe, se vi arriva Radiomafiopoli, non perdonateglielo. Noi nemmeno.
[ricordo di Sonia Alfano]